sabato 24 luglio 2021

Karlfried Graf Dürckheim

Karlfried Graf Dürckheim (1896 - 1988) rimane una delle più grandi guide spirituali del cammino iniziatico. Avendo raggiunto l'unità interiore estatica attraverso la pratica e l'esperienza meditativa dello zen, la adattò alla mente occidentale, permettendo a molte persone di scoprire la presenza divina nel loro essere più profondo.

Chi era veramente Dürckheim?  Da non confondere con David Émile Durkheim (1858-1917),  un sociologo francese considerato come uno dei fondatori della sociologia moderna.

 
Nato a Monaco, nella patria dei grandi mistici renani, Karlfried divenne professore di filosofia e psicologia all'Università di Lipsia e Kiel. Influenzato da Lao-tzu e dal maestro Eckhart, che risvegliò in lui l'attrazione della profondità, si iniziò alla meditazione. Durante un lungo soggiorno in Giappone, incontrò dei maestri Zen e praticò degli esercizi che permettevano l'espressione di quello che lui chiamava "l'Essere essenziale: l'identità sacra immanente ad ogni essere umano". Questa esperienza rivelatrice fece di lui il testimone vivente di un'altra realtà al di là dello spazio e del tempo, il testimone e profeta di una vera religiosità basata sull'esperienza personale del contatto con se stessi.

Per Dürckheim, un tale contatto diventa possibile, in particolare, attraverso la meditazione, che permette di lasciare che il vuoto si depositi in se stessi e così "lasciarsi accogliere da qualcosa del Tutto Altro". Questo contatto è possibile anche grazie al radicamento nella vita concreta. Ed è senza dubbio qui che si trova l'originalità e la profondità dell'insegnamento del maestro: "Il fine dell'esistenza è proprio quello di cercare in ogni occasione l'unificazione tra il nostro Essere esistenziale o sociale, dipendente dallo spazio, dal tempo e dalla materia, e il nostro Essere essenziale senza limiti".  Che potrebbe essere tradotto come cercare di conciliare l'immanenza con la trascendenza.

 Quando tornò in Germania nel 1947, Dürckheim incontrò la sua ex studentessa e futura moglie, Maria Hippius. Insieme a lei, fondò un centro di formazione in psicologia esistenziale, che sarebbe diventato una Scuola di Terapia Iniziatica. Ogni giorno, Dürckheim consultava, guidava e curava, proponendo esercizi sul corpo volti al rilassamento dell'essere, preliminare essenziale all'espressione dell'Essere profondo. Ma soprattutto, promuoveva la vita quotidiana nella sua forma più salutare. "Tutte le nostre attività," dice, "tutte le situazioni della nostra vita possono diventare esercizi sul cammino non appena coltiviamo l'arte di vivere nel momento presente".

 Ciò che è importante, dice, è testimoniare ciò che siamo, "accordarci come uno strumento in modo che il suono dell'Essere risuoni in noi". Questo, dunque, è il cammino della maturità spirituale: ristabilire qui e ora il contatto con la nostra fonte divina. È questa intima comunione dell'Io e del Sé che eleva la coscienza e le permette di sentire il senso della vita, delle prove, della sofferenza, della morte...  È questa comunione che libera in noi un'incommensurabile energia d'Amore che ci fa gustare la non dualità e il desiderio dell'evoluzione perpetua. 

Riscoprendo la vera identità, Karlfried Dürckheim è riuscito a dare un nuovo significato alla parola "spiritualità", termine ad oggi molto abusato in Occidente.

Nel libro Meditare perchè e come: verso la via iniziatica, Dürckheim  presenta la somma delle sue conoscenze ed esperienze e il testo è un'introduzione approfondita della meditazione. Con la meditazione, possiamo capire e praticare diverse cose. Ma qui, nella prima parte del testo, la meditazione di cui parla l'autore è intesa come esercizio iniziatico che tende alla scoperta dell''Essere essenziale e ad assumere una forma nel mondo. Nella seconda parte si considerano le condizioni e gli esercizi preparatori, seguiti dall'esercizio stesso della meditazione, in tre modi:

  • esercizi piuttosto passivi (zazen);
  • esercizi più attivi che servono per l'allenamento e per la realizzazione di un'attività utile al progresso nel cammino interiore (disegno, pittura, danza, musica, tiro con l'arco, scherma, ecc;)
  • prendere la vita quotidiana come esercizio.

giovedì 15 luglio 2021

Come diventare Buddha in cinque settimane

Stavo leggendo un libretto Come diventare buddha in cinque settimane, dove l'autore tra l’ironico ed il serio propone una strada per arrivare al benessere interiore e ho pensato di riproporre alcune frasi, che potrebbero portare ad una riflessione: 

  • Il disagio e malessere che proviamo di fronte a determinate situazioni (o se vuoi il suo opposto, la serenità) non dipende dalle situazioni o dalle circostanze ma dalla nostra reazione ad esse.
  • Non sono gli altri che creano la nostra sofferenza ma la nostra reazione alle loro azioni.
  • Il pensiero che produce sofferenza o disagio NON è volontario, è prodotto dal nostro inconscio.
  • Insicurezze ed ansie sono incise nella memoria e i pensieri le riproducono.
  • Noi siamo dominati da tutto quello con cui ci identifichiamo.
  • Possiamo raggiungere uno stato di tranquillità interiore solo con l’osservazione distaccata dei pensieri e mettendo sotto controllo la mente (eliminando i pensieri negativi e costruendo pensieri positivi) aiutandoci con la tecnica del controllo del respiro. 
  • Non arrecare sofferenza agli altri è un imperativo categorico che non può essere scisso dall’impegno di non generare sofferenza dentro di sé. 
  • Il voler eliminare la sofferenza degli altri (o voler aiutare gli altri) a tutti i costi o il farsi carico delle sofferenze degli altri non è positivo (è nevrotico).
  • Occorre dare priorità al cercare di togliere la sofferenza dentro di noi. 
  • Non dobbiamo farci carico di tutti i problemi del mondo. 
  • Se qualcuno chiede aiuto aiutiamolo ma non bisogna diventare schiavi del complesso del boy scout.
  • Gli altri hanno il diritto di essere come sono, indipendentemente dalle nostre aspettative.
  • Spesso le paure sono immaginarie, create da noi stessi. 
  • Non sono gli altri che creano la tua sofferenza ma la tua reazione alle loro azioni.
  • Spesso diamo all’altro la colpa della nostra sofferenza. 
  • Se una persona scappa, è dovuto spesso al fatto che non erano fatti l’uno per l’altra.  
  • Se qualcuno chiede aiuto daglielo.
Poi, nel libretto sono riportati in modo sintetico i principi fondamentali del buddhismo che sono sintetizzati nel modo seguente.

 Le quattro nobili verità nel buddhismo sono:

  • L’esistenza della sofferenza (l’assenza di ciò che si ama, il desiderio)
  • La causa della sofferenza (disagio) è l’attaccamento (alle cose o persone)
  • La sofferenza può estinguersi con l’estinzione della causa della sofferenza stessa che è l’attaccamento.
  • La via che conduce all’estinzione della sofferenza è l’ottuplice sentiero

Il nobile ottuplice sentiero è composto da:

  1. Retta comprensione (illuminazione, retta conoscenza, la realtà è un continuo divenire ed è impermanente).
  2. Retto pensiero (né confusione, né ira, né desiderio, né libidine). Pensiero positivo.
  3. Retta parola.
  4. Retta azione.
  5. Retti mezzi di sussistenza (esercitare una professione che non procuri sofferenza a noi e agli altri), condurre una vita NON contraria alla morale nella quale si è educati. 
  6. Retto sforzo consiste nella volontà di attuare la retta concentrazione e osservazione dei pensieri
  7. Retta presenza mentale (consapevolezza), portare la presenza nella realtà, vivere il qui e ora.
  8. Retta concentrazione (osservazione distaccata dei pensieri)

Gli obiettivi del nobile ottuplice sentiero sono lo sviluppo dei seguenti poteri:

Controllo della mente.  Il pensiero è usato volontariamente per risolvere problemi pratici, il KOAN zen serve a far capire all’allievo che il pensiero è inutile e a far rivolgere l’attenzione alla realtà. Occorre distinguere il mondo della mente dal mondo della realtà. Un monaco zen ti chiederebbe “Mostrami la mano dove tieni la sofferenza”.

Forse questa è una delle distinzioni tra Yoga e Buddismo, Per lo Yoga il pensiero è più reale della realtà che ci circonda, ha una forza, una forma, una autonomia, ed influenza la realtà.

Presenza nella realtà. Consapevolezza del cambiamento (è l’illuminazione). Tutto è in continua trasformazione, tutte le cose sono interdipendenti. Avere aspettative è causa di sofferenza. Un individuo dovrebbe riuscire a fare a meno di punti di riferimento. La sofferenza ha tre cause immediate:le aspettative, le paure e i sensi di colpa.  

Non attaccamento. Ci sono due tipi di attaccamento: materiale ed affettivo. Non occorre avere una pretesa di possesso, volere essere amati, non pretendere ciò che non c’è, ma apprezzare e godere di ciò che c’è. La consapevolezza della precarietà della vita ti fa apprezzare di più le cose.

Amore universale (compassione e dedizione). Compassione significa provare la stessa passione, la stessa sofferenza. Solo quando avrai imparato ad accettarti e a perdonarti avrai imparato ad amarti e potrai amare veramente gli altri. Amore è vedere noi stessi nell’altro, identificarci con l’universo che ci circonda, è un'accettazione incondizionata.  Senza l’amore universale l''individuo sarebbe autocentrato e desideroso di approfittare di ogni situazione, ma sostanzialmente isolato dagli altri, privo di quelle capacità di comunicare con gli altri esseri, privo di serenità.   Solo con la messa in atto dell’amore universale si completa lo stato di buddhità.

