sabato 11 dicembre 2021

Il ritiro sull'Himalaya - Tiziano Terzani

 Tiziano Terzani (1938 -2004) in questo testo Un altro giro di giostra, viaggio nel male e nel bene del nostro tempo, racconta gli ultimi anni della sua vita, dopo che gli era stato diagnosticato un tumore allo stomaco.   Vedi link http://www.tizianoterzani.com

 
Queste righe riportano la parte del libro riguardante il suo ritiro nell'Himalaya ad Almora.

Almora, un posto dove l’India confina con il Tibet e il Nepal, si trova al centro di un triangolo tantrico, ed aveva la fama di posto particolarmente adatto alla meditazione e alla vita spirituale. Aveva attirato anche molti stranieri. Come ad esempio Evan Wentz un teosofo a cui dobbiamo la prima edizione del libro tibetano dei morti e la vita di Milarepa, e Lama Govinda Anagarika.   "Qualcosa è nascosto, vai a cercarlo, vai e guarda dietro ai monti, qualcosa è perso dietro ai monti, vai, è perso ed aspetta te".
Qualcuno mi aveva detto che sul crinale di quelle montagne viveva ancora un Vecchio. Aveva ottant’anni e una memoria formidabile. Era un pittore, aveva bruciato tutti i suoi quadri e si era dedicato a mettere a fuoco la mente, ad andare al di là. Quando incontrai il vecchio gli dissi solo che in tutta la mia vita non avevo fatto che viaggiare e che ora volevo fermarmi. E’ il solo modo per conoscersi, commentò. E disse anche "Il Vedanta è troppo intellettuale ma è un ottimo punto di partenza. La vera conoscenza non viene dai libri, neppure quelli sacri, ma dall’esperienza, il miglior modo per capire la realtà è attraverso i sentimenti, l’intuizione, non attraverso l’intelletto. L’intelletto è limitato".
"Ciò che è fuori è anche dentro, e ciò che non è dentro non è da nessuna parte. Per questo viaggiare non serve, se uno non ha niente dentro, non troverà mai niente fuori, è inutile andare a cercare nel mondo quello che non si riesce a trovare dentro di sé". Mi sentii colpito, aveva ragione.
Stavamo davanti al massiccio di Nanda Devi, una gloriosa natura vivente che mutava sotto i nostri occhi, nella capanna dove vivevo gli inglesi aveva tenuto prigioniero Nehru.
Quando l’allievo è pronto il maestro compare. Lo stesso è vero di un amore, di un posto, di un avvenimento che solo in certe condizioni diventa importante. Inutile cercarne le ragioni, c’è una realtà al di là dei sensi.
Il pellegrino, il pellegrinaggio e il cammino: niente altro che me verso me stesso, Era un viaggio che non si poteva fare in due. Angela mi moglie capì e fu generosissima, mi lasciò partire da solo.
Non volevo morire senza aver capito perché ero vissuto, o molto più semplicemente dovevo trovare dentro di me il seme di una pace che poi avrei potuto far germogliare ovunque. I sanyasin quando lasciano il mondo tagliano tutti i legami, muoiono nei confronti del loro passato, io non volevo arrivare al quel punto, volevo prendere la distanza, per provare quel solitario viaggio di cui sentivo il bisogno. Hima è la neve, alaya dimora delle nevi, quelle montagne sono state il simbolo dell’aspirazione umana al divino. L’Himalaya era la sede di tutti i miti, la fonte della vita e della conoscenza, li nascono tutti i sacri fiumi, lì i rishi concepirono i Veda, lì Vyasa scrisse la Gita e il Mahabharata, bisognava salire su quelle vette per esserne conquistati, le persone che erano lì, non avevano più nulla a cui pensare, tranne che al Sè.
Anche il mio era un allegorico rito di rinuncia al mondo della materia e di iniziazione a quello dello spirito. Il Vecchio raccontava continuamente storie, prese a volte dai Pancatantra. I Pancatantra sono una divertente collezione di storie di animali scritte 1500 anni fa da un eremita per dare a tre figli ignoranti e svogliati di un re alcune fondamentali lezioni di vita e prepararli alla successione. Secondo alcuni, dietro il leggendario autore Vishnu Sharma si nasconderebbe Chanakya, il Macchiavelli indiano autore del trattato Arthashastra, sull’arte del governare.    

Una storia del Pancatantra. una tigre aveva due seguaci, un leopardo e uno sciacallo, ogni volta che la tigre azzannava una preda, mangiava e lasciava i resti agli altri. Un giorno la tigre uccise tre animali, uno grande, uno medio e uno piccolo, e chiese “come li dividiamo?” Semplice, rispose il leopardo, tu prendi il grande, io il medio e lo sciacallo il piccolo. La tigre non disse nulla, ma con una zampata uccise il leopardo, e chiese allo sciacallo di nuovo “come li dividiamo?” Oh, tu prendi il piccolo per colazione, il medio per cena e il grande per pranzo. Dimmi sciacallo da chi hai imparato tanta saggezza?  Dal leopardo Maestà.

Altra storiella dei Pancatantra. Un vecchio leone andava a fare un sonnellino ma era regolarmente disturbato da un topo, il leone non riusciva ad acchiappare quel minuscolo animale. Chiese ad un gatto da fargli da guardiano e in cambio gli avrebbe dato da mangiare, il topo vedendo il gatto non uscì dal suo buco, il leone dormiva tranquillo e il gatto mangiava a sazietà. Un giorno il topo ormai affamato uscì dal suo buco e il gatto senza pensarci due volte lo ammazzò. Da quel giorno il comportamento del leone cambiò, non diede più da mangiare al gatto e non gli parlò più. Il gatto non capiva, ho fatto il mio dovere perché mi tratti così? Misera piccola bestia, sei un servo che non serve più, vattene e lasciami dormire.
Storia di animali per suggerire un fine più alto nella vita. Un'allegoria del messaggio dei Veda.
Un falco un giorno, vede un pesce su uno stagno, lo prende col becco e vola via, una banda di corvi che ha seguito la scena si precipita su di lui e cerca di portargli via il suo boccone, sono in tanti petulanti e rumorosi. Il falco cerca di alzarsi in aria, ma i corvi gli sono addosso, lo attaccano, lo beccano e non gli danno tregua. Quando il falco si accorge che tutto questo succede perché lui resta attaccato alla preda, la lascia andare. I corvi si precipitano verso il pesce e il falco vola via, leggero.
Niente e nessuno può distrarlo più e finalmente può salire, sempre più in alto, verso l’infinito, è libero e in pace.  La verità è senza limiti, è come la bellezza, non può essere imprigionata nelle parole e nelle forme. La verità è senza fine.   Storiella. Un discepolo va dal suo guru e gli dice che vuole la verità più di ogni cosa, il maestro non risponde, lo prende per il collo, lo trascina al vicino torrente e gli tiene la testa sott’acqua finché il poveretto sta per soffocare. All’ultimo momento lo tira fuori. "Allora cos’è che volevi più di ogni cosa quand’eri sott’acqua?"  "L’aria" risponde con un filo di voce. "Bene, quando vorrai la verità come un secondo fa volevi l’aria, sarai pronto ad imparare".   Ero pronto io? Non siamo noi a trovare la verità, è la verità a trovare noi, dobbiamo solo prepararci.

Il Vecchio disse di averla intravista alcune volte per un attimo. Ma quell’attimo gli era bastato per capire che non veniva dalla fede ma dall’esperienza. Non di altri, ma la sua. Era quella certezza a tenerlo legato alla ricerca. Swami Sathyananada gli aveva aperto la testa, Khrisna Prem l’inglese che era diventato sanyasin gli aveva aperto il cuore.
Quella dei libri è conoscenza di seconda mano, conoscenza presa in prestito, non vale un granché.
Il vero capire non avviene con la testa, ma col cuore, con l’esperienza diretta. Lui usava il trucco della candela, restare davanti ad una candela accesa tutti i giorni per almeno 10 minuti. Con il passare del tempo quei 10 minuti erano diventati ore, ma non aveva dimenticato l’importanza di quel primo passo. Prima, devi calmare la tua mente, solo allora potrai ascoltare la Voce che hai dentro di te. Quella voce che ti parla è la voce dell’uomo Cosmico, del Sè.  Sappi che c’è e che quello è il vero Sè. Perché tu e Quello non siete due, Tu sei Quello.
I giorni cominciarono a scorrere, l’uno dopo l’altro in assoluta pace, senza programmi, senza aspettative, senza scadenze tranne quelle del sorgere e tramontare del sole. Ascoltando le nostre esigenze, le esigenze del nostro corpo ci impediamo di vedere il mondo e noi stessi, in modo diverso dal solito. Importante è svuotare la testa dalle nostre conoscenze e ritornare ad essere un foglio bianco su cui poter scrivere qualcosa di completamente nuovo.
Storiella zen: Un colto professore va a trovare un monaco e gli chiede, "dimmi, che cosa è lo zen?"
Il monaco non risponde, lo invita a sedersi, gli mette dinanzi una tazza e comincia a versarci del tè,
la tazza si riempe, ma imperterrito il monaco continua a versare tè, il professore è interdetto, per un po’ non dice nulla, poi vedendo che il monaco continua lo avverte “E’ piena, è piena!”
Già risponde il monaco, "anche tu sei pieno di opinioni e pregiudizi. Come posso dirti che cosa è lo zen se prima non vuoti la tua testa?"
Non ho mai sognato tanto come lassù, mi spurgavo, mi ripulivo, ma nell’intestino profondo della memoria. Usavo il trucco della candela, di fronte a quella piccola fiamma arancione, di notte, chiudevo gli occhi e osservavo con indifferenza, senza intervenire, senza provare a cacciare i pensieri, i ricordi, le immagini. Li osservavo senza identificarmi con loro, come non avessero niente da fare con me, io non ero quei pensieri. Rimanevo nel silenzio, lassù il silenzio diventava suono. Solo nel silenzio è possibile tornare in sintonia con noi stessi.
Una vecchia storia indiana:  Un re va da un famoso rishi nella foresta, e gli chiede: "Dimmi quale è la natura del sé?"   Il vecchio lo guarda e non risponde, il re chiede ancora, ma il rishi resta muto, il re chiede ancora ma non ha una risposta, a questo punto il re si arrabbia e urla “Io chiedo e tu non rispondi!”  "Tre volte ti ho risposto ma tu non stai a sentire", dice calmo il rishi, "La natura del Sè è il silenzio".
Il mistico Ramana Maharshi diceva “Ci sono vari modi di comunicare con qualcuno: toccandolo, parlandogli, ma soprattutto col silenzio”. Il silenzio di Ramana era potentissimo e molti visitatori era sopraffatti dalla sua semplice presenza. Somerset Maugham, lo scrittore inglese entrò nella stanza e svenne, Jung aveva chiesto un appuntamento ma all’ultimo momento decise di non incontrarlo. Forse temette che il semplice silenzio di Ramana facesse crollare la sua teoria sulla psiche.
Il silenzio mi dava momenti di vera esaltazione. Mai come oggi il mondo avrebbe bisogno di maestri di silenzio e mai come oggi ce ne sono pochi. L’altra grande esperienza del mio stare lassù era la natura. C’è qualcosa di intimamente sacro nella natura in cui l’uomo non ha ancora messo le mani per sfruttarla e piegarla ai sui fini.
Per il Vecchio tutto era legato, era convinto che tutto quel che ci succede ha un senso, anche se il più delle volte siamo incapaci di vederlo.
C’è un albero che ha le sue radici in cielo e le fronde vanno verso la terra, quello è l’albero della vita spirituale che parte dalla materia, per risalire al cielo, appunto alle sue radici divine. E’ quella, la vita spirituale che conta. È il primo passo il più difficile, si tratta di staccarsi dalla terra, dalle certezze che abbiamo, si tratta di evitare la trappola dell’intelletto.
Il fine dello yoga è mettersi in contatto con la coscienza cosmica. Una volta che ci riesci non c’è più tempo, non c’è più morte.  Gli indiani svilupparono l’hatha yoga copiando quattro importanti attività degli animali: lo stiramento, la pulizia, la respirazione e il riposo. La vita degli animali e in perfetta sintonia con la natura, la nostra un po' meno. Il Vecchio aveva capito che il divino è ciò in cui coesistono gli opposti: tutto e il contrario di tutto, la bellezza e l’orrore, l’odio e l’amore. E’ tutto lì, non c’è dualità. I rishi ebbero il coraggio di vedere il male come parte di Dio. Anche Kali la dea distruttrice è rappresenta il male dell’universo.

