Louise Eugénie Alexandrine Marie David, più conosciuta con il nome di Alexandra David-Néel, nata il 24 ottobre 1868 a Saint-Mandé e morta l’8 settembre 1969 a Digne-les-Bains, fu un’orientalista, tibetologa, cantante d’opera, giornalista, scrittrice ed esploratrice, femminista, anarchica, massone e buddhista francese. Nel 1924, fu la prima donna occidentale a raggiungere Lhasa, capitale del Tibet, un’impresa di cui i giornali parlarono un anno dopo e che contribuì in modo decisivo alla sua fama, oltre alle sue doti personali e alla sua erudizione. .
sabato 13 settembre 2025
Biografia di Alexandra David Neel
India, Induismo e le sei Darshana.
Nell’ambito del Sanatana Dharma (la religione di sempre), esistono sei scuole riconosciute, o meglio, sei Darshana, visioni, punti di vista, perché, anche se la realtà, Sat, è e non può essere che una e immutabile, i modi per accostarsi ad essa sono molti, e le Darshana rappresentano i sei principali sistemi epistemologici e gnoseologici. Piuttosto che considerarsi dottrine rivali, i darshanas sono tradizionalmente percepiti come approcci complementari, che offrono diverse prospettive su una stessa verità ultima.
Sono considerate scuole ortodosse ( astika), perchè riconoscono l'autorità dei Veda, mentre altre scuole eterodosse (nastika), la rifiutano (come il buddismo e il giainismo, che non sono considerati darshanas indù in senso stretto).
Nyaya : la scuola della logica e dell'epistemologia, basata sui Nyaya Sutra di Akshapada Gautama.
Si concentra sui mezzi di conoscenza validi (pramana), come la percezione, l'inferenza, il confronto e la testimonianza. Sviluppa una metodologia rigorosa di argomentazione e ragionamento logico. Il suo scopo è raggiungere la liberazione attraverso la corretta conoscenza della realtà.
Vaisheshika : la scuola della fisica e della metafisica atomista, Fondata dal rishi Kanada. Analizza la realtà in termini di atomi, loro combinazioni e qualità. Elabora una teoria delle categorie (padarthas) per classificare i diversi aspetti dell'esistenza. Spesso associata al Nyaya, con cui condivide concetti e metodi.
Samkhya : la scuola del dualismo metafisico, Fondata da Kapila. Postula l'esistenza di due principi fondamentali: Purusha (la coscienza pura, il Sé) e Prakriti (la natura primordiale, la materia). Descrive l'evoluzione del mondo materiale a partire da Prakriti e la sua interazione con Purusha. Il suo scopo è la discriminazione tra Purusha e Prakriti, che porta alla liberazione.
Yoga : la scuola della pratica spirituale e dell'autocontrollo. Associata a Patanjali, autore degli Yoga Sutra. Si basa sulla metafisica del Samkhya, ma pone l'accento sulla pratica, in particolare sulla meditazione e sulle tecniche psicofisiche. Propone un percorso ottuplice (Ashtanga Yoga) per raggiungere l'unione con il Sé (Samadhi).
Mimamsa : la scuola dell'esegesi vedica. Si basa principalmente sui Mimamsa Sutra di Jainini, Si concentra sull'interpretazione dei testi vedici, in particolare dei mantra e dei rituali. Cerca di stabilire il dharma (dovere religioso e morale) analizzando i precetti e i divieti dei Veda. Pone l'accento sull'importanza dell'azione rituale (karma).
Vedanta : la scuola della non dualità (Advaita) e dell'unità del Brahman. Basata sugli Upanishad, la parte finale dei Veda. La corrente più influente è l'Advaita Vedanta che si fonda sul Brahma Sutra Karika, Il commentario dei Brahma Sutra è opera di Badarayana, e in seguito perfezionata e diffusa dal grande rishi Adi Shankaracharya. Postula l'unità assoluta del Brahman (la realtà ultima) e l'illusione del mondo fenomenico. Il suo scopo è la realizzazione dell'unità con il Brahman, la liberazione dal ciclo delle rinascite (samsara).
Le due Darshana di cui ci occupiamo sono lo Yoga di Patanjali e l’Advaita Vedanta di Shankara.
Il Vedanta. Questo sistema si basa su un monismo assoluto (Advaita vuol dire non dualistico) che viene
sinteticamente espresso nella Mahavakya (grande affermazione): Brahma satyam jagan mithya ovvero: Brahma è reale, l’universo, la natura sensibile, è irreale. Non irreale in quanto non esistente, ma in quanto transitorio: nasce, cresce, decade e muore, o più precisamente, si trasforma in qualcos’altro. “Sharira parigraha dukham eva”, “Il possesso del corpo è sicuro dolore”.
In altre parole, la causa di ogni dolore e affanno è l’incarnazione dell’Atman, la porzione individuale del Brahman, l’anima cosmica, mai nata ed eterna, in un corpo.
Cercare di spezzare questa catena carica di dolore e sofferenza, il Samsara, è lo scopo del Vedanta e dello Yoga.
Vediamo quindi che il Vedanta si basa su un’apparente dicotomia: Brahman - Anima Cosmica da una parte, e Prakriti o Maya o Jagad, natura o illusione o universo, dall’altra. Una falsa dicotomia, però, perché solo il Brahman è reale, gli altri sono sue produzioni momentanee (anche se il ‘momento’ dura miliardi dei nostri anni). Quindi, tutta la Sadhana, la pratica spirituale, ha come obiettivo l’elevazione spirituale del Jiva, dell’Atman incarnato. All’elevazione spirituale corrisponde l’elevazione del livello vibratorio del Jiva.
Materia-Energia-Livelli vibratori. Nel mondo occidentale si è sempre considerata la materia come qualcosa di inerte che, solo quando è investita del respiro divino diventa viva. La materia inerte si può suddividere in un’immensa quantità di particelle che la compongono, gli atomi. Questi mattoncini di base sono, come dice la parola stessa, indivisibili. Negli anni 30 del ‘900 la visione della fisica occidentale comincia a cambiare. Grazie anche alla possibilità di utilizzare strumenti di analisi sempre più complessi e raffinati, ci si accorge che l’atomo è tutt’altro che immobile e tutt’altro che indivisibile.
