lunedì 29 gennaio 2024

Seminario: Il silenzio interiore con Antonio Nuzzo

Antonio Nuzzo è il più autorevole maestro di yoga italiano. Ha cominciato a praticare nel 1963 all’età di 16 anni. Nel 1971 è diventato allievo di André Van Lysebeth, con il quale ha approfondito le tecniche di hatha e tantra yoga.  Insegna al Centro Studi Yoga Roma.     Sito: https://www.centrostudiyogaroma.com/   Al seminario hanno partecipato circa 60 persone.

"Quando la mente si rilassa si focalizza". Se non capiamo questo processo, la meditazione diventa un atteggiamento, un atteggiamento diverso a seconda delle occasioni. Noi occidentali siamo degli attori meravigliosi, prima litighiamo e poi ci mettiamo a fare meditazione.      

Riusciamo una volta ad essere veri e coerenti nella nostra vita? Non sappiamo chi siamo, e spesso perdiamo di vista la nostra vera natura. Lo yoga dovrebbe permetterci di raggiungere la verità.

Lo yoga va imparato nel profondo, spesso nei corsi di yoga si creano delle attività collaterali perchè non si sa cosa dire, non si conosce l'essenza dello yoga. Il meglio lo osserviamo dall'esterno, la forma diventa l'unità di misura dello yoga. Chi pratica yoga in questo modo ha un vissuto interiore malato. La responsabilità di un ricercatore spirituale è enorme. 

Cosa un insegnante di yoga, Non può non sapere?  Il messagggio dello yoga è un fine, non può essere un'azione fisica.

Spesso studio, preghiera, azione fisica si fanno in ambienti separati, ma in questo modo la mia interiorità viene divisa. Su un tappetino di gomma si può fare un percorso interiore? Appena mi metto sul tappetino voglio sciogliere il corpo, poi vado a fare meditazione altrove.  Il processo meditativo deve essere uno strumento per sviluppare la nostra interiorità. E non uno strumento per soddisfare gli allievi: "Se gli allievi sono contenti, io sono soddisfatto". Queste continue contraddizioni  ci portano a essere completamente disorientati.

Lo yoga non può diventare un mestiere.   Lo yoga deve essere preso sul serio, lo yoga propone un percorso di sviluppo lineare, solo poche indicazioni per seguire un percorso con estremo rigore. L'esercizio fisico serve a portare a galla la nostra situazione psico-emotiva. Il ragionamento sul percorso di ricerca è fondamentale. 

La disciplina serve per dare direzione al mio pensiero e vivere nel presente, invece la voglia di andare sempre avanti, vivere con prospettive ci impedisce di essere felici.  Lo yoga è vivere l'istante presente nella gioia più profonda. Lo yoga è focalizzazione, si devono spegnere le vritti (le onde di pensieri che la mente genera in modo incessante ed inconsapevole, e che ne impediscono il vero utilizzo) e ridurre i klesha ( stato di afflizione, di dolore, di angoscia, di tormento, di preoccupazione terrena). Lo yoga è il mezzo per eliminare la sofferenza. Ridurre i klesha, che sono tutte le forme di attaccamento e condizionamento, è la vera ragione per cui si fa yoga. 

Le pratiche di yoga ci aiutano ad avere più consapevolezza di noi, lo studio del sé, svadhyaya ci fa comprendere le cause della nostra sofferenza che si manifestano con emozioni negative come la tristezza, la depressione, l’ansia e le fobie. Prendere consapevolezza di quali sono i nostri ostacoli e affrontarli è fondamentale per il nostro percorso di crescita personale e spirituale. Vediamo nel dettaglio i 5  Klesha (veleni in sanscrito) che sono gli ostacoli nello yoga, i “nodi della mente”:

  • Avidya, la mancanza di conoscenza, ossia l'ignoranza, che provoca una comprensione errata delle cose. E’ “prendere il non-eterno, l’impuro, il male e il non-atman per eterno, puro, buono, e atman”. E’ la perdita della consapevolezza sulla natura del proprio sé e della realtà che noi fondamentalmente siamo. E questo stato allontana l’uomo dalla verità.
  • Asmita, l’illusione dell’Ego;  individua un senso di individualità (che nasce da avidya). E’ la ricerca delle esperienze piacevoli ed il rifiuto delle sgradevoli; l’identificazione con il corpo, con il pensiero, con l’emotività umana.
  •  Raga, andiamo verso le cose che ci piacciono, procurano amore e evitiamo quelle che ci danno fastidio o ci procurano sofferenza. E' l’attaccamento nei confronti di oggetti ed idee che consegue all’esperienza del piacere.
  • Dvesa, l’avversione, il rifiuto, l'insofferenza in particolare verso quei pensieri e ricordi legati al passato più doloroso.
  • Abhinivesha, identifica invece la volontà di vivere ed un eccessivo attaccamento alla vita che domina anche il sapiente, con la conseguente paura della morte.

La vera finalità di yama e niyama è applicarli per ridurre i klesha, ci danno consigli per lo stile di vita e per il comportamento: i cinque yama sono le cose da non fare; i cinque niyama sono le cose da fare.
Gli yama sono cinque regole etiche e morali universali, cinque freni o “astinenze” che limitano i comportamenti dannosi e distruttivi per lo yogi e per le sue relazioni con gli altri. Eccoli:

  •     Nonviolenza (ahimsa),
  •     Sincerità (satya), Non mentire
  •     Onestà (asteya), Non rubare
  •     Continenza sessuale (brahmacharya),  può anche essere una azione non assoggettata all'ego.
  •     Non avidità nel possedere (aparigraha).

I cinque niyama sono virtù e comportamenti positivi legati allo stile di vita del singolo individuo, da coltivare per migliorare sé stessi:

  •     Purificazione (saucha),
  •     Accontentarsi (santosha),
  •     Austerità (tapas),
  •     Studio e conoscenza di sé (svadhyaya),
  •     Abbandono alla volontà divina (ishvarapranidhana).

Gli yama rappresentano un po’ la qualità della relazione che intratteniamo con gli altri; i niyama la qualità della relazione che intratteniamo con noi stessi. André Van Lysebeth (allievo di Shivananda, autore di Imparo lo yoga, Perfeziono lo yoga e, con la moglie, I miei esercizi di yoga) ci dà questo consiglio per iniziare a riflettere su questi due importantissimi elementi dello yoga tradizionale:    “Per praticare yama e niyama, la cosa più semplice è seguire la propria morale, in funzione della filosofia e delle credenze che ci fanno da guida. Non abbiamo dovuto attendere Patanjali per dotarci di una morale e la morale ordinaria è sufficiente per metterci in linea con Yama e Niyama. È il grado minimo per poterci introdurre nello yoga e trarne buoni frutti: una moralità trascendente è però necessaria per raggiungere livelli superiori”.

L'Hatha yoga è un viaggio, per equilibrare due correnti di energia ha - tha, per capire a livello esperenziale che cosa è l'energia, il prana. Il prana è legato alla mente, nella mente depressa non c'è prana. chi è in continua attività e consuma, ha prana.  Adesso il business è basato su come distrarre le persone. Per ottenere la felicità dobbiamo ridurre i klesha. Oggi gli insegnanti yoga sono non entusiasti, annoiati, non hanno gioia. 

L' Hatha yoga e Patanjali, parlano delle stesse cose, l'hatha yoga parla un po' più di energia. Lo yogi deve superare i nodi psicocolgici che bloccano le energie. Il nodo del cuore è difficile da superare, è costituito da attaccamenti, dalla paura della morte. La paura della morte cerchiamo di superarla con le distrazioni.

Importante è praticare yoga in un certo modo; lo yoga deve servire per annullare l'ego. Yama e niyama sono l'opposto ai klesha. L'Hatha yoga senza Raja yoga non serve a niente. Anche nel fare karma yoga, (ad esempio quando vado in Africa ad aiutare le persone) la verità è dentro di noi, quello che è importante non è l'azione, ma l'intenzione, il risultato della mente. 

La rivoluzione interiore mette in atto un processo in cui pensiero e azione contribuiscono a sciogliere i nodi interiori, i nostri blocchi emotivi e resistenze.  Queste sono le basi da conoscere e su cui impostare la lezione di yoga.  Occorre scoprire il mondo interiore altrimenti il silenzio non arriverà mai. Per risvegliare il pensiero delle persone è importante il confronto. Il pensiero è legato al tapas, all'ardore; per insegnare occorre essere innamorati del progetto dello yoga. 

Brahmacharia è un seguace esperto di Brahma. Il termine è associato  alla castità perchè il devoto essendo innamorato di Brahma non può essere innamorato di altri. L'Hatha yoga è un'espressione del tantrismo, lo yogi offre le azioni a Brahma, una azione non assoggettata all'ego ed è quindi un'azione sacra. Occorre vivere l'azione, ma non per il nostro ego. Importante è la motivazione che accompagna l'azione, Nell'amplesso tantrico (rituale di grande valore spirituale) c'è connessione, ma non movimento; si crea un corpo unico, i due partner seguono gli stessi ritmi del respiro.  La castità non può essere un impedimento, ma occorre liberarsi dal condizionamento di nutrire l'ego. Brahmacharia è accettare la volontà di Brahma.  Quando la vita sul tappetino si è liberata dell'ego e dal voler raggiungere un obiettivo la vita cambierà. Solo quando la nostra direzione è stabilita possiamo fare passi avanti ulteriori. 

Alla fine del seminario è stata proposta una pratica di Yoga nidra. La pratica di Yoga nidra deve portare come risultato la purezza, la gioia, l'aver capito lo scopo della nostra esistenza. L'amore è il risultato di questo processo.

venerdì 12 gennaio 2024

La mindfulness entra a scuola a Macerata

Le classi della secondaria Convitto Nazionale Leopardi di Macerata sono coinvolte in un progetto-pilota pioneristico nel suo genere, il “Mindful Teaching”, frutto della partnership con l’Università di Macerata. Si tratta di un iter formativo innovativo che coinvolge da una parte la psicologa e docente universitaria Anna Maria Mariani e dall’altra alunni, alunne, educatori e docenti.

Il percorso formativo, innovativo nel suo genere, si ispira alla Mindfulness, pratica meditativa incentrata sul respiro e sulla consapevolezza del momento presente, sviluppata da Thich Nhat Hanh e ripresa poi da Jon Kabat-Zinn negli USA e da Christophe André in Francia. Alunni, educatori e docenti hanno vissuto con entusiasmo e curiosità l’esperienza, ricavandone preziosissimi spunti di riflessione sui valori civici del prendersi cura di sé e degli altri, anche nell’ottica più ampia dell’Agenda 2030 e dei suoi  Global Goals. Il percorso sperimentale è iniziato nell’ottobre scorso per docenti ed educatori ed introdotto con successo in aula  nel mese di dicembre.

Documenti: 
  • Reportage dell'esperienza vissuta a scuola:  https://view.genial.ly/6596f84630a744001408ab98/dossier-dossier-rivista
  •  Estratto del testo Erickson di S. Dal Zovo dedicato alla Mindfulness a scuola, 2020    https://drive.google.com/file/d/1sH7qVx3sLjn7Kr-ucrsnI64WUuh0I5At/view
  • Articolo: https://junior.cronachemaceratesi.it/2024/01/11/meditazione-e-termometro-delle-emozioni-la-mindfulness-entra-a-scuola-al-convitto-ci-si-allena-al-qui-e-ora/80014/#

Insegnanti felici cambiano il mondo. - Thich Nhat Hanh

Se noi insegnanti non siamo felici, se non lo sono i nostri colleghi, come possiamo aspettarci che lo siano i nostri studenti?”. 

