venerdì 5 novembre 2021

Yoga e ginocchia

 Praticare yoga se si hanno problemi alle ginocchia. 

Lo yoga, è una disciplina accessibile a chiunque, a persone di ogni età e di qualsiasi preparazione fisica. Non è necessario essere in forma, sarà poi lo yoga a insegnare a rispettare il proprio corpo, a esserne più consapevoli. Se si hanno problemi fisici però è importante non ignorarli ed occorre prestare attenzione e ascoltare cosa ci suggerisce il corpo.

Ricordiamo brevemente che lo yoga porta con sé numerosi benefici nel tempo per la mente, il corpo e lo spirito. Rimanendo sul piano fisico, anche dopo solo poche lezioni, chi pratica yoga si sente più flessibile, più elastico. Ben presto si rafforza la muscolatura della schiena e si migliora la postura con  riduzione dei dolori muscolari.  Sempre sul piano fisico, lo yoga è considerato una disciplina “amica” del cuore perché abbassa la pressione sanguigna e rallenta i battiti. Alcuni studi mettono in evidenza anche gli effetti antiossidanti e la stimolazione positiva del sistema immunitario.   Si possono praticare anche esercizi contro il mal di schiena. Lo yoga infatti è un alleato per chi soffre di mal di schiena perché “stira” tutti i muscoli e allinea le ossa in maniera tale da migliorare la postura.

L’allenamento all’ascolto del proprio corpo permette di portare ciò che si impara e si sperimenta sul tappetino, anche nella vita di tutti i giorni; ciò comporta che le posizioni corrette apprese durante la pratica diventano sempre più naturali e spontanee. Insomma, si impara a conoscersi e a capire quando è il caso di evitare di fare determinati movimenti. Perché ormai è risaputo che una postura scorretta – e aggiungiamo, inconsapevole – può portare a problemi a diverse parti del corpo, e tra queste le ginocchia sono tra le prime. Spessissimo gli ortopedici diagnosticano come causa di un dolore alle ginocchia proprio una postura scorretta.

Può capitare di avvertire dolore durante la pratica degli asana, soprattutto se ti sei avvicinato allo yoga da poco tempo. Se dovesse capitarti, significa che stai sbagliando qualche movimento o stai chiedendo troppo al tuo corpo. Ricorda sempre che lo yoga, se eseguito correttamente, non deve causare dolore, se non quello lieve e passeggero come  quando non si è abituati a fare attività fisica. A volte basta modificare l’asana, altre volte invece devi fermarti: se una posizione non ti riesce in nessun modo è inutile forzarsi e sforzarsi, è meglio evitarla. Quanto meno ora, non è detto che più avanti, con maggiore esperienza e pratica, tu riesca tranquillamente a eseguirla.

Adattare le posizioni al proprio corpo non è sbagliato, anzi. Ogni corpo è diverso dall’altro, quindi è normale aiutarsi con supporti per rendere gli asana più confortevoli. Si possono usare cuscini, salviette, blocchi e tutto ciò che serve per essere più a proprio agio in quella posizione.

Quando avverti dolori durante gli asana ricordati di:Rispettare il tuo corpo, Fermarti e cambiare atteggiamento, Avvertire i cambiamenti che avvengono nel tuo corpo, Rilassarsi sempre, prima, durante e dopo la seduta di yoga.

  Ma veniamo allo yoga se si hanno problemi alle ginocchia. Lo yoga fa bene alle ginocchia. Infatti, praticando alcune posizioni specifiche, è possibile rinforzare allungare e migliorare la flessibilità di tutti i muscoli che contribuiscono al corretto funzionamento del ginocchio, quali i quadricipiti, lo psoas e i muscoli posteriori della coscia.  Le ginocchia sono sostenute dai quadricipiti, e quando questi non sono elastici, contribuiscono a spostare verso l’alto la rotula, provocando tensione nell’articolazione. La rotula inoltre può muoversi in modo errato anche quando si verifica un disequilibrio tra i muscoli che sostengono il ginocchio: può accadere quindi che la rotula si muova all’esterno della sua sede, causando consumo della cartilagine e dolore.  Lo psoas, invece, è il muscolo flessore dell’anca, che collega il femore con la zona lombare della schiena. Questo muscolo, pur essendo fondamentale per la mobilità del corpo (lo utilizziamo ogni volta che solleviamo la gamba o che ci mettiamo in posizione seduta), spesso è irrigidito: il perché è da ricercare nel tipo di vita che conduce la maggior parte di noi, una quotidianità sedentaria passata alla scrivania. L’irrigidimento, e quindi la mancanza di elasticità, possono causare tensione nella zona lombare, provocando dolore alla schiena e attrito alle ginocchia.