Indicazioni per eseguire una sequenza di Yoga - Dal testo gli Yoga sutra

Dal testo gli Yoga sutra di Patanjali (uno dei testi fondamentali dello yoga)

  • Yoga è vigilanza e rilassamento, concentrazione e calma -  Pada (capitolo)  I,  paragrafo 2 
  • Nell'eseguire le posizioni occorre il giusto sforzo e il rilassamento delle tensioni inutili -  Pada II, 47
  • Occorre essere concentrati sull'inspirazione ed espirazione - Pada II, 50
  • Durante il mantenimento delle posizioni ci deve essere stabilità (sthira) e benessere (sukha) - Pada II, 46 Mentre facciamo yoga occorre lasciare in pace i rumori interiori.
  • Attraverso le  Posizioni (Asana) bisogna entrare in contatto con noi stessi, per cercare di trovare lo stato in cui la mente sperimenta uno stato di benessere  - Pada II. 46 e 47,
  • Nell'assumere una posizione bisogna adottare il giusto sforzo, Se il corpo trema significa che stiamo andando oltre il limite - bisogna cambiare la posizione;  Non bisogna nemmeno stare sotto il limite.
  • Come apprendiamo? Questa è la sequenza indicata da Patanjali: Apprendiamo tramite percezione diretta, la riflessione, attraverso i testi oppure tramite un  insegnante - Pada I. 7 
  • Respiro e movimento devono avere la stessa lunghezza, Respiro e il movimento devono essere uniformi - Pada II.  49 e 50,  Se l’inspiro è più lungo dell’espiro si creano tensioni,  questo è scritto nel testo Yoga Sutra. 
 Altre indicazioni (Non incluse negli Yoga sutra)
  • Nel praticare il Pranayama occorre cercare  di  allungare progressivamente il tempo della respirazione, il respiro deve essere uniforme e sottile, Occorre essere capaci di osservare il respiro.
  • Occorre rilassare le tensioni inutili, più si espira, più ci si dovrebbe tranquillizzare.
  • La qualità del respiro porta alla qualità della mente, mente  e respiro si influenzano reciprocamente.
  • Il pranayama aumenta la qualità della concentrazione, favorisce uno stato mentale diverso (in cui si riscontra una maggiore tranquillità).  Se non funziona  dobbiamo cambiare tipo di pranayama.
  • Il rapporto tra inspirazione ed espirazione è il seguente: inspiri  per 3 secondi - espiri il doppio  6; se applichi la ritenzione del respiro: inspiri 3,  trattieni il respiro 12,  espiri 6.
  • Durante la respirazione occorre sentire il sollevamento e abbassamento dell’addome con le mani, la sensazione più è esterna e più è percepibile. Poi, provare a sentire il respiro della pancia senza le mani, mantenendo le mani sulle ginocchia, e  quando si perde il contatto con il respiro, si riparte dall'inizio. 
  • Per stimolare l’apprendimento l'insegnante deve creare una buona relazione con l’allievo. 
  • Durante la pratica più siamo centrati – meno saremo soggetti alle influenze negative.
  • Occorre proporre dalla sequenza più statica alla sequenza più dinamica. Le sequenze più statiche sono adatte a persona adulte mentre le sequenze più dinamiche sono più adatte a persone giovani. Ad allievi iperattivi occorre proporre la sequenza del saluto al sole.
  • Nella sequenza delle posizioni, ci sono delle posizioni (asana) di preparazione, c’è una asana che occupa la posizione centrale (quella più impegnativa) e c’è una asana di compensazione.  Molto importante è anche rispettare questo ordine: posizione iniziale, cuore della sequenza, posizione finale.
  • La posizione migliore per il rilassamento è la posizione distesa, schiena a terra, con le gambe sollevate da terra che appoggiano su qualcosa. 
  • Se praticate regolarmente yoga farete quello che dovete fare nella quotidianità  meglio e in minor tempo, avrete una migliore percezione di voi stessi, una maggior consapevolezza, più fiducia. 
  • Spesso si  pretende una risposta immediata ad una azione, e questo è un grosso errore
  • All'inizio e alla fine della lezione si dovrebbe pronunciare il mantra AUM.  A è la prima lettera dell’alfabeto indiano, U l’ultima lettera dell’alfabeto, M la lettera centrale. A rappresenta  Bhrama,   U rappresenta Vishnu  e la M rappresenta Shiva.

Alla fine della sequenza si termina con un breve rilassamento del corpo:

  • Mi concentro sulle sensazioni della gamba sinistra, invio un sorriso alla gamba sinistra,
  • Mi concentro sulle sensazioni della gamba destra, invio un sorriso alla gamba destra,
  • Mi concentro sulle sensazioni del braccio sinistro, invio un sorriso alla braccio sinistro,
  • Mi concentro sulle sensazioni del braccio destro, invio un sorriso al braccio destro,
  • Mi concentro sulle sensazioni dell'addome, invio un sorriso all'addome,
  • Mi concentro sulle sensazioni del torace, invio un sorriso al torace,
  • Mi concentro sulle sensazioni delle clavicole, invio un sorriso alle clavicole,
  • Mi concentro sulle sensazioni della testa, invio un sorriso alla testa,
  • Mi concentro su tutto il corpo, invio un sorriso a tutto il corpo.

Nello Yoga, Dio viene sostituito con Iswara (lo splendente, il forte e il vittorioso) e rappresenta l'Energia suprema. ed è l’Entità che ha reso manifesto il cosmo. Il divino non ha una forma unica: ognuno vive il sacro in maniera differente ed è proprio ciò che contraddistingue la spirititualità dalla religione. Per un amante della natura il sacro risiede nella Madre Terra, oppure può manifestarsi in un suono, in un’opera d’arte. Isvara Pranidhara è anche tradotto come l’offerta di ogni frutto delle nostre azioni al divino. Se impariamo a vivere ogni azione, come un atto di devozione, ogni nostro gesto sarà allora accompagnato da uno stato d’animo gioiso.

Riferimenti.  Seminario di Yoga tenuto da Mario Cistulli. Mario.cistulli@fastwebnet.it    Cistulli si ispira alla tradizione di Krishnamacharya.

Libri consigliati. 

  • T.K.V. Desikachar (è il figlio di T. Krishnamacharya) “Il cuore dello Yoga”,
  • A.G. Mohan “Lo yoga del corpo, del respiro e della mente",
  • Frans Moors “Patanjali, Yoga Sutra”,
  • Le cahiers de presence de l’esprit,  www.epyoga.fr
  • Thich Nhat Hanh « L’unica nostra arma è la pace »,
  • Kausthub Desikachar “Yoga pour les jeunes”. 

Imparare a vivere con le nostre emozioni

Articolo scritto dal mio amico Dominique Bordet che ha preso spunto dal capitolo 3
Imparare a vivere con le nostre emozioni  del testo 
 Tre amici in cerca di saggezza - scritto da Christophe André, Alexandre Jollien, Matthieu Ricard

Propongo di seguito altre note di lettura su questo bellissimo libro, di tre autori che ammiro profondamente. Vi ricordo che Christophe André è uno psichiatra che lavora all'ospedale Sainte Anne di Parigi. Ha introdotto le pratiche terapeutiche della meditazione mindfulness in Francia e si occupa di psicologia positiva e pratiche cognitivo-comportamentali. Matthieu Ricard è un monaco buddista che ha accompagnato e tradotto il Dalai Lama in Francia, e Alexandre Jollien, un filosofo, che testimonia la sua vita di malato di paralisi cerebrale pieno di intelligenza e altruismo. Tutti e tre hanno scritto numerosi libri e sono molto presenti nei media.

Mi piace questo libro perché il suo approccio è molto concreto. Propone pratiche quotidiane che costituiscono un percorso spirituale per soffrire meno, per essere felici, pratiche semplici che ci avvicinano agli altri. Questo libro ci aiuta a capire cosa succede dentro di noi, utilizzando le conoscenze avanzate delle neuroscienze. Ci aiuta a non rimanere in atteggiamenti di vita o pensieri più o meno utili, o più o meno dannosi. Ci impedisce di pensare troppo, di pensare nel modo sbagliato o di ruminare, e ci aiuta ad agire per trasformare il nostro rapporto con noi stessi e con il mondo.

Come molte persone, sono arrivato allo yoga perché avevo male alla schiena. Naturalmente cercavo confusamente più armonia interiore, più serenità per affrontare una vita stressante. Ma ero ben lontano dal sospettare che grazie ad un buon maestro (Mahazosoa), stavo iniziando un vero e proprio percorso di conoscenza e controllo profondo, non solo del mio corpo, attraverso le asana, ma ancor più delle mie emozioni e dei miei pensieri. In questo senso, questo libro è un supporto meraviglioso in questo processo di autoconoscenza.