Al suo interno si riproduce una struttura simile a quella del sistema solare, con un nucleo, intorno al quale orbitano a velocità vorticosa una miriade di particelle subatomiche, elettroni, neutroni, neutrini ecc. Tutte le particelle sono di massa infinitesimale, ma cariche di energia. Da questo si può facilmente dedurre che il concetto di materia inerte è superato. La materia, in un certo senso, non esiste. Esiste solo l’energia che, a seconda del suo livello vibratorio, cambia di stato. Se scaldiamo un pezzo di ghiaccio, ossia gli comunichiamo dell’energia, in questo caso termica, diventa acqua; se scaldiamo ancora, diventa vapore. Quando l’energia contenuta nel vapore comincia a dissiparsi nell’ambiente, esso si condensa e torna ad essere acqua; se togliamo ulteriore energia, avremo di nuovo il ghiaccio. È sempre H2O, ma la forma cambia radicalmente in base alla quantità di energia che possiede e al livello vibratorio dell’energia stessa. Se l’idea che l’intero Universo sia in realtà composto di sola energia è, per noi Occidentali, qualcosa di relativamente recente, lo stesso non si può dire per le scuole filosofiche indiane. Gli antichi Rishi sapevano benissimo, non solo che l’intero Universo è una massa viva e vibrante di energia, ma sapevano anche che il livello vibratorio di quest’energia ne determina, oltre alla forma (ghiaccio-acqua-vapore), anche la consapevolezza. Un’energia di basso livello darà vita a cose statiche, con nessuna consapevolezza di sé, come i minerali; un’energia di livello un po’ più alto produrrà esseri più complessi e dotati di una consapevolezza di base, come le piante. Salendo di livello in livello, alla sottigliezza dell’essere corrisponde una sempre maggiore consapevolezza di sé. Si passa dalla pianta al batterio, dal batterio all’insetto e così via fino all’uomo, e dall’uomo comune all’uomo spiritualmente evoluto, l’uomo il cui livello vibratorio è talmente elevato, da conferirgli la consapevolezza del suo essere divino. Tutta la Sadhana è rivolta all’innalzamento del livello vibratorio del praticante, affinché, con esso, si innalzi il suo livello di consapevolezza. La cosmogonica indiana è stata in qualche modo accettata anche dalla fisica moderna. La teoria del ‘big bang’, la grande esplosione, corrisponde al concetto di nascita dell’universo che troviamo negli antichissimi Shastra indiani. Secondo la fisica moderna, l’energia accumulata e concentrata in uno spazio minimo, un buco nero, a un certo punto si libera, dando il via ad un’immensa esplosione. Questa massa enorme
di energia, man mano che si allontana dalla fonte originaria, inizia a rallentare, abbassando il proprio livello vibratorio, e diventando sempre più grossolana, trasformandosi prima in gas, poi in liquidi e infine in materia solida. Quando la forza centrifuga iniziale si sarà esaurita completamente, l’Universo smetterà di espandersi e la forza centripeta del buco nero avrà di nuovo il sopravvento, richiamando a sé tutto quello che ne era uscito.
Il Karma è quella legge inderogabile che fa sì che ad ogni azione ne corrisponda un’altra, uguale e contraria. È la conseguenza di ciò che noi abbiamo fatto, in questa e, soprattutto, nelle vite precedenti. Nasciamo in una data situazione, corpo, intelligenza, famiglia, salute, agiatezza ecc., non casualmente, ma per poter riprendere il cammino spirituale, l’avvicinamento alla fonte divina, dallo stesso punto in cui lo avevamo lasciato nella vita precedente. Nella Bhagavad Gita, quando Arjuna chiede a Krishna cosa accade a coloro che, pur avendo percorso la via dello Yoga, sono morti prima di aver raggiunto Moksha, la liberazione, Krishna così risponde: “L’uomo che hai descritto non sarà perduto né in questo mondo né nell’altro, perché chi persegue il bene non può mai percorrere i sentieri della rovina. Dopo aver raggiunto i mondi dove vivono i giusti, ed esserci rimasto per una successione ininterrotta di anni, colui che ha fallito in questo yoga rinasce quaggiù, nella casa di persone prospere e virtuose.” B.G. VI, 40-42. E poi aggiunge: “Nel nuovo corpo egli ritroverà comunque il raccoglimento che aveva conseguito nella vita precedente, e potrà impegnarsi ulteriormente verso la perfezione. Anche senza cercarlo, egli sarà spontaneamente e irresistibilmente attratto dai principi della meditazione. Tenterà così di riafferrare la conoscenza, e solo facendo questo egli sarà già più avanti di chi ha eseguito tutti i riti purificatori raccomandati nelle scritture.” Ogni vita dipende dalle precedenti, nel bene e nel male, e pone i presupposti per le successive. Tutto quello che ci accade dipende esclusivamente da noi, anche se non ne siamo sempre coscienti.
Per arrivare ad una fede Sattvic, bisogna rendere Sattvic tutto il nostro essere, corpo, respiro, Prana, mente. Questo è il compito dello Yoga. Portare gradualmente il praticante ad essere Sattvic in ogni parte della sua vita. È una sfida immensa, ma va affrontata.
- Karma Yoga, lo Yoga che trasforma l’azione da causa di legami, a strumento diliberazione;
- il Bhakti Yoga, lo Yoga della devozione, che trasforma l’amore umano, solitamente egoistico, in amore disinteressato e universale, Prem;
- Jnana Yoga, lo Yoga della conoscenza, che, tramite lo studio degli Shastra e l’autoanalisi, permette alla mente superiore di calmare quella inferiore e di elevarsi a livelli divini;
- il Raja Yoga, la via reale o lo Yoga dei poteri psichici. Del Raja Yoga fanno parte tutte le pratiche più note, dall’Hatha Yoga al Mantra Yoga o allo Yoga Kundalini, pratica molto avanzata, riservata a chi ha già fatto un percorso di purificazione e di consapevolezza di buon livello.
Patanjali, nel secondo dei 196 aforismi dello ‘Yoga Sutra’, dice che “Yogas Chitta Vritti Nirodah”, ovvero “Lo Yoga è l’arresto delle alterazioni della mente”, cioè l’arresto delle onde di pensiero, di ogni attività mentale. Perché è così importante fermare la mente fino all’immobilità totale? Un esempio che si usa spesso per spiegare questo concetto, è il seguente: quando il mare è agitato, l’acqua intorbidita ci impedisce di vederne il fondo, che contiene un grande tesoro. Calmando l’acqua, fino a fermarla del tutto, essa diventerà trasparente, permettendo di vedere quel tesoro che prima era nascosto. Così la mente, in costante movimento, erige una sorta di cortina fumogena davanti alla parte divina, l’Atman, impedendoci di percepirlo e, di conseguenza, di prendere coscienza della nostra vera natura, che è divina. Naturalmente, queste non sono cose che si ottengono facilmente e in tempi brevi.