Come praticare la consapevolezza a scuola?  In un bellissimo libro del 2017,  Insegnanti felici cambiano il mondo. Una guida per coltivare la consapevolezza nell’educazione, insieme a Katherine Weare,  Thich Nhat Hanh ha raccolto un’ampia rosa di possibili insegnamenti su come praticare la consapevolezza a scuola, a tutti i livelli di istruzione, e nel processo educativo in generale.


Per poter insegnare e aiutare i propri studenti ad affrontare la vita, un insegnante dovrebbe essere felice, essere in sintonia con se stesso e con gli altri. Tesi centrale dell’opera, pertanto, è che essere felici è qualcosa che si può apprendere. Le pratiche di consapevolezza, infatti, possono aiutare gli educatori e i loro studenti ad acquisire capacità di ridurre le proprie tensioni e a sviluppare fiducia, compassione, concentrazione e gioia, sul piano sia personale che collettivo, comprendendo che la gioia della vita si può trovare solo nel momento presente.
Per Thay, il primo passo di questo percorso di consapevolezza è quello di entrare in se stessi in profondità, entrare in contatto con le nostre percezioni e sofferenze, riconciliarsi con noi stessi, e produrre quell’energia capace di farci entrare in contatto con la vita, il mondo, il vivere qui e adesso.  
Se una persona non riesce a cambiare se stessa, è difficile che riesca ad aiutare gli altri. Solo comprendendo le nostre sofferenze possiamo comprendere quelle degli altri e aiutarli a soffrire meno. E’ questo che gli educatori dovrebbero insegnare alla nuove generazioni con l’obiettivo di trasformare, quindi, l’ambiente scolastico in una vera “comunità” attraverso delle sessioni di condivisione.
Se il giovane sente qualcuno che comprende la sua sofferenza, soffrirà meno”.
Anche in questo approccio pedagogico, il monaco zen   mette sempre al centro la comunità e l’”interessere”, nella convinzione che solo l’interagire con tutti gli elementi che costituiscono un determinato ambiente potrà portare alla felicità e a una trasformazione profonda: “Nulla può esistere indipendentemente dal resto. Ogni cosa deve fare affidamento su ogni cosa per esistere. La visione profonda dell’interessere ci aiuta a sbarazzarci dall’idea di un sé separato, e questo ci aiuta a eliminare i complessi che stanno alla base della sofferenza”.  
Ogni docente dovrebbe essere un costruttore di comunità, contribuendo a creare un ambiente idoneo a coltivare la presenza mentale nei rapporti con  colleghi e studenti, a crescere e ad esprimersi pienamente. La vita in comunità è il primo tassello per ottenere un’istituzione e un’intera società più etiche e più giuste.
Nel 2008, Thay ha avviato un vasto programma di formazione internazionale per insegnanti in Europa, Nord America e Asia al fine di diffondere la pratica della presenza mentale nell’ambito della formazione scolastica e universitaria. Insieme alla sua comunità di Plum Village, ha messo a punto una serie di pratiche creative di consapevolezza destinate a educatori e giovani studenti, con l’obiettivo di offrire una solida base morale per l’insegnamento.
Nel 2008, la comunità buddhista ha offerto al Presidente francese Sarkozy, sulla base delle esperienze fatte a Plum village, un modello di ‘etica applicata’ da introdurre nelle scuole per contrastare le rivolte urbane che scuotevano la Francia in quel periodo.
Nel 2011, queste pratiche, prive di connotazioni religiose  o confessionali, sono state ulteriormente migliorate e denominate Wake Up Schools e diffuse in tutto il mondo dagli allievi di Thich Nhat Hanh.
Il libro Insegnanti Felici contiene una raccolta di pratiche da proporre ad allievi e insegnanti, ed  esperienze reali, sul campo, vissute da insegnanti frequentanti il Plum village che avevano sperimentato la presenza mentale a scuola.
La strategia pedagogica proposta è quella del portare avanti pratiche di consapevolezza che possano permettere di coltivare appieno il nostro potenziale umano positivo (i semi buoni)  e di arrivare così a condurre una vita immensamente più appagante.  La felicità va coltivata e le pratiche di consapevolezza vanno messe al centro dell’insegnamento.  Tali “pratiche di consapevolezza” sono state poi riprese dalla Mindfulness,  diventando un fenomeno popolare.
Ricerche scientifiche hanno attestato l’efficacia  della meditazione di consapevolezza se praticata con costanza e gradualità, nel ridurre negli insegnanti stress, depressione e rabbia.
Altre ricerche hanno confermato la neuroplasticità del cervello, ossia la capacità di cambiare configurazione durante la vita a seguito di pratiche meditative. 

Qui trovi una sintesi del libro: https://books.google.it/books/about/Insegnanti_felici_cambiano_il_mondo.html?hl=it&id=YP_YDwAAQBAJ&redir_esc=y#v=onepage&q&f=false

Il gatto zen e le quattro zampe del successo spirituale

Il gatto zen e le quattro zampe del successo spirituale, il romanzo scritto da David Michie è divertente e leggero, ma ricco di insegnamenti spirituali che ispireranno riflessioni profonde.

Una gattina macilenta e affamata viene salvata dal Dalai Lama in persona, che la prende a vivere con se´ nel Monastero di Namgyal (a McLeod Ganj) sopra Dharamsala. La vita del leader spirituale si svela a poco a poco in ogni suo aspetto davanti agli occhioni blu della gattina, e una saggezza senza tempo pervade i pochi momenti di affettuosa solitudine fra l’uomo e l’animale. Attraverso gli occhi e le orecchie della gatta del Dalai Lama  si ascoltano le lezioni di maestri buddhisti e si impara come si comporta un bodhisattva nella quotidianità del secolo XXI. E soprattutto si scoprono  la fragilità e la bellezza di tutti gli esseri umani.
Seguendo Rinpoche, l’elegante e anche un po’ viziata gatta (chiamata col soprannome GSS gatta di Sua Santità o bodhicattva), negli incontri con gli ospiti del palazzo, alla casa di riposo per anziani, alle lezioni di yoga e alle visite all’Himalaya Book Café, vengono illustrati gli elementi chiave del buddismo tibetano, si spiega come riconoscere una sofferenza auto-inflitta e lasciarla andare, come sperimentare il benessere abbandonando il pensiero di noi stessi; come mettere da parte le illusioni riguardanti il modo in cui le cose esistono e infine come trovare il guru giusto. Se state cercando di migliorare la vostra vita e volete operare una trasformazione interiore, seguite le orme di questa maestra insolita e un po’ pelosa ma molto, molto saggia!

La narrativa è un mezzo ideale per coinvolgere il cuore, l'immaginazione e l'intelletto dei lettori. Inoltre, la narrazione fa parte di una lunga tradizione di insegnamento spirituale, dove i processi interiori e sottili diventano più facili da capire esternati in metafore e parabole.  Qui di seguito riporto alcune frasi del libro.

Il Dalai Lama è così puro di cuore e libero dall'ego che, come uno specchio, riflette la natura ultima di chi è con lui, la loro versione più nobile. Uno specchio in grado di mostrare l'immagine molto più profonda di chi e che cosa siamo davvero. In tutti gli esseri la natura originaria non è altro che amore puro e compassione pura e infinita. 

Spesso le nostre più grandi sofferenze sono autoinflitte, a causa dell'attaccamento non solo alle cose materiali ma anche ai risultati; al fatto che le cose non vadano come vogliamo che vadano.  Spesso è difficile sentirsi dire che tutto è nella nostra mente e se cambiamo modo di pensare, si risolverà tutto. La rabbia e l'attaccamento sono considerate illusioni nel buddhismo tibetano; per illusione si intende qualsiasi fattore mentale capace di alterare la serenità d'animo, ma applicare questi concetti nella quotidianità, spesso  non è facile. 

La compassione è il desiderio di alleviare la sofferenza degli esseri viventi, e ciò è possibile quando la mente è calma. Spesso associamo cose che non hanno alcun rapporto, inventiamo una relazione e ci creiamo problemi. Ci creiamo delle difficoltà quando asseriamo che la felicità o la pace sono in funzione di qualche episodio o risultato. L'attaccamento nasce quando crediamo che una persona, una cosa o un risultato siano necessari per la nostra felicità; e si rischia di diventarne schiavi. E' meglio pensare: possiedo già la felicità e la pace interiore, arrivare a determinati risultati è splendido ma non indispensabile per il mio benessere sostanziale. Talvolta le cose a cui ci aggrappiamo con più accanimento sono quelle che ci creano più sofferenza. Ma continuiamo a farlo perchè pensiamo che non esista un altro modo per essere felici. Questa è la più grande tristezza del samsara. 

I quattro aspetti del sentiero illustrati nel libro sono: la rinuncia, la bodhicitta, la sunyata e il guru yoga.  Quando abbiamo sofferto abbastanza e vogliamo ricominciare, questa è la rinuncia, la prima legge del successo spirituale. Il nostro percorso di evoluzione interiore incomincia quando accettiamo la responsabilità delle cause dei nostri sentimenti, che non sono all'esterno, nel mondo, ma nel nostro cuore e nella nostra mente, E che la rinuncia significa voltare le spalle a queste vere cause di infelicità.

Guardando intensamente il cielo vuoto, le visioni cessano;   allo stesso modo, quando la mente guarda dentro se stessa, il filo dei pensieri discorsivi e concettuali si arresta e la suprema illuminazione viene raggiunta.

Quando incontri un vero maestro, in sua presenza, hai come la sensazione di esistere in una dimensione diversa, sospesa, di infinito benessere.    Spesso c'è la necessità di un maestro o un amico spirituale per trovare la motivazione giusta per immettersi sul percorso interiore, trovare la motivazione per integrare la pratica del Dharma nella nostra vita. Quando lo sperimentiamo, comprendiamo davvero quanto sia straordinaria questa vita, quanto siamo straordinari noi, che formidabile occasione è per plasmare il nostro futuro. La cosa importante di tutte è che ognuno di noi può sviluppare la mente, coltivare le  capacità per aiutare gli altri oltre se stessi. 

La rinuncia non è solo dare le spalle alla sofferenza, ma anche voltarsi nella direzione che ci consente di diventare quello che siamo davvero; Trascendere l'ordinario, comprendere la nostra natura di Buddha, e apprezzare questa preziosa oppurtunità che la vita ci offre per raggiungere l'illuminazione per l'amore di tutti gli esseri, inclusi noi stessi. Dobbiamo ripeterci che abbiamo la natura di Buddha e una mente capace di arrivare a una totale illuminazione. Per fare questo dobbiamo prendere rifugio nei tre gioielli: nel Buddha, nel Dharma e nel Sangha. Questo è il primo passo del nostro cammino spirituale.  Per documentarci su questo cammino dobbiamo leggere il Lamrim, o sentiero dell'illuminazione, il testo basilare nella tradizione del lignaggio di Sua Santità il Dalai Lama. Nel buddhismo la compassione è definita come il desiderio di liberare gli altri dalla sofferenza, senza compassione rimaniamo indifferenti, con la compassione sviluppiamo empatia. Il desiderio o il processo per raggiungere lo stato di perfetta illuminazione per aiutare tutti gli esseri viventi a fare lo stesso è chiamato bodhicitta. 

La psicologia buddhista consiste nel rammentarci, nello svolgere qualsiasi attività quotidiana,  della motivazione della bodhicitta. Con il passare del tempo modelliamo e conformiamo il nostro atteggiamento a questo pensiero, basandoci magari anche dell'esempio di qualcuno che ha già raggiunto il nostro scopo. Più si persevera e più la maschera diventa persona;  con il tempo, ascoltando, riflettendo, meditando, la nostra convinzione della bodhicitta si approfondisce fino a diventare spontanea e sentita, e allora le nostre azioni divengono una vera fonte di gioia, sia per noi stessi sia per gli altri. Tutti possono arrivare a questo stato, tutti i consueti motivi di apprensione, i soliti pensieri svaniscono e si prova un senso di pace profonda, infinita. Può essere comunque molto difficile praticare la bodhicitta (il secondo passo)  con autentica equanimità (forse desideriamo che tutti gli esseri siano felici tranne uno o due)...