Quello che ci dice questo terzo capitolo, uno dei più ricchi del libro, è che il più delle volte viviamo in uno stato di incoscienza di ciò che i nostri sensi ci fanno sentire, e quindi, delle emozioni che queste sensazioni generano. Tuttavia, le nostre emozioni hanno un impatto straordinario sui nostri pensieri e la nostra idea delle cose, la nostra rappresentazione del mondo. Questo capitolo ci aiuta a capire quanto poco controllo abbiamo su ciò che pensiamo. Ci vediamo come esseri dotati di ragione, e la nostra cultura occidentale (Cartesio, "penso dunque sono") ci porta a credere che quando pensiamo siamo esseri superiori. Beh no, questo non è vero. La vita in società, il trambusto quotidiano, lo stress, la necessità di agire per guadagnarsi da vivere, le ansie e le paure della vita, e a maggior ragione il consumismo esacerbato, la ricerca frenetica di piaceri sensuali, tutto questo ci isola gli uni dagli altri, ci proietta fuori di noi e ci fa vedere le cose come non sono. Tanto che i piaceri possono diventare una fonte di sofferenza. Matthieu Ricard spiega qui la differenza tra felicità e piacere. "Siamo intermittenti di felicità", dice Christophe André, essere felici è uno stato instabile. È importante creare in noi le condizioni per rendere sostenibile la felicità, "sentirsi sempre in connessione armoniosa con il mondo", che sarebbe la mia definizione di felicità.

"L'emozione è come il fuoco che cova sotto i miei pensieri" dice Christophe André. Aggiunge che le emozioni non sono necessariamente forti o esplosive, possiamo sperimentare emozioni "di basso profilo", stati d'animo di fondo che ci trattengono per tutta la vita e che influenzano tutte le nostre idee e rappresentazioni, a volte molto negativamente; per esempio, provare per tutta la vita un risentimento per un tradimento o un atto inadeguato di un membro della famiglia, di vergogna o di colpa per le nostre stesse azioni, avrà un impatto molto negativo sulla nostra vita.

È quindi molto importante, ci dicono i nostri tre amici, conoscere le nostre emozioni e la loro provenienza per non esserne più vittime inconsapevoli. Sono prima di tutto il risultato del modo in cui usiamo i nostri sensi e di come riattiviamo in modo ricorrente sensazioni provenienti da abitudini di vita, o anche da dipendenze acquisite il più delle volte inconsciamente. Sono quindi anche il risultato della nostra storia, della nostra esperienza personale nel contesto sociale e familiare in cui siamo cresciuti. Quindi la priorità è diventare consapevoli di tutto questo. Se non siamo consapevoli di questa esperienza, ci condanniamo a riprodurla ad vitam aeternam, e ci tagliamo fuori da una relazione più aperta, libera ed elevata con la vita reale. Le nostre emozioni inconsce sono una fonte di sofferenza e di squilibrio psichico.

Come possiamo diventare consapevoli di queste emozioni? Christophe André e Matthieu Ricard propongono delle tecniche, a partire dalla meditazione, che comprende l'osservazione delle proprie emozioni senza giudizio. Conosci te stesso e conoscerai il mondo. Non si tratta di reprimere le proprie emozioni, ma di portarle alla superficie della coscienza. Mi piace la dignità delle forme di controllo emotivo che si trovano in certe culture, soprattutto orientali (ma anche negli inglesi e nel loro "stiff upper lip"). Ma spesso questo controllo è accompagnato da una repressione emotiva. L'idea non è quella di reprimere le proprie emozioni ma di conoscerle, per non esserne vittima. Una persona che reprime troppo le sue emozioni sarà facilmente vista come insincera, perché tutto ciò che non è permesso di mostrarsi si esprimerà in gesti e atteggiamenti inconsci che appariranno contraddittori alle persone che la circondano.

Matthieu Ricard dice che i neurologi considerano i circuiti neurali dell'emozione molto vicini a quelli della conoscenza; "la distinzione tra l'emotivo e il cognitivo è tutt'altro che chiara. Ciò che prendiamo per conoscenza necessaria e utile è spesso solo la cristallizzazione di sensazioni ed emozioni che ci invadono. Facciamo presto a credere che ciò che un momento di emozione ci ha fatto credere sia la verità. Il che mi fa pensare che per essere felici bisogna pensare meno. Simone Weil dice che l'intelligenza non ha bisogno di accumulare conoscenze, basta ordinare ed eliminare le conoscenze inutili. In queste condizioni, credere di poter pensare in modo corretto e rappresentare noi stessi, gli altri e il mondo come sono, è un'illusione.

L'illusione o "Maya" nel linguaggio buddhista è un concetto che mi ha incuriosito, ma che capisco meglio dopo aver letto questo libro. Ho pensato: perché dovremmo credere che i nostri sensi non ci dicono la verità? È grazie a loro che noi apprendiamo il mondo e siamo vivi... Ora capisco che non è tanto che ci ingannano, è che ci agitano, ci agitano, ci fanno reagire il più delle volte senza tener conto di ciò che siamo veramente, nel profondo. I nostri sensi e le nostre emozioni possono letteralmente "prenderci alla sprovvista". Ci danno solo una visione molto parziale della realtà. Finché non mi è chiara questa sequenza "sensazioni-emozioni-pensiero", finché non capisco come tutto ciò che credo di essere, tutto ciò che professo è una costruzione fragile ed egoista, spesso basata su sensazioni ed emozioni fugaci, destinate a scomparire, e che sono io a solidificarli e cristallizzarli, per molte ragioni (piaceri e paure, desiderio di riprodurre o fuggire ciò che abbiamo già sperimentato), sono condannato a chiudermi in una visione ristretta e a riprodurre all'infinito ciò che ho già sperimentato, bene o male, piacere o dolore, gioia o tristezza ecc.

È chiaro che quando il pensiero è invaso da emozioni soggettive e idee preconfezionate, la relazione con gli altri e la comprensione del mondo diventano difficili, persino fonte di sofferenza. "Tra quello che penso, quello che voglio dire, quello che penso di dire, quello che dico, quello che vuoi sentire, quello che senti, quello che vuoi capire, quello che capisci, ci sono dieci possibilità che abbiamo difficoltà a comunicare. Ma proviamoci lo stesso “(Bernard Weber, il corso di psicobiologia di mia figlia quando era al secondo anno di medicina). È così difficile ascoltarsi l'un l'altro, non aggiungiamo delle difficoltà gettando i nostri stati emotivi come barriere tra di noi. Ma l'ascolto è il soggetto di un altro bellissimo capitolo di questo libro... di cui parlerò anche.

Una nota aggiuntiva per coloro che hanno familiarità con le "otto membra dello yoga" come definite nello Yoga Sutra di Patanjali: mi sembra che le spiegazioni dei nostri tre amici in questo capitolo siano la migliore spiegazione dell'importanza del Pratyahara per accedere alla conoscenza di sé e, infine, a una maggiore felicità, se non al Samadhi. Pratyahara, o "ritiro dai sensi", consiste nel praticare l'astrazione da ciò che nutre i nostri sensi. Pratyahara può essere visto come una pratica di non attaccamento alle distrazioni sensoriali, che ha l'effetto di recidere il legame tra mente e sensi. Non funzionando più nel loro modo abituale, i nostri sensi non si spengono, ma si acuiscono, e invece di essere i nostri padroni diventano i nostri servitori. La maggior parte dei nostri squilibri emotivi sono una nostra creazione. Una persona che è eccessivamente influenzata da eventi e sentimenti esterni non può raggiungere la pace interiore e la tranquillità. Lui o lei sprecherà molta energia mentale e fisica per sopprimere sensazioni indesiderabili e intensificare quelle piacevoli. Questo porterà alla fine a uno squilibrio fisico o mentale e infine alla malattia. Patanjali dice che questo processo è alla radice della sofferenza umana. Quando le persone guardano allo Yoga per quella pace interiore inafferrabile, scoprono che è sempre stata loro. In un certo senso, lo Yoga non è altro che un processo che ci permette di fermarci a guardare i processi della nostra stessa mente; solo in questo modo possiamo capire la natura della felicità e dell'infelicità, e quindi trascenderle entrambe (The Eight Limbs , The Core of Yoga, William J.D. Doran).

Le note che seguono sono un copia e incolla degli estratti del libro che mi toccano di più.

--------------------------------------------------------------------------------------
Christophe André. Le persone vengono da me per emozioni dolorose che sono difficili da controllare, per la paura che scivola nell'ansia, o per la tristezza e la vergogna che portano alla depressione. Gli psicologi che praticano la psicologia positiva sanno che dopo aver alleviato le emozioni negative devono verificare che i loro pazienti possano accogliere le emozioni positive.
Più forte è l'emozione, più forte è la cognizione. L'emozione è come il fuoco che cova sotto i miei pensieri, e più forte è l'emozione, più ci sono pensieri negativi e più vi aderisco. Nelle terapie che utilizzano la meditazione mindfulness, ci rendiamo conto che l'attenzione è un modo estremamente potente di regolare le emozioni.

Matthieu Ricard. I circuiti neurali che portano le emozioni sono intimamente legati ai circuiti che portano la cognizione. Ciò significa che la distinzione tra l'emotivo e il cognitivo è tutt'altro che chiara.

La distinzione tra emozioni piacevoli e spiacevoli (piuttosto che positive e negative) mi sembra problematica dal punto di vista della felicità sostenibile, perché mantiene la confusione tra felicità e piacere. Il piacere generato da stimoli sensoriali, estetici o intellettuali è instabile e può trasformarsi rapidamente in indifferenza, dispiacere o disgusto. La vera felicità, nel senso buddhista, è uno stato interiore che non è soggetto alle circostanze. È un modo di essere e un profondo equilibrio interiore, legato alla giusta comprensione del funzionamento della mente.

CA. Tutte le emozioni, positive o negative, piacevoli o spiacevoli, ci sono utili, a condizione che non raggiungano intensità troppo forti, che non durino troppo a lungo e che non perdiamo di vista il loro scopo.