Lo Yoga riconosce 5 stati della mente, essi sono:
- Kshipta ……. Mente disturbata e dispersa
- Mudha………Mente stordita e intontita
- Vikshipta……Mente distratta, attenta solo occasionalmente
- Ekagra………Mente concentrata su un unico punto
- Niruddha……Mente completamente ferma e sotto controllo nella concentrazione.
non meno importante: recitare il proprio Mantra, per coloro a cui è stato impartito da una persona qualificata, o il Mantra universale OM, adatto a tutti.
L'uso dei Mantra è molto importante nel percorso spirituale. Swami Vishnu lo definisce in questo modo : “Il Mantra è energia mistica racchiusa in una struttura sonora.” È quindi energia divina, quella stessa energia che è alla base della creazione dell’universo e che tutto pervade, troppo sottile per essere percepita e che, leggermente meno sottile, si fa suono. Ripetere il Mantra, dapprima ad alta voce, poi sussurrandolo a fior di labbra, infine solo mentalmente, significa far vibrare tutto il nostro essere ad una frequenza che altrimenti riusciremmo a raggiungere solo con enormi difficoltà. Quando recitiamo un Mantra, non creiamo quel suono, perché quel suono già esiste, è sempre esistito, ma noi non abbiamo i mezzi per percepirlo, come non riusciamo a percepire le onde radio se non disponiamo di un apparecchio adatto. Quando recitiamo il Mantra, non facciamo che sintonizzarci, attraverso il suono grossolano, sulla sua essenza sottile, che è diretta espressione dell’energia divina. Abbiamo detto che l’intero Universo non è che energia; dietro ad ogni manifestazione grossolana di Prakriti, la natura sensibile, si nasconde un’essenza sottile, e dietro l’essenza sottile si nasconde una natura divina. Mettendo il nostro corpo e la nostra mente in vibrazione, dapprima grossolana, poi via via più sottile, ci avviciniamo sempre di più alla nostra vera, profonda natura, quella divina. Se tutta la Sadhana è tesa ad alzare il livello vibratorio del praticante, a renderlo sempre più sottile, quale sussidio migliore del Mantra? Esso ci permette di fare in brevissimo tempo un percorso che sarebbe altrimenti lungo e difficoltoso.
- 1. Deve avere un Rishi che ha raggiunto la realizzazione del Sé per la prima volta tramite questo Mantra, e lo ha donato al mondo. È il veggente di questo Mantra. Il saggio Vishwamitra, per esempio, è il Rishi del Gayatri mantra.
- 2. Il Mantra deve avere una metrica, Pada, che governa l’inflessione della voce. Alcuni invece di Pada, parlano di Raga, musica, nel senso che il Mantra ha degli accenti che ne stabiliscono il ritmo e la musicalità, essenziali perché esso mantenga tutto il suo potere.
- 3. Il Mantra deve avere un particolare Devata, la divinità che presiede al Mantra stesso.
- 4. Il Mantra ha un Bija o seme. Il seme è l’essenza più sottile del Mantra, e gli conferisce un potere speciale.
- 5. Ogni Mantra ha una Shakti. La Shakti è l’energia divina insita nel Mantra. L’energia creatrice che si manifesta nel Mantra stesso.
- 6. Il Mantra ha un Kilaka, una sorta di tappo. Kilaka chiude la Mantra Chaitanya, la coscienza che è nascosta nel Mantra. Quando questo ‘tappo’ viene gradualmente consumato e, infine, eliminato, con la ripetizione costante e prolungata del nome dell’Ishta Devata, la divinità di riferimento, la Chaitanya, la coscienza nascosta si rivela e il devoto ottiene la Darshana, la visione, dell’Ishta Devata.
Mettete una barra di ferro in una fornace ardente, diventerà rossa come il fuoco. Toglietela dalla fornace e perderà il suo colore rosso. Se volete mantenerla sempre rossa, dovrete tenerla sempre nella fornace. Allo stesso modo, se volete mantenere la mente carica del fuoco della saggezza brahmica, dovete tenerla sempre in contatto col fuoco brahmico della conoscenza, attraverso una costante ed intensa meditazione. Dovete mantenere un flusso ininterrotto di coscienza brahmica.
Normalmente i Mantra vengono divisi nei seguenti gruppi:
"Sono tutti aspetti di un unico Isvara o Signore. Sotto qualsivoglia nome o forma, è sempre Isvara ad essere adorato. L’adorazione va a Colui che è dentro, il Signore nella forma. Pensare che una forma sia superiore ad un’altra è pura ignoranza. Tutte le forme sono esattamente la stessa cosa. Adoriamo tutti lo stesso Dio, le differenze sono solo differenze di nome dovute alle differenze in coloro che adorano, ma non nell’oggetto dell’adorazione. Il vero Gesù o il vero Krishna sono nel vostro cuore. Egli vive lì eternamente, dimora dentro di voi. È sempre il vostro compagno, non c’è un amico migliore di Colui che dimora dentro di voi. Affidatevi a Lui, rifugiatevi in Lui, realizzateLo e siate liberi.” -- Swami Sivananda
I Nirguna Mantra, come abbiamo appena accennato, sono quei Mantra privi di Guna, che non hanno qualità, e sono fondamentalmente dei Mantra astratti, a volte composti da un’unica sillaba priva di un significato apparente, ma carica di energia spirituale. Talmente carica, che il loro uso è consigliabile esclusivamente ai praticanti più esperti, che già hanno acquisito la capacità di gestire al meglio questa massa di energia sottile senza fare danni.
- Lam per il Muladhara, elemento Terra;
- Vam per lo Svadistana, Acqua;
- Ram per il Manipura, Fuoco;
- Yam per l’Anahata, Aria;
- Ham per il Vishuddha, Etere, e infine
- OM per l’Ajna.
- Il Sahsrara, il loto dai mille petali, alla sommità della testa, non ha un Bija, ma solo silenzio.