 Per il Vecchio c’era un nesso che legava i vari personaggi di vari millenni e vari continenti come Platone, Gurdjieff, Plotino, Aurobindo, Meister Eckhart, Ramana Maharshi e Krishna Pen. Sono tutti sulla stessa via spirituale e si sono posti la stessa domanda “Chi sono io?”
Incontravo ad Almora molti occidentali che avevano passato anni nei vari ashram dell’India (Osho o altro), quello che mi colpiva da questi incontri era la dipendenza psicologia di quella gente dai loro guru. Valeva la pena di vivere per anni in un ashram, seguire un maestro se non era per liberarsi, ma per diventarne schiavi?                             Il Vecchio mi rispose con una storia.
Un uomo si sveglia una mattina in catene, non sa come togliersele. Per anni cerca qualcuno che lo liberi, poi un giorno passa davanti alla bottega di un fabbro e gli chiede di aiutarlo. Il fabbro con due colpi rompe le catene, l’uomo gli è gratissimo, si mette a lavorare per lui, diventa il suo servo, il suo schiavo, e per il resto della vita rimane … incatenato al fabbro.
Il guru è importante, ti indica la luna, ma guai a confondere il suo dito con la luna. Il guru ti fa vedere la strada, ma quella la devi percorrere tu … da solo.
Il vero guru è quello che sta dentro di te, qui. Non cercare fuori di tè, Tutto quello che potrai trovare fuori è per sua natura mutevole. La sola stabilità che può aiutarti davvero è quella interiore. E i guru che si rendono indispensabili servono il proprio Io e non la ricerca dei propri discepoli.
Quando Buddha sta per morire, circondato dal gruppo ristretto di discepoli in lacrime, Ananda, suo cugino gli chiede “ E ora chi ci guiderà”, il Buddha rispose: "Siate la luce di voi stessi, rifugiatevi nel Sè." 
Il solo viaggio che mi incuriosiva era quello interiore.
La leggenda descrive Lao tzu, il vecchio filosofo cinese in groppa al suo bufalo sotto l’Himalaya, il guardiano del passo Han gli disse che lo avrebbe lasciato passare e scomparire dalla Cina solo a condizione che gli scrivesse i suoi più importanti pensieri. E così sarebbe nato il Tao te Ching che inizia con il famoso verso “Il Tao che può essere descritto non è il vero Tao”.
Chi pratica il Tao non può che essere in pace con se stesso, perché …
Senza uscire dalla porta conosce tutto quel che c’è da conoscere,
senza guardare dalla finestra, vede le vie del cielo,
perché più lontano si va, meno si capisce,
Il saggio arriva senza partire, vede senza guardare, fa senza fare.
Tao in cinese vuol dire la Via, lo stesso significato di dharma dei veda e del buddhismo.

Una mattina mentre mi chinavo a raccogliere un fiore, mi accorsi che l’erba intorno era piena di maggiolini, mi misi ad osservarne uno, scalava i fili d’erba uno dopo l’altro, appoggiato alla punta di un filo d’erba che si piegava sotto il suo peso passava ad un altro filo d’erba, ad un certo punto ha aperto le sue minuscole ali trasparenti e volò via, via in alto, nel cielo verso le montagne, verso l’infinito. Non era quello un miracolo? Non occorre andare a cercare lo straordinario quando l’ordinario, se osservato davvero, ha in sé tanto di sorprendente e di divino.

I koan zen, sono un paradosso con cui la mente razionale non riesce a fare i conti. La storia del più noto koan è questa: un giovane monaco chiede all’abate di poter partecipare alla seduta di meditazione, l'abate gli disse "tu sai ascoltare il suono di due mani che applaudono? Bene, qual’è, allora il suono di una sola mano che applaude? Torna quando avrai la risposta".
Il giovane è perplesso e ogni giorno torna dal maestro con una risposta diversa ma sempre errata, il suono di una goccia d’acqua, il canto di una locusta, il canto di una geisha, ecc …
il giovane monaco soffre, pensa e si dispera per un anno. Ogni giorno ripassa i suoni fino a che un giorno ha un’intuizione, Maestro, ho trovato: "il suono che non ha suoni, è il silenzio".
E’ stato difficilissimo arrivare alla soluzione, il giovane monaco ha dovuto affrontare varie emozioni: la rabbia, la disperazione, l’odio fino ad arrivare alla serenità che ha spinto la mente al di là del solito lineare modo di ragionare. Di pensare diversamente, di non pensare, di vedere finalmente come sono veramente le cose, una sola mano non fa alcun suono.
Io, chi sono? Era il koan dei koan. La risposta dei Veda e Upanishad è stata:  "Tu sei quello", quel che innescava era di dubitare della propria identità. La risposta è senza parole, è nell’immergersi silenzioso dell’Io nel Sè.
Un giorno chiesi al vecchio cosa pensava delle pratiche che tendevano a distruggere il proprio Io,
mi rispose con una storia che raccontava Ramakrishna.
Fuori da un villaggio viveva un terribile serpente che assale e morde chi gli va vicino, e anche da lontano terrorizzava la gente con il suo sibilo. Il villaggio non sa più cosa fare, un giorno passa di lì un sadhu e gli viene chiesto di intervenire, Il sadhu parla gentilmente con il serpente e gli dice “ Devi lasciare in pace quei contadini, non terrorizzarli, fallo per me, smettila.” il serpente si commuove e acconsente. Un anno dopo il sadhu nel suo vagabondaggio ripassa dal villaggio e rivede il serpente, messo veramente male. Tutto il corpo coperto di ferite, sanguina dalla bocca, l’occhio chiuso. "Che ti è successo?" chiede il sadhu. "Le tue parole mi hanno davvero cambiato Maestro, ho fatto esattamente quello che mi hai chiesto, adesso vengono anche i bambini a tirarmi i sassi",  Cretino! Sbotta il sadhu, "non ti ho detto di smettere anche di sibilare". Quello che voleva dire Ramakhrishna è che l’io può essere utile, per stare nel mondo. Un po' di io è indispensabile.

La morte non è negativa, può essere utile, è grazie alla morte che ci poniamo le grandi domande della vita. Nella katha upanishad, il giovane Naciketas va dalla morte e la implora di insegnargli cosa è la verità. E’ la lezione del vedanta, tutto ciò che nasce muore, tutto ciò che muore rinasce, solo il Sè, la coscienza pura, che non è mai nata e che è fuori dal tempo, resta.
La storia su che cosa è Maya. Narada è un seguace fedelissimo di Vishnu, e gli chiede la differenza tra il mondo dell’illusione maya e la verità, Vishnu lo manda a prendere un bicchiere d’acqua al fiume, Narada arriva ad un villaggio, incontra una ragazza bellissima e se innamora, fanno dei figli, passano dodici anni ed arriva un uragano sul villaggio. Il fiume straripa, le case vengono trascinate via, ed uno dopo l’altro la moglie e i figli vengono trascinati via, lui sta lottando di salvare il più piccolo ed invoca Vishnu, ti prego signore aiutami, e subito tra i tuoni e i lampi tuona una voce “e il bicchiere d’acqua?” Il villaggio, la ragazza, i figli tutto questo è maya, fa parte del mutamento, del divenire, in questo modo Vishnu ha fatto capire a Narada la differenza.