Non ci sono solo emozioni esplosive e incontrollabili come la paura o la rabbia, ci sono stati emotivi di bassa intensità, "stati d'animo" o "stati mentali", che sono importanti da riconoscere perché costituiscono l'essenza dei nostri sentimenti emotivi. È importante identificare questi stati discreti ma influenti; essi rappresentano il terreno da cui germineranno emozioni più forti, un sistema di pensiero e una visione del mondo. Essere permanentemente in preda a emozioni di risentimento o di fastidio verso gli altri determinerà la mia visione del mondo e il mio comportamento sociale. È importante prestare attenzione a queste emozioni sottili, soprattutto per prevenire le ricadute, per imparare l'arte del benessere e dell'equilibrio interiore.
Come possiamo diventare consapevoli di questi stati emotivi? Attraverso la contemplazione e la meditazione, ma anche attraverso altre forme di lavoro su se stessi, come il journaling, la terapia cognitiva che ci incoraggia a fare una connessione tra ciò che sperimentiamo, le emozioni che proviamo, i pensieri che emergono e i comportamenti che sono la conseguenza di tutta questa catena di causalità.

MR: Come possiamo diventare consapevoli degli stati emotivi che sorgono in noi, spesso a nostra insaputa? Se li lasciamo accumulare, diventano ingestibili e non abbiamo altra scelta che aspettare che si plachino. Ma se osserviamo i loro effetti su di noi, vediamo che durante la tempesta che hanno scatenato, la nostra percezione degli altri e della situazione non corrispondeva alla realtà. Ripetendo questa esperienza diventiamo gradualmente capaci di vedere le emozioni che vengono da più lontano. Possiamo quindi applicare l'antidoto appropriato in modo preventivo, con l'idea che è più facile spegnere una scintilla che un incendio nella foresta. Affinando la nostra comprensione e il controllo della nostra mente, possiamo gestire le emozioni quando si presentano. Quando questo processo diventa così abituale che le emozioni che prima ci disturbavano si dissolvono al loro sorgere, non possono più disturbare la nostra mente. Né possono essere tradotti in azioni e parole che danneggiano noi stessi e gli altri. Questo metodo richiede pratica, poiché non siamo abituati a trattare i pensieri in questo modo.

Possiamo liberarci dalle emozioni negative? Si ''perché sono contrarie alla natura della mente'' (...) Secondo il buddihsmo, questa qualità della mente chiamata ''luminosa'' è uno spazio incondizionato dove le emozioni si manifestano come nuvole nel cielo, momentaneamente, sotto l'effetto di condizioni transitorie. (...) Il primo passo essenziale è imparare a riconoscere le emozioni negative e poi neutralizzarle con l'antidoto più appropriato. Il buddhismo insegna una varietà di metodi, tra i quali l'allenamento alla benevolenza è il più diretto e ovvio. Altri sono più sottili, come rimanere pienamente consapevoli delle proprie emozioni senza identificarsi con esse. Per esempio, la consapevolezza dell'ansia non è ansia.

CA. Gli approcci comportamentali e cognitivi sono abbastanza simili a quello che lei descrive. Per noi, le emozioni hanno sempre una causa, sia essa esterna (un evento che ci irrita o ci fa piacere), o legata a una causa biologica (stanchezza, mancanza di sonno), o legata a rappresentazioni mentali. Le emozioni sono una modalità preverbale di risposta alle situazioni: appaiono anche prima che i nostri pensieri raggiungano la nostra mente, per esempio quando siamo arrabbiati o impauriti, il nostro corpo si irrigidisce e reagisce prima di iniziare a mentalizzare ciò che ci fa arrabbiare o preoccupare. (...) le emozioni arrivano alla nostra mente sia come sensazione corporea che attraverso i pensieri o un cambiamento nella nostra visione del mondo. Tutte le emozioni portano a quelli che sono chiamati programmi di tendenza all'azione: la rabbia porta ad azioni aggressive o violente, la paura alla fuga, la tristezza al ritiro, la vergogna al nascondersi, ecc. Quindi cosa dovrei fare quando sto soffrendo, in preda a emozioni dolorose e distruttive? Non aspettare l'ultimo momento.

È molto più facile lavorare sui nostri piccoli fastidi, le nostre piccole tristezze, preoccupazioni, vergogne, che sulle grandi esplosioni di queste stesse emozioni. In questa prospettiva, incoraggio l'auto-osservazione e consiglio di tenere un diario, dove si stabilisce il legame tra gli eventi della vita, il loro impatto emotivo su di noi, e i pensieri e i comportamenti che generano. Dare parole alle nostre emozioni, analizzare il loro percorso, le loro cause è molto più complicato di quanto sembri. Passare attraverso la parola scritta rende evidente che è un vero sforzo per capire! Questo appiattimento è un'esigenza, fa parte dell'igiene della vita interiore. Un secondo approccio è, ogni volta che sorge un'emozione, di prendersi il tempo per fermarsi ed esplorarla in piena consapevolezza. (...) La pratica regolare della mindfulness porta a una migliore regolazione emotiva. (...) Terzo tipo di strategia: sviluppare emozioni positive; più faccio questo, meno spazio ci sarà per le emozioni dolorose, distruttive e negative.

Esiste una dipendenza dalle emozioni dolorose?

Alexandre Jollien: Paradosso delle persone che sentono una mancanza quando l'emozione dolorosa scompare.

MR. Una sensazione piacevole ci fa cercare continuamente la cosa che l'ha prodotta. Ma poiché è nella natura delle sensazioni piacevoli diventare opache man mano che vengono sperimentate, la sensazione diventa gradualmente neutra e persino sgradevole. Eppure continuiamo a desiderarlo. Le neuroscienze hanno dimostrato che le reti cerebrali associate al piacere non sono le stesse di quelle associate al desiderio. Ciò significa che, a forza di ripetere, possiamo rafforzare la rete associata al desiderio, fino a desiderare ciò che ha cessato di essere piacevole, e che ci provoca persino dolore. Questa è più o meno la definizione di dipendenza. Eckhart Tolle dice che quando l'ego fallisce nei suoi sforzi narcisistici, per continuare ad esistere, ricade in un piano B costruendo un "corpo di sofferenza", una strategia per rinforzare la sua identità nel registro della vittimizzazione, facendo pietà di se stesso. Il corpo sofferente è un drogato di infelicità, dice Tolle. Si nutre di pensieri negativi e di melodrammi interiori, ma digerisce male i pensieri positivi. Si mantiene in vita rimuginando costantemente sul passato e anticipando ansiosamente il futuro. Non può vivere nell'aria pura del momento presente che è libero dalle fabbricazioni mentali.

CA. Perché si arriva a far soffrire se stessi? Spesso è perché non si sa come fare altrimenti. Abbiamo perso l'abitudine all'inazione e all'introspezione, abbiamo perso la capacità di interrogare il significato dei nostri desideri, confondiamo un piacere con un altro - ho fame o voglio mangiare? C'è una mancanza di consapevolezza, un'assenza di sé. Facciamo errori, ci facciamo soffrire sapendo che lo stiamo facendo, perché non siamo attenti alle nostre vere necessità.

MR. Liberarsi dalla dipendenza è una sfida per tre motivi. 1) Non basta consigliare al tossicodipendente di visualizzare il suo oggetto come repellente. Spesso ne sono già disgustati, ma non possono fare a meno di desiderarlo. 2) Liberarsi da una dipendenza richiede un grande sforzo di volontà. La dipendenza indebolisce le aree del cervello legate alla volizione. 3) Richiede un allenamento per controllare il desiderio impulsivo associato alla dipendenza. La dipendenza indebolisce l'ippocampo, la regione del cervello che traduce l'allenamento in cambiamenti funzionali e strutturali nel cervello, noti come plasticità neurale.

AJ. Il cammino verso la felicità richiede un attento disimparare, e un vigoroso decluttering interiore. Nella mistica cristiana come nello Zen, siamo invitati a morire a noi stessi, a lasciare tutto: le nostre convinzioni, le nostre abitudini, i nostri desideri, le nostre illusioni. Si tratta di liberarsi, di spogliarsi. I Padri del deserto credevano che più ci preoccupiamo di noi stessi, più soffriamo. La sfida è assumere questo paradosso; prendersi cura di noi stessi, rispettare il nostro ritmo, mentre ci liberiamo di questo piccolo Io che ci fa impazzire.

Come coltivare la benevolenza

MR. Nel buddhismo come nella psicologia positiva, l'assenza di stati mentali negativi non porta necessariamente a stati mentali positivi. In terapia, quando qualcuno guarisce dalla depressione, gli si deve insegnare ad accettare o costruire meglio le emozioni positive. Per vivere in modo ottimale e realizzare il proprio potenziale, bisogna coltivare la benevolenza e la compassione.

CA. Credo in una contaminazione di amore, gentilezza, dolcezza e intelligenza. Ogni volta che compiamo un atto di tenerezza, affetto, amore, ogni volta che illuminiamo qualcuno dandogli un consiglio, cambiamo il futuro dell'umanità un po' nella giusta direzione. Ogni volta che diciamo una cosa brutta, ogni volta che facciamo una cosa brutta, perdiamo tempo per il progresso umano.

MR. Coloro che hanno un'immagine negativa di se stessi, che hanno sofferto molto e non credono di essere fatti per la felicità, devono imparare ad essere tolleranti e gentili con se stessi, e prendere coscienza che tutti cerchiamo di essere liberi dalla sofferenza e di essere felici. Riconoscere questa aspirazione alla felicità in se stessi, e poi riconoscere che è comune a tutti, ci fa sentire più vicini agli altri, diamo valore alle loro aspirazioni, ci preoccupiamo del loro destino. Infine, dobbiamo allenarci ad essere benevoli. All'inizio è più facile farlo per qualcuno a cui si tiene. È bello lasciarsi travolgere da questa sensazione. Poi esercitatevi su cerchi sempre più ampi fino ad includere coloro che fanno del male e feriscono tutti. Augurando loro la libertà dal loro odio, dalla loro avidità, dalla loro crudeltà.