OM Simbolo del Para Brahman
Bhur Bhu-Loka (piano fisico)
Bhuvah Antariksha-Loka (piano astrale)
Svah Svarga-Loka (piano celeste)
Tat Quello; Paramatman trascendente
Savitur Ishvara o Creatore
Varenyam Degno di essere venerato o adorato
Bhargo Che elimina peccati ed ignoranza.
Splendore di gloria
Devasya Risplendente; luminoso
Dheemahi Noi meditiamo
Dhiyo Buddhi; intelletto; comprensione
Yo Che; chi
Nah Nostro
Prachodayat Illumina; guida; spinge a fare
Oltre a questo, che è il Gayatri Mantra fondamentale, esistono anche i Gayatri delle varie divinità, così abbiamo il Gayatri di Ganesha, di Vishnu, di Durga e così via.
dei quattro Veda, e sono le seguenti:
- Prajñānam brahma - "La coscienza è Brahman" – Rig Veda
- Ayam ātmā brahma - "Questo Sé (Atman) è Brahman" –Atharva Veda
- Tat tvam asi - "Tu sei quello” - Sama Veda
- Aham brahmāsmi - "Io sono Brahman" – Yajur Veda.
l’Atman.
Le religioni si incontrano a Lavaur per meditare insieme
«È un’esperienza di trasformazione interiore» spiega Losang Gendun, «ma anche di co-creazione. Non si tratta di affiancare le religioni, ma di inventare insieme un nuovo significato.»
La particolarità di questo ritiro risiede nel metodo: tutti gli esercizi vengono svolti in coppia o in piccoli gruppi interreligiosi. Questo lavoro a specchio favorisce l’ascolto attivo e l’adattamento reciproco. Anche le meditazioni vengono rielaborate collettivamente, parola per parola, affinché risuonino con le diverse tradizioni rappresentate — compresi i facilitatori.
Per molti dei partecipanti, tornati nei loro rispettivi Paesi, questa settimana ha seminato molto più di semplici ricordi: un modo nuovo di credere, dialogare, vivere insieme — forse, un inizio.
Lavaur si trova a circa un'ora da Toulouse. Link al centro buddhista: Link al centro buddhista https://www.institutvajrayogini.fr/
Il Vedānta e le sue Correnti Filosofiche
Vedānta (devanāgarī: वेदान्त, "fine dei Veda") è un termine sanscrito che indica la parte finale del corpus vedico, rappresentata principalmente dalle Upaniṣad, e che simboleggia anche il culmine del pensiero spirituale indiano, orientato verso la liberazione (mokṣa).
In senso dottrinale, Vedānta si riferisce anche alla Uttaramīmāṃsā ("esegesi ulteriore"), fondata sullo studio del Brahmasūtra (o Vedāntasūtra), un testo di aforismi attribuito a Bādarāyaṇa, strutturato in quattro adhyāya (capitoli), ciascuno diviso in pāda (sezioni), per un totale di 555 sutra.
La base scritturale del Vedānta si fonda sul prasthānatraya ("i tre punti di partenza"):
- Le Upaniṣad
- La Bhagavadgītā
- Il Brahmasūtra
Queste opere sono oggetto di interpretazioni diverse, da cui derivano varie scuole vedāntiche. Tradizionalmente, il Vedānta si articola in sei principali correnti filosofiche:
- Advaita Vedānta di Śaṅkara (VI–VII secolo)
- Viśiṣṭādvaita Vedānta di Rāmānuja (XI secolo)
- Dvaita Vedānta di Madhva (XIII secolo)
- Dvaitādvaita Vedānta di Nimbārka (XIV secolo)
- Śuddhādvaita Vedānta di Vallabha (XV–XVI secolo)
- Acintyabhedābheda Vedānta di Caitanya (XVI secolo)
Queste scuole, pur avendo come riferimento lo stesso canone, giungono a concezioni molto differenti sulla natura dell’Assoluto (Brahman), del sé (ātman), e del mondo empirico (jagat).
Advaita Vedānta. Advaita (sanscrito: "non-dualismo", o "monismo") è la scuola Vedānta più influente, fondata in forma sistematica da Śaṅkara (Śaṅkarācārya), ma preceduta dal pensiero del filosofo del VII secolo Gauḍapāda, autore del Māṇḍūkya-kārikā, un commento in versi sulla Māṇḍūkya Upaniṣad.
Gauḍapāda, influenzato anche dal buddhismo mahāyāna (in particolare dalla dottrina dello śūnyavāda), afferma:
- L’unica realtà è la non-dualità (advaita).
- Tutta la percezione fenomenica, nella veglia come nel sogno, è māyā (illusione).
- Il jīva (anima individuale) non è realmente distinto dall’ātman, l’Essere universale.
Non c'è divenire, solo apparenza: come lo spazio in un vaso non è diverso dallo spazio infinito, così l’anima individuale non è distinta dal Brahman.
Śaṅkara sviluppa l’Advaita in modo filosoficamente rigoroso nel suo Śārīraka-mīmāṃsā-bhāṣya, il commento ai Brahmasūtra. La sua visione si fonda su alcuni principi chiave:
- Brahman è l’unica realtà: senza attributi (nirguṇa), al di là del tempo, dello spazio e della causalità.
- Il mondo è illusorio (māyā): reale solo in senso relativo.
- L’ātman individuale è Brahman: la conoscenza di questa identità porta alla liberazione.
L’errore percettivo (adhyāsa) consiste nel sovrapporre attributi all’Io, come nell’esempio della corda scambiata per un serpente.
Viśiṣṭādvaita significa "non-dualismo qualificato". Fondata da Rāmānuja, questa scuola propone una visione in cui l’unità dell’Essere supremo (Brahman) è mantenuta, ma è qualificata dalla presenza della prakṛti (materia) e degli ātman individuali, che costituiscono il corpo del Signore (sarīra-sarīrī bhāva).
- Il jīvātman non è identico al Brahman, ma eternamente connesso ad esso.
- La molteplicità è reale, ma subordinata all’unità organica del tutto.
- L’affermazione "Aham Brahmāsmi" è letta in chiave devozionale: l’unione con Dio non annulla la dualità, ma la sublima in comunione.
Una metafora spesso utilizzata è quella della scintilla e del fuoco: il jīvātman è una parte del Brahman, ma non è il tutto.
Dvaita Vedānta di Madhva afferma una netta dualità: Dio e l’anima individuale sono eternamente distinti.