Spesso si confonde la compassione e la gentilezza amorevole con la debolezza, invece ci sono tre qualità che sono sempre insieme e sono:  compassione, forza e saggezza. 

Dovremmo usare le sofferenze causateci da altri per stimolare la nostra crescita interiore e usare l'intelligenza. L'esperienza di un evento dipende dalla mente di chi la vive ancor più dell'evento stesso.  Questo assunto dovrebbe guidarci per cambiare la nostra esperienza della realtà trasformando la mente. Le persone, soprattutto gli anziani, devono lottare contro gli impulsi distruttivi nei confronti di loro stessi e degli altri. Una persona che sprofonda sempre più nella sua negatività, vive isolata in un mondo che con il tempo diventa sempre più piccolo. 

Per combattere la negatività dei nostri pensieri basterebbe applicare la tecnica dell'esclusione, noi non siamo il nostro corpo, non siamo i nostri pensieri, non siamo le nostre emozioni, ecc... però nessuna parte è separata dalle altre. 

Il problema è che molti occidentali hanno la forte convinzione di essere inadeguati, di non essere degni di diventare illuminati e solo l'incontro con un vero guru, ossia qualcuno che ha visto la verità di persona e può trasmetterla, può aiutarli a rimuovere queste barriere. Spesso quando siamo infelici senza rendercene conto rimaniamo bloccati in una modalità di pensiero che ci rende difficile immaginarne altre. Gli esseri saggi vedono invece diverse possibilità.  Una tecnica utilizzata nel buddhismo è quella di smontare il sè che può essere causa di tanti dolori e patemi, il sè che soffre per la perdità dell'amore e della speranza, che è impaurito o in ansia... Dove si trova questo sè problematico? nel corpo, nel cervello, forse è un aspetto della coscienza? la coscienza mentale? La coscienza è una continuità di momenti mentali, un flusso di pensieri, sensazioni ed esperienze che si susseguono l'uno dopo l'altro durante il giorno, ma quale specifico pensiero è il tuo sè negativo?   Se il sè non è un fenomeno fisico e mentale forse è solo un concetto, un'idea. Quindi non esiste niente di permanente, il sè è soltanto un pensiero.  Non dobbiamo crearci una fantasia così negativa e pensare il sè come un'entità permanente, colpevole, peccaminoso e ammantato di tenebra.  

Esistono due"Io", un Io vero, l'"Io" convenzionalmente accettato, costituito dal corpo, dalla tua storia, dalle cose che ti piacciano, ecc.  e poi c'è l'"Io" falso, ed è l'idea falsa che esista un sè indipendente separato dal corpo e dalla mente, una specie di entità innata dotata di qualità come essere colpevole o di successo, depresso o popolare. Essitono tante versioni di una persona quante sono le menti che la percepiscono, quindi questo sè è soltanto un concetto, un'idea.    La coscienza invece esiste, solo se siamo coscienti possiamo fare ricerche su noi stessi e altro, la coscienza sottile continua attraverso tutte le nostre esperienze, come il filo che passa attraverso le perle di una collana. La coscienza non ha bisogno di un sè e questo sè è unicamente un'idea.   Shantideva afferma:  "Se tutte le ferite, paura e il dolore di questo mondo nascono dall'aggrapparsi al sè, allora a che cosa serve questo grande fantasma?"

Questo tipo di analisi viene chiamata "talità", il modo in cui le cose sono veramente o origine indipendente, in termini sanscriti è chiamata sunyata e costituisce il terzo aspetto del sentiero. Le parole, come tante foglie mosse dalla brezza estiva, sono prive di sostanza o di qualsiasi effettiva importanza: sono idee, e non sono neppure necessarie.

Smettere di cercare la felicità all'esterno di noi è il vero inizio del nostro viaggio spirituale, altrimenti noto come rinuncia.  Per cercare di liberarsi di tutti i pensieri negativi e fare spazio a quelli positivi, uno dei metodi più efficaci è la meditazione. La meditazione è al centro della pratica buddhista, un addestramento della mente che ti permette di affrontare meglio quello che la vita ti presenta. Tutti gli alti e bassi. Riesci più facilmente a individuare  i pensieri negativi e lasciarli andare, come del resto a trovare lo spazio per richiamare la bodhicitta.     La mente che osserva la mente, a questo scopo, prima plachi la mente concentrandoti ad esempio sul respiro, poi rivolgi la tua attenzione ad essa. I pensieri scaturiranno come onde dell'oceano. E questo va bene. Solo non ti devi lasciare coinvolgere. Impari a: riconoscere, accettare, lasciare andare. Riconosci ogni pensiero in quanto tale, non fingi che non stia accadendo. Accetti di aver avuto quel pensiero, al di là della sua natura, buona o cattiva. e quindi lo lasci andare, e scompare...  Si impara a diventare osservatori, diventare quindi padroni dei nostri pensieri anzichè loro vittime, Occorre decidere quali pensieri considerare invece di farsi coinvolgere da tutti, anche da quelli che ci rendono infelici.  Bisogna addestrarsi per rendere questo processo abituale, in modo da decidere cosa entra nella nostra mente, non solo quando si medita ma anche tra una seduta e l'altra. Dobbiamo essere noi a gestire i pensieri, e dunque anche i sentimenti che ne derivano. Quando si pratica questo allenamento mentale si fa una meravigliosa scoperta, via via che si impara a lasciar andare consciamente i pensieri negativi, si scopre che questi non possono esistere senza la nostra attenzione. Hanno bisogno della nostra energia per esistere, per tornare, se non si considerano non possono permanere. Dopo un po' cessano di tornare, perchè la loro esistenza non trova fondamento. Tra i pensieri che abbiamo, il più persistente è quello sull'esistenza di un sè indipendente, ed è il più radicato ed è l'impulso più istintivo che abbiamo. Dovremmo trattare i nostri pensieri come se osservassimo una nuvola di passaggio, quando pratichiamo "la mente che osserva la mente" nell'intervallo tra i pensieri, anche se è molto breve, la scorgiamo direttamente, e scopriamo che possiede determinate qualità: è chiara e perfettamente lucida. Quando si vive questa esperienza si ha la sensazione che questa coscienza primordiale è veramente ciò che siamo, un qualcosa di sottile, senza ego, infinito:

"In genere tutti i fenomeni sono la mente stessa, Non c'è nient'altro che la mente. Qualsiasi cosa appaia, è tutto natura della mente, persino questa è da sempre indeterminata".

E' difficile sviluppare una sincera compassione, sperimentare la vera benevolenza, se non abbiamo conoscenza della sunyata, se non mettiamo in discussione la natura del sè saremo ingannati dalle apparenze, e resteremo vittime della mente. 

Saggezza e conoscenza sono diverse, la saggezza implica la trasmissione di percezioni in modo approfondito, che può portare a un cambiamento, in quel caso la conoscenza diventa saggezza. 

Il guru è l'incarnazione della saggezza, ogni azione del suo corpo, le sue parole e la sua mente sono espressione di saggezza (il guru yoga è il quarto aspetto del sentiero). Un guru non si limita a spiegare e incarnare alcuni valori, ma motiva e ispira anche. Nella crescita spirituale è molto importante la trasmissione diretta tra insegnante e studente. Il guru ci insegna a porre fine all'insoddisfazione e a raggiungere un benessere duraturo. Il guru giusto per noi non è necessariamente il più famoso  ma quello che riesce a entrare in contatto con noi e ci mostra che i nostri problemi non sono fuori nel mondo, ma nella nostra mente, dove possiamo intervenire e affrontarli. Il guru incarna la bodhicitta e la sunyata, e quando meditiamo in sua presenza le nostre menti si incontrano e si sperimenta il non dualismo direttamente, di persona. La cosa più importante che deve trasmettere è la fede, la fede non in una forza esterna o in un sistema di credenze, ma in noi stessi. La fede di avere tutto ciò che ci serve per la felicità nel nostro cuore e svilupparlo.  Nel guru yoga, accostiamo la nostra mente a quella del guru, che consideriamo identica a quella del Buddha; è un modo per aiutarci a evolvere da una mente comune, afflitta dal karma e dall'illusione, alla coscienz adi un Buddha, che è beata e trascendente, al di là della nascita e della morte. 

Nel libro viene anche spiegato in modo molto simpatico il potere della mente: Immaginando fortemente qualcosa si arriva alla manifestazione dell'evento; se pensi costantemente a una persona, a dei modi per entrarci in contatto e avvicinarla, e lo fai in modo costante e determinato un'occasione si manifesterà.  Tutto inizia dall'intenzione, dalla decisione di  volere qualcosa e poi di congiungere, di unire le azioni del corpo, le parole e la mente fino a ottenerla. Questo corrisponde in Occidente alla legge dell'attrazione. Si sceglie un obiettivo, si visualizza in dettaglio, si ripetono affermazioni a tal proposito e si pone l'obiettivo al centro di tutte le azioni finchè non si realizza (purtroppo in Occidente questi obiettivi sono: soldi, amore, carriera lavorativa, ecc). 

Dovremmo immaginare un guru come un essere simile a un Buddha, quello che pensi di lui ha a che fare con la mente e l'atteggiamento, più riesci a pensarlo simile a un Buddha, meglio è per la tua evoluzione interiore. Anche su questo punto gli occidentali hanno grosse riserve sul culto del maestro, per questo i lama dicono agli allievi di leggere i testi sull'argomento e sperano che ci arrivino da soli.  Se ascolti un insegnamento e consideri il lama un essere comune, ricevi benedizioni comuni. Se lo pensi simile a un Buddha, ricevi la benedizione di un Buddha. Da qui la scoperta che la forza delle parole non deriva tanto dalle parole, quanto dalla persona che le pronuncia, Quando riceviamo una benedizione, riceviamo l'ispirazione, l'energia, la volontà di trasformare la nostra esperienza della realtà in un certo modo, da ordinaria a trascendentale. Solo quando abbiamo acquisito una certa familiarità con i sutra che sono gli insegnamenti fondamentali del buddhismo potremo ricevere l'iniziazione da parte di un guru per praticare il tantra yoga. 

Essere nati umani è eccezionale, è un'opportunità straordinaria per arrivare all'illuminazione. In questo gioca un ruolo fondamentale il karma che matura in punto di morte. Ci sono due tipi di karma; il karma completante è il genere di vita che avremo e il karma proiettante che ci catapulta in una forma di vita. Gli animali domestici che si trovano in case buone hanno un karma molto positivo.

Il grande fantasma del sè  è la causa di tanto dolore; si doverebbe riuscire a capire che non c'è un sè da prendere seriamente in considerazione o in un altro modo. 

Ci sono molte persone animate dalla buona intenzione di aiutare i bisognosi ma nel nostro mondo indaffarato è difficile far sì che a questa seguano azioni significative. 

Il loto è il simbolo della rinascita, i fiori di loto sorgono dal fango delle paludi fino a esplodere nella loro sublime bellezza, rappresentano la rinuncia. Senza sofferenza non c'è la spinta a cercare la trascendenza, Niente fango, niente loto, Quando ci inchiniamo di fronte ad un'altra persona, lo facciamo non solo per riverenza nei suoi confronti; ci inchiniamo anche alla nostra natura di Buddha, alla nostra capacità di raggiungere l'illuminazione.

Siti utili:

  • www.davidmichie.com
  • https://gadenforthewest.org/events/      
  • https://davidmichie.substack.com/p/10-points-on-finding-our-guru

mercoledì 3 gennaio 2024

Temi per la meditazione

Meditare è realizzare interiormente l'imperturbabilità dell'Essenza della mente.