Felicità, gioia

CA. Essendo un introverso tranquillo, ho diffidato della gioia per molto tempo, perché pensavo che potesse portarti troppo lontano, che fosse troppo vicina all'eccitazione e all'euforia. La felicità, invece, mi sembrava un'emozione positiva altrettanto piacevole, ma con due vantaggi rispetto alla gioia: in generale, non porta all'agitazione, ed è discreta; essendo più interiorizzata, non può offendere gli altri. Da allora ho rivisto questa classificazione e vedo che la gioia, per il suo lato contagioso, spontaneo, quasi animale, ha notevoli virtù per gli altri; ci lasciamo facilmente contaminare dalle persone gioiose.

AJ. La gioia è molto più semplice e accessibile della felicità. L'ingiunzione "essere felici a tutti i costi" lascia molte persone in disparte. Spinoza: "La gioia è il passaggio da una perfezione minore a una maggiore". Christian Bobin (Dal testo L'ottavo giorno della settimana) parla di "una gioia elementare dell'universo, che oscuriamo ogni volta che pretendiamo di essere qualcuno, o di sapere qualcosa".

MR. Il buddhismo descrive una felicità profonda, sukha, uno stato di saggezza libera dai veleni mentali e la percezione della natura delle cose. Ananda, la gioia, è lo splendore di sukha.

CA. Tutte le emozioni positive, la gioia, la felicità, si verificano quando ci si sente armoniosamente connessi con il mondo. La mia convinzione è che questi sono stati labili, che non ci è permesso di sentire in modo sostenibile. Ci sono, e questo è normale, intermittenze di felicità, di gioia, di amore. Ecco perché dobbiamo sforzarci di riportarli regolarmente nella nostra vita. Mi sembra che quando sono felice, sono riconciliato con il mio passato e il mio futuro. La gioia mi àncora vigorosamente al presente, e mi dà la piena misura della grazia che ho per essere vivo in questo momento.

AJ. La nozione di impermanenza guarisce molti tormenti. Sapere di essere un intermittente di felicità è profondamente rilassante. Per coloro che soffrono nella loro vita quotidiana, è incoraggiante sapere che né la debolezza, né la malattia, né la fatica, né la disabilità, in una parola, l'imperfezione del mondo, vietano la gioia. Tutto è effimero, anche il disagio. Spinoza ha detto: "Fai bene e sii gioioso".

I nostri consigli per un buon uso delle emozioni (conclusione del capitolo 3)

MR. * Affina la tua attenzione per diventare consapevole delle emozioni negative quando si presentano. Una scintilla si spegne meglio di un incendio nella foresta.

* Imparare ad essere più consapevole delle proprie emozioni. Discernere quelle che contribuiscono al nostro benessere da quelli che lo distruggono.

* Quando le conseguenze negative delle emozioni negative diventano chiare, familiarizzate con il loro antidoto, le emozioni positive.

* Coltivare le emozioni positive fino a farle diventare un tutt'uno con noi.

CA. *Lascia che li amiamo tutti. Tutte le emozioni sono segnali dei nostri bisogni. Quelli positivi ci dicono che i nostri bisogni sono soddisfatti, quelli negativi che non lo sono.

* Coltiviamo emozioni piacevoli.

* Non scoraggiamoci; è uno dei grandi affari della nostra vita lavorare sul nostro equilibrio emotivo. Rimanete sul cammino, ci saranno delle ricadute.

AJ. * Lascia perdere. Lo Zen ci invita a non considerare l'emozione come un avversario. Non salite sul treno delle emozioni dirompenti, ma guardate le macchine che passano.

* Pratica quotidiana.

* Disordinare il tempio della nostra mente. La felicità non dipende dalla conquista ma dalla perdita, dall'abbandono. Sbarazziamoci di tutto ciò che ci appesantisce.

sabato 10 luglio 2021

Arthur Schopenhauer legge le Upanishad

 Per Nietzsche, un pensiero filosofico “è sempre la confessione autobiografica del pensatore che lo enuncia".  Per Schopenhauer, poi, “ogni biografia è una patografia!

Schopenhauer  nella sua filosofia richiama alcuni tratti della filosofia indiana, il mondo è una rappresentazione (per gli indiani maya) e non sussiste di per sè come oggetto. C'è sempre bisogno di un soggetto che lo rappresenti. Il mondo esiste quindi solo se percepito.

Articolo interessantisssimo sul rapporto tra Schopenhauer e l'Oriente preso dal sito Il Buddha delle ciminiere, appunti sul Dharma e dintorni     vedi:  http://zenvadoligure.blogspot.com/2016/12/arthur-schopenhauer-legge-le-upanishad.html

Arthur Schopenhauer (1788-1860) scrisse nel 1832: “A diciassette anni, digiuno di qualsiasi istruzione scolastica di alto livello, fui turbato dallo strazio della vita proprio come Buddha in gioventù, allorché prese coscienza della malattia, della vecchiaia, del dolore, della morte. La verità, che mi parlava in modo così chiaro e manifesto dal mondo, presto ebbe la meglio sui dogmi giudaici che erano stati inculcati anche in me, e ne conclusi che un mondo siffatto non poteva essere l’opera di un essere infinitamente buono, bensì di un demonio, che aveva dato vita alle creature per deliziarsi alla vista dei loro tormenti”.  Lo strazio di cui Schopenhauer parla è riferito alla morte del padre. Dopo la morte dell’amato padre il giovanissimo Arthur iniziò a dedicarsi agli studi classici, filosofia, in particolare Platone e Kant.  Alcuni temi stanno a fondamento della sua opera  la sofferenza della vita, che si impone come verità al di sopra della dogmatica giudaico-cristiana, ormai divenuta una inaccettabile mitologia; l’impotenza dell’uomo, e ancor più del filosofo, sul mondo; l’impossibilità della coesistenza della vita e della verità; e soprattutto, per quanto qui ci interessa, la costante presenza in Schopenhauer del pensiero orientale, in particolare gli insegnamenti delle Upanishad  e dei testi buddhisti.

Per Schopenhauer il mondo è quindi rappresentazione: il mondo è la mia rappresentazione, questa è l’affermazione perentoria con cui si apre la sua opera;  Schopenhauer è molto netto: “tutto ciò che esiste per la conoscenza, e cioè il mondo intero, non è altro che l’oggetto in rapporto al soggetto, la percezione per lo spirito percipiente; in una parola: rappresentazione”. Da un lato il soggetto, quindi, che non può essere oggetto di conoscenza, al di fuori dello spazio e del tempo, indiviso in ogni essere capace di avere rappresentazioni. Dall’altro l’oggetto, condizionato dalle forme del tempo e dello spazio che ne producono la molteplicità.

La rappresentazione è ordinata dalle connessioni instaurate dall’intelletto: il tempo, lo spazio, e la causalità, che costituisce la realtà della materia, realtà che è azione dell’oggetto sugli altri oggetti. La conoscenza è fondamentalmente intuizione dei rapporti causali tra gli oggetti, mentre la ragione è discorsiva ed ha a che fare con concetti astratti. 

La realtà non si riduce interamente alla rappresentazione, che è soltanto fenomeno. Il mondo ha un noumeno, un’essenza, una cosa in sé, costituito dalla volontà. Diviene pertanto chiaro il senso del titolo – e del contenuto – del capolavoro di Schopenhauer: “la rappresentazione è il mascheramento razionale della volontà”, ciò che appare come razionale è invece volontaristico, l’ordine che scorgiamo nel mondo è solo espressione della cieca volontà di vivere.  Ma se l’oggetto del desiderio è conseguito, allora subentra la noia, a causa dell’estinzione del desiderio. In ultima analisi, la vita è dolore, e la volontà di vivere costituisce la causa del dolore.

Una possibile via di liberazione dalla condizione di sofferenza è costituita dalla contemplazione estetica, che è disinteressata rispetto al possesso dell’oggetto, e non segue le regole della razionalità, è priva di scopo. In particolare, l’espressione più alta dell’arte è secondo Schopenhauer la tragedia, nella quale si rivelano al meglio “il dolore senza nome, l’affanno dell’umanità, il trionfo della perfidia, la schernevole signoria del caso e il fatale precipizio dei giusti e degli innocenti”. Ma la liberazione attraverso l’arte è momentanea e parziale, procura soltanto un temporaneo sollievo, una forma di conforto.

 Un altro rimedio consiste nel riconoscimento dell’unità della volontà in tutti gli esseri, ovvero il riconoscimento dell’altro come me stesso. È il tat tvam asi, “Questo sei tu”, dell’India vedica. Il pensiero di essere separati dagli altri, e dal dolore, è solo apparenza, inganno: è il velo di Maya,. L’unica via d’uscita è data dall’ascesi, della rinuncia alla vita. Ma nel senso di rinuncia ai bisogni e alle soddisfazioni che la ragione presenta ingannevolmente come motivazioni e finalità dell’agire.

La prima delle rinunce è la perfetta castità, in quanto rinuncia alla fondamentale manifestazione della volontà, l’impulso alla generazione. Per Schopenhauer l’amore è sempre sotto la spinta degli interessi alla riproduzione. La scelta sessuale non è mai individuale, ma sempre compiuta nell’interesse della specie. Allo stesso scopo, liberarsi dalla volontà di vita, tendono poi le altre forme della rinuncia: la povertà, il sacrificio, ecc.  Al termine del percorso l’uomo diviene libero. 