Come abbiamo detto, la pratica degli asana contribuisce a mantenere le articolazioni lubrificate, a incrementare la circolazione sanguigna (incrementando pertanto l’apporto di ossigeno alle ossa, ai muscoli e ai tessuti) a rinforzare e allungare legamenti e muscoli (e in tal caso la rotula rimane nel suo asse, scivola senza sforzo e la cartilagine non viene consumata). Partendo sempre dal presupposto che nello yoga è fondamentale ascoltare il proprio corpo. Una volta assimilato questo concetto e superata la voglia di essere performante a tutti i costi (che poi lo yoga insegna il contrario, ossia a rispettare i propri limiti) bisogna cercare di mettere in pratica qualche accorgimento per evitare di farsi male.

Innanzitutto verifica il tuo allineamento. Nelle posizioni come il guerriero, che prevede di piegare il ginocchio a 90°, controlla che il ginocchio sia sempre allineato con la caviglia e che la rotula sia in linea con il secondo dito del piede. Nelle posizioni in piedi, verifica che i piedi siano ben paralleli.

Altro consiglio: non estendere troppo il ginocchio. Soprattutto nei piegamenti in avanti da seduti, come la posizione della pinza seduta (pashimottanasana), e da in piedi, come la posizione della pinza in piedi (uttanasana), evita di estendere il ginocchio fino ad avvertire tensione nell’articolazione. Un suggerimento è quello di piegare leggermente le ginocchia.

Come già evidenziato, lo yoga non dovrebbe causare dolori. Se li avverti dopo la pratica, significa che  sei particolarmente stanco, oppure hai eseguito posizioni errate. La pratica deve essere sempre graduale, partendo da asana semplici.  Bisogna affidarsi ad un insegnante qualificato, in grado di capire e indirizzare gli allievi, regolare lo sforzo e trovare una variante diversa per ciascun praticante. 

Corso gratuito su buddhismo e psicologia moderna - Robert Wright

Corso gratuito in inglese su Buddhismo e psicologia moderna tenuto da  Robert Wright della Princeton University.   Robert Wright fa parte del Religion Department and the Center for Human Values.

 Il Dalai Lama ha detto che il buddhismo e la scienza sono profondamente compatibili e ha incoraggiato gli studiosi occidentali a esaminare criticamente, sia la pratica meditativa che le idee buddhiste sulla mente umana. Un certo numero di scienziati e filosofi hanno raccolto questa sfida. Ci sono state scansioni cerebrali di meditatori ed esami filosofici delle dottrine buddhiste. Questo corso esaminerà cosa è il buddhismo e la meditazione,  il rapporto tra buddhismo e neuroscienza.

Il corso potete trovarlo su Coursera, vedi https://www.coursera.org/ e bisogna iscriversi per accedere. E' un MOOC (massive open online course; in italiano «corso online aperto e di massa») è un corso pensato per una formazione a distanza che coinvolga un numero elevato di allievi di diverse nazionalità.

Robert Wright è l'autore, di Why Buddhism is True: The Science and Philosophy of Meditation and Enlightenment (2017). Nel 2009 Wright è stato nominato dalla rivista Foreign Policy come uno dei 100 migliori pensatori globali. È caporedattore del sito web Bloggingheads.tv.  


PsicoNeuroEndocrinoImmunologia (PNEI) - le relazioni mente - corpo

"Tutte le sostanze necessarie al mantenimento della vita dell'organismo, al lavoro psichico, alle funzioni superiori della coscienza e alla crescita dei corpi superiori, sono prodotte dall'organismo a partire dal nutrimento che penetra in esso. "L'organismo umano riceve tre tipi di nutrimento:
1° II cibo che mangiamo. 2° L'aria che respiriamo. 3° Le nostre impressioni.
"Non è difficile capire che l'aria è un genere di alimento per l'organismo, ma può apparire difficile, a prima vista, comprendere come le impressioni possano essere un nutrimento.
"Dobbiamo tuttavia ricordarci che con ogni impressione esterna, sia che prenda la forma di suono, di visione, di odore, noi riceviamo dall'esterno una certa quantità di energia, un certo numero di vibrazioni; questa energia che dall'esterno penetra nell'organismo è un nutrimento.
- Georges Ivanovič Gurdjieff (1866-1949).