Ritornato ad Orsigna, temevo tantissimo il ritorno alla routine del quotidiano, avevo paura di perdermi. I tanti mesi di solitudine era serviti solo a rendermi più insopportabile, non ne era valsa la pena di passare tanto tempo nell'eremo. Dipendere dalla solitudine per essere in pace era una forma di immaturità, ma esserne cosciente non bastava. Nell’Himalaya avevo trovato il silenzio fuori, ma non avevo fatto pace dentro di me. Pensavo solo a ritornare lassù per rimettermi al lavoro.
La goccia che fece traboccare il vaso fu il carrello del supermercato di Maresca, vedevo quella gente che riempiva il carrello e stava in fila per pagare e non ce la feci più, Ero pazzo io o il mondo? Lasciai il carrello e il giorno dopo ripresi l’aereo per Delhi e due giorni dopo ero di nuovo nell’Himalaya.
Chi fa sacrifici e rinuncia ai piaceri del mondo sviluppa, come per compensazione, un senso di superiorità, e se non è in fondo umile, finisce anche per credersi santo.
Gli indiani conoscono bene questo meccanismo e raccontano la storia dello yogi. Dopo anni di dure prove e privazioni uno yogi aveva acquisito i poteri a cui aspirava. Si prepara a lasciare il suo eremo nella foresta quando un uccellino gli fa la popo in testa, lo yogi con uno sguardo lo incenerisce, contento di essere riuscito nel suo intento si avvia verso il villaggio e bussa ad una porta per chiedere da mangiare. Da dentro la casa una voce di donna gli chiede di aspettare, il santone comincia ad irritarsi e quando la donna apre, la guarda male, Ehi, io non sono come quell’uccellino che hai appena incenerito, e lo yogi esterrefatto capisce che ci sono diversi modi per ottenere i poteri.
Angela, mia moglie, senza essersi isolata, senza aver tagliato i ponti con nulla e nessuno, mi sembrava di gran lunga più equilibrata e più in pace di me. Questo non faceva che aumentare la mia frustrazione. La vedevo a volte come un ostacolo, in quarantanni quello fu il momento più duro del nostro rapporto, il fiume non va spinto, scorre da sé, Angela lo aveva capito, mi lascio ripartire senza condizioni, senza scadenze.
Uno degli indovini Rajamanickam di Singapore mi aveva predetto che tra i cinquantanove e i sessantadue anni avrei dovuto affrontare una strettoia nella vita e forse anche un’operazione, ma era stato il solo, gli altri indovini mi avevano dato per longevo.
Riuscire a staccarsi dalle cose del mondo vuol dire diventare indifferenti o solo non esserne schiavi? Io mi sarei riconosciuto solo nel secondo caso.
La storia di Tagore dell’aspirante asceta, un uomo decide di lasciare la famiglia per farsi sannyasin, una notte quando di nascosto sta per partire, getta un ultimo sguardo alla moglie e ai figli addormentati e rivolto a loro chiede: "chi siete voi per tenermi qui incatenato?" Una voce nel buio risponde: "loro sono me, sono Dio", l’uomo non fa attenzione, non ascolta e parte, e a Dio non resta che concludere: "Ecco, uno che per cercarmi mi abbandona".
Non ero fatto per l’ascetismo, la vita era ancora per me qualcosa di meraviglioso, un richiamo forte.
L’11 settembre 2001 fu uno spartiacque nella vita di tutti e anche nella mia. Nella solitudine del cercare me stesso, sentivo qualcosa di profondamente arido, come nell’amore predicato dai sacerdoti. Mi sentivo ancora parte del mondo e volevo cercare di viverci meglio, era il momento di rendere un po’ di quello che avevo preso, accendere una piccola luce affinché il mondo fosse un po’ meno nell’oscurità. Scrissi  Le lettere contro la guerra, dedicato a mio nipote,
Nei tre mesi che rimasi in Pakistan e Afghanistan pensavo alla casa di pietra e al vecchio.
Lo immaginavo sorridere al mio ardore per la causa della non violenza, lo sentivo dire che tutto quello che facevo non serviva a nulla, che questa civiltà non è degna di essere salvata e certo non è correndo qua e là tappando i buchi che si salva una nave che sta per affondare.
Lui era convinto che, l’umanità impegnata solo a perseguire i piaceri dei sensi, era alla vigilia di una grande nevrosi, e vedeva tutto quello che succedeva sulla scala dell’eternità in cui il mondo era nato sette volte e sette volte era stato distrutto.
Anche il mistico Gurdjieff asseriva che sarebbero bastate 200 persone illuminate a cambiare la storia dell’umanità. Meglio cercare di diventare una di quelle.
Sentivo che il vecchio diceva, che l’essere è di gran lunga migliore del fare, ma io pensavo che ci sono momenti nella vita in cui bisogna anche fare per poter essere. In quelle circostanze l’inazione era un’azione che mi pareva immorale. Ritornai a trovare il Vecchio che mi chiese: "Con questo libro che stai scrivendo, lavori per Lui o per te?" Ossia scrivevo perché pensavo di avvicinarmi alla Verità o perché mi piaceva vedere il mio nome nei giornali e avere della gente che veniva ad ascoltarmi?
Sarebbe stato molto meglio se fossi rimasto a scavare in un posto solo, invece d’andare a giro a raccogliere ciottoli credendo che erano pietre preziose.
Il vecchio mi disse: "Finirai per trovarla la Via … se prima hai il coraggio di perderti."
Mi aveva fatto capire che non dovevo dipendere da nessuna idea altrui, da nessun guru, tanto meno da lui e che in ogni cosa dovevo fare io direttamente, sulla mia pelle l’esperienza.
Dovevo mettermi in ascolto della Voce, non farmela riferire da altri. Il motore doveva essere l'Eterno bisogno di sapere come mai siamo al mondo e come entrare in contatto con quello che ci ha messo qui.
In India, le varie risposte sono nella bocca della gente, sono nel loro modo di vivere, ma non occorre andare in India, non occorre andare lontano, fuori di sé per capire: Chi muore davvero di questa sete di sapere, non ha che da riscoprire la fonte, la propria fonte. L’acqua è sempre la stessa.
A che serve stare per ore e ore seduto sui talloni per ore a meditare? Se non si è diventati un po' migliori?
Sul mio rifugio a tremila metri, la contraddizione tra quel che pensavo e quel che facevo non si poneva mai. Ogni episodio potrebbe essere un bene o un male, una fortuna o una sfortuna.
Alla visita di controllo, i medici avevano accertato che il tumore si era diffuso ancora, e mi avevano diagnosticato un anno di vita.
I vecchi maestri sufi consideravano la morte improvvisa una disgrazia, perché impediva loro di prepararcisi e apprezzarla. Nel mondo notavo dei segni di una nuova coscienza, da quella nuova coscienza forse verrà la guida spirituale del futuro.
Bisogna resistere alle tentazioni del benessere e della felicità impacchettata. Dovremmo vivere più naturalmente possibile, desiderare di meno, amare di più e anche i malanni come il mio diminuiranno. Sono andato sul mio eremo himalayano a scrivere questo libro. Se uno vive senza mai chiedersi perché vive, spreca una grande occasione, e solo il dolore spinge a porsi la domanda. Nascere uomini è forse un privilegio.  Importante è capire il significato della vita. Occorre fare l’esperienza per capire.
Gandhi conosceva questa verità e la praticava. Un giorno una madre gli portò suo figlio. Aveva quindici anni e il medico gli aveva ordinato di non mangiare più zucchero altrimenti al sua vita sarebbe stata in pericolo. Il ragazzo continuava a rimpinzarsi di dolci e la madre sperava che Gandhi la potesse aiutare. Gandhi disse “Ora non posso farci niente. Tornate fra una settimana”.
Quando tornarono Gandhi prese da parte il ragazzo e gli parlò, Da allora il ragazzo non toccò più dolci, la madre chiese a Gandhi "Come ha fatto?"  Gandhi rispose: "Semplice, per una settimana io stesso non ho toccato zucchero e così sapevo cosa dire a quel ragazzo".  Il messaggio di Gandhi è: " La mia vita è il mio messaggio".
Sulla strada da Delhi a Almora, c’è un ashram di un grande sadhu di nome Nim Karoli Baba, e molti occidentali sono diventati suoi discepoli fra cui Richard Alpert.
E’ dal continuare a distinguere tra ciò che ci piace e ciò che non ci piace, che nasce la nostra infelicità, solo accettando che tutto è Uno, senza rifiutare nulla riusciremo forse a calmare la nostra mente e acquietare l’angoscia.
Anche io non sono indifferente a quel che mi succede, cerco solo di non esserne schiavo e vorrei davvero arrivare a quel famoso distacco dalle cose. Continuo a fare quello che mi pare giusto fare, senza aspettarmi un risultato, senza sperare in ricompense, senza formulare desideri … tranne quello di arrivare a non avere più bisogno di tempo per me e dedicare quello che mi resta agli altri. Ed è quello che era riuscito a fare lo swami. 

I guru, i libri, le religioni servono a indicarci il cammino, ma l’ultimo pezzo di strada, quella scaletta che conduce al tetto dal quale si vede il mondo o sul quale ci si può distendere e diventare una nuvola, quell’ultimo pezzo del cammino va fatto da soli.
A volte anche una sola parola, un gesto possono bastare a far cambiare direzione a una vita e tanti, specie fra i giovani,  cercano quest’occasione. Vivo con la sensazione che l’universo è straordinario, che niente mai ci succede per caso e che la vita è una continua scoperta. Io sono fortunato perché ora più che mai, ogni giorno è davvero un altro giro di giostra.