L’Oriente di Schopenhauer.  Un passo interessante de Il mondo è quello che esorta a non temere il nulla, senza fare però come gli Indiani, che lo ammantano “in miti e in parole prive di senso, come sarebbero l'assorbimento in Brahma o il Nirvana dei Buddhisti”. Queste parole costituiscono una ulteriore prova del fatto che Schopenhauer conosceva bene le tradizioni della spiritualità estremo orientale, soprattutto Induismo e Buddhismo, con l’ovvio limite della quantità di testi a quel tempo pervenuti in Europa e della qualità delle traduzioni. 

Schopenhauer li lesse, li studiò a fondo e ne fu profondamente influenzato, come dimostrato da molti aspetti specifici della sua filosofia e dal suo complesso, nonché dalla terminologia utilizzata. Benché ciò sia di immediata evidenza, molti testi di storia della filosofia vi accennano solo en passant, o non ne parlano affatto. Mentre molti intellettuali dell’epoca privilegiavano la cultura greco-romana e quella giudaico-cristiana ed erano al più semplicemente incuriositi da ciò che cominciava a sorgere ad Est, Schopenhauer ruppe decisamente con l’eurocentrismo dominante, criticando quello che chiamava il “pregiudizio classico” e studiò seriamente i testi della spiritualità dell’India che aveva a disposizione, fino ad identificare in essa “il bacino originario cui attinsero sia l’Egitto, Pitagora, Platone, il Neoplatonismo e tutta la mitologia greco-romana sia il vero Cristianesimo neotestamentario”, visto come un riflesso della luce dell’Asia caduto purtroppo sul suolo giudaico. Auspicò addirittura – ed in parte fu buon profeta – un benefico influsso delle culture indiane sull’Occidente, che avrebbe potuto produrre un rinascimento europeo dello spirito orientale. Le grandi tradizioni del Brahmanesimo e del Buddhismo avrebbero potuto consentire di “salvare quel che di eternamente valido v’è nel Cristianesimo, riuscire a separare di nuovo dal nucleo essenziale di verità che è in esso ciò che vi è stato congiunto dall’esterno”, cioè i dogmi e le mitologie ebraiche. Corretto appare quindi un giudizio espresso su Schopenhauer da uno studioso, che lo definì “l’ultimo eretico del cristianesimo e il patriarca del buddhismo occidentale”.

Il Buddha di Schopenhauer.  Anche dai dettagli della sua biografia si evidenziano l’interesse e l’intimità di Schopenhauer con la cultura indiana e cinese: la sua biblioteca orientale era ricchissima di testi, e già è stata citata la similitudine da lui stesso proposta tra la sua giovinezza e quella di Siddhartha Shakyamuni. Nel suo salotto faceva mostra di sé una statua di bronzo del Buddha di cui era orgoglioso, e negli anni della maturità si rivolgeva ai conoscenti dicendo “noi Buddhisti”. Inoltre, il suo cane barbone si chiamava Atman, in sanscrito essenza, spirito vitale, anima individuale…

Al di là degli aneddoti biografici, Schopenhauer non perdeva mai l’occasione “per tessere le lodi della filosofia e della religiosità indiane e per sottolinear[ne] l’intima conformità con il proprio pensiero”. Egli stesso definì prima “paradossale” e poi “prodigiosa” la corrispondenza tra la sua filosofia e il Buddhismo, non solo nell’etica o in altri aspetti specifici, ma nell’insieme delle loro dottrine. Poco prima della morte scrisse: “Buddha, Eckhart e io insegniamo nella sostanza la stessa cosa”.

Ed infatti le sue opere, a partire dal 1814, sono sempre più ricche di riferimenti ai testi orientali – dalle Upanishad al Tao Te Ching, dai Purana all’I Ching, dalla Bhagavadgita ai Sutra buddhisti – e soprattutto alla visione dell’uomo e del suo essere nel mondo che essi propongono e che Schopenhauer afferma sostanzialmente di accogliere e di fare sua.

 In sintesi, gli elementi-base della corrispondenza Schopenhauer/Oriente possono essere così riassunti:

  • - la rappresentazione (il mondo come illusione, sogno) e il velo di Maya;
  • - la volontà e il Brahman o il tian dei Cinesi (il principio di tutte le cose) – per cui la sua opera maggiore potrebbe intitolarsi Il mondo come Brahman e Maya;
  • - l’ateismo (il non-teismo) e il pessimismo del Brahmanesimo e del Buddhismo (definizioni peraltro molto discutibili);
  • - i miti della metempsicosi (reincarnazione) e della rinascita, collegati alla sussistenza metafisica della volontà;
  • - samsara (esistenza ciclica condizionata) e nirvana (estinzione della sofferenza) come affermazione e negazione della volontà;
  • - sul conseguente piano etico: il tat tvam asi, il non-io, e la compassione.

Per concludere, è però altrettanto doveroso individuare le rilevanti discordanze tra le due concezioni, e quindi i limiti oggettivi e soggettivi (dottrinali e personali) dell’orientalismo di Schopenhauer. 

Per citare solo un paio di pareri, secondo René Guénon Schopenhauer ha “ridicolamente distorto il Buddismo riducendolo a una specie di moralismo ‘pessimista’ e ha dato la giusta misura del suo livello intellettuale cercando ‘consolazioni’ nel Vedanta”. Per Von Glasenapp, poi, “si può dire che l’interpretazione schopenhaueriana della storia del pensiero metafisico indiano e le relative concezioni del Vedanta e del Buddhismo siano oggi per molti aspetti superate e forniscano un quadro dei fatti senza dubbio interessante ma tutt’altro che fedele”.   Tra le molte possibili, ecco alcune delle contestazioni:

  • - l’impossibilità di definire complessivamente ateistiche o anti-teistiche le scuole filosofiche indiane, in molte delle quali è presente la figura del dio personale (Ishvara, Krishna), Signore del cosmo;
  • - la mancata distinzione tra Brahmanesimo e Buddhismo, in generale e all’interno delle singole scuole (es. Buddhismo Hinayana e Mahayana), e, conseguentemente
  • - l’appiattimento delle filosofie indiane in una sorta di hegeliana notte in cui tutte le vacche sono nere; più nel dettaglio:
  • l’errore dell’identificazione del Brahman del Vedanta con la volontà, in quanto il Brahman non ha nulla a che vedere con la brama (nonostante l’intrigante assonanza dei termini), non è pulsione cieca, e quindi fondamento della sofferenza, bensì spirito puro, Sat-Cit-Ananda, Essere-Coscienza-Beatutidine Supreme;
  • la totale incompatibilità tra la dottrina brahmanica dell’atman quale substrato durevole dell’apparenza e gli insegnamenti buddhisti su anatman (non-sé), anitya (impermanenza), sunyata (vacuità), pratitya samutpada (co-produzione condizionata di tutti i fenomeni, compreso l’io).

Un altro punto fondamentale, l’accentuazione degli aspetti pessimistici delle concezioni indiane, soprattutto del Buddhismo, ci porta direttamente ad una considerazione finale, che riguarda complessivamente il pensiero e la biografia di Schopenhauer. L’insegnamento del Buddha sulle Quattro Nobili Verità inizia sì con le verità della sofferenza e della sua origine, ma prosegue con l’esposizione della cessazione della sofferenza stessa e della Via che porta alla cessazione, ovvero l’Ottuplice Sentiero. Non può pertanto essere definito come una concezione pessimista. Esso costituisce invece una visione del tutto realistica, non per un cieco atto di fede nelle parole del Buddha o di altri Maestri, ma per la verificabilità su se stessi della validità del Dharma.

Schopenhauer, come si è visto all’inizio, ha paragonato la sua sofferenza a quella del Buddha, ne ha studiato la vita e gli insegnamenti, ma si è come arrestato sulla soglia: ha riconosciuto il proprio dolore, ha compreso come il dolore permei di sé l’esistenza di tutti gli esseri e quali ne siano le cause. E infine ha intravisto nelle parole del Buddha o delle Upanishad la concreta possibilità di una via di liberazione, attraverso la messa in pratica di tali parole – in particolare attraverso la meditazione –, ma di questo passo decisivo, del passaggio dalla teoria alla prassi, non v’è traccia nelle sue opere, né soprattutto nella sua vita reale, trascorsa alla ricerca di gratificazioni accademiche, di successi editoriali, di denaro, di fama, di amori insoddisfacenti, pur continuando a definirsi “buddhista” con i conoscenti. E nel contempo crogiolandosi nel proprio dolore e creando così ulteriore sofferenza, per sé e per gli altri. Forse, rivolgendo di tanto in tanto uno sguardo afflitto alla sua amata statuina del Buddha, in un angolo del salotto. Del perché, non è dato sapere.

Magari, vedere il Sentiero e scegliere di non percorrerlo è stato un gesto coerente, la vittoria finale di una volontà cieca ed irrazionale votata al dolore…    D’altra parte, il tempo del fare filosofia, del vivere la filosofia come concreto esercizio spirituale che porta all’evoluzione di sé, all’autentica liberazione, era ormai troppo lontano.

Riferimenti:

  • M. Onfray, Buddha, il cane e il flauto, in: http://letterainternazionale.it/testi-di-archivio/buddha-il-cane-e-il-flauto/
  • [Per patografia si intende la “ricostruzione delle patologie psichiche di personaggi celebri fondate sulle informazioni biografiche e sull’esame delle loro opere”, 
  • A. Schopenhauer, Il mio Oriente,
  • U. Galimberti, SchopenhauerStoria del pensiero occidentale,
  • N. Abbagnano, Storia della filosofia,
  • A. Schopenhauer, Il mondo come volontà e rappresentazione,
  •  P. Scroccaro, Schopenhauer e l’Oriente,
  • G. Gurisatti, Schopenhauer e l’India,
  • A. Lanza, Il pensiero di Schopenhauer su buddhismo e cristianesimo,
  • Meister Eckhart (Eckhart von Hochheim, 1260-1327) è stato uno dei più importanti teologi, filosofi e mistici renani del Medioevo cristiano, e ha segnato profondamente la storia del pensiero tedesco
  •  R. Guénon, Introduzione generale allo studio delle dottrine indù.