La luce è dentro di voi, Lasciate che la luce risplenda.

Rinunciando all'Io, l'Universo diviene l'Io.            

 
Amare universalmente è la vera umiltà.

L'atto perfetto non ha risultato.

Per l'illuminato, qualunque luogo è lo stesso.

Non vi è nulla di buono o di cattivo, ma è il pensiero che lo rende tale. 

Divenite ciò che siete. 

Se un uomo è infelice, sappia che lo è solo a causa di se stesso.

Mirate all'estremo disinteresse, e mantenete in ogni momento la massima calma possibile. 

Il saggio si distingue dai suoi simili, per la sua indipendenza dalle cose esterne. 

Il maestro può solo additare la Via. 

Il saggio non giudica, cerca di comprendere.

Desiderate solo ciò che è dentro di voi.

Noi non siamo ciò che pensiamo di essere, ma siamo ciò che pensiamo.

La vita è un ponte, passateci sopra, ma non costruiteci sopra una casa.

Là non vi è nulla che non si possa trovare qui. 

Sono felici coloro che allineano i loro desideri con i loro doveri.

Lo zen non ha nulla da dire. 

Meglio insudiciarsi mentre cercate di aiutare coloro che sono nel fango, piuttosto che rimanere puliti restando in disparte. 

La terra che non è in nessun luogo è la vera patria.

lunedì 1 gennaio 2024

André Compte-Sponville - un maestro di libertà

 André Compte-Sponville (1952- ) è un ex professore alla Sorbona ed è stato componente del Comitato consultivo nazionale di etica. Autore del Mito di Icaro (1984) propone, attraverso un'opera orientata sia verso il materialismo, che verso la vita spirituale, una filosofia etica difendendo l'idea che bisogna vivere qui e adesso, in quanto solo il reale immediato conta.

All'età di 16 anni André era un cattolico praticante e militante nella JEC (gioventù studentesca cristiana). In questo periodo incontra padre Bernard Feillet al liceo che frequentava (Francois Villon). Padre Bernard gli consiglia di leggere due libri: Les Pensées di Blaise Pascal e Crainte et Tremblement di Kierkegaard. Quello che lo colpisce della lettura del primo libro è la visione dell'uomo, con la sua miseria e le sue contraddizioni, la difficoltà di essere felice e soprattutto la fede che permette di uscire da questa condizione, almeno fornisce la speranza di uscirne. Nel secondo libro trova un certo rapporto con l'assoluto e la trascendenza. Qualche anno più tardi concorderà con i due autori per dire che un ateo lucido e coerente non può sfuggire a una certa disperazione, ma non per questo deve rinunciare ai piaceri della vita, che è preziosa essendo unica.  Leggerà successivamente Albert Camus (vedi Le Mythe de Sisyphe. Essai sur l'absurde) e porterà avanti l'idea di una "gioiosa disperazione" da utilizzare nella quotidianità.  Marcel Conche, Etty Hillesum e Swami Prajnanpad sono promotori di questa "gioiosa disperazione" e l'aiutano a trovare il suo cammino: quello dell'amore della vita, in ogni circostanza.

Poi con l'avvento del maggio-68 sarà preso dalla passione politica aderendo alla sinistra e al Partito Comunista. Perderà la fede, cesserà di interessarsi a Dio e di crederci.  Poi scopre la filosofia con Pierre Hervé, eroe della resistenza, escluso dal partito comunista nel 1956 per aver criticato lo stalinismo. Hervè fa conoscere a André Compte-Sponville  Sartre e Merleau-Ponty. Conosce Althusser, che poi sarà il suo professore, e scopre che il piacere e la gioia sono altrettanto vere che l'angoscia e la disperazione. Scopre che Camus segue lo stesso cammino di Epicuro e Spinoza. 

L'idea di considerare la filosofia  una via sicura come la scienza (come asseriva Kant) era illusoria, e in fondo più Andrè filosofava e meno credeva alla filosofia, e questo lo avvicinava a Pascal: "prendersi gioco della filosofia è veramente il filosofare". I suoi maestri sono stati Louis Althusser e Marcel Conche, ma sono stati soprattutto maestri di libertà, in quanto gli hanno insegnato a pensare, ma non a pensare come loro. Un maestro di libertà è quello che aiuta le persone a trovare il loro cammino, che forma degli spiriti liberi e non dei discepoli. Marcel Conche lo ha guidato nella sua carriera universitaria e poi lo ha aiutato a diventare maestro di conferenze alla Sorbona.

Tra gli scrittori che hanno influenzato Andrè Compte-Sponville possiamo citare anche Claude Lèvi-Strauss e Clemet Rosset. E anche due maestri orientali Jiddu Krishnamurti e Swami Prajnandap, al quale ha consacrato un libro pubblicato nel 1997. A questi bisogna aggiungere due donne Simone Weil e Etty Hillesum che lo hanno aiutato a pensare all'ateismo e alla religione per poi concludere che l'amore della vita è più prezioso delle dottrine. 

Si riferisce spesso a Pascal dicendo che lo ha aiutato a intraprendere la strada della non credenza, perchè Pascal non crede nell'uomo, nella natura, nella storia e nella verità che sono le quattro idolatrie dominanti, ma crede solo a Dio.  Montaigne è il suo maestro di saggezza proprio perchè paradossalmente non crede nella saggezza. Ma offre una saggezza di secondo rango, una saggezza per chi non è saggio, non vuole diventare saggio e lo accetta. Per André questa saggezza esprime l'amore per la vita che è la sola cosa che conta.  

Per scoprire la filosofia consiglia di leggere e rileggere quello che considera il più bel libro di tutti i tempi: Le meditazioni metafisiche di Descartes.  E consiglia di cominciare a esplorare a caso la storia della filosofia il prima possibile. La filosofia non ha mai salvato nessuno, Ma ci libera dalla speranza di una salvezza. E' la buona strada: quella della lucidità e della responsabilità: Filosofare è apprendere a vivere, non a morire o a sperare un'altra vita!         

Riferimenti: I tre libri preferiti da André Compte-Sponville (in filosofia) sono: gli Essais di Montaigne, le Pensées di Pascal e l'Ethique di Spinoza.  Si definisce un filosofo materialista, nello stesso senso di Epicuro, razionalista, nello stesso senso di Spinoza, e umanista, nello stesso senso di Montaigne, e anche "ateo fedele". Propone una saggezza per il nostro tempo e una spiritualità senza Dio.

  • Libro di André Compte-Sponville per esplorare la filosofia: Le plaisir de penser, une introduction à la philosophie.
  • Ultimo libro di André Compte-Sponville La Clé des champs et autres impromptus. 2023
  • André Compte-Sponville, Swami Prajnanpad. Lettres à ses disciples: Tome 2, Les yeux ouverts
  • André Compte-Sponville, De l'autre cote du desespoir. Introduction à la pensée de Svâmi Prajnânpad 

Note:  Louis Althusser (1918-1990) è stato un filosofo francese, principale teorico del marxismo strutturale, oltreché una delle personalità di spicco della corrente filosofico-antropologica strutturalista e post-strutturalista.
Marcel Conche (1992-2022) è stato un filosofo francese e professore emerito all'Università della Sorbona.
Bernard Feillet (1932-2019) a longtemps été prêtre à la chapelle Saint-Bernard, au pied de l'horloge de la gare Montparnasse, à Paris.
Esther Hillesum (1914-1943) è stata una scrittrice olandese ebrea vittima dell'olocausto.
Clément Rosset (1939-2018) è stato un filosofo e scrittore francese
Swami Prajnanpad (1891-1974) è stato il maestro di Arnaud Desjardins (1925-2011), che poi ha trasmesso questa educazione spirituale in Francia all'inizio degli anni '70. 

Su Arnaud Desjardins vedi http://www.gianfrancobertagni.it/materiali/vedanta/osatevivere.htm

domenica 31 dicembre 2023

Guida alla meditazione. Un manuale di evoluzione mentale

Preparati, perchè dovrai proseguire il viaggio da solo.  Il Maestro può soltanto indicarti la via.  Da La Voce del Silenzio.

Concentration and meditation, a manual of mind development, questo è il titolo originale di questo libro scritto da Christmas Humphreys nel 1935.  Humphreys è stato membro della Società Buddhista ed è stato uno dei primi studiosi occidentali a interessarsi di meditazione.

Humphreys inizia facendo la differenza tra 1- la concentrazione, lo sviluppo controllato della mente quale strumento di precisione privo di significato spirituale e 2- la meditazione, il giusto uso delle mente stessa per fini spirituali, separati da quelli puramente materiali.  La meditazione è l'unione, o riunione dell'individuo con la Mente universale, quando la piena coscienza entra per un solo momento in un "non-tempo". Nessun vero maestro di meditazione accetterà mai un soldo per i suoi insegnamenti, e permetterà che si affermi di lui - di possedere poteri anomali. 

La sintesi dell'insegnamento del Buddha è in tre parole: dana, sila, bhavana.  Dana è la carità universale, sila è la moralità rigorosa e bhavana lo sviluppo della mente.  Dopo il dominio etico deve venire la purificazione del cuore. Nell'ottuplice sentiero si parla prima di retta conoscenza, poi retta azione e poi retto sviluppo della mente. 

La retta motivazione è sempre impersonale, un volgersi verso l'eliminazione della sofferenza, e uno sforzo di scoprire in ogni forma di vita quell'Essenza della Mente che come osserva il Sutra di Hui Neng, è intrinsecamente pura. "La Luce è in te, fai in modo che risplenda".  Nessun uomo può essere utile ad altri, se prima non ha conseguito una certa padronanza dei suoi strumenti, dall'altra, l'auto-sviluppo e la purificazione vengono intrapresi invano, finchè permangono pensieri dell'io. 

La via della meditazione è la via della conoscenza, e il fine di tale conoscenza consiste nel trovare e identificare se stesso con l'Io interiore.  San Paolo parla di corpo (che include la personalità complessa), e anima ( che include tutto ciò che è considerato l'io superiore e spirito).  Lo spirito corrisponde a ciò che il Buddha chiamava il "Non nato", Non Originato, Non creato e Non forma. Questo spirito è conosciuto come Atman in India, è l'uomo essenziale e solo un aspetto indivisibile del Tutto senza nome.  Da qui la dottrina buddhista dell'anatta, non-atta (Atman), ideata per eliminare l'illusione che vi sia un principio duraturo nell'uomo.    L'Oriente riassume la sua saggezza nella frase: "Divieni ciò che sei".

Il non Manifesto, l'Uno, tuttavia si manifesta come molti, in corpi di densità crescente, il più tenue dei suoi veli è buddhi (la sede dell'intuizione), e questa insieme a manas (la mente) comprende ciò che può essere chiamato l'IO superiore, in contrapposizione alla personalità composità la cui veste finale è il corpo esteriore.  Questa personalità complessa (skandhas) combatte continuamente con l'Io superiore. Come dice il Dhammapada "Anche se un uomo può vincere in battaglia mille volte mille avversari, colui che vince se stesso è il più grande guerriero".

Tutto ciò che siamo e facciamo è il risultato di ciò che abbiamo pensato, e da ciò che abbiamo fatto nel passato (del nostro karma).  Il pensiero è una forma di materia, e anche di energia, i pensieri sono cose e noi diventiamo ciò che pensiamo. I pensieri influenzano, in bene o in male, altri menti umane. 

Lo sviluppo della mente rientra in due divisioni principali: concentrazione e  meditazione. La meditazione è divisa in tre fasi: 1-  meditazione inferiore, consiste in esercizi iniziali per il retto uso delle strumento, 2- la meditazione superiore, che a sua volta si fonde nella 3- contemplazione

La concentrazione è mettere a fuoco la cosa prescelta escludendo tutto il resto.    