Dvaitādvaita, Śuddhādvaita e Acintyabhedābheda cercano diverse forme di conciliazione tra unità e diversità. Differenze di prospettiva e coesistenza delle visioni. Una celebre risposta di Hanuman a Rāma sintetizza poeticamente le tre visioni vedāntiche:
- Quando sono consapevole del mio corpo, sono il Tuo servo.
- Quando sono consapevole della mia individualità, sono una parte di Te.
- Quando sono consapevole della mia essenza, sono Te stesso.
Questa risposta incarna: - La prospettiva dvaitica (servo), - Quella viśiṣṭādvaitica (parte), - E infine quella advaitica (identità totale).
Molti vedāntin contemporanei sottolineano che le tre visioni non si escludono, ma possono essere viste come progressive realizzazioni spirituali.
Conclusione. Il Vedānta rappresenta un corpus filosofico vasto e profondo, in cui le diverse scuole interpretano in modi differenti la natura dell'Assoluto e il rapporto con l’individuo e il mondo. Sebbene Advaita sia stata la scuola più influente storicamente, Viśiṣṭādvaita, Dvaita e le altre correnti offrono alternative altrettanto coerenti e profonde. La loro diversità non implica necessariamente contraddizione, ma riflette differenti vie di accesso alla verità, adattabili ai livelli e agli stati di coscienza dei ricercatori spirituali.
Advaita Vedanta
Il lato oscuro della meditazione
Sebbene esistano evidenze sugli effetti positivi della meditazione, negli ultimi anni la ricerca ha iniziato a portare alla luce alcuni possibili rischi. La Meditazione: una pratica positiva o negativa per la propria salute?
La meditazione viene spesso presentata come una sorta di panacea per tutti i mali: ma è davvero così? Già nel 1976, Arnold Lazarus scriveva “One man’s meat is another man’s poison” sottolineando che questa pratica, pur essendo utile per molte persone, poteva invece essere dannosa per altre.
La meditazione è spesso concepita come una pratica capace di curare universalmente tutte le sofferenze di coloro che si approcciano ad essa, motivo per cui vi è la credenza che apporti sempre e solo benefici a chiunque la pratichi. Non a caso, il centro statunitense Dhamma Pubbananda, specializzato nella meditazione, l’ha definita un “rimedio universale per mali universali” che permette una “liberazione totale da impurità e sofferenza” (Kortava, 2021).
La meditazione, nonostante le sue antiche origini buddhiste, è riuscita ad integrarsi nella società e cultura americane odierne, tanto che il 14% della popolazione americana la pratica per migliorare il proprio benessere mentale, emotivo e fisico (Lindahl, 2017). Tuttavia, sebbene esistano evidenze sugli effetti positivi della meditazione, tra cui l’incremento delle emozioni positive e del benessere psicologico, nonché la riduzione dell’ansia e dello stress, negli ultimi decenni la ricerca ha iniziato a portare alla luce rischi ed effetti collaterali delle pratiche meditative, come depressione, agitazione e episodi schizofrenici (Lazarus, 1976). Grazie al lavoro di alcuni ricercatori sta iniziando a diffondersi la consapevolezza che la meditazione può rivelarsi una pratica benefica per alcuni soggetti e dannosa per altri, soprattutto per coloro che hanno una storia pregressa di problemi di salute mentale o condizioni psichiatriche non ancora emerse. Questo filone di ricerca tuttavia è ancora agli albori.
Chi pensa che la meditazione sia solo pace, amore e benessere, sbaglia. Anche questa pratica millenaria, dai provati effetti benefici, ha un lato oscuro. Un ‘dark side’ in cui rientrano esperienze sgradevoli e inaspettate: si va dall’ansia all’insonnia, fino alle allucinazioni. Il buddismo zen ha persino un nome ad hoc per descrivere questo tipo di percezioni, makyo: combinazione delle parole giapponesi “diavolo” e “mondo reale”. Se ne sa poco, se ne parla ancora meno, eppure esistono e ora a documentarle, yin su yang (nero su bianco), c’è un nuovo studio appena pubblicato sulla rivista scientifica Plos One. Una ricerca condotta da un’équipe di studiosi della Brown University, negli Stati Uniti, che ha intervistato 60 buddisti occidentali di tradizione zen, theravada e tibetana.
“Solo perché qualcosa è benefico e positivo non vuol dire che non dobbiamo essere al corrente della varietà di possibili effetti che può avere”, ha detto a Quartz Jared Lindahl, uno degli autori dell’analisi, spiegando le motivazioni che lo hanno spinto ad indagare. Sotto esame sono finite le testimonianze di meditanti novizi, come di insegnanti che fino a oggi hanno accumulato più di 10mila ore di meditazione. Tutti, durante la pratica, hanno fatto fronte a emozioni poco piacevoli o a disturbi psicofisici. Si tratta di conseguenze che possono essere leggere e transitorie o più serie e durevoli, scrivono gli studiosi. In totale, ne hanno contate 59 riconducibili a sette categorie: cognitive, percettive, affettive (relative alle emozioni), somatiche, conative (relative alla motivazione), senso di sé e sociale. C’è, per esempio, chi ha riportato insonnia, chi un distaccamento emotivo, e chi irritabilità. Altri hanno ripercorso traumi passati, o hanno maturato una maggiore sensibilità alla luce. Una serie di esperienze variegate, che sono ben lontane dall’idea stereotipata della meditazione.
Uno studio interessante, se preso con le dovute precauzioni, precisa a Galileo Antonino Raffone, professore del dipartimento di psicologia dell’università Sapienza. È un’indagine qualitativa, non statistica. Quindi è impossibile sapere quanto sia diffuso il fenomeno tra i meditanti. Non stupisce, però, il fatto che durante la meditazione, quando praticata in maniera intensiva, si possano fare delle esperienze negative. Secondo Raffone, hanno più probabilità di verificarsi tra soggetti vulnerabili che dovrebbero affiancare alla meditazione una psicoterapia. “È un percorso che ci mette in contatto con le nostre attitudini e le nostre emozioni, anche quelle inespresse”, spiega. Una persona inconsciamente ansiosa potrà venire a contatto con la sua ansia. “D’altra parte, la stessa meditazione ci fornisce gli strumenti per ritornare a una condizione di equilibrio”. Niente di preoccupante, quindi. Ma il consiglio è di farsi sempre seguire da istruttori qualificati.