Lo yoga e l’Occidente di Carl Gustav Jung

  Un testo da conoscere è senza alcun dubbio Lo yoga e l’Occidente di Carl Gustav Jung con cui l'autore è riuscito ad esprimere la complessa relazione tra noi (occidentali, moderni e postmoderni) e lo yoga.

Lo yoga e l’Occidente venne scritto e presentato nel 1936, dallo psicoanalista svizzero, ad un convegno dedicato al grande maestro indiano Ramakrishna. Un testo importante, il punto di partenza per un ‘rispettoso’ approccio allo yoga da parte di un ricercatore occidentale. 
Rispettoso perché spesso, noi occidentali, saltiamo da una proposta spirituale all'altra, senza preoccuparci di niente, prendiamo quello che possiamo prendere da quella proposta e passiamo ad altro, senza nessuna soluzione di continuità.

Nel suo saggio, composto da una quindicina di pagine Jung con  lucidità, profondità e chiarezza delimita il campo del suo intervento: "Tacerò sul significato che ha lo yoga in India, non presumendo di poter pronunciare un giudizio su ciò che non conosco per esperienza personale, ma posso dire qualcosa sul significato che ha lo yoga in Occidente". E prosegue mettendo in evidenza una delle fondamentali specificità dello yoga: "Da noi la mancanza di una regola (interiore) è tale da confinare con l’anarchia psichica; perciò ogni pratica religiosa o filosofica promette una disciplina psicologica, cioè un metodo d’igiene psichica".
I numerosi esercizi yoga esclusivamente fisici rappresentano un percorso superiore alla solita ginnastica e agli esercizi di respirazione, in quanto non è soltanto scientifico-meccanico, ma anche filosofico. Attraverso gli esercizi, lo yoga mette il corpo in contatto con l’interezza dello spirito. E sottolinea quindi, con forza, la pratica dello yoga è impensabile e sarebbe anche inefficace senza le idee dello yoga, e coinvolge a un punto raro ciò che è del corpo e ciò che è dello spirito.
 
Si può iniziare a fare yoga per una semplice curiosità, o per risolvere un fastidioso mal di schiena, dal desiderio di alleviare un senso di fatica o di stress, ma a un certo punto, con modalità diverse, emerge il desiderio dell’io di andare oltre se stesso, il desiderio di vivere l’esperienza dello yoga ossia la riunificazione dell’io con l’essere infinito. Nello yoga si dice che l’io sia il limite e contemporaneamente il mezzo.
Questo anelito verso l'infinito ha come limite la nostra stessa psiche: come può una mente limitata cogliere ed accogliere il contatto con l’infinito? 
Bisogna per questo, fare molta attenzione, perché una tecnica capace di trasformare la vita dell’uomo (e anche dell’uomo occidentale), non può NON richiedere delle precauzioni nel suo uso.

Prima di tutto Jung cerca di inquadrare la scoperta dello yoga in Occidente, in senso storico. Collega l’interesse dell’Europa per lo yoga alla grande crisi – in apparenza tutta religiosa, ma in realtà soprattutto culturale, politica ed economica – che conosciamo sotto il nome di Riforma protestante; da quel momento si andò affermando sempre più l’importanza di un pensiero razionalista, basato sulle scoperte scientifiche, un percorso culturale che di secolo in secolo cercò di affrancarsi sempre più dal pensiero metafisico/religioso e sfociò nella cultura pienamente laica dell’illuminismo e del positivismo. Quindi la prima conclusione, prettamente storica, a cui arriva Jung è la seguente: lo yoga in Occidente va interpretato come parte, sicuramente originale e ricca di anomalie, della grande corrente protestante.  Un tentativo di tenere uniti una mentalità moderna e scientifica.

Jung, da psicanalista vede in questo tentativo, un problema di scissione psichica tipico di tutto l’Occidente. Lo yoga in Occidente trova linfa dal desiderio di armonizzare la dimensione religiosa e scientifica. Continua Jung: Perciò se un metodo “religioso” si presenta anche come “scientifico”, può essere certo di trovare un pubblico in Occidente. Lo yoga colma quest’attesa. 
 Poi Jung si domanda: ma siamo veramente capaci – noi, con la nostra cattiva abitudine di volere credere e contemporaneamente esercitare uno spirito critico e filosofico – di tenere insieme corpo e spirito?  Così fin dal principio la scissione dello spirito occidentale rende impossibile un’adeguata realizzazione delle intenzioni dello yoga. O ne fa un fenomeno strettamente religioso o un training di ginnastica respiratoria,  nei quali non si trova traccia di quell’unità e interezza dell’essere, caratteristica dello yoga. L’occidentale è incapace di riconoscere coscientemente la propria inferiorità verso la natura che è in lui e intorno a lui.
Nel testo Jung si pone una serie di domande quali:  "Perché in Occidente cerchiamo lo yoga? Che bisogno ne abbiamo? Perché addentrarci in un territorio fisico-psichico-spirituale che la nostra mente nei millenni non ha sviluppato?".
Jung fa le seguenti considerazioni: "L’europeo,  farà immancabilmente un cattivo uso dello yoga, perché la sua disposizione psicologica è completamente diversa da quella dell’orientale. Dico a quanti più posso: “Studiate lo yoga; vi imparerete un’infinità di cose, ma non lo praticate, perché noi europei non siamo fatti in modo da poter usare senz’altro quei metodi come si conviene. Un guru indiano vi può spiegare tutto e voi potete imitare tutto. Ma sapete chi pratica lo yoga? In altre parole, sapete chi siete e come siete fatti?”.
Secondo Jung, il problema è dunque nel rapporto con l’inconscio: "la nostra non conoscenza, non comprensione, il nostro non-rapporto con l’inconscio. Che cosa succede a sollecitare un profondo lavorio della coscienza quando l’inconscio occupa ancora parti preponderanti della personalità? ".

Il metodo yoga si applica esclusivamente alla coscienza e alla volontà cosciente, in Occidente  coscienza e inconscio anziché incontrarsi tendono vieppiù a separarsi. In Oriente, si diminuisce il forte impatto dell'inconscio attraverso un ricco simbolismo. E ancora ammonisce, dicendo che l’inconscio va incoraggiato a emergere.  Jung conclude dicendo: "Il mio atteggiamento critico di rifiuto nei confronti dello yoga non significa affatto che io non consideri questa conquista spirituale dell’Oriente una delle cose più grandi mai create dallo spirito umano. Spero che dalla mia esposizione risulti con sufficiente chiarezza che la mia critica investe esclusivamente l’uso dello yoga da parte dell’Occidentale. L'Occidente, deve cercare di trovare una profonda comprensione della natura umana, che non si conquista opprimendo e dominando, e meno ancora imitando metodi sorti in condizioni psicologiche del tutto diverse. L’Occidente produrrà nel corso dei secoli il suo proprio yoga, e questo sulla base creata dal cristianesimo".
Questi sono solo alcuni spunti tratti dal testo di Jung, ma credo sufficienti per riflettere sulla pratica di yoga che ha conquistato milioni di occidentali.

Riferimenti
Carl Gustav Jung, Opere, vol. 11, Psicologia e religione,
Carl Gustav Jung, La saggezza orientale,
Shri Ramakrishna, Alla ricerca di Dio,
Shri Ramakrishna, Il Vangelo di Sri Ramakrishna,
Romain Rolland, La Vita di Ramakrishna.

Sagesses Bouddhistes

 In Francia il Buddhismo è molto diffuso, ci sono tantissimi monasteri, soprattutto nei dintorni di Parigi  e in Dordogna. Il buddhismo è entrato nella mappa religiosa francese ed è perfettamente integrato nel mosaico culturale francese. Oggi riguarda un numero molto grande di praticanti e simpatizzanti, ma al di là dei numeri, si concretizza in azioni diversificate, mosse da una ferma volontà spirituale e culturale, al servizio di tutti, e in armonia con le altre tradizioni religiose e scuole di pensiero.

I media francesi organizzano delle bellissime emissioni su questa filosofia. Una di queste emissioni, Sagesses Bouddhistes, https://www.france.tv/france-2/sagesses-bouddhistes  creata nel 1996 è diventata un luogo di riflessione sul buddhismo, che viene presentato nella diversità delle sue tradizioni.

Per fare questo, il programma riceve una vasta gamma di ospiti, francesi e stranieri, rappresentanti delle diverse tradizioni buddhiste, scrittori, filosofi, storici, medici e scienziati, grandi maestri che sviluppano gli scambi tra il pensiero buddhista e la modernità e trasmettono i valori fondamentali dei diritti e dei doveri umani. L'emissione è realizzata da Michel Baulez, e presentata da  Aurélie Godefroy.

Le emissioni sono in francese.  Di seguito sono riportate le emissioni del 2021.