Terzani e la società occidentale

 Tiziano Terzani (1938 -2004) in questo testo Un altro giro di giostra, viaggio nel male e nel bene del nostro tempo, racconta gli ultimi anni della sua vita, dopo che gli era stato diagnosticato un tumore allo stomaco.   Vedi link http://www.tizianoterzani.com

 

Terzani in questo testo si pone anche domande sulla nostra civilizzazione, e sul modo di vivere all'occidentale.
Uno studio della London School of economics sulla felicità asseriva che gli americani erano al 46 posto. Quando vivevo a New York, a volte avevo l’impressione che a goderci la bellezza della città eravamo in pochi, gli altri mi parevano impegnati solo a sopravvivere. La maggior parte della gente parlava di soldi, conflitti e di problemi. La vita diventava un continuo proteggersi da qualcuno o da qualcosa. Vedevo intorno una grande infelicità. Da un po’ di tempo si è sviluppata la perversa idea di eliminare le differenze, più le donne sviluppavano muscoli ed arroganza, più gli uomini si facevano impauriti e titubanti. Mi venivano spesso in mente le donne indiane, ancora oggi così femminili, così diversamente sicure di sé, così più donne a quaranta o cinquant’anni che a venti. Mai sole, sempre parte di un contesto familiare, parte di un gruppo, mai abbandonate a se stesse.
Nel Ladakh molte malattie non esistono, le persone vivono all’aria aperta, fanno esercizi fisici camminando e lavorando tutto il giorno, ed hanno una grande pace d’animo. Questa società è descritta da Helena Norberg Hodge nel suo bel libro Futuro arcaico.
Invece la società americana, nonostante le pretese di democraticità, è ancora una società divisa ed ineguale. E’ il prezzo che dobbiamo pagare al progresso, per andare avanti, ma dove? Una società, fatta di gente più mutata di me, e che stava progressivamente impazzendo.
Trovare una cura per il cancro è più facile che trovarne la causa. Così si continua a respirare, a mangiare, a lavorare, a vivere nelle stesse condizioni che, indubbiamente provocano il cancro, ma non si fa nulla per cambiare queste condizioni. Con la scoperta della malattia, io e mia moglie appartenevamo a due mondi completamente diversi, io a quello dei malati.
Il solo pensiero di una persona, la cui esistenza giustifica la propria, è di per sé una medicina che prolunga la vita. La distanza che si crea tra i sani e i malati mette alla prova i rapporti tra le persone, la malattia rompe un ordine.   Tra le storie di malattie, Terzani presenta l'autografia dello scrittore Paul Zweig, che quando si ammala di tumore, la moglie lo abbandona e gli presenta la richiesta di divorzio.

L’Occidente è al momento, il miglior punto di partenza per raggiungere l’illuminazione. Mai, in nessuna parte del mondo, l’uomo è stato così vicino al Nirvana come lo è oggi in America: qui si capisce bene il significato del vuoto, del nulla; siamo nulla, le nostre relazioni umane sono nulla e prendiamo chiunque altro per nulla. Salutiamo chiunque incontriamo: Hei John, Hei Jim. Si certo, siamo calorosissimi nel salutarci, ma in verità non ci importa nulla dell’altro.
La società in cui viviamo è demenziale perché il nocciolo è fatto di puro materialismo, nega quello che noi siamo: i resti di tante vite. C’era una fronda di persone che non accettava la banale materialità del vivere quotidiano, che aspirava ad altro, che, anche assurdamente, cercava altre vie, gente che a suo modo resisteva. Questa ricerca è sfociata nella new age. Il New York center era diventato il supermercato dell’alternativo, proponeva vari corsi, meditazione, ecc.
I sufi, i mistici mussulmani influenzati dal buddhismo e dall’induismo, nei balli dervisci, grazie alle vertigini provocate dal continuo roteare e volteggiare, creerebbero uno stato d’estasi e metterebbero l’uomo in diretto contatto con il divino. Il ruotare è la condizione fondamentale dell’esistenza, intorno all’atomo ruotano protoni e neutroni, nel cosmo ruotano gli astri, i pianeti e le stelle, noi ruotiamo sulla terra.
Il divino mancava anche a me che, fino ad allora, non ne avevo sentito un gran bisogno. 

A New York vedevo nelle palestre decine di uomini e donne che correvano, correvano restando però li dove erano, giovani che correvano a smaltire frustrazioni e grasso, questa immagine sembrava riassumere tutto il senso di quella civiltà: correre, correre, andare per non arrivare da nessuna parte.
Mi ricorda la storia che mi raccontò il fratello del Dalai Lama: nel 1950 una delegazione di tibetani che stavano visitando Londra, con i loro accompagnatori si ritrovarono nella metropolitana, e videro uomini vestiti di nero, una folla accalcata nei corridoi, e nessuno sorrideva:  Il capo della delegazione tibetana pieno di compassione chiese: Cosa possiamo fare per voi?
Adesso forse quei tibetani non esistono più e forse sognano solo di vivere a Londra ma la domanda di fondo resta, “Chi è più primitivo? Noi o loro?
Tutto quel che vedevo a New York mi pareva perverso: una società in cui non si rispetta niente e nessuno, ma in cui tutti credono di essere liberi e di avere diritto a tutto, per finire soli e tristi.
Una vita normale? Era l’ultima cosa che volevo fare, ero convinto che il cancro era legato alla vita che avevo fatto prima. Adesso pensavo diversamente, sentivo diversamente. Il mio rapporto col resto del mondo era ormai diverso.
Quando Terrzani fu ospite di Kofi Annan il segretario delle nazioni unite e di sua moglie, gli chiese di rimettere la moralità avanti alla politica e all’economia. Bisognava che qualcuno parlasse di istanze più alte della propria famiglia, della propria azienda o del proprio paese. Lui era in una posizione unica per farlo. Avevano entrambi 60 anni, e questo è il momento della vita in cui ci si può togliere dalla mischia e si possono guardare le cose dall’alto. Questo è il momento in cui, qualunque sia il suo ruolo, un uomo deve fare quel che è giusto e non quello che gli conviene.

Il senso del viaggiare, l’andare continuamente fuori in cerca di qualcosa era semplice, io non avevo niente dentro di me, ero vuoto. Non avessi viaggiato, non avrei avuto niente da raccontare, niente su cui riflettere. Viaggiare mi esaltava, mi ricaricava, mi dava da pensare, mi faceva vivere.
Il viaggio è considerato anche un mezzo di crescita spirituale, i sadhu, i santi mendicanti, debbono essere come l’acqua e muoversi in continuazione.
Secondo la Terapia regressiva del dottor Brian Weiss, un malanno come il mio di oggi ha le sue radici in qualche trauma subito anni fa.
Forse ero solo stanco, ma il pensiero che fosse venuto anche per me il momento di fermarsi non era più così ripugnante.

L’America ci avvelena con la sua cultura globalizzata dell’ultra materialismo, e l’America ci offre come antidoto la sua controcultura spirituale della new age. A noi tocca consumare o l’uno o l’altro. L’irrazionale, come soluzione allo strapotere della ragione, elimina le ultime tracce di buon senso: E la fine del buon senso è la fine della libertà.
L’unico modo per non farsi consumare dal consumismo, è quello di digiunare, digiunare da qualsiasi cosa che non sia assolutamente indispensabile, digiunare dal comprare il superfluo. L’idea degli economisti che solo consumando si progredisce è pura follia.  Gandhi diceva “La terra ha abbastanza per il bisogno di tutti, ma non per l’ingordigia di tutti”.
Basta rinunciare a una cosa oggi, un’altra domani. Basta ridurre i cosiddetti bisogni di cui presto ci si accorge di non averne affatto bisogno. Questo sarebbe il solo modo di salvarsi. Questa è la vera libertà: non la libertà di scegliere, ma la libertà di essere. Quello di cui abbiamo bisogno oggi è la fantasia per ripensare la nostra vita. Occorre l’ardire di inventare qualcosa di nuovo.
In India nel cinquantesimo anniversario di Gandhi, fu chiesto ai bambini delle scuole elementari Cosa faresti se tu avessi il potere assoluto nel paese?
Le risposte più frequenti furono: “darei casa ai poveri, farei pulire le strade, eliminerei i politici corrotti, pianterei più alberi, ridurrei la popolazione”.
L’Oriente diventava sempre di più una brutta copia di casa nostra e quel tesoro di diversità che ci aveva attratto, stava rapidamente scomparendo soffocato dal progresso.
Solo in India le forze dello spirito sembravano ancora fare quadrato contro quelle della materia. Oriente e Occidente erano state due diverse visioni della vita: una basata sull’esplorazione del mondo interiore, l’altra tutta diretta al dominio del mondo esterno. La speranza era di quella di creare una sinergia tra i due mondi.
Invece la forza materiale della visione occidentale ha travolto quella orientale e l’Asia.

Quale è la situazione del mondo attuale? Il marxismo è stato il Titanic che si è scontrato con un iceberg ed è in poco tempo affondato, i sopravvissuti, nel buio della notte hanno visto le luci scintillanti di un altro transatlantico che passava, hanno nuotato verso quello e si sono salvati. Ora tutti ballano insieme nel salone delle feste al ritmo della stessa orchestra. Ma anche quel transatlantico, il capitalismo, è un Titanic che navigando nello stesso mare, finirà presto per schiantarsi contro un altro iceberg.
Io spero nell’affermarsi di una nuova coscienza. Il grande pericolo del momento è la rinuncia alla speranza.
L’incubo di Confucio si è realizzato: Anche in Cina i mercanti sono al potere ed ora non c’è più alcun rispetto per i sapienti o i sacerdoti. Dalla Cina tradizionale ho preso quello che ho potuto, l’arte del tè, il qi gong, la medicina, l’erboristeria, il taoismo.