La meditazione inferiore include gli esercizi mentali e esercizi di auto-analisi.  Chi pratica da molto tempo noterà un cambiamento sottile, sarà nel mondo, ma non del mondo e questa sensazione rientra nella meditazione superiore. Per la prima volta il meditante è libero dalla tirannia delle forme. In questa  meditazione superiore rientrano i koan, i jhana, gli stadi di coscienza del buddhismo. La contemplazione è un senso di unione con la Realtà, coloro che hanno raggiunto tale livello non hanno bisogno della letteratura. 

Importante è la preparazione graduale e la continuità nel processo di meditazione, e se lo sforzo è sincero i risultati arriveranno. Non vi sono scorciatoie per giungere alla perfezione, e quando sarà il momento apparirà il maestro.  La meditazione è dapprima uno sforzo, poi un'abitudine e infine una necessità gioiosa, ma ciò non deve distogliere dal compiere i propri doveri quotidiani. 

La concentrazione consiste nel restringere il campo dell'attenzione, in modo e per un tempo determinati dalla volontà - Ernest Wood nel libro Raja Yoga. Nel Dammhapada è scritto "Difficile da controllare, instabile è la mente, anche nella ricerca della gioia" ma "il bene sta nel domare la mente, una mente controllata porta felicità". Sempre nel Dammhapada: "Gli uomini saggi plasmano se stessi".   La concentrazione aiuta a far funzionare mente, emozioni e azioni come unità e lo spreco di energia prodotto dalla preoccupazione viene sostituito da uno sforzo calmo e deciso per eliminare la causa. I fatti sono fatti, ma sta all'individuo decidere quale sarà la sua reazione ad essi. Come osserva Epitteto, "Se un uomo è infelice, sappia che lo è soltanto a causa di se stesso". Il saggio rifiuterà di permettere che l'aspetto mutevole delle circostanze turbi la sua serenità interiore.

La concentrazione non deve essere praticata solo nei trenta minuti della mattina, ma l'intera giornata deve essere spesa nell'applicare la lezione appresa. Importante, inoltre è avere una buona salute e un'efficienza fisica. Molti praticanti yoga hanno capito che non si possono fare progressi con un corpo non depurato, la chiave dello yoga è l'intestino che deve essere depurato. Importante è abituare il corpo all'obbedienza e imparare a distinguere i suoi desideri dai nostri. occorre mettere sotto controllo anche la voglia di dolci, tabacco, comodità, caldo, ecc.  Tutta la giornata deve diventare un esercizio di concentrazione. Il saggio usa i momenti di ozio per qualche fine utile, pronunciando una frase da ripetere, oppure portando in tasca un libricino di saggezza spirituale da leggere e da cui attingere nutrimento all'io interiore.  Questi tipi di esercizi rinvigoriscono la mente.  Utilizzando l'arte del completo rilassamento di corpo e mente si constaterà che dieci minuti di questo esercizio sono più riposanti di molte ore di sonno inquieto. Nella pratica occorre abbandonare il passato, magari conservare solo i ricordi di valore e vivere nel presente. Importante è arrivare a decidere la propria reazione a tutte le circostanze, pensare e agire di conseguenza. La via spirituale ha solo due regole: incominciare e continuare. 

La concentrazione è imparare a mettere a fuoco l'attenzione su un singolo punto e tenervela fissa a volontà. Più l'oggetto è semplice, e più intensa sarà la concentrazione.  Formulate nella mente la ferma intenzione di concentrarvi solo su qualcosa per un periodo determinato.   La via è unica per tutti, i mezzi devono variare a seconda del pellegrino, e inoltre, le vie che portano alla Meta sono numerose come le vite degli uomini.  La cosa più difficile è sbarazzarsi dei pensieri intrusi che si insinueranno nel campo della visione e cercheranno di fuorviare la mente.  I suggerimenti per affrontarli sono : 1- non reprimeteli perchè il più delle volte provoca stanchezza, 2- all'inizo del cammino è difficile ignorarli  3- occorre affrontarli, ma in che modo?  Se ci sono pensieri che portano lontano dall'oggetto di meditazione, bisogna compiere il processo inverso: cercare di ripensare il processo fino a ritornare all'oggetto di meditazione.  4-  più difficile è affrontare una lenta processione di pensieri sconnessi. In questo caso occorre cercare di diventare osservatori, esaminarli con calma e impersonalmente,  lasciate che i pensieri sorgano nella vostra mente senza reprimerli e senza lasciarvi trasportare da essi.  Se un pensiero ritorna in modo persistente cercate di capire se è qualcosa che potete risolvere o meno, nel caso positivo, prendetene nota e ritornate sull'oggetto di meditazione scelto. In ogni caso la vostra parola d'ordine deve essere "pazienza" e non "irritazione".

Esercizi di concentrazione. Scegliete un oggetto, purchè sia piccolo (perchè possa venire visualizzato come un tutto) e puntate deliberatamente su di esso il riflettore della mente. Cercate di compiere questa operazione per sessanta secondi senza la minima deviazione del pensiero e vi renderete conto dell'abisso esistente tra voi e questa forma elementare di controllo del pensiero.  altro esercizio e la concentrazione sul respiro, inspiro, trattieni, espiri, pausa,  si possono anche contare i respiri ( si puà contarefino a dieci per trenta volte). Importante è riempire il corpo d'aria fino alla sua capacità massima, e poi svuotarlo per quanto è possibile. Il risultato secondario, dopo qualche settimana, sarà uno straordinario senso di equilibrio e di forza, e un miglioramento materiale della salute fisica.  Un altro esercizio è l'osservazione dei pensieri oppure la visualizzazione.  Si può effettuare una visualizzazione su un diagramma, un disegno, e dopo averlo considerato con la massima concentrazione mentale, chiudere gli occhi. Con il potere dell'immaginazione si deve provare a ricostruire l'immagine, ossia una riproduzione mentale. Poi provatecon un oggetto tridimensionale che non sia troppo chiaro o troppo scuro.  Si può anche effettuare la visualizzazione di un colore, pensate a un colore primario, per poi muoversi verso i diversi gradi di mescolanza con un altro colore primario. Ad esempio si vuole passare dall'azzurro al giallo, chiudete gli occhi e visualizzate il giallo nell'azzurro. E attraverso tutte le gradazioni di colore, dal verde, al verdastro, fino ad arrivare a un giallo brillante senza la minima sfunmatura di azzurro.   Fino a quando la mente non è completamente e pazientemente allenata alla concentrazione è inutile e pericoloso tentare di meditare, perchè le energie incontrollate potrebebro provocare disturbi morali e fisici.  Importante prima di iniziare è la purezza della motivazione, conferenze e libri possono aiutare. Importante è cominciare e perseverare.   La concentrazione è un processo utile nella vita quotidiana, la meditazione è una marcia interiore.  La carne, alcool, e altro cibo grossolano menomano l'efficienza dello strumento fisico, e così portano all'eccessivo abbandono ai vari impulsi. 

La meditazione inferiore.  Lo scopo della meditazione è triplice: dominare l'io inferiore e separatore, sviluppare le facoltà superiori della mente verso una visione dell'essenziale unità della vita e unire questo duplice processo in uncontinuo spiegamento spirituale. 

"Io non sono ancora io", In queste poche parole è raccolto il segreto, il paradosso dell'uomo.  L'essere umano deve intraprendere un lungo cammino che lo porti al risveglio di aspetti, prima sopiti dell'uomo interiore, e che sono il risultato dell'espansione deliberata del campo della coscienza, che corrisponde all'accrescimento del ritmo di vibrazione della mente. Nell'illuminazione i ceppi della personalità vengono trascesi e l'uomo diviene quel di più, in continua espansione che poi si fonde con il Tutto. Rinunciando all'Io, l'universo diviene "Io".

Conla meditazione, nelle fasi iniziali, si riducono le reazioni agli stimoli esterni (e ciò può essere positivo o negativo) e incomincia a instaurarsi un silenzio interiore e una quiete del cuore. UN secondo elemento è quello di afferrare e comprendere una vasta gamma della coscienza umana e si risvegliano qualità positive come la compassione.  Nella Voce del silenzio si dice: la mente è il grande uccisore del reale; il discepole deve uccidere l'uccisore.  Spesso in queste fasi iniziali continua a predominare l'intelletto.

Oggetti di meditazione. Il Canone pali menziona una quarantina di temi per la meditazione che possono essere riassunti in quattro elementi fondamentali dell'attenzione: il corpo, le sensazioni, la mente e gli elementi dell'Essere.  I testi e maestri buddhisti consigliano i principianti di meditare sui tre veicoli della coscienza con le quali ci poniamo in contatto con le sfere dell'attività fisica, emotiva e mentale.  Si ripetono continuamente durante la meditazione le seguenti frasi: " io non sono il mio corpo fisico, bensì ciò che lo usa, io non sono le mie emozioni, bensì ciò che le controlla, io non sono le mie immagini mentali bensì ciò che le crea".   La mente è la sede dei tre fuochi: l'odio, il desiderio e l'illusione. Dovremmo cominciare a prendere le distanze dall'egotismo, e cominciare a eliminare il pronome io nelle nostre riflessioni, dicendo ad esempio,   "ecco un pensiero nobile, o un pensiero d'odio, nasce, si sviluppa e passa oltre".

Conosci te stesso è il fulcro dell'intera finalità della meditazione, perchè coluiche conosce veramente se stesso è padrone dell'Universo. Molti sono ciechi nei confronti di se stessi, e del fatto che l'IO che conosciamo è un'illusione. Solo quando l'io viene visto per quello che è, è possibile gettare le fondamenta per quella capacità di contare su se stessi che è il coronamento del buddhismo.  Ci sono due modi per affrontare l'io. Un modo consiste nel distruggere il Non-Io, il famoso Neti, Neti,   l'altro consiste nel coltivare l'io.  Questa via consiste nel mettere a fuoco l'ideale, e attraverso l'innalzamento del livello spirituale della coscienza l'individuo si fonde con l'ideale. "L'Io è il Tutto e io sono l'Io".

Il Buddha insegnava che non c'è un IO nei cinque skanda, o elementi costitutivi della personalità, ma questo si riferisce al Samsara, al mondo della manifestazione,  mentre il polo opposto dell'essere, il Nirvana, mostra, al di là di tutti gli attributi, la perfezione e l'immutabilità dell'Io. Quindi non c'è nichilismo nel Buddhismo. Nel dammhapada si dice: la chiave di tutti i fenomeni è la mente. Quando la mente è immersa nella materia, non può vedere la luce. Ma quando viene innalzata ai livelli superiori, tende a muoversi verso il Nirvana, uno stato di perfezione in cui gli elementi dell'essere, che separano la aprte dal tutto, si estinguono. L'aspetto più alto della mente può chiamarsi   Anima, tenendo ben presente che non è in alcun senso immortale.  La mente inferiore è invece chiamata il grande uccisore del Reale perchè nutre la grande eresia della separazione.

I quattro Brahma Vihara, tradotti come stati sublimi o divini della mente occupano un posto centrale nel buddhismo. Nel Maha-sudassana sutta si recita: E egli da sì che la sua mente pervada un quarto del mondo con pensieri di amore universale (metta), con pensieri di compassione (karuna), con pensieri di gioia comprensiva (mudita che include tutto) e con pensieri di equanimità (upekkha).    Per esprimere questo ultimo punto si possono usare le parole distacco e serenità.  Ma acora meglio: un cuore non toccato dalle cose terrene. un cuore non turbato dalla sofferenza, un cuore senza passione, un cuore sicuro, è la benedizione più grande.