  • Sagesses bouddhistes 20 06 2021. Qu’est-ce qu’un maître authentique?  Sagesses Bouddhistes propose aujourd’hui une rencontre avec Matthieu Ricard, en Dordogne, une belle région de France où, le long de la Vézère, plusieurs centres tibétains se sont implantés dès les années 70, fondés par de grands maîtres tibétains aux qualités spirituelles exceptionnelles.  link
  • Sagesses bouddhistes 13 06 2021.  link   Les trésors du Musée CERNUSCHI – 2e partie
  • Sagesses bouddhistes 06 06 2021.   link  Les trésors du musée CERNUSCHI – 1re partie
  • Sagesses bouddhistes 23 05 2021. link   A la fois philosophe, enseignant et yogi, Djé Tsongkhapa, éminent maître tibétain qui marqua profondément la pratique du bouddhisme au XIVe siècle, par la fondation de ses monastères, l’instauration de grandes célébrations mais aussi par ses enseignements, avait un lien particulier avec la Cité Interdite. Aussi pourquoi ce lieu est-il incontournable ? Quel rapport les empereurs chinois entretenaient-ils avec le bouddhisme, et plus particulièrement avec Djé Tsongkhapa ? C’est le thème de cette première émission consacrée à Djé Tsongkhapa.  Invitée : Françoise Wang-Toutain
  • Sagesses bouddhistes 09 05 2021. link  Sagesses Bouddhistes évoque le temps de deux émissions, le gréco-bouddhisme, syncrétisme culturel entre la culture héllénistique et le bouddhisme qui s’est développé à partir du IVe siècle avant notre ère et qui aurait conduit à la formation du mahayana, le bouddhisme du grand véhicule. Mais qu’entend-on plus exactement par « gréco-bouddhisme » ? Qu’en est-il de la chronologie et de sa dimension géographique ? Réponses avec Eric Vinson.
  • Sagesses bouddhistes 02 05 2021.  link    Discernement et esprit critique.   Il est difficile aujourd’hui de garder sa clairvoyance devant la profusion d’informations et d’avis qui nous parviennent de tous côtés. Avec l’essor des réseaux sociaux, nous avons plus que jamais besoin de savoir user de discernement et d’esprit critique. Pourquoi nous entrainer à notre propre liberté d’esprit et comment y parvenir ? L’enseignement bouddhiste peut nous y aider car loin d’imposer une vérité, le bouddhisme, au contraire, nous donne les moyens de distinguer ce qui nous semble être juste. Nous recevons Marie-Stella Boussemart pour en parler.
  • Sagesses bouddhistes 18 04 2021  link     Vivre la crise : développer nos ressources intérieures.  Dans ce second volet de l’émission consacrée à la crise sanitaire vécue à marche forcée mondialement, Sagesses Bouddhistes met aujourd’hui plus particulièrement l’accent sur les ressorts qui sont en nous et qui peuvent nous aider à atténuer le stress, l’anxiété ou encore le repli sur soi et la résignation. Le ralentissement général des activités, l’isolement ainsi que toutes les contraintes imposés par cette crise peuvent être mis à profit par chacun d’entre nous pour développer notre vie intérieure et revenir à l’essentiel. Nous en parlons avec Christophe André
  • Sagesses bouddhistes 11 04 2021. link   Vivre la crise, tous ensemble.  Depuis plusieurs mois, nous vivons une crise sanitaire mondiale qui bouleverse toutes nos habitudes de vies, qu’elles soient collectives et individuelles. Comment faire face à ces changements imposés, c’est ce que nous allons évoquer durant deux émissions. Dans cette première émission nous verrons comment la notion d’interdépendance explique et peut atténuer la crise, et aussi comment des valeurs telles que l’altruisme et la solidarité peuvent nous aider. Dimanche prochain, nous évoquerons le développement de la vie intérieure, formidable antidote à la crise. Invité : Dr Christophe André
  • Sagesses bouddhistes 04 04 2021.       link      La pratique de Metta : enseignements de Bhante Hénépola Gunaratana.  Bhante Hénépola Gunaratana, nonagénaire, enseigne toujours aux Etats-Unis dans le centre qu’il a fondé. Ses enseignements clairs et précis ont fait le tour du monde, dans cette seconde émission, nous proposons d’aborder avec Jeanne Schut, certains des thèmes qu’il aime particulièrement enseigner, notamment « metta » ou la pratique de la bienveillance, ainsi que la méditation.
  • Sagesses bouddhistes 28 03 2021.  link   Sagesses Bouddhistes évoque aujourd’hui et le 4 avril prochain, la vie, les parcours et les enseignements d’un très grand maître sri lankais, de la tradition theravada, Bhante Hénépola Gunaratana, bienveillant, généreux, au sourire illuminé de bonté. Sillonnant bien souvent la planète, il a consacré sa vie au Dharma et prodigué les enseignements du Bouddha qui lui tenaient particulièrement à cœur. Jeanne Schut l’a côtoyé de nombreuses années et a traduit la majorité de ses nombreux ouvrages, dont le dernier en date, rassemblant 50 années d’enseignements. Nous la recevons aujourd’hui pour en parler.
  • Sagesses bouddhistes 21 03 2021.  link   La vie de Maître Dôgen 2e partie : La transmission et l’enseignement.  Sagesses Bouddhistes retrouve Brigitte Seijo et Pierre Dokan Crépon, pour la suite de l’émission consacrée à Maître Dôgen. Si la semaine dernière, nous avons appris que maître Dôgen avait très tôt cherché la Voie et avait parcouru la Chine, pour finir par comprendre auprès des Moines rencontrés, que la « pratique était la Voie », aujourd’hui dans cette seconde partie, nous allons découvrir comment il est rentré au Japon avec la mission de transmettre ses enseignements, ce qu’il fera notamment à travers ses écrits d’une très grande importance et par la construction de très nombreux temples.
  • Sagesses bouddhistes 14 03 2021.  link  Sagesses Bouddhistes consacre aujourd’hui et dimanche 21 mars, deux émissions à Maître Dôgen, l’un des plus grands maîtres du bouddhisme japonais, fondateur de l’école Zen Sôtô. Nombreux sont ceux qui connaissent son nom et l’immense postérité de ses enseignements, mais pourtant, on ne sait presque rien de la vie de ce moine du 13e siècle. Grâce à la parution très récente d’une biographie inédite en langue française, sous la forme inédite d’un manga, nous allons découvrir qui fut le fondateur du Zen Sôtô : de quelle famille était-il, pourquoi et comment a-t-il cherché la Voie, puis de quelle façon l’a-t-il enseignée une fois revenu au japon ? Autant de questions que nous allons poser à nos invités, Brigitte Seijo et Pierre Dokan Crépon.
  • Sagesses bouddhistes 07 03 2021. link Marion Chaygneaud-Dupuy est une jeune femme remarquable. Alpiniste chevronnée, elle est la seule française à avoir accompli l’ascension de l’Everest par la face nord, ce à trois reprises. Son but, son défi également, avec l’aide de son ONG Clean Everest, est de nettoyer le « toit du monde » si célèbre, de tonnes de déchets et débris laissés ainsi sans vergogne par ceux qui le gravitent. Basée à Lhassa depuis 2002, cette bouddhiste au grand cœur et à la volonté infaillible œuvre également dans le domaine de la santé, de l’éducation et de l’environnement. Pendant cette semaine consacrée aux femmes, Sagesses Bouddhistes vous présente avec plaisir cette brillante et discrète personnalité.
  • Sagesses bouddhistes 31 01 2021.   link   Sagesses Bouddhistes aborde aujourd’hui avec Elisabeth Drukier – du Centre Kalachakra à Paris, le thème de « l’attachement », dont il est très souvent question dans les enseignements bouddhistes. Mais qu’entend-on plus précisément par attachement ? Quel en est le processus ? Quelle est la différence par rapport à l’amour ? Et quelles sont les conséquences de l’attachement.
  • Sagesses bouddhistes 17 01 2021.  link  "S'asseoir en méditation n'a pas pour objet de penser, réfléchir ou se perdre dans le domaine des concepts et des discriminations ; mais ce n'est pas non plus rester immobile comme une pierre ou un tronc d'arbre. Comment éviter également ces deux extrêmes que sont la conceptualisation et l'inertie?... La solution est de demeurer dans le sein de l'expérience de la réalité, sous la lumière de la Pleine Conscience." Thich Nhat Hanh. La pensée avant les pensées.    Si les dépressions et la perte du sens de la vie sont fréquentes dans notre monde contemporain, c’est peut-être parce qu’on ne sait pas (ou plus) développer en soi une autre dimension : la pensée non verbale. En effet, l’activité mentale a pris une telle importance dans le fonctionnement humain, qu’on a oublié qu’il existait d’autres formes de communication et d’autres façons de penser. C’est le thème de Sagesses Bouddhistes aujourd’hui qui reçoit Olivier Wang-Genh pour en parler.
  • Sagesses bouddhistes 24 05 2020.  link  Sagesses Bouddhistes consacre cette émission au maître de méditation vipassana Shri Satya Narayan GOENKA (1924 – 2013) et au centre de Bourgogne où est enseignée cette pratique de méditation dont le terme pali signifie « vision pénétrante » ou voir les choses telles qu’elles sont. Sagesses Bouddhistes reçoit Kim Vu Dinh pour en parler.   Tous renseignements : Centre Vipassana de Dhamma Mahi (Bourgogne) Le Bois Planté 89350 Louesme
  • Sagesses bouddhistes 13 05 2018. link   Sagesses Bouddhistes poursuit son entretien avec Sa Sainteté le XVIIème Karmapa Trinlé Thayé Dorjé qui eût lieu au mois d’août 2017 au Centre d’Etudes Tibétaines de Montchardon, à Izeron (Vercors). Cette émission portera plus précisément sur les thèmes essentiels du bouddhisme qui lui sont chers.

Introduzione al Blog

Il Blog è nato nel marzo 2021, in tempo di pandemia, per comunicare e condividere le mie letture e i miei interessi.  Nel Blog ci sono ci...