Negli Stati Uniti, il centro Commonweal è un centro per malati di cancro. Qui ho partecipato ad un corso avente come fine il ridurre l’angoscia provocata dalla malattia. Ed ho scoperto la differenza tra la cura e la guarigione; la cura è soprattutto fisica e viene da fattori esterni, la guarigione è il processo con cui si ristabilisce l’equilibrio della persona ammalata.
Tutti i partecipanti erano in situazioni personali instabili e segnate da grandi delusioni e conflitti. Con quale metro si misura la ricchezza di avere nella propria vita una persona su cui poter contare, e con cui sarebbe bello invecchiare?
Nella meditazione si cerca di trovare nel silenzio, quello spazio di pace nel quale poterci rifugiare. Un luogo sacro dove infinito e finito si incontrano.
In tutta la vita ho sempre avuto un problema con il Noi, con quel naturale tentativo che l’uomo è solito fare per sentirsi parte di una comunità. Quel Noi mi ha sempre messo in disagio. Provavo la stessa cosa con i partecipanti al ritiro, ma non per arroganza. Non riuscivo a sentirmi parte di quella che Albert Schweitzer, chiamava la comunità di quelli segnati dalla sofferenza.     Non avevo mai pensato seriamente alla morte. Per spiegare la morte Terzani fa ricorso ad un Episodio del Mahabharata. I cinque fratelli Pandava stavano andando a caccia, si fermano esausti, il primo va allo stagno e non ritorna, così il secondo, il terzo, il quarto. Il quinto va allo stagno e trova una cicogna che gli dice, "Se bevi morirai come i tuoi fratelli. Rispondi alla mia domanda. Dimmi quale è l’aspetto più sorprendente della vita?"  Il  giovane Pandava rispose: "Che l’uomo vede la morte mietere innumerevoli vite intorno a sé, ma non pensa mai che la morte verrà anche per lui". Rispose toccando i cadaveri dei suoi fratelli. La risposta è esatta, l’incantesimo è rotto e i suoi fratelli ritornano in vita.

venerdì 10 dicembre 2021

Nobel per la pace a giornalisti ed estradizione di Julian Assange negli Stati Uniti

Ma molti si chiedono,  e anche il team legale di Assange, "Come possono questi tribunali approvare una richiesta di estradizione in queste condizioni? Come possono accettare un'estradizione nel Paese che ha complottato per uccidere Julian, che montato accuse infondate di stupro, che ha complottato per uccidere un editore a causa di ciò che ha pubblicato?”   Assange è attualmente detenuto nella prigione di massima sicurezza di Belmarsh a Londra.

Vedi anche articoli precedenti:

Julian Assange - The saga continues

Julian Assange è incarcerato da due anni e mezzo nella prigione di massima sicurezza di Londra che doveva diventare la Guantanamo inglese: Belmarsh. Ha perso la libertà il 7 dicembre 2010: da allora non l’ha più riacquistata. Sono passati 11 anni. Domani mattina ( ottobre 2021) alla High Court di Londra si apre il processo di appello per decidere se Julian Assange verrà estradato negli Stati Uniti, dove rischia una condanna a 175 anni da scontare, in tutta probabilità, nel carcere americano più estremo: l’ADX Florence, in Colorado, dove sono rinchiusi criminali del calibro del re del narcotraffico, El Chapo Guzman.

Il processo che si apre domani a Londra durerà due giorni, ma la sentenza richiederà settimane, se non mesi. Nel gennaio scorso, il giudice inglese Vanessa Baraitser aveva rigettato la richiesta di estradizione delle autorità americane solo ed esclusivamente sulla base delle condizioni di salute del fondatore di WikiLeaks.
Baraitser aveva ritenuto fondato il rischio che, se trasferito in America e rinchiuso in una prigione tanto estrema come l’ADX Florence, sotto il regime speciale di detenzione SAM, caratterizzato da un feroce isolamento, Julian Assange potrebbe suicidarsi. Ma gli Stati Uniti hanno presentato appello contro questa sentenza di primo grado e nell’agosto scorso hanno ottenuto di rimettere in discussione lo stato di salute di Assange e, in particolare, le perizie psichiatriche della difesa che, invece, il giudice Baraitser aveva ritenuto ben fondate.  Nel processo di appello si deciderà su queste argomentazioni dell’accusa e della difesa e, forse, potrebbero giocare un ruolo anche i fatti emersi negli ultimi mesi. Come le rivelazioni di Yahoo! News che, in un’inchiesta basata su trenta fonti interne al governo e all’intelligence degli Stati Uniti, ha fatto emergere come nel 2017 la Cia – allora guidata da Mike Pompeo, nominato da Donald Trump – avesse pianificato di uccidere o anche di rapire Julian Assange e altri giornalisti di WikiLeaks.

Questi tentativi erano già emersi attraverso la deposizione di alcuni testimoni protetti in Spagna, dove è in corso un’indagine da parte dell’autorità giudiziaria, l’Audiencia Nacional, sulla UC Global, l’azienda spagnola che il governo dell’Ecuador aveva arruolato per proteggere la sua ambasciata di Londra, subito dopo che il fondatore di WikiLeaks vi si era rifugiato nel giugno del 2012 e vi era rimasto confinato per sei anni e otto mesi. Assange si era rifugiato all'ambasciato dopo aver pubblicato documenti che hanno permesso di rivelare crimini di guerra, torture, uccisioni stragiudiziali con i droni. Ma mentre i criminali di guerra e i torturatori non hanno fatto una sola ora di prigione, Julian Assange non ha più conosciuto la libertà, dopo averli pubblicati.
E' rimasto nell'ambasciata dell'Equador fino a quando non è stato arrestato dalla polizia inglese per accuse di stupro, poi smentite.
Tutte le principali organizzazioni per la difesa dei diritti umani e della libertà di stampa, da Amnesty International e Human Rights Watch a Reporters Sans Frontières, si oppongono all’estradizione. E proprio ieri il Segretario Generale di Amnesty International, Agnès Callamard, ha chiesto pubblicamente agli Stati Uniti di annullare la richiesta di rinvio a giudizio, di non estradarlo e di consentire il suo rilascio immediato dalla prigione di Belmarsh.

Per Stella Moris, la compagna di Julian Assange,  “C’è stata una grande cospirazione, un piano per tirarlo fuori dall’ambasciata, dove era protetto, e farlo finire in prigione, possibilmente negli Stati Uniti, per il resto della sua vita”.


sabato 4 dicembre 2021

La relazione tra la scuola buddhista Huayan e la meccanica quantistica

La scuola buddhista di Huayan è una tradizione di filosofia di buddista Mahayana che prima ha prosperato in Cina durante il periodo della fine di Sui e l'inizio di dinastia Tang (c. 600-700 d.C.). È basata sul sutra Avatamsaka Sutra o Sutra della Ghirlanda di Fiori ( Il nome è destinato per suggerire la gloria suprema di comprensione profonda).
La Scuola Huayan è conosciuta come Hwaeom in Corea e Kegon in Giappone.

Per la scuola buddhista Mahayana, il concetto metafisico centrale è il concetto di vuoto (in sanscrito Sunyata), ossia che nessuna cosa, o nulla ha una natura intrinseca. Emptiness is not non-existence. Emptiness is a certain kind of existence. Ogni cosa è ciò che è solo in relazione alle altre cose. Tutto è vuoto. Sono docente quando sono in relazione con i miei studenti, sono un padre quando sono in relazione con i miei figli, ecc.   Nel Sutra della Ghirlanda di Fiori viene universalizzato il vuoto, cioè  "Tutto è ciò che è in relazione a tutte le altre cose" rispetto al il buddhismo indiano che dice "Ogni cosa è ciò che è in relazione a qualche altra cosa".    Il buddhismo huayan chiama questa realtà la natura di Buddha che è vuota come qualsiasi altra cosa e dipende da tutte le altre cose.  .

Secondo la meccanica quantistica, le particelle non hanno una posizione determinata, e non si può determinare dove si trova una particella in un dato momento nello spazio, finché non si procede all'osservazione. Solo allora, la troveremo in un posto determinato in seguito al fenomeno chiamato collasso della funzione d'onda.  Sempre nel campo della meccanica quantistica, secondo il fenomeno dell'entanglement, quando si hanno due particelle sono intimamente connesse, il comportamento di ciascuna dipende dal comportamento dell'altra. Cioè, se si misura una delle due particelle, le funzioni d'onda di entrambe collassano allo stesso tempo.  L'entanglement è un legame di natura fondamentale esistente fra particelle costituenti un sistema quantistico.  Quando due particelle, come una coppia di elettroni, sono “entangled” (il termine inglese è ormai di uso comune per descrivere sistemi correlati quantisticamente), è impossibile misurarne una senza ricavare qualche informazione sull'altra.  Se applicassimo queste proprietà a tutte le particelle che fanno parte del cosmo, e ne analizzassimo le proprietà, si avrà una visione del cosmo altamente intrecciata e interconnessa.

Nel buddhismo, come abbiamo visto sopra, si afferma una visione in cui la natura di ogni cosa, ogni oggetto, dipende dalla natura di ogni altro oggetto. Se esaminiamo il cosmo interconnesso vedremo più o meno lo stesso fenomeno: la natura di ogni particella dipende dalla natura di ogni altra particella. In quest'ottica il concetto del vuoto buddhista e l'entanglement della meccanica quantistica sembrerebbero molto, molto simili.

Il buddhismo: un ateismo religioso o una religione atea, il rapporto privilegiato del buddhismo con la scienza

Il buddhismo è sorto intorno al quinto o sesto secolo con gli insegnamenti del Buddha storico. E si staccò dall'Induismo ortodosso, la tradizione vedica del suo tempo. Così, l'Induismo ha due importanti credenze che sono rifiutate dal Buddhismo. Una è l'esistenza di Dio, l'altra è l'esistenza del sé.

L'induismo è una religione teista, c'è una sola divinità indù ed è Brahman o il Tutto e noi siamo una scintilla divina l'Atman. Nella cosmologia indù, il cosmo è ciclico, entra in esistenza, si mantiene per un po', poi esce dall'esistenza e poi ricomincia. Ci sono degli aspetti di Brahman, delle Divinità che corrispondono a queste tre fasi. Così c'è Brahma che è l'aspetto di Brahman nella fase creativa, c'è Visnu che incarna il mantenimento del mondo e poi Siva che ne rappresenta la distruzione. Queste tre divinità separate sono i tre aspetti della stessa divinità. Queste divinità si manifestano sulla terra sotto forma di Avatar, ad esempio Visnu si manifesta come Krsna nel poema epico Mahabharata o come Rama nel poema Ramayana. Il buddhismo rifiuta l'esistenza di Dio. Comunque, Il buddhismo, come una religione ha i suoi rituali, ha le sue pratiche, i suoi testi sacri, i suoi luoghi sacri, monaci con una struttura gerarchica, quindi tutti gli aspetti sociologici di una religione ed è una religione atea o se preferite un ateismo religioso. Il mondo per i buddisti, è un mondo fatto d'impermanenza. Ogni cosa nasce e muore nel ciclo dell'esistenza. In quest'ottica non c'è spazio per un Dio ed il buddismo è interessato solo a cose che sono nel flusso causale della vita. Nella religione c'è sempre qualche testo sacro, sia la Bibbia o i Veda indù o altro che rivela e trasmette delle verità come ad esempio l'incarnazione nella religione cattolica; ma ci saranno alcune cose che puoi apprendere naturalmente e risolvere da solo alla luce del ragionamento naturale. Spesso l'esistenza di un Dio crea una tensione tra ciò che ci dice la rivelazione divina e ciò che scopriamo con la scienza o naturalmente. Ciò può creare il conflitto tra scienza e religione che è stato una caratteristica del pensiero occidentale per almeno 600 o 700 anni.