Nel Sistema cosmologico tutto è energia e vibrazione, maggiore è la frequenza vibratorio e più sottile è la materia, non c’è divisione tra materia e spirito, ma solo un’infinita gradazione di livelli energetici e non c’è posto per l’onnipotenza divina. L’uomo è uno strumento dell’azione divina e può diventare cosciente, libero ed integrato felicemente nella natura. Dopo il superamento della distinzione tra massa e energia nella teoria relativista si arriva ad una sostanziale identità tra mente, energia, e corpo. 

Nel modello relativistico-quantistico la massa non è che una forma di energia, la quantità di energia racchiusa in una particella. Le particelle subatomiche (elettroni, neutrini, fotoni, bosoni) sono viste come pacchetti di energia senza dimensione che, si diffondono all’infinito nello spazio. . Il fisico Bell (1965) dimostrò l’effettiva esistenza di un mondo non localizzato e che le particelle correlate, separate da enormi distanze, comunicano istantaneamente. L'esperimento di Aspect a Parigi nel 1982 confermò tale teoria. Bohm concluse che la realtà che noi tutti conosciamo non esiste; Nonostante il suo apparente carattere solido e materiale, l’universo è un enorme ologramma. Le energie elettromagnetiche e la realtà fisica sono una pura illusione. Le particelle non sono entità individuali ma condensazioni di uno stesso organismo fondamentale. Questo substrato (campo unificato della coscienza) sarebbe il vero e proprio reale. Una realtà al di fuori dello spazio e del tempo.

Nell’ordine implicato non vi è differenza tra mente e materia, mentre nell’ordine esplicato mente e materia si separano. Nel microcosmo l’ordine implicato emerge, nel macrocosmo prevale l’ordine esplicato. Per Bohr la coscienza coincide con l’ordine implicato. Tutte le manifestazioni della vita provengono da una unica fonte di casualità che include ogni atomo dell’universo, un enorme spazio vuoto, contenente un fondo immenso di energia, la materia è un’onda al di sopra di questo fondo. La coscienza è una forma più sottile di materia. La materia è spirito, lo spirito è materia. Alla base dei piani di esistenza: fisico e spirituale c’è un’unica realtà: l’intelligenza onni-pervadente, la vibrazione originaria che plasma tutte le cose. La psiche individuale è parte di un ologramma in cui tutto è interconnesso, e la coscienza non è che un’apertura ad un livello più elevato di questo continuum. La realtà è maya, un'illusione  e corrisponde a ciò che sostengono da millenni le tradizioni esoteriche. Io e il padre siamo uno, un'unità sopra la molteplicità.

L’apparente struttura fisica del corpo non è altro che la proiezione olografica della coscienza.  Da qui  deriva l'importanza dello stato mentale per la nostra salute e ai fini della guarigione. La psicoenergia ha lo scopo di ricercare l’interdipendenza di forze sia microcosmiche che macrocosmiche. PsicoNeuroEndocrinoImmunologia PNEI studia le connessioni tra le strutture biologiche e la componente psico-spirituale. 

E’ la persona a contrarre la malattia, dopo aver creato le condizioni adatte nel suo organismo. La mente influisce sul sistema immunitario, che se agisce efficacemente, ha il compito di distruggere continuamente le cellule cancerogenee. La depressione del sistema immunitario è dovuto principalmente allo stress.  Lo stress si manifesta soprattutto nei momenti di cambiamenti importanti nella nostra vita ed i fattori psichici influenzano notevolmente la nostra salute. Il cancro può esprimere una richiesta di amore o attenzione da parte degli altri, spesso è un messaggio per spingere a persona ammalata a intraprendere dei cambiamenti. Sono soprattutto i sentimenti inespressi a deprimere le nostre reazioni vitali. L’insorgere della malattia è legato alla perdita di significato della vita, accompagnato spesso da un vuoto interiore e da depressione. Spesso la malattia insorge dopo aver perso il proprio lavoro e aver raggiunto l’età della pensione, la morte del coniuge, una separazione o i figli sono andati via di casa. Altre volte ci ammaliamo quando ci sentiamo in trappola di fronte ad una situazione o a un ruolo che non riusciamo ad accettare. In tali casi si crea un vuoto esistenziale che non si riesce ad accettare. La malattia è un ultimo disperato grido di aiuto, una capitolazione di fronte alla vita.