Vi sono tanti metodi di meditazione quanti sono i meditatori, ma la meta finale è sempre la stessa. La meta immediata, tuttavia, riguarda generalmente la formazione del carattere e l'elevazione della coscienza. I sistemi di sviluppo morale sono innumerevoli, ma vi è una grande saggezza in quello che sta nel cuore del buddhismo, dana. carità, sila, vita morale, e bhavana, sviluppo della mente. Costituiscno la sintesi del progreso umano esposta nelle scritture pali, ed è interessante vedere  l'ordine in cui sono dati i fattori del triplice progresso. E' importante allentare il senso di attaccamento alle piccole cose, e rispettare l'etica buddhista composta dai cinque precetti: non uccidere, non rubare, non abbandonarsi a eccessi sessuali, non calunniare e non ubriacarsi.  Bisogna lasciar estinguere i tre fuochi che sono: dosa, odio, lobha, la bramosia, e moha, l'illusione.  Comunque qualunque via scelta bisogna evitate gli estremi, l'ascetismo e l'autonegazione. Tutti questi sforzi tesi all'autocontrollo devono sempre avere come obiettivo la distruzione del desiderio, i desideri vanno controllati e indirizzati a finalità più alte. Per la distruzione del desiderio si possono usare tre metodi, evitare, sostituire e sublimare.  Quello della sostituzione è possibile applicarlo all'odio che cessa soltanto con l'amore. Il terzo metodo  può essere applicato all'energia che non può essere annientata ma deve essere trasformata.

L'emozione come ogni altro aspetto della forza vitale ha una duplice manifestazione, l'aspetto inferiore che rispecchia il karma, e l'aspetto superiore che rispecchia l'aspetto spirituale, chiamata intuizione. Le emozioni superiori sono associate a livelli elevati di coscienza e corrispondono ai quattro  incommensurabili stati mentali (Brahma vihara), o Dimore Divine, che sono: amore, compassione, gioia ed equanimità.

L'emozione è connessa con l'istinto e l'intuizione. la funzione del sentimento è accrescere l'energia dell'idea,  le passioni, gli affetti, non devono essere assecondati da colui che aspira a Conoscere, perchè sfiniscono il corpo terreno.  Accusa al buddhismo di essere freddo, l'accusa è vera nel senso che il buddhismo conosce i pericolidell'emozione, ma inquale altro insegnamento si trova un'espressione della vera compassione più nobile di quella che emana dal cuore del buddhismo? L'emozione, poichè tende al personale, ostacola l'esame sereno e spassionato delle leggi e dei principi che conducono all'illuminazione. Il corpo fisico, strumento necessario alla mente, deve essere reso idoneo e mantenuto tale.  

Per mantenere il corpo occorre anche una dieta ideale, che è quella di dimezzare la quantità, evitare cibi conservati e spezie, evitare di bere durante i pasti,  La base di una buona salute è la purezza del sangue e la condizione della colonna.  Il corpo abituato, in salute, può mangiare qualunque cosa e nello stesso tempo farne a meno, se si mangia troppo (dovuto a circostanze particolari, il giorno dopo non si mangia).  Se non si viola nessun principio religioso, è preferibile adattarsi all'ambiente che diventare una seccatura per gli amici ed essere giudicati su fattori non essenziali.  E' da evitare anche l'esercizio fisico eccessivo che può procurare problemi. 

La meditazione superiore. Su questo tipo di meditazione non si può scrivere nulla, le parole sono inadeguate, spesso per esprimere grandi verità si ricorre al simbolo. La vita nel mondo è un pallido riflesso della vita interiore. L'intelletto (la buddhi) costruisce forme e le usa, però ad un certo punto il senso di separazione dovuto, a forma, tempo e distanza si annulla. Come è detto nel Lankavatara sutra, l'intelligenza trascendente nasce quando la mente intellettuale raggiunge il suo limite. appaino lampi id satori, e questi momenti si estendono gradualmente, e questa spinta interiore diventa la Via. I piaceri che un tempo attiravano diventano noiosi e il pensiero e lo studio reclamano più tempo. Questa liberazione dall'intelletto spinge alla gioiosa incoerenza del mondo zen. L'autorealizzazione è uno stato esaltato di conseguimento interiore che trascende ogni pensiero dualistico e sta al di sopra della logica, della teoria, delle argomentazioni. Ogni forma, incluso l'universo stesso, è generata dalla mente. Incominciando a meditare si deve cercare di eliminare ogni parola. Colui che è capace di mantenere la mente imperturbata, indipendentemente dalle circostanze, ha raggiunto il vero samadhi.

L'elevazione della coscienza.  L'ostacolo è quello di vedere noi stessi come entità separate; solo quando questa illusione cade, il meditante incomincia a capire che "abbandonando l'Io, l'Universo diventa Io". Il paradosso dell'Io e Non Io può essere risolto solo dal punto di vista di un terzo unificante, ossia l'innalzamento del livello della coscienza. Nella Baghavad Gita è scritto: "Colui che comprende che tutte le sue azioni sono compiute dalla sola natura, e che l'io interiore non è l'agente, comprende davvero". Il segreto dell'azione nell'inazione e dell'inazione nell'azione è descritto a lungo nella Gita. Per capire questo punto di vista impersonale occorre esaminare e capire le tre qualità della materia chiamate guna, che sono tamas, rajas, e sattva che è la qualità dell'equilibrio e il terzo unificante. L'azione giusta compiuta senza attaccamento ha la qualità del sattva.  Il segreto è trovare la via mediana tra energia e materia, tra le forze della natura e leforze della mente. Il mondo manifesto è il campo di battaglia dove gli opposti si fanno guerra. Si deve arrivare a conoscere l'IO come Uno, e uccidere tutti i desideri dell'io e di essere riassorbiti dalla luce.

L'essenza della mente che trascende tutte le differenze è il "Dio interiore impersonale" sia che sia chimato Krishna, Cristo o Buddha. E le religioni sono una sola, e che tra esse non vi è differenza. IL Vuoto è onnipotente perchè contiene tutto. L'uomo che può accettare ogni circostanza e assorbirla in sè, la priva del potere di influire sulla sua mente.  Il saggio agisce come l'occasione richiede, ma impersonalmente. Tali impersonalità può essere conseguita solo mediante l'azione, dobbiamo usare l'azione per conseguire la non-azione, lo scopo per arrivare all'assenza di scopo. Ciò può essere fatto posizionando la mente in un punto centrale e neutrale tra gli opposti, chiamato laya dalla filosofia orientale. L'azione impersonale distacca dalla personalità e innalza al regno dell'Azione senza scopo. Se un solo atto venisse compiuto impersonalmente noi saremmo ascesi al di sopra del personale, con le sue limitazioni di tempo e di luogo. La corretta interpretazione della dottrina taoista dell'inazione, non è il "non far nulla", ma piuttosto della giusta occasione.

Jhana, (è la forma pali di Dhyana, Ch'an e Zen) in occidente è tradotto con Estasi e rapimento, nel canone pali sono riportati una serie di otto jhana (espansioni successive della coscienza) quattro superiori  (arupa jhana) e quattro inferiori (rupa jhana).  Corrispondono in qualche misura alla meditazione con seme e senza seme.

  • Il primo jhana inferiore è descritto come uno stato della mente in cui sono eliminati desideri di cose piacevoli, bramosie e tutto cià che asservisce alle cose dei sensi.
  • nel secondo la mente diviene quieta, le preoccupazioni terrene diventano remote. 
  • nel terzo viene trasceso il piacere dei sensi. si prova una felicità più tranquilla.
  • nel quarto la coscienza degli opposti viene trascesa, non c'è più sensazione di piacere o di dolore, si ha un'assoluta purezza della mente.
  •   Gli arupa jhana mirano a una deliberata, progressiva espansione della coscienza. Il primo consiste nell'estinguere ogni consapevolezza della forma.
  • nel secondo la coscienza dello spazio sconfinato lascia il posto a un'infinita comprensione di tutta la conoscenza.
  • nel terzo c'è assenza di ogni cosa
  • nel quarto vengono trascese tutte el coppie di contrari, persino quella tra il Tutto e il nulla, tra il tutto e il vuoto.  

La differenza tra contemplazione e meditazione. Annie Besant dice in Introduzione allo Yoga: è il vuoto dell'attesa vigile, non il vuoto del sonno imminente. La consapevolezza è una consapevolezza assolutamente impersonale dell'essenza della cosa osservata. Nella contemplazione la coscienza diviene completamente impersonale. Il contemplatore sa che l'essenza più interiore del soggetto e la sua stessa essenz ainteriore sono aspetti della stessa Essenza Universale della Pura Mente. Questa condizione è come il simbolo del Non-Io, visto per la prima volta quale l'Io assoluto reso manifesto: l'io interiore del contemplatore ha reciso i vincoli che lo incatenavano alla forma. 

In termini di misticismo, la coscienza contemplante percepisce l'Universo in ogni suo particolare, il Tutto in ogni parte, senza perdere la coscienza di sé, il contemplatore percepisce la sua identità con Tutto l'Universo e conosce tale conoscenza nel cervello. A questa condizione ci si può arrivare a lampi di satori.   Quando la contemplazione è finalmente divenuta uan condizione permanente, rimane un solo vincolo che lega il contemplatore alla Ruota della Sofferenza (il samsara) ... la sua volontà di aiutare l'umanità.   "Nella contemplazione si abbandona l'esistenza per l'Essere, i confini del tempo e dello spazio per l'Eterno Presente. Qui è la fonte. Prendete ciò che volete.

Per concludere diciamo che la meditazione è un processo positivo, dinamico, un auto rinnovamento vitale e non una fuga dalla realtà. L'obiettivo è ben definito, la fusione di tutti gli aspetti del nostro essere complesso in un tutto illimitato e illuminato.  Tutte le scuole spirituali propongo metodi, la sola cosa costante è la verità e la via che conduce ad essa. La motivazione di mettersi in cammino deve essere pura e definita, e nessun maestro apparirà finchè lo studente non avrà compiuto da solo i passi preliminari e aver acquisito esperienze. Quasi tutti i segreti sono incomunicabili.  Scegliere un guru è estremamente difficile, non si può scegliere con leggerezza altrimenti si rimarrà imprigionati in altri ceppi. Un segno della falsità del maestro è l'accettare denaro e nessun vero maestro permetterà ai discepoli di venerarlo.

Importante è la condivisione, la nostra crescente conoscenza ed esperienza deve essere condivisa con altri, acquisire la conoscenza per se stessi non ha il minimo valore.  Importante è la comunità: la forza unità di molti è più grande della forza del singolo,  l'esperienz acondivisa può aiutare a superare difficoltà che inevitabilmente sorgeranno; nella comunità, in un gruppo l'esperienza comune dei tentativi e degli errori commessi nel percorso è al servizio di tutti. In questo modo lo studente  può evolvere sulla strada della raggiungere la saggezza, e piano piano si troverà di fronte alla soglia dell'Illuminazione... solo per scoprire che la stessa illuminazione è soltanto un velo, che nasconde un Di Là assolutamente ineffabile.

Le caratteristiche dello zen

Lo zen è unico. I jhana, ossia gli stadi di coscienza per arrivare all'illuminazione, sono progressivi, mentre i risultati della meditazione zen appaiono con sorprendente subitaneità.  Tutti i metodi devono essere giudicati secondo un unico criterio: producono o non producono l'illuminazione.

Le opere del dott. D.T. Suzuki diranno allo studente tutto ciò che si sa della storia, delle finalità e dei metodi speciali dello zen, ma "il resto è silenzio ...   e un dito indica la via".

La caratteristica dello zen è l'uso degli esasperati paradossi, il disprezzo per il convenzionale, la sua impazienza nei confronti delle dottrine formulate, i metodi curiosi e talvolta violenti usati dai maestri zen per aiutare i discepoli a liberarsi, almeno in parte, dai suoi attaccamenti.