Nell'ateismo religioso del buddhismo, questa tensione non c'è, non c'è una fonte di verità rivelata, tutto quello che costituisce l'essenza di questa corrente spirituale, è quello che puoi capire autonomamente. Nel Kalama Sutra, il Buddha sta parlando con i Kalama. E loro dicono: "Abbiamo persone che ci dicono questo, altre persone che ci dicono quello. In cosa dobbiamo credere?". E il Buddha rispose in questo modo "Non andate per resoconti, per leggende, per tradizioni, per scritture, per congetture logiche, per inferenze, per analogie, per accordo attraverso opinioni ponderate, per probabilità, o per il pensiero, Quando sapete per voi stessi che, 'Queste qualità sono utili; queste qualità sono irreprensibili; queste qualità sono lodate dai saggi; queste qualità se adottate e messe in pratica, portano al benessere e alla felicità', allora dovreste utilizzare queste".

La sintesi del sutra è questa: "Non bisogna credere a qualcosa semplicemente perché è in qualche pezzo di scrittura. Semplicemente perché te lo dice qualcuno. Semplicemente per il fatto che è nella tradizione. Devi arrivare alla comprensione, cercando di capire autonomamente ed accettare i consigli delle persone che sanno più di te".

Ma come fai a riconoscere un saggio, la persona illuminata che può aiutarti a capire?
Nel caso degli scacchi, questo è abbastanza ovvio,lLa persona che ti batte è più bravo di te. Nel caso della filosofia morale è un po' più difficile trovare una guida e dovremmo verificare che ciò che asserisce è conforme al suo comportamento.

Nel campo della scienza che tratta il mondo naturale, i saggi sono ovviamente gli scienziati, la cui autorevolezza è certificata dagli esperimenti e dai loro risultati. Noi dipendiamo dalla scienza e ci basiamo sulla tecnologia che ci ha fornito. E così, la scienza, portatrice di una visione naturalistica del mondo e in particolare, una visione scientifica del mondo è, e deve essere, compatibile con la filosofia buddhista. 

Nel suo libro L'universo in un solo atomo, il Dalai Lama dice questo: "Se l'analisi scientifica dimostrasse definitivamente che certe affermazioni del buddhismo sono false, allora dovremo accettare le scoperte della scienza e abbandonare queste affermazioni". "Dovete avere rispetto per ciò che gli scienziati vi dicono sul mondo naturale in cui viviamo". Se c'è un conflitto tra la scienza e le dottrine buddhiste, allora, come dice il Dalai Lama, "È la dottrina buddhista che deve cedere il passo".

La filosofia buddhista è molto più in sintonia con una visione scientifica del mondo rispetto alle tradizionali visioni teiste e a quelle che postulano l'esistenza di un'anima o di un sé come l'induismo o il cristianesimo.

Uomo e società asiatiche

Uomo e società nelle religioni asiatiche, Giuseppe Tucci, Corrado Pensa.  

Per l'uomo la consapevolezza della sua morte ebbe maggior peso della scoperta del fuoco, per sfuggire a questa paura l'uomo ha creato Dio,  Dio diventa così, una proprietà condivisa fra le classi che governano e le caste sacerdotali.

L'India spoglia Dio di ogni essenzialità, riducendolo, ad Isvara (un Dio personale), il cui potere creativo produce maya. L'assoluto e la maya diventano così due poli indissolubili.  L'India pur pullulando di dei e fedele a crude superstizioni è andata alla ricerca del superamento della morte, ma per questo non ha avuto bisogno di un Dio. I Jaina predicano l'evasione perpetua dal mondo dello spazio-tempo.  L'uomo in India è stato spesso considerato più potente degli dei e la la maledizione di un asceta è considerata più forte della volontà di un dio. I sadhu, gli asceti spezzano l'idolatria, l'India che sembra il paese più religioso al mondo, di fatto stempera Dio in una esaltazione mistica, vanificandolo.

Non sono gli dei che esistono, ma è l'uomo che li crea. Dio è figlio del terrore del nulla o un fallace sollievo alla paura della morte.  Sono pochi quelli che riescono a scoprire questa gelida, ma superba verità: i grandi solitari, gli spiriti eletti, gli “stranieri”, coloro nella cui mente è scoppiata la fulgurazione dell'assurdità del vivere; coloro che non hanno bisogno di nessun sostegno esterno, come la religione, per affrontare e sopportare la tremenda incongruenza dell'esistere.

Ma i sadhu degni di questo nome, hanno superato tuti i vaneggiamenti religiosi e sopprimendo il terrore della morte sanno che ad attenderli resta soltanto un Tutto che è nulla: quel nulla che la credulità umana nasconde sotto la seduzione di paradisi o altro; la vita resta quello che è: breve spanna di tempo tra due esistenze.

 Buddha nega sia l'esistenza di Dio e dell'anima, sia l'esistenza del Sè.  Confucio dice: "Se tu non sai nemmeno che cosa è questa vita, perché pensi a quello che ci sarà al di là di essa?"

Poi ci sono i mistici, Kabir, Caitanya, Ramakrishna, i posseduti da Dio, per loro la fede è una realtà vissuta e posseduta al di fuori e al di qua di ogni discorso logico, una dedizione piena ed assoluta, l'opposizione alle debolezze umane, al compromesso, insomma alla vanità e assurdità del mondo.

Il Buddhismo Theravada - Corrado Pensa

La natura del Bhudda è presente in tutti gli uomini. Secondo il buddhismo Hinayana, l'unica cosa da fare è cercare di estinguere il dolore, lo spegnimento del dolore è la massima conquista proposta all'uomo.  La dottrina è basata anche su forme di ascetismo.  Il buddhismo Mahayana invece è più universalista, secondo i testi, la sete di non essere, è equiparata al disordinato desiderio dei sensi e all'attaccamento della vita.  Per il Buddhismo invece di guardare la realtà ultima, occorre guardare la situazione attuale del singolo individuo. Prima bisogna capire per quali ragioni l'uomo è governato da ignoranza e passione.

Il buddhismo critica sia il ritualismo (della tradizione indiana), sia l'ascetismo (spesso fanatico e insensato). Il Buddha non è visto come un Dio, ma come quell'uomo particolarmente evoluto che ha scoperto l'antico sentiero che conduce al nirvana e che lo ha voluto mostrare agli altri. Dalla dottrina delle quattro verità, (il dolore, la causa, l'estinzione, la via che porta all'estinzione) scaturisce l'impalcatura fondamentale del sistema, cioè l'analisi del condizionamento esistenziale e l'elaborazione dei mezzi di liberazione.

Buddhismo, criticando la speculazione brahmanica, è contro la teoria di un atman personalistico, corporeo, materiale o come principo spirituale permanente.   Mette in guardia anche contro la concezione più evoluta di atman – Brahman. Tale concezione presenta punti di contatto con il nirvana: immortalità, libertà, conoscenza, stato incondizionato e permanente. Il buddhismo però, critica anche questa concezione: perchè è una realtà assoluta data prima, posta all'inizio, da cui poi si può dedurre il cosmo, in tal modo l'antropologia si trasforma in teologia.

Nel Mahayana, invece, si parlerà spesso di un principio luminoso o buddhità come germe di illuminazione presente in tutti gli uomini. Sia il buddhismo che l'induismo hanno introdotto il concetto di karma, l'azione non muore dopo che è compiuta, è produttiva di energia creatrice. Il microcosmo e il macrocosmo sono costituiti da un incessante vibrare di  impulsi o onde, che si succedono senza soluzione di continuità e senza alcun carattere di permanenza. L'esistenza e la vita sono viste come un continuo fluire e un continuo cambiamento, una teoria che ha molte consonanze con la scienza moderna.

Per il buddhismo l'atman è un ostacolo,  l'uomo non deve cercare sollievo a questo senso di impotenza dinanzi al continuo fluire delle cose, mediante una consolante immagine precostituita di stabilità (atman) la quale non sarà che una proiezione illusoria di desiderio di pace e di immobilità. L'atman impedirebbe la ricerca e l'analisi, precludendo all'uomo la presa di coscienza completa della legge che concatena i fenomeni in un flusso incessante, del continuo rinnovarsi dell'energia di base in mille forme mutevoli.

La Meditazione -  Corrado Pensa.

La meditazione è un fenomeno molto complesso da qualunque punto di vista lo si guardi, storico, filosofico, religioso, psicologico, esperenziale-vissuto.  Abbiamo una meditazione antica, moderna, una orientale, una occidentale, una meditazione orientale esportata in occidente. Proporre la categoria globale “meditazione” non è legittimo.  Nel campo della meditazione sono possibili due tipi di ricerca: unificante, o descrittivo discriminante. Questi due tipi di approcci non sono contraddittori.

Sia se leggiamo testi classici sapienzali, sia moderni, l'elemento di partenza è che siamo davanti ad una costante dell'uomo: un disagio esistenziale di fondo che induce l'individuo a ricercare i mezzi capaci di effettuare un cambiamento. Spesso questa ricerca è superficiale, oppure una vernice esotica per nascondere un sostanziale desiderio di conservazione.  Questa ricerca è  collegata a processi di maturazione interiore, ma non è legata ad esiti estatici. Esistono due tipi di meditazione:

  • Evocativa: si basa sull'idea di sollecitare e richiamare emozioni di carattere positivo, ad esempio la Mindfulness.
  • Asciutta: abbiamo un processo di focalizzazione su un supporto singolo (un oggetto, la respirazione, una formula mentale, ecc) come ad esempio la meditazione Zen. C'è una chiusura dell'individuo allo scorrere delle emozioni e dei pensieri. Anche in questo tipo di meditazione, nel dopo meditazione si riscontra una espansione della coscienza e della sensibilità.