Ricordiamo che siamo in un tutto unico, inseparabile, interconnesso. Color che antepongono i desideri degli altri ai propri, che non fanno richieste alla vita, che cercano di corrispondere diligentemente alle aspettative altrui, che non riescono a difendere la propria dignità personale,  interrompono il flusso dell’energia vitale nel proprio organismo. Magari sorridono esteriormente, si mostrano affabili, ma dentro sono svuotati e celano un distruttività che non può far altro che rivolgersi verso il proprio sé e il proprio corpo. Lo stato depressivo o la triste rassegnazione può non trovare altra via di uscita che la malattia o la morte stessa. La malattia consiste nell’aver perso l’unità all’interno di noi stessi e per guarire occorre un riallineamento della propria vita alla sorgente dell’essere.

 Spesso lo squilibrio è legato a mancanza di amore, l’amore e soprattutto quello spirituale pacifica la mente, i tessuti del corpo e genera l’energia sanante. L’uomo ordinario spesso è incapace di amare. L’amore deve essere un punto di arrivo del nostro percorso.

Il processo evolutivo dalla Vita alla Via - Gurdjieff

Georges Ivanovič Gurdjieff (1866-1949) è stato un filosofo, scrittore, un sufi, un mistico e "maestro di danze" armeno.  Di origini greco-armene, visse a lungo in Turchia e in Francia.

Il Sufismo è un movimento religioso di carattere mistico e ascetico nato nel mondo islamico a partire dall'XI secolo, in prevalenza fra i sunniti – benché comprenda anche confraternite e membri sciiti.

Secondo Gurdjieff la Pratica psicosintetica viene definita “la scala dalla vita alla via”. L’uomo è in balia di forze esterne, sottoposto ad influenze (la vita) che tendono a soffocare gli influssi che provengono dalla sorgente dell’Essere. Il primo gradino della scala è trovare un maestro, quando l’allievo è pronto il maestro arriva. Non è possibile l’ingresso nella via senza un maestro, chiunque è in grado di stimolare l’apprendimento ad un determinato stadio, può essere un maestro o una guida. Questa guida può collocarsi ad uno stadio di coscienza più o meno elevato che corrisponda al livello dell’allievo. Più il maestro è grande, più è difficile seguirlo, e l’allievo troverebbe delle difficoltà insormontabili. Il maestro è indispensabile all’allievo, tanto l’allievo è indispensabile al maestro, il maestro non può progredire senza l’allievo. Senza sintonia tra maestro e allievo l’insegnamento diventa routine ed è male per entrambi. Una volta che ti sei immesso sulla via non puoi più ricadere nella vita ordinaria. Il cercatore sulla via rischia ad ogni passo di perdere l’equilibrio, tra un gradino e l’altro esistono delle barriere che costituiscono punti di non ritorno. 

Come riconoscere il proprio maestro? Se di fronte a lui alterni momenti in cui ti senti disorientato e infastidito ed altri in cui ti senti profondamente appagato è il maestro giusto. Se non provi nulla di tutto ciò, cerca qualcos’altro. Può anche darsi che tu non stia cercando alcun maestro, ma semplicemente un luogo di aggregazione, dove farsi sentire riconosciuto ed accettato. Le persone spesso dimenticano che sono lì per imparare, anzi ci sono una moltitudine di allievi arroganti che pretendono di stabilire il metodo, la frequenza delle lezioni e i sistemi di valutazione.    I veri maestri spirituali non vogliono attrarre persone con le quali sanno che perderebbero solo tempo.   L’allievo deve essere sincero e obbediente, ascoltare con rispetto e attenzione. Il maestro va testato, provocato seriamente, ma una volta fatto questo bisogna lasciarsi andare, non si può rimanere sempre sulla soglia. Se sei in grado di gestirti autonomamente non hai bisogno del maestro, ma sei in grado di farlo? 