Willoughby Britton, direttrice del Laboratorio di Neuroscienze Cliniche e Affettive della Brown University Medical School, ha dedicato la sua carriera allo studio dei potenziali effetti avversi della meditazione e delle pratiche contemplative. Appena laureata era lei stessa un’avida meditatrice; tuttavia, nel corso di uno studio sulla relazione tra meditazione e qualità del sonno – innovativo in quanto basato su dati di laboratorio, e non solamente sulle impressioni dei partecipanti – ha fatto una scoperta inaspettata: i soggetti che meditavano per più di 30 minuti al giorno si svegliavano più spesso durante la notte e avevano un sonno meno profondo, anche se dichiaravano di dormire meglio grazie a questa pratica (Britton et al., 2010).
I risultati di tale studio hanno portato Britton e il suo team a sottolineare come, fino a quel momento, la ricerca sulle pratiche contemplative si fosse concentrata quasi esclusivamente sui loro benefici, trascurando l’analisi dei possibili rischi ad esse associati. Ciò ha dato vita al “Varieties of Contemplative Experience Project”, un’indagine volta a documentare, comprendere e rendere pubbliche le testimonianze di coloro che hanno sperimentato effetti indesiderati in seguito alla meditazione, coinvolgendo insegnanti e praticanti – con diversi livelli di esperienza – di meditazione delle tradizioni Theravāda, Zen e Tibetana. I dati raccolti hanno permesso di fare luce su possibili fenomeni avversi, tra cui ansia, panico, flashback traumatici, allucinazioni visive e uditive e appiattimento affettivo (Lindahl et al., 2017).
L’accumularsi di queste evidenze ha condotto Britton alla fondazione di Cheetah House, un progetto che si pone la missione di fornire sostegno a coloro che hanno sperimentato problematiche legate alle pratiche contemplative (problematiche che, purtroppo, vengono spesso ignorate da altri professionisti) e di educare gli istruttori di meditazione sui potenziali effetti dannosi di tale pratica. Vedi: https://www.cheetahhouse.org/ (resources and support for adverse meditation experiences).
E la mindfulness? È dannosa o è semplicemente male interpretata? Le pratiche contemplative promuovono la mindfulness, ovvero la capacità di stare nel momento presente senza tentare di modificarlo. Oggigiorno la psicoterapia sta volgendo lo sguardo verso i “trattamenti di terza generazione”, il cui denominatore comune è proprio la mindfulness come punto cardine (Ruggiero, 2022).
Proprio come le pratiche contemplative, anche la mindfulness è stata “accusata” di causare malessere psicologico. Whippman (2016) sostiene che la società capitalistica in cui viviamo, specialmente attraverso gli enti governativi e aziendali, incentivi l’idea dell’uomo sano come di una macchina che non prova mai emozioni negative; se le provi non è perché il governo o l’azienda ti stanno facendo mancare qualcosa, ma perché non ti stai impegnando abbastanza per pensare positivamente. È qui che entra in gioco la mindfulness: essa infatti può aiutare a mantenere il pensiero focalizzato non solo sul momento presente, ma anche su una visione positiva della realtà. In termini concreti: ignora quello che non va e continua a produrre.
Se però la mindfulness può avere questo riscontro dannoso, com’è possibile che la psicoterapia odierna la stia utilizzando come base per evolversi? Per rispondere a questa domanda bisognerebbe innanzitutto chiedersi se il mantenimento del pensiero positivo sia il reale obiettivo della mindfulness. La risposta è no.
Come anticipato, la mindfulness rappresenta la capacità di sentire e tollerare le emozioni, belle o brutte che siano. In altre parole: non ignorarle, ma accettarle. Accettare che qualcosa non va, è il primo passo per promuovere un cambiamento. La mindfulness ci è utile anche durante questo processo: cambiare non è facile, è una sfida che può provocare ansia, frustrazione e tristezza. Esercitarci a gestire la nostra mente in modo mindful è la chiave per sopportare queste emozioni negative in vista di un bene superiore: il raggiungimento del nostro benessere (Linehan, 1993).
Per via della sua complessità, è bene fare attenzione alla distinzione tra l’idea di mindfulness propinata dalla società, ovvero una positività pervasiva volta a soffocare qualsiasi tipo di malessere in favore di efficienza e produttività, e quella su cui invece la psicoterapia odierna sta costruendo la propria evoluzione. È quindi consigliabile non sottoporsi a tale pratica arbitrariamente e invece affidarsi a figure competenti che valutino la possibilità di procedere compatibilmente con l’anamnesi presentata. La supervisione di un professionista garantisce inoltre la condivisione delle finalità della mindfulness e consente l’identificazione di un obiettivo funzionale e fondato, diminuendo la probabilità di avere effetti indesiderati.
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI.
Britton, W. B., Haynes, P. L., Fridel, K. W., & Bootzin, R. R. (2010). Polysomnographic and Subjective Profiles of Sleep Continuity Before and After Mindfulness-Based Cognitive Therapy in Partially Remitted Depression. Psychosomatic Medicine, 72(6), 539.
Kortava, D. (2021). Lost in Thought: The psychological risks of meditation. Harper’s Magazine, April 2021. Retrieved April 19, 2024, here.
Lazarus, A. (1976). Multi-Modal Behavior Therapy. Springer.
Lindahl, J. R., Fisher, N. E., Cooper, D. J., Rosen, R. K., & Britton, W. B. (2017). The varieties of contemplative experience: A mixed-methods study of meditation-related challenges in Western Buddhists. PLOS ONE, 12(5), e0176239.
Linehan, M. M. (1993). Cognitive-behavioral treatment of borderline personality disorder. Guilford Press.
Ruggiero, G. M. (2022). La parola, il corpo e la macchina nella letteratura psicoterapeutica (1st ed.). Alpes Italia srl.
Whippman, R. (2016, November 26). Actually, Let’s Not Be in the Moment. The New York Times.