Questa espansione è un meccanismo psicologico della de-automazione, infatti ognuno di noi costruisce la realtà più che vederla, escludendo una quantità di materiale. La mente è governata da una gerarchia automatica di valori e condizionamenti.  Il distacco nella meditazione, è il distacco dagli impulsi e interessi consuetudinari e ciò è il pre-requisito di un cambiamento.  Questo distacco, va inteso, come fattore operativo e non come precetto moralistico. l'obiettivo è cercare di trattenere le vibrazioni emotive generate durante l'esercizio meditativo.  La meditazione si iscrive in un quadro ampio costituito anche da studio dei testi, rapporto profondo con il maestro, un esercizio metodico delle virtù.  

Per Neumann il tratto più qualificante di sistemi come lo yoga e il buddhismo è quello di essere imperniati su una tensione creativa bipolare, da un lato il rafforzamento dell'io e dall'altro la progressiva discesa nell'inconscio.  Il mistico creativo ha quindi tutt'altro che una riduzione della tensione.  Il mistico regressivo, invece, spaventato dal confronto con l'ignoto si ritrae dal mondo appagandosi di una luce estatica e remota.   Il punto d'incontro tra queste due figure può essere

l' emblematica figura del boddhisattva, con un piede nelle passioni mondane e un altro nella chiara coscienza nirvanica, senza timore della tensione che incorre tra queste due sfere, mostrando così di preferire una tensione produttiva ad una stasi luminosa.

Il rilassamento, la quiete mentale, cui porta la meditazione, non è un fine, ma è funzionale al rilassamento da tensioni conflittuali per far spazio a una tensione espansivo-creativa.

In Oriente c'è una certa ipertrofia nel campo della meditazione, in Occidente c'è un'ipertrofia di segno opposto, di senso attivistico, peculiare dell'Occidente. Oriente ed Occidente dovrebbe incontrarsi per una vicendevole correzione.

La Cina – Lanciotti Lionello

Il pensiero filosofico- spirituale in Cina è stato caratterizzato dal Confucianesimo e dal Taosimo.

La Cina è stato una società burocratica dal 221 a.C. al 1912 dove non ci sono state guerre religiose  e non si è verificato il ripudio di concezioni preesistenti. La Cina è stata il paese dei filosofi, e sembrò al '700 europeo il modello politico ideologico da seguire.

Il confucianesimo ha un carattere laico e lega a filo doppio etica e politica, privilegia il culto degli antenati che ha origini antichissime. La grafia era uno strumento di potere.

La dottrina taoista invece respinge globalmente il sistema confuciano. In comune hanno solo il concetto di ordine che nel taoismo è il Tao all'origine di tutte le cose, e nel confucianesimo è l'ordine morale. Le fasi del raggiungimento del Tao sono: il distacco completo dal mondo fenomenico, la rinuncia e  lo stato estatico. Per Maspero: "il taoismo è una dottrina di salvazione individuale che pretendeva di condurre l'adepto all'immortalità".

Il taoismo adotta pratiche igieniche e respiratorie simili allo yoga. Il cinabro è usato come autentica droga dell'immortalità. Nel sud della Cina sono presenti ancora oggi, elementi ricorrenti dello sciamanesimo. Nella Cina esiste un Pantheon sincretista derivante dalla religione popolare. Il Wu wei è un altro importante precetto del taoismo che riguarda la consapevolezza del quando agire e del quando non agire. Wu può essere tradotto come non avere; wei con azione. Il significato letterale è quindi senza azione o meglio non azione. È parte fondamentale della regola wei wu wei. Per la medicina tradizionale cinese, il cibo aiuta a mantenere in equilibrio le forze che regolano la nostra esistenza, lo yin e lo yang e il taoismo ha alla base dell'alimentazione una serie di regole come non mangiare i cinque cereali.

L'idea di peccato arriva in Cina nel secondo secolo d.C quando appaiono i primi testi cinesi che parlano di inferno, dove sarà punito chi è sfuggito alla giustizia terrena. Secondo i taoisti, il peccato accorcia la vita e nei praticanti taoisti era in uso l'autodenuncia pubblica.

Dopo la grande persecuzione del 845 decade la potenza istituzionale del buddhismo.

Il taoista è un individualista, un anarcoide che vive ai margini della società cinese, ma dopo la rivoluzione culturale, la società prenderà il sopravvento sull'uomo.

Per Spinoza "l'uomo guidato dalla ragione è più libero nella società, dove vive secondo una natura comune, che in solitudine, dove comanda solo a se stesso".

Il Giappone – Adolfo Tamburello.

In Giappone non c'è stato lo sviluppo di un'iconografia religiosa, qui prevale l'animismo, ossia quell'insieme culti nel quale viene attribuita qualità divina o soprannaturale a oggetti, luoghi o esseri materiali. Vengone attribuite delle proprietà spirituali a determinate realtà fisiche come sassi, fiumi, montagne, ecc.  La cosmogonia, l'origine del cosmo è quasi completamente trascurata.

In Giappone è presente lo shintoismo, una serie di credenze e culti nati dal connubio di una religiosità di popolazioni agricole con quella di popolazioni di cacciatori e pescatori. Politica e religione sono una cosa sola: nello shintoismo c'è la mitologia dell'ascendenza divina della dinastia regnante. L'incarnazione del sovrano deriva dal buddhismo che seppe legarsi intimamente alla sfera politica.

Nel 767 un decreto permise ai monaci di officiare nei santuari shintoisti e da allora apparvero numerosi templi di culto sincretistico.   La decadenza materiale e spirituale favorì numerosi movimenti riformistici. Tra questi il movimento di Nichiren (1228-1282) che assegnava al Giappone la funzione di salvare il buddhismo e di ripristinare i valori originali trasmessi dal sutra del loto.  Alla base di questa corrente spirituale c'è  la lettura di formule sacre che assicura una costante protezione al fedele che ha anche il  il dovere di convertire tre persone all'anno a questa corrente spirituale.

In questo periodo cominciò a farsi strada lo zen, con i suoi ideali di contemplazione e di meditazione, intese sviluppare una ricerca interiore, non per soddisfare un'ascesi o un anelito dell'animo umano a un divino trascendente, ma per cogliere quanto di universale e di assoluto alberga nell'uomo. Lo zen fu una filosofia religiosa e fu coltivata da coloro che erano orientati verso la propria o altrui elevazione. I maestri zen si astennero dalla pratica religiosa che spesso assumeva le vesti di una magia.

Poi l'idea laica del confucianesimo fu posta a fondamento etico dello stato, i culti religiosi vennero sostituiti dai culti ancestrali e di stato.  Il confucianesimo arriva in Giappone nel VI secolo d.C., insieme al buddhismo, e viene applicato soprattutto alla sfera politica e amministrativa.

Nella Costituzione dei 17 articoli emanata dal principe Shōtoku nel 604 d.C., il primo articolo fa riferimento proprio all’armonia. Il documento stabilisce princìpi confuciani per l’organizzazione della società: importanza della gerarchia, lealtà, obbedienza, decoro rituale, moderazione. La società è organizzata in un sistema gerarchico ben strutturato, ed è facile immaginare l’interesse della classe dominante per alcuni elementi della dottrina confuciana. In verità, però, in questo periodo il confucianesimo è anche in gran parte sinonimo di cultura e si diffonde per il suo legame con l’istruzione.

Lo shintoismo e il buddhismo temperarono il confucianesimo e promossero una serie di culti sincretistici indirizzati ad un'unitaria fede nazionale. La contemplazione e la meditazione furono utilizzate solo per una ricerca interiore.

Anatta-lakkhana Sutta: Il discorso sulla caratteristica del non sé

L'Anatta-lakkhaṇa Sutta o Anātmalakṣaṇa Sūtra, è tradizionalmente registrato come il secondo discorso pronunciato da Gautama Buddha. Il titolo si traduce nel "Il discorso sulla caratteristica del non sé", ma è anche noto come il discorso "Gruppo dei cinque".  Nella versione sotto riportata è tradotto dal Pali da  N.K.G. Mendis   vedi   SuttaReadings.net

Così fu udito da me. Un tempo il Beato viveva nel parco dei cervi di Isipatana, vicino a Benares. Lì, infatti, il Beato si rivolse al gruppo composto da  cinque monaci.

- "La forma, o monaci, non è sé; se la forma fosse sé, allora la forma non porterebbe all'afflizione e si dovrebbe ottenere riguardo alla forma: Che la mia forma sia così, che la mia forma non sia così"; e infatti, o monaci, poiché la forma non è sé, allora la forma porta all'afflizione e non si ottiene riguardo alla forma: 'Che la mia forma sia così, che la mia forma non sia così'.

- "Il sentimento, o monaci, non è se stesso; se il sentimento fosse se stesso, allora il sentimento non porterebbe all'afflizione e si dovrebbe ottenere riguardo al sentimento: 'Che il mio sentimento sia così, che il mio sentimento non sia così'; e infatti, o monaci, poiché il sentimento non è se stesso, quindi il sentimento porta all'afflizione e non si ottiene riguardo al sentimento: 'Che il mio sentimento sia così, che il mio sentimento non sia così'.

- "La percezione, o monaci, non è se stessa; se la percezione fosse se stessa, allora la percezione non porterebbe all'afflizione e si dovrebbe ottenere riguardo alla percezione: "Che la mia percezione sia così, che la mia percezione non sia così"; e infatti, o monaci, poiché la percezione non è se stessa, quindi, la percezione porta all'afflizione e non si ottiene riguardo alla percezione: "Che la mia percezione sia così, che la mia percezione non sia così".

- "Le formazioni mentali, o monaci, non sono sé; se le formazioni mentali fossero sé, allora le formazioni mentali non porterebbero all'afflizione e si dovrebbe ottenere riguardo alle formazioni mentali: Che la mia percezione sia così, che le mie formazioni mentali non siano così"; e infatti, o monaci, poiché le formazioni mentali non sono sé, allora le formazioni mentali portano all'afflizione e non si ottiene riguardo alle formazioni mentali: 'Che le mie formazioni mentali siano così, che le mie formazioni mentali non siano così'.