Il lavoro in un gruppo è importante per mettere alla prova il nostro ego ed intraprendere uno studio di sé, ed in questo caso i membri del gruppo operano da specchio. Libri, conferenze, seminari servono a preparare il terreno, se gli individui che si definiscono alla “ricerca” non portano avanti questo impegno preliminare non hanno molte possibilità di fare un reale avanzamento. Il gruppo costituisce un’esperienza umana correttiva di eventuali blocchi o traumi psichici e ti fa sentir parte di una unità più vasta. Mentre nei rapporti esclusivi o a due è più difficile mettersi in gioco e in queste dinamiche prevale il narcisismo o l'appoggiarsi all'altro.  E' molto importante, quando si è sul cammino della ricerca conoscersi perchè  a volte, svolgere azioni altruistiche soddisfa gratificazioni puramente egoiche, e si tratta di auto-inganno e ipocrisia.

Spesso per metterci in cammino è necessaria una certa dose di delusione. Spesso si è spinti dal bisogno di considerazione.  La considerazione interiore è una vera e propria schiavitù che nasce dall’estrema importanza che dai all’opinione e al giudizio degli altri. In questo modo l’uomo diventa vulnerabile. Bisogna anche rinunciare al desiderio di conquistarsi un merito nel percorso, perché questo, non fa altro che rendere l’ego ancora più rigido e superbo.

La conoscenza di sé non è qualcosa che si può acquisire attraverso un libro o delle teorie ma nasce dall’esperienza reale dei molti io che tiranneggiano la personalità, è il lucidare lo specchio. Non puoi capire se non hai fatto esperienza. Anche se si fa esperienza non necessariamente si comprende. Chi è allora che diventa illuminato? L’illuminato è colui che fa bene il proprio dovere, rendendosi conto che c’è qualcos’altro oltre l'esperienza ordinaria. L’impegno e la disciplina sono fondamentali nel percorso spirituale, nel Lavoro. La vera disciplina si manifesta in un comportamento che esprime autocontrollo e disciplina interiore. Un obiettivo del percorso spirituale e il raggiungimento di un fondamentale equilibrio secondo le leggi naturali dell’esistenza.

Molte scuole, cosiddette spirituali, sono nate dalla new age, sfruttando l’inquietudine esistenziale dell’uomo contemporaneo per fare soldi, promettono risultati strabilianti senza il minimo sforzo, basta che lasciarsi andare e scoprire la natura divina oppure eliminando i blocchi energetici e ritrovando la spontaneità del vivere. Senza un duro impegno non c'é realizzazione, né spontaneità, né libertà spirituale. La volontà è il segno di un essere che ha un livello di esistenza elevatissimo rispetto all’essere di un uomo ordinario. I rischi in cui incorre una persona elevata spiritualmente, una volta raggiunti determinati obiettivi, è che sviluppi un ego spirituale, un disprezzo, aperto o velato nei confronti dell’uomo ordinario. La disciplina si dice nel Buddhismo è come una zattera che ti permette di attraversare il fiume, una volta raggiunta l’altra sponda la devi abbandonare. Se la tua personalità si è sufficientemente armonizzata, la disciplina non serve più, sei diventato la disciplina.

La disciplina rappresenta uno stadio del Lavoro su di sè, del percorso, che, se non viene al momento opportuno abbandonato, ci invischia in un pantano in cui non c’è movimento, né gioia, né realizzazione. La dieta alimentare, gli esercizi fisici, lo studio accurato, la pratica meditativa si prestano inevitabilmente a costituire una narcisistica autoesaltazione della volontà, cioè dell’ego.

Il maestro spirituale trasmette al discepolo la baraka (il potere spirituale) che lui stesso ha ricevuto dal maestro. Il modo migliore per allenare la volontà è l’attività corporea. Nel lavoro fisico il movimento, la postura, l’espressione emozionale, la percezione del corpo sono uniti in uno sforzo di attenzione e consapevolezza. L'attività corporea è la scuola elementare della volontà, serve come modello per la mente. Il cambiamento nell’atteggiamento psichico porta con sé un cambiamento nel corpo e viceversa i risultati raggiunti con il corpo influenzano il sentimento e la psiche.

Anche l'alimentazione gioca una importanza fondamentale