Quali sono gli insegnamenti dello zen?  "Una speciale trasmissione al di fuori delle Scritture. Nessuna dipendenza dalle parole e dai concetti. Puntare direttamente all'anima dell'uomo. Vedere nella propria natura.

Una verità spiegata è una verità non più vera. Lo zen sta oltre l'intelletto, la ragione cessa di dominare, e i soli mezzi di comunicazione sono il paradosso e il simbolo, e la comunione delle menti illuminate. Le verità più alte, non sono contenute nelle scritture, ma trasmesse nei secoli  da maestro a discepolo.  I  maestri zen dicono che l'insegnamento di Buddha è stato trasmesso con questo metodo.

Ogni manifestazione è illusione, poichè l'essenza della vita è tathata, una pienezza che nel contempo è un vuoto. Ogni forma di vita, anche la più minuta è l'Universo in miniatura, e nel conseguire l'illuminazione ogni cosa vivente obbedisce al comandamento: "divieni ciò che sei",  vale a dire: "Guarda dentro di te... tu sei il Buddha".  Per ciò che concerne la natura di Buddha, non c'è alcuna differenza tra un ignorante e un illuminato, la differenza è che uno se ne rende conto e l'altro no. Il consiglio del maestro rinzai è: "interiormente ed esteriormente se incontri ostacoli uccidili subito, se incontri il Buddha uccidilo, se incontri il patriarca uccidilo". Non attaccatevi a nessun oggetto, passate oltre, e sarete liberi.  Il consiglio della Voce del silenzio è : "La mente è il grande uccisore del Reale. Il discepolo deve uccidere l'uccisore"

Forse è questa semplicità diretta che affascina molti occidentali. Molti percorsi spirituali cercano di aggiungere delle qualità all'uomo, solo il buddhismo nega l'esistenza stessa dell'individuo. Lo zen consiglia di eliminare e abbandonare ogni qualità o attributo fino a quando non resta nulla, tranne la sua faccia originale, cioè la sua natura essenziale, che è la natura di Buddha.

Tecnica zen.   La meditazione zen può essere considerata sotto quattro aspetti, e cioè la sua continuità, e la natura dello za-zen, del koan e del mondo, e del satori. 

1- La meditazione zen deve essere continua, per questo molti monasteri zen ospitano anche visitatori per periodi più o meno lunghi; residenti (monaci) e visitatori condividono la stessa disciplina e possono una volta ristorati e purificati nel corpo e nella mente ritornare ai doveri della vita quotidiana.

2- Lo za-zen (letteralmente seduta zen). In tutti i monasteri zen i monaci siedono inseme nelal sala della meditazione , ognuno sul proprio cuscino e meditano sul tema (o sul koan) assegnato loro separatamente dal Roshi, il maestro zen.  Lo za-zen è solo una parte della routine quotidiana, nei monasteri chi non lavora, non mangia. Lo zen santifica il lavoro manuale e nello stesso tempo sfida quegli ordini che vivono di carità.  I maestri zen insistono con particolare enfasi "nel servire gli altri, lavorare per gli altri, non ostentatamente ma in segreto, senza che gli altri lo sappiano" - da Saggi sul buddhismo zen.

3- Il koan è unico nello zen, così come è unico. L'esercizio koan ha salvato lo zen quale eredità unica per la cultura dell'Estremo Oriente.  Il koan è una frase, un detto che sfida l'analisi intellettuale. Sono espressioni del satori, senza meditazioni intellettuali, perciò sono rozzi e incomprensibili. Per comprendere un koan dovremmo rifare nascere in noi le condizioni che lo hanno fatto nascere.  Per risolvere questi koan lo studente deve avere il coraggio di abbandonare tutto, e uccidere il pensiero, e nella morte del pensiero trovare la nascita dell'illuminazione. Bisogna lasciare andare; la meditazione zen richiede una determinazione ferrea e una volontà indomabile, che sono perfettamente compatibili con la quiete interiore. "In te possono trovare posto tanto l'azione che la non azione, il tuo corpo è agitato, la tua mente tranquilla, la tua anima è limpida come un lago montano". Questo tipo di sforzo mentale richiede l'apertura di nuove vie nel cervello; se lo sforzo è fatto senza criterio, può provocare problemi e causare serie lesioni fisiche al cervello.

La mente è concentrata sul koan fino a  quando l'intelletto è completamente esaurito, si arriva così a una sospensione delle funzioni in un vuoto senza nome, un lasciarsi andare e solo allora arriva la risposta, un lampo di comprensione parziale o completo.  I grandi maestri zen persistono nel loro scopo senza mai desistere.  Il mondo diventa un rapido scambio di domande e risposte tra maestro e allievo. Domande e risposte devono essre considerate come un tutto. Spesso anche il Buddha rifiutava di rispondere a parole a delle domande e manteneva un nobile silenzio. I koan hanno tutti un fine comune, il conseguimento dell'illuminazione mediante l'azione diretta. 

4- Il satori è la ragione di essere dello zen, lo scopo dell'esercizio koan. Un guardare intuitivamente (al di là della dualità) nella natura delle cose, distinto dalla comprensione analitica e logica. Nel koan, i due poli: pensatore e pensiero si fondono nell'unità e si entra nel regno del terzo superiore, il punto di vista unificante al di sopra di tutti gli opposti. Viene raggiuntosolo con un immane sforzo; il vuoto, di cui è il risultato, è l'antitesi stessa della pura e semplice vacuità. E' il risultato della povertà spirituale raggiunta nello za-zen.  "Rinuncia alla tua vita se vuoi vivere".

Eppure la pienezza del satori, che viene dopo il vuoto totale raggiunto nello za-zen, è una pienezza senza limiti, una fusione della scintilla con la fiamma, dell'individuo con la coscienza universale. In termini psicologici, è una fusione delle parti diverse di un individuo, l'inconscio, il conscio e il superconscio, nell'unità conscia. Attraverso gli esercizi del koan, l'attività più superficiale della mente viene messa a riposo, affinchè le sue parti centrali e profonde, che di solito sono sepolte, vengano spinte a svolgere le loro funzioni native.  I koan sono stati messi a punto per innalzare la coscienza al di sopra della dualità, indicando la via dell'esperienza diretta. Nell'assoluto non ci sono distinzione e relazioni. 

Ci sono diversi gradi di satori che vanno da un lampo di comprensione alla piena illuminazione. Via via che vengono risolti i koan più ostili, l'inconscio pervade sempre più la mente conscia. Bisogna fare attenzione all'auto suggestione e ai falsi satori, perchè spesso la meravigliosa esperienza spirituale è soltanto un frutto della fantasia. Lo schiudersi del satori è il rifacimento della vita stessa. L'esperienza autentica porta a una semplicità d'azione, all'ampiezza della visione, a una quiete interiore, ad una assolutà onestà di pensiero e linguaggio.  L'effetto cumulativo degli esercizi koan innalza il centro spirituale di gravità dal mondo dell'ambizione dell'io al mondo dell'assenza dell'io. E' questa la rinascita  degli antichi Misteri.

Il segreto dello zen è usare la mente per superare la mente, la sola preoccupazione dello zen è arrivare all'illuminazione. Con l'allievo non si sprecano parole, la meta gli viene additata, gli vengono mostrati gli ostacoli; "Il resto è silenzio... e un dito indica la Via".  

Dal libro: Guida alla meditazione, manuale di evoluzione mentale  di Christmas Humphreys.

sabato 30 dicembre 2023

La sillaba AUM

 La sillaba AUM                                               

 

  • è un suono che racchiude in sè tutti i suoni, li comprende come il seme comprende la pianta. Da questa sillaba si sono formate tutte le parole, tutte le vibrazioni, tutte le melodie;
  • è la voce del Divino, era la parola e la parola era con Dio e la parola era Dio;
  • è il suono di tutti gli elementi (terra, acqua, fuoco, aria, etere), è il rombo del suono, il boato dei vulcani, il sussurrio del vento, il rumore del mare, il mormorio dei fiumi, il canto degli uccelli, la voce dell'uomo;
  • è l'immagine dei tre aspetti divini; creazione, conservazione e trasformazione di ogni essere vivente;
  • racchiude in sé le tre Essenze divine: Esistenza (Sat), Conoscenza (Cit) e Beatitudine (Ananda);
  • è la perfezione della Verità, della Saggezza, della Sapienza;
  • é la parola del Divino, del Maestro, del Guru. E' il simbolo cosmico che racchiude l'eternità nei suoi tre aspetti: il passato, il presente, il futuro;
  • rappresenta l'immanenza, la potenza e la trascendenza del Divino, racchiuso e latente in tutte le cose esistenti nell'universo, siano esse grossolane o sottili, visibili o invisibili, organiche o inorganiche.

Ripetendo giornalmente il mantra AUM, vengono poco alla volta potenziate le qualità mentali e risvegliate tutte le energie e facoltà interiori latenti.

Pratichi yoga o te l'hanno raccontato?

Suggerisco di guardare questo video, in cui l'autore, David Barchi, ha usato un linguaggio molto semplice per fare chiarezza sullo yoga  

https://www.youtube.com/watch?v=_-mW_a6j_8o&ab_channel=DavideBarChiYoga


Cosa sono i Chakra?

Gli antichi praticanti di yoga asserivano che corpo, mente e spirito sono una cosa sola, e che le nostre emozioni ed i nostri pensieri abbiano la caratteristica di  manifestarsi non solo sotto forma di eventi psichici, ma anche sotto forma di energia, concentrata in punti ed organi specifici del corpo, e che il ruolo di questa energia sia fondamentale nel determinare il nostro stato di salute e di equilibrio.

 Dal sito https://yoganride.com/  

Cosa sono i Chakra. La parola chakra, in sanscrito, significa “ruota, cerchio o disco”, ed è utilizzata per rappresentare i centri energetici del nostro corpo, che hanno il compito di “ricevere e distribuire” la nostra energia vitale. I chakra principali sono 7, ed ognuno di loro, oltre ad avere caratteristiche specifiche, è associato a determinate emozioni, sensazioni, funzionalità mentali e spirituali, e il cui buon funzionamento è determinante per la buona salute di corpo e mente. Comprendere il loro modo di funzionare e le loro caratteristiche è importante per interpretare al meglio la nostra condizione emozionale ed energetica, e capire come  ristabilire un equilibrio psico-fisico.     

Inoltre, in base della posizione che ogni chakra occupa nel nostro corpo, ad esso viene associata anche una specifica ghiandola endocrina. Le ghiandole endocrine hanno il compito di rilasciare nel corpo gli ormoni, e la loro funzionalità è soggetta ad uno stato di equilibrio che, se compromesso, può generare stress, ansia e malfunzionamento dell’organismo.
Quando l’energia di un chakra è attiva e in equilibrio anche la ghiandola endocrina corrispondente, o gli organi ad essa associati, riescono a svolgere al meglio le loro funzioni vitali. Quando è in squilibrio possono manifestarsi disturbi fisici ed emozionali. Conoscendo il funzionamento dei chakra è quindi possibile comprendere i nostri squilibri energetici, e capire dove andare a lavorare per ristabilire un equilibrio psico-fisico .