- "La coscienza, o monaci, non è se stessa; se la coscienza fosse se stessa, allora la coscienza non porterebbe all'afflizione e si dovrebbe ottenere riguardo alla coscienza: 'Che la mia coscienza sia così, che la mia coscienza non sia così'; e infatti, o monaci, poiché la coscienza non è se stessa, quindi, la coscienza porta all'afflizione e non si ottiene riguardo alla coscienza: 'Che la mia coscienza sia così, che la mia coscienza non sia così'.

"Cosa pensate di questo, o monaci? La forma è permanente o impermanente?"
"Impermanente, o Signore".
"Ora, ciò che è impermanente, è insoddisfacente o soddisfacente?"
"Insoddisfacente, o Signore".
"Ora, ciò che è impermanente, insoddisfacente, soggetto a cambiamenti, è corretto considerarlo come: 'Questo è mio, questo sono io, questo è il mio io'?".
"Infatti, non questo, o Signore".
"Cosa ne pensate di questo, o monaci? Il sentimento è permanente o impermanente?".
"Impermanente, o Signore".
"Ora, ciò che è impermanente, è insoddisfacente o soddisfacente?"
"Insoddisfacente, o Signore".
"Ora, ciò che è impermanente, insoddisfacente, soggetto a cambiamenti, è corretto considerarlo come: 'Questo è mio, questo sono io, questo è il mio io'?".
"Infatti, non questo, o Signore".
"Cosa ne pensate di questo, o monaci? La percezione è permanente o impermanente?"
"Impermanente, o Signore".
"Ora, ciò che è impermanente, è insoddisfacente o soddisfacente?"
"Insoddisfacente, o Signore".
"Ora, ciò che è impermanente, insoddisfacente, soggetto a cambiamenti, è corretto considerarlo come: 'Questo è mio, questo sono io, questo è il mio io'?".
"Infatti, non questo, o Signore".
"Cosa ne pensate di questo, o monaci? Le formazioni mentali sono permanenti o impermanenti?"
"Impermanenti, o Signore".
"Ora, quelle che sono impermanenti, sono insoddisfacenti o soddisfacenti?"
"Insoddisfacenti, o Signore".
"Ora, quelli che sono impermanenti, insoddisfacenti, soggetti a cambiamenti, è giusto considerarli come: 'Sono miei, questo sono io, questo è il mio io'?".
"Infatti, non questo, o Signore".
"Ora cosa ne pensate di questo, o monaci? La coscienza è permanente o impermanente?".
"Impermanente, o Signore".
"Ora, ciò che è impermanente, è insoddisfacente o soddisfacente?"
"Insoddisfacente, o Signore".
"Ora, ciò che è impermanente, insoddisfacente, soggetto a cambiamenti, è corretto considerarlo come: 'Questo è mio, questo sono io, questo è il mio io'?".
"Infatti, non questo, o Signore".
"Pertanto, sicuramente, o monaci, qualsiasi forma, passata, futura o presente, interna o esterna, grossolana o fine, bassa o elevata, lontana o vicina, tutta quella forma deve essere considerata con la giusta saggezza, secondo la realtà, così: 'Questo non è mio, questo non sono, questo non è il mio io'.
"Perciò, sicuramente, o monaci, qualsiasi sentimento, passato, futuro o presente, interno o esterno, grossolano o fine, basso o alto, lontano o vicino, tutto quel sentimento deve essere considerato con la giusta saggezza, secondo la realtà, così: 'Questo non è mio, questo non sono, questo non è il mio io'."Perciò, sicuramente, o monaci, qualsiasi percezione, passata, futura o presente, interna o esterna, grossolana o fine, bassa o elevata, lontana o vicina, tutta quella percezione deve essere considerata con la giusta saggezza, secondo la realtà, così: 'Questo non è mio, questo non sono, questo non è il mio io'.
"Pertanto, sicuramente, o monaci, qualsiasi formazione mentale, passata, futura o presente, interna o esterna, grossolana o fine, bassa o elevata, lontana o vicina, tutte quelle formazioni mentali devono essere considerate con la giusta saggezza, secondo la realtà, così: 'Queste non sono mie, questo non sono, questo non è il mio io'.
"Perciò, sicuramente, o monaci, qualsiasi coscienza, passata, futura o presente, interna o esterna, grossolana o fine, bassa o elevata, lontana o vicina, tutta quella coscienza deve essere considerata con la giusta saggezza, secondo la realtà, così: 'Questo non è mio, questo non sono, questo non è il mio sé'.
"O monaci, il nobile discepolo ben istruito, vedendo così, si stanca della forma, si stanca del sentimento, si stanca della percezione, si stanca delle formazioni mentali, si stanca della coscienza. Essendo stanco, diventa libero dalla passione. Nella sua libertà dalla passione, è emancipato. Essendo emancipato, c'è la consapevolezza di essere emancipato. Egli sa: 'la nascita è esaurita, la vita vissuta è la vita santa, ciò che doveva essere fatto è fatto, non c'è più nulla di questo divenire'".

Questo disse il Beato. Compiaciuti, il gruppo di cinque monaci si rallegrò dell'esposizione del Beato; inoltre, mentre questa esposizione veniva pronunciata, le menti del gruppo dei cinque monaci furono liberate dall'attaccamento.

Leaving Microsoft to change the world - John Wood

Nel 1998 John Wood (1964 - ) era un dirigente in ascesa alla Microsoft. Poi un viaggio in Nepal lo ha ispirato a cambiare vita, facendolo diventare attivista,  fondatore e presidente esecutivo di Room to Read, ( https://www.roomtoread.org/ ) un'organizzazione senza scopo di lucro dedicata a combattere la povertà nel mondo. Attualmente vive a San Francisco.

Alimentato dalla stessa spinta che lo ha reso un alto dirigente, Wood ha portato il suo acume per gli affari, nel settore della beneficenza e ha creato Room to Read, un'organizzazione straordinariamente efficace che ha creato una rete di più di 2.000 scuole e biblioteche in tutta l'Asia e l'Africa nei primi sei anni di vita.

Il libro Leaving Microsoft to Change the World racconta l'incredibile viaggio di John Wood, i suoi primi anni in Microsoft, la sua decisione che gli ha cambiato la vita, e l'avventura che è seguita. Wood condivide i metodi che usa per gestire Room to Read, presi dalla sala riunioni di una delle aziende più influenti del mondo e applicati con successo in un ambiente molto diverso. La sua storia è un esempio ispiratore di come cambiare il mondo.

 

Il Dalai Lama, nell'arte della felicità ha scritto molto sul nostro dovere verso gli altri e ha ribadito che uno dei nostri principali doveri  su questa terra, è quello di guardare fuori, ed aiutare le persone che hanno meno.  Il Dalai Lama ha scritto che quando abbiamo dato qualcosa, riceviamo in cambio la felicità, una sensazione di calore nel nostro cuore e la consapevolezza nel nostro cervello di aver reso il mondo un posto migliore.

Per Soren Kierkegaard  "Non c'è niente di cui ogni uomo abbia così paura, come conoscere quanto enormemente sia capace di fare e diventare".  Fai ciò che è giusto fare e abituati a rispondere solo a te stesso.
Il modello di Room To Read è costruito sulla consapevolezza che non tutte le persone che vogliono cambiare il mondo lasceranno il loro lavoro per farlo.  L'obiettivo è di permettere a chiunque, sia esso un banchiere, un consulente o un insegnante, di raccogliere fondi per aiutarci a far costruire più scuole e biblioteche. Tutti possono utilizzare un'ora, durante la loro giornata lavorativa o lavorare di notte o nei fine settimana per pianificare eventi o campagne di raccolta fondi.
L'unico modo, in cui questi programmi di aiuto funzionerebbero è, chiedere alla gente locale un piccolo lavoro o contributo per realizarlo in cambio di una piccola somma di denaro. Altrimenti il progetto diventa solo un dono gratuito elargito da estranei, e nessuno lo apprezzerà perché non ha nulla in gioco.  Room To Read ha costruito scuole, biblioteche, laboratori informatici e linguistici, promosso borse di studio  (Room to grow) in Nepal,  India, Laos, Sri Lanka, Cambogia, Vietnam.

Alcune organizzazioni di beneficenza trovano efficace mostrare le foto di un bambino coperto di mosche, o di una famiglia malnutrita che giace nella polvere per il funzionamento di una raccolta fondi.
Io ritengo che sia umiliante abbassare i poveri del mondo ed usare la pietà per sollecitare le donazioni.
Queste immagini negano la dignità intrinseca di ogni essere umano.

Se chiedete alle persone di andare in profondità, di pensare in modo creativo e di produrre risultati straordinari, di solito lo faranno. Troppo spesso nel nostro mondo moderno, semplicemente non gli viene chiesto.
Se state pensando di fare alcuni aggiustamenti nella vostra vita per permettervi di aiutare a cambiare il mondo, la mia raccomandazione di cuore è di non spendere troppo tempo a pensarci. Tuffatevi e basta.
Il rischio maggiore è che molte persone cercheranno di dissuadervi dal perseguire il vostro sogno.
Il mondo ha troppe persone che sono felici di discutere sul perché qualcosa potrebbe non funzionare, e troppo poche che ti incoraggeranno e ti diranno "Sono qui per te". Più tempo passate a rimuginare i vari pensieri, più tempo date a quelle forze di gravitazione negativa per tenervi in pugno.
San Francesco di Sales dice:  "Non desiderare di essere altro che ciò che sei, E cerca di esserlo perfettamente".
Goethe una volta scrisse della Quinta Sinfonia di Beethoven: "Se tutti i musicisti del mondo suonassero questo pezzo simultaneamente, il pianeta uscirebbe dal suo asse".
Ecco come mi sento riguardo all'educazione dei bambini del mondo in via di sviluppo: se tutti si impegnassero nel contribuire ad un'educazione di base a tutti i bambini del mondo, forse avremo un mondo migliore.

Introduzione al Blog

Il Blog è nato nel marzo 2021, in tempo di pandemia, per comunicare e condividere le mie letture e i miei interessi personali.  Nel blog c...