La notte dell'anima. Il lato oscuro della meditazione Dal sito: https://www.stateofmind.it/2024/05/meditazione-possibili-rischi/ Articolo di Di Silvia Bettoni, Silvia Carrara, Michela Di Gesù, Martina Gori, Giulia Onida, Matteo Zambianchi - Pubblicato il 07 Mag. 2024
Vedi: https://www.galileonet.it/ansia-insonnia-lato-oscuro-meditazione/ Articolo di Rosita Rijtano
Dalla Superficialità alla Verità: Un Viaggio Spirituale verso l’Unità Interiore
La verità è una, ed è eterna. Non può essere definita, né contenuta nei limiti della parola o del pensiero. Essa si realizza solo nel cuore dell’essere umano che, liberandosi dalla superficialità della vita dominata dall’egoismo e dal materialismo, intraprende la via della ricerca interiore. Questo articolo intende esplorare il percorso spirituale che conduce dalla frammentazione dell’ego alla piena unione con il Divino, attraverso gli insegnamenti dello yoga, della tradizione cristica e delle vie mistiche orientali e occidentali.
L’essere umano moderno, immerso nel consumismo e nella frenesia esteriore, si allontana dalla propria essenza. La perdita del contatto con l’anima genera una condizione di alienazione e insoddisfazione esistenziale. Come la rana che vive tutta la vita nello stagno ignorando l’esistenza del mare, così l’uomo vive nella superficie della coscienza, incapace di percepire la profondità del proprio essere.
Lo yoga, in tutte le sue forme—karma yoga, bhakti yoga, jnana yoga e raja yoga—offre strumenti concreti per il ritorno a sé. Il karma yoga insegna l’agire disinteressato come mezzo di elevazione; il bhakti yoga invita alla devozione amorosa; il jnana yoga guida all’autoconoscenza; il raja yoga, infine, attraverso il silenzio, conduce alla meditazione profonda, là dove si dissolve ogni separazione.
«Il regno di Dio è dentro di te» – questa verità evangelica trova un’eco profonda nella scienza yogica. Il silenzio non è solo assenza di parole, ma è spazio interiore, condizione necessaria affinché l’anima possa risuonare con la sua origine divina. Nella visione di Patanjali, il silenzio mentale (nirodha) è la chiave per raggiungere gli stati superiori della coscienza.
Sat-Chit-Ananda, termine sanscrito che descrive la natura dell’anima (Purusha), significa esistenza-coscienza-beatitudine. Man mano che si va in profondità, dalla materia si passa all’energia, e da lì alla coscienza pura. Come l’acqua che solidifica fino a diventare ghiaccio, così la realtà manifesta scaturisce da una sorgente immutabile. La verità ultima è l’anima, ed è una sola in tutti gli esseri.
Nel cuore del percorso spirituale risiede l’amore, forza centripeta che conduce verso l’unità. «Quando muori, non conta ciò che hai fatto, ma quanto hai amato»: questo principio, radicato nella mistica cristiana e presente anche nel bhakti yoga, esprime la centralità dell’amore come mezzo di unione con il Divino.
Isvara Pranidhana, uno dei precetti dello yoga di Patanjali, è l’abbandono al Signore, l’affidamento totale dell’ego al Sé superiore. Questo atto non è passività, ma apertura profonda. L’amore autentico dissolve le barriere tra l’io e il tu, tra umano e divino.
Cristo e l’Oriente: Visioni Unificate del Divino. Secondo una tradizione orientale e alcuni studi meno ortodossi (come quelli di Notovich), Gesù avrebbe trascorso diciotto anni in India, apprendendo le tecniche del Kriya Yoga e altre pratiche spirituali. In questa visione, Gesù non è solo una figura storica ma un Avatar, una manifestazione dell’Assoluto sulla terra.
Il messaggio centrale del Cristo – “Tu sei figlio di Dio”, “Il regno è dentro di te” – viene interpretato in chiave gnostica e yogica come un invito alla realizzazione interiore. La spiritualità dei Padri del Deserto, così come la gnosi primitiva, non era centrata sul dogma, ma sull’esperienza diretta della Presenza divina attraverso il silenzio e la meditazione.
Nella teologia mistica, la Coscienza Cristica è l’intelligenza divina presente in ogni atomo dell’universo. È il “Dio Figlio”, che insieme al “Dio Padre” e allo “Spirito Santo” compone una trinità attiva. Questo principio è sorprendentemente affine alla concezione indiana della trinità: Brahman (Assoluto), Atman (Sé individuale), e Shakti (energia divina).
L’amore, in questa prospettiva, permea l’intera creazione. Tutti i grandi Maestri spirituali, da Buddha a Yogananda, da Krishna a Cristo, hanno mostrato come il vero cammino consista nell’annullare l’ego per fare spazio al Divino.
Yogananda, maestro del Kriya Yoga, sottolineava che la spiritualità non è un sistema di credenze, ma una scienza sperimentale. Meditazione, preghiera, mantra (japa), e pratiche energetiche come il reiki o la pranoterapia sono strumenti per aprirsi al flusso dell’energia divina. Il silenzio interiore, la pratica regolare e la compassione universale sono pilastri della trasformazione.
Secondo gli insegnamenti di Swami Kriyananda e altri discepoli, il progresso spirituale si realizza nel quotidiano, nel karma yoga del vivere consapevole, nella scelta di gruppi spirituali che stimolino l'evoluzione interiore, e nel coltivare la bontà come riflesso della Bontà divina.
Conclusione: Verso l’Unità dell’Essere. Siamo tutti pellegrini sul sentiero della verità. La sofferenza spesso ci spinge a cercare, ma la vera libertà arriva solo quando si ama il Divino per il Divino stesso. Ogni atto d’amore, ogni momento di silenzio, ogni respiro consapevole è un passo verso l’unità.
La spiritualità autentica è l’arte di vivere nel mondo senza essere del mondo. È la via che va dalla mente al cuore, dal rumore al silenzio, dall’ego all’amore, dalla molteplicità all’Uno.
Ajahn Chandapalo
Nato a Preston, nel Lancashire (Inghilterra), inizia ad interessarsi alla meditazione buddhista durante l’ultimo anno di studi presso la facoltà di Ingegneria dell’Università di Lancaster. A Manchester, ad una celebrazione del Vesak nel 1978, incontra per la prima volta il Ven. Ajahn Sumedho, della tradizione Theravada dei monaci della foresta. Durante gli studi per il Master in Ingegneria Biomedica presso l’Università di Dundee, incontra il Ven. Ajahn Chah ad Edimburgo. Dopo aver ricoperto per quasi un anno la posizione di Assistente Ricercatore nell’Unità di Bioingegneria di Glasgow, sceglie di intraprendere il sentiero monastico, e prende gli otto precetti come anagarika (postulante) presso il Monastero di Chithurst nel West Sussex.
https://santacittarama.org/2019/02/20/biografia-di-ajahn-chandapalo/
domenica 3 agosto 2025
I benefici profondi del pranayama
Che tu sia un principiante alle prime esperienze sul tappetino o un praticante avanzato, sai bene che lo yoga non è soltanto una pratica fisica, ma un'arte di consapevolezza. Al centro di tutto vi è il respiro: un ponte tra corpo e mente, tra dentro e fuori. Nello yoga la respirazione deve essere il più lenta e profonda possibile. Molte persone non se ne accorgono ma respirano solo con il torace, solo con l'addome oppure in minima parte con entrambi. La respirazione yoga deve essere completa, cioè ci deve essere una notevole espansione sia del torace che dell'addome.