Secondo la teoria dello yoga, tutti noi siamo fatti di un corpo fisico, visibile, ed un corpo energetico, invisibile, che regola le nostre attività intellettuali e spirituali. Questo corpo invisibile è fatto di “prana“, ovvero la nostra energia vitale. Il prana fluisce nel nostro corpo attraverso degli speciali canali energetici chiamati “nadi“; questi canali energetici sono numerosissimi, (se ne contano più di 72.000), ma ne esistono 3 di principali:  Sushumna, Ida e Pingala.
Sushumna è la nadi principale; inizia il suo percorso alla base della spina dorsale e lo termina sulla sommità del capo.
Anche le altre due nadi secondarie ma comunque importantissime e cioè Ida e Pingala partono dalla base dalla colonna vertebrale ma anziché procedere in linea retta, seguono un percorso a spirale, incrociandosi per 6 volte prima di terminare nel 6 chakra: Ajna, chiamato anche terzo occhio.
Ogni volta che le nadi (o canali energetici) si incontrano, danno vita ad un chakra. I chakra sono quindi dei vortici di energia.
Lo scopo della pratica dello yoga è quello di risvegliare l’energia che risiede alla base della colonna vertebrale, dove è situato il primo chakra, e di farla risalire lungo questo percorso energetico, attraversando tutti i chakra principali. La kundalin regola il funzionamento dei chakra, riparando i danni causati dallo stress mentale, emotivo e fisico della vita di tutti i giorni.
Ogni chakra ha un proprio colore, un proprio elemento, un proprio suono (o mantra), una divinità, una pietra, un animale, un pianeta e tante altre associazioni.

Primo chakra: Muladhara.  Il primo chakra si trova alla base della colonna vertebrale, all’altezza dell’osso sacro. Muladhara significa “radice” e rappresenta il nostro radicamento, il nostro istinto di sopravvivenza, il bisogno di sicurezza, ed è collegato al soddisfacimento dei nostri bisogni primari, come avere una casa, un lavoro, procurarsi il cibo.
Il suo colore è il rosso, ovvero il colore della forza e dell’energia pura. L’energia di Muladhara è associata alle ghiandole surrenali, ed è responsabile della salute di gambe, piedi, ano, retto, intestino crasso, e coccige.
L’energia carente del primo chakra potrebbe manifestarsi con una sensazione di insicurezza, scarsa fiducia in sé stessi, apatia, eccessiva preoccupazione e paura di perdere ciò che ci da sicurezza e senso di benessere.
Si può anche manifestare con eccessi di rabbia, aggressività, collera, gelosia, violenza o atteggiamento difensivo.
All’opposto, se l’energia di questo chakra è iperattiva, si corre il rischio di riconoscersi eccessivamente attaccati ai beni materiali, e restii a dare o donare qualcosa. (Oppure si è troppo rigidi e ostili ai cambiamenti.)
Gli asana migliori  per stimolare l’energia di Muladhara sono quelli che lavorano con i piedi e le gambe.
Sushumna, (il canale energetico principale), rappresenta infatti la nostra connessione tra terra e cielo, e le gambe sono le radici che fanno da tramite.

Secondo chakra: Svadhisthana. In sanscrito Svadhisthana significa “dolce”. E’ il chakra sacrale, e si trova all’altezza dei genitali. La sua energia rappresenta a capacità di provare emozioni come il desiderio, il piacere, la sessualità e la creatività fisica.
Il suo colore è l’arancione: simbolo di emozioni positive, successo e armonia interiore.
L’energia di Svadhisthana è associata alle gonadi (ovaie per le donne, testicoli per l’uomo), ed è responsabile della salute di genitali, reni, vescica, prostata, sistema circolatorio.
Una carenza nel secondo chakra potrebbe manifestarsi in una chiusura nei confronti della “sensualità” della vita, generando una sorta di difficoltà nel provare stati di gioia.
Gelosie, paure, desideri inappagati e ossessivi, impotenza e frigidità possono essere la manifestazione di una carenza di questa energia. Quando invece l’energia di questo chakra è in eccesso, può condurci alla ricerca ossessiva del piacere, anche e soprattutto a livello sessuale.
Gli asana migliori per questo chakra, sono quelli che lavorano con i fianchi ed il bacino,  in quanto è proprio in questa zona del corpo che si trova Svadhisthana e le relative ghiandole ad esso associate.
Questo centro energetico è associato all’elemento acqua, il che lo rende responsabile della regolazione dei liquidi nel corpo. La circolazione della sua energia, proprio come l’acqua, riesce ad adattarsi ad ogni superficie, e ci permette di fluire con la vita ed adattarci ai cambiamenti.

Terzo chakra: Manipura. Manipura può essere tradotto come “città del gioiello”, ed è il chakra del plesso solare, che si trova all’altezza dell’ombelico. Questo chakra rappresenta l’individualità e la percezione di sé stessi. E’ la sede della determinazione, della forza di volontà, del potere personale e della fiducia in sé.
Il suo colore è il giallo: simbolo di energia, della luce del sole e della conoscenza.
La ghiandola endocrina associata a questo chakra è il pancreas, che è responsabile dei processi digestivi, in quanto regola le funzioni di stomaco, fegato, milza e cistifellea.
Quando il chakra del plesso solare è carente, si possono percepire sensazioni legate alla perdita di autostima e scarsa fiducia in sé stessi.
Al contrario, quando l’energia di questo chakra è in eccesso, si potrebbe percepire un desiderio sfrenato di potere, un’eccessiva arroganza o sicurezza di sé stessi, e ci si potrebbe riconoscere poco o per nulla disposti ad ascoltare l’opinione altrui.
Gli asana migliori che lavorano con questo centro energetico sono quelli che utilizzano gli addominali.
E’ proprio in questa zona del corpo, chiamata anche plesso solare, che risiede l’energia di Manipura, associata all’elemento fuoco e responsabile delle funzioni digestive.

Quarto chakra: Anahata.  Anahata è il chakra del cuore, e rappresenta il centro dell’intero sistema energetico dei chakra. Anahata collega i tre centri inferiori, legati maggiormente agli aspetti materiali, con i tre chakra superiori, di tipo più mentale e spirituale, legati all’intuizione e al pensiero.
La funzione di questo centro energetico è quella che ci dona la capacità di esprimere amore puro e incondizionato.
Il suo colore è il verde, simbolo di equilibrio, compassione, armonia, amore per la natura, salute e depurazione.
La ghiandola endocrina associata a questo chakra è il timo, e questo centro energetico regola le attività dei polmoni, cuore, sistema circolatorio e respiratorio.
La carenza dell’energia di questo chakra può manifestarsi con l’incapacità di esprimere amore, e  con il rifiuto di ricevere manifestazioni di affetto, o di farsi toccare.
Quando l’energia di questo chakra è in eccesso, si corre il rischio di identificarsi eccessivamente con il dolore degli altri, e soffrire così intensamente da risultare emotivamente compromessi e troppo dipendenti.
Gli asana migliori per riequilibrare le energie di Anahata sono quelli di “apertura” del torace.

Quinto chakra: Vishuddha. Vishuddha è il nome sanscrito del chakra della gola, e significa: “puro”.
Questo chakra si trova all’altezza delle gola, e rappresenta la capacità di esprimere ciò che si ha dentro, la comunicazione e la creatività.
Il suo colore è l’azzurro, simbolo di verità, purezza, pulizia e tranquillità.
La ghiandola endocrina associata a questo chakra è la tiroide, e questo centro energetico regola le attività di gola, collo, bocca, denti, mandibola, udito, esofago, parte alta dei polmoni, braccia.
Una carenza del quinto chakra può manifestarsi nella difficoltà ad esprimere le proprie idee, blocchi della creatività, eccessiva timidezza.
Quando, al contrario, l’energia di questo chakra è in eccesso, non riusciamo a controllare le nostre parole, parliamo troppo e a vanvera, senza analizzare il senso di quello che diciamo.
Gli asana migliori per questo chakra, sono quelli che lavorano con il collo e le spalle, proprio perché è li nel mezzo che si trova Vishuddha.
La sua energia è associata all’elemento etere, ed è il primo dei chakra considerati “superiori”, quelli più legati all’aspetto mentale.
E’ legato anche alla nostra capacità di comunicazione…. non a caso, quando abbiamo difficoltà ad esprimere ciò che abbiamo dentro, proviamo un “nodo alla gola”.

Sesto chakra: Ajna. Il sesto chakra è localizzato al centro della fronte; il suo nome in sanscrito è Ajna, significa conoscere, percepire ed anche comandare, nel senso di avere il comando sulla nostra mente.
Ajna è chiamato anche il chakra del terzo occhio, cioè quell’occhio non fisico che è in grado di percepire la realtà più profonda dell’esistenza. La sua funzione è l’intuizione e la visione. E’ qui che hanno sede l’immaginazione creativa, le capacità intellettuali, e la memoria.
Il suo colore è l’indaco, simbolo di saggezza, di conoscenza e di misticismo. Il chakra del terzo occhio è associato all’ipofisi, la ghiandola adibita al controllo del sistema ormonale.
Le parti del corpo ad esso associate sono cervelletto, sistema nervoso, sistema ormonale, occhi, orecchie, naso e seno paranasale. Quando il chakra è in carenza, si fatica a fidarsi del proprio intuito, a mantenere la concentrazione o a ricordare le cose.
Si può manifestare come un eccesso di razionalità, che determina la difficoltà di vedere e immaginare la realtà in modo diverso da come la si percepisce.
Quando, al contrario, la sua energia è in eccesso, risucchia l’energia dei chakra inferiori e vengono quindi a mancare senso di radicamento e di stabilità.
Gli asana migliori per riequilibrare questo chakra sono quelli maggiormente legati all’aspetto mentale, come gli esercizi di visualizzazione, concentrazione, o la meditazione.
Il palming è un’ottima tecnica per prendersi cura di Ajna, in quanto aiuta a rilassare la vista e stimola l’energia del terzo occhio.

Settimo chakra: Sahasrara.  Il settimo chakra, o “Chakra della Corona”, si trova sulla sommità del cranio e significa “mille volte”. La sua funzione è il collegamento spirituale, ed è il centro della spiritualità e della fede. (A prescindere da quale sia il nostro credo religioso.)
Serve per metterci in relazione con la nostra parte spirituale, e, quindi, con il divino. E’ una spiritualità che trascende la religione, è piuttosto uno stato dell’essere, che va oltre il mondo fisico e crea nella persona un senso d’interezza, dando scopo alla nostra vita e creando un contesto più ampio in cui collocare la nostra esistenza. L’attivazione di questo chakra implica l’apertura a nuovi modelli di pensiero, e a fonti di saggezza e conoscenza nuove e mai esplorate prima.
La sua energia ci aiuta ad abbandonare il passato, lasciandoci alle spalle eventi o traumi, e ci insegna a riconoscere le nostre responsabilità.
Il suo colore è il viola, tradizionalmente associato alla ricchezza spirituale e alla maestà.
Il chakra della corona è associato alla ghiandola pineale, un centro che, nel nostro corpo, regola il ritmo sonno-veglia, fame-sete e la temperatura corporea, oltre che stimolare l’ipofisi a produrre ormoni.
Una carenza di Sahasrara comporta un impedimento al flusso energetico lungo il cammino della coscienza, e si manifesta come difficoltà nell’apprendimento e nella concentrazione, oppure con un senso di chiusura e ostilità verso nuove informazioni o punti di vista.
Un altro tipico “sintomo” di un settimo chakra carente è lo scetticismo spirituale, ossia la convinzione che non esista nulla al di fuori del mondo tangibile.
Quando la sua energia è in eccesso, può portare ad un eccesso di dipendenza spirituale, può spingere a  perdere il contatto con il proprio radicamento e le proprie emozioni, perché viene sottratta energia ai chakra inferiori.
Gli asana migliori per riequilibrare questo chakra, sono quelli grazie ai quali  si riesce a “trascendere” il corpo dalla mente, ovvero quello stato in cui si riesce, anche solo per qualche secondo, a non “percepire” più il proprio corpo, provando una profonda sensazione di pace e rilassamento… come in Yoga Nidra per esempio.

Per comprendere come stanno i tuoi chakra puoi fare un test su questo sito:   https://yoganride.com/  

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