Comprendere e padroneggiare le tecniche di respirazione yogica – note come Pranayama – è fondamentale per ottenere una pratica profonda, trasformativa e benefica sotto molti aspetti, fisici, mentali e spirituali. La parola Pranayama deriva dal sanscrito prāṇa (energia vitale, respiro) e āyāma (espansione, controllo). Dunque, il Pranayama è la disciplina che consente di estendere e dirigere l’energia vitale attraverso il controllo consapevole del respiro.
Le quattro fasi fondamentali del Pranayama sono:
- Puraka: l’inspirazione
- Antara Kumbhaka: la ritenzione a polmoni pieni
- Rechaka: l’espirazione
- Bahya Kumbhaka: la ritenzione a polmoni vuoti
Questa struttura ritmica, se praticata con regolarità, aiuta a stabilizzare il sistema nervoso, a migliorare la salute respiratoria e ad aprire la via alla meditazione.
Una respirazione profonda e consapevole ha effetti documentati sulla salute fisica e psico-emotiva. Alcuni dei benefici principali includono:
- Rafforzamento del sistema respiratorio
- Miglior ossigenazione del sangue e degli organi, in particolare cervello e colonna vertebrale
- Attenuazione dello stress e dell’ansia
- Maggiore concentrazione e centratura mentale
- Equilibrio del sistema nervoso autonomo ed endocrino
In ambito yogico, il respiro non è solo scambio gassoso, ma veicolo sottile dell’energia vitale, che scorre nei canali (nadi) del corpo. Regolare il respiro significa regolare la mente e, in ultima istanza, l’intero essere.
Esistono tre forme principali di respirazione, che possono essere praticate separatamente o unite nella cosiddetta respirazione yogica completa:
- Respirazione addominale
- Coinvolge la parte inferiore dei polmoni e il diaframma.
- L’addome si espande all’inspirazione e si contrae all’espirazione.
- Favorisce il massaggio degli organi interni, riduce lo stress e migliora l’ossigenazione.
- Respirazione toracica
- Coinvolge la parte centrale e superiore dei polmoni.
- Avviene grazie all’espansione delle costole tramite i muscoli intercostali.
- È meno efficiente di quella addominale, ma utile per la consapevolezza della gabbia toracica.
- Respirazione clavicolare
- La più superficiale: si attiva sollevando spalle e clavicole.
- Il volume d’aria è minimo; è usata nei momenti di emergenza o stress.
- In ambito yogico, viene praticata per completare la respirazione totale.
Respirazione yogica completa: combina addome, torace e clavicole in un’unica onda fluida e potente, ampliando al massimo la capacità polmonare e la consapevolezza.
Per migliorare la respirazione è essenziale osservarla. Puoi farlo da seduto, portando una mano sull’addome e una sul petto, notando quale delle due si muove durante l’inspirazione. Questo semplice esercizio aiuta a riconoscere il proprio modello respiratorio e ad accrescerne la consapevolezza, primo passo per trasformarlo.
Nel quotidiano, nei momenti di stress o durante le posture più intense (asana), il ritorno al respiro consapevole permette di rimanere presenti, centrati e calmi. Respirare è un atto di presenza, un ancora nel qui e ora.
Per chi è agli inizi, è utile esercitare separatamente le tre respirazioni per acquisire familiarità:
- Addominale: mani sull’ombelico, segui il movimento del diaframma.
- Toracica: mani sulle costole, osserva l'espansione laterale.
- Clavicolare: mani sulle clavicole, percepisci il sollevamento delle spalle.
Dopo qualche ciclo di pratica, puoi integrare i tre tipi in una respirazione completa, inspirando dal basso verso l’alto ed espirando dall’alto verso il basso, in un flusso armonico.
Ecco alcune delle tecniche più conosciute, adatte a vari livelli di pratica:
- Anuloma Viloma / Nadi Shodhana (respirazione a narici alternate), Purifica i canali energetici (nadi), calma la mente e riequilibra emisferi cerebrali.
- Respiro risonante. Inspirazione ed espirazione della stessa durata (es. 6 secondi), favorisce rilassamento e coerenza cardiaca.
- Kapalabhati (respiro del cranio splendente). Espulsioni rapide e forzate d’aria dal naso, attiva il fuoco addominale (agni), detossifica e stimola.
- Bhastrika (respiro del mantice). Inspirazioni ed espirazioni vigorose con movimento sincronizzato delle braccia: energizzante e riscaldante.
- Bhramari (respiro dell’ape). Emissione del suono “OM” a bocca socchiusa durante l’espirazione, con chiusura dei sensi (Shanmukhi Mudra). Induce calma profonda e stimola il sistema parasimpatico.
La respirazione non è un gesto automatico da dare per scontato: è uno strumento potente di autoconoscenza e trasformazione. Nello yoga, imparare a respirare significa imparare a vivere meglio, con più presenza, equilibrio e salute. Il respiro è sempre con te: usalo con saggezza.
Vedi link:
- https://www.youtube.com/watch?v=bVt5aqoWYhA
- https://eventiyoga.it/tecniche-di-respirazione-yoga/
Cosa è lo yoga.
Introduzione al Blog
Il Blog è nato nel marzo 2021, in tempo di pandemia, per comunicare e condividere le mie letture e i miei interessi. Nel Blog ci sono c...
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Sequenza proposta all'ashram di Krishnamacharia. Leggera difficoltà.
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Nella prospettiva dell’Agenda 2030 le biblioteche hanno un ruolo chiave nel Sistema del Benessere, in qualità di infrastrutture culturale di...
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Questo mercoledì 27.11.2024 alle ore 18,30 presentazione ON LINE su piattaforma ZOOM del libro di Tiziano Terzani, La fine è il mio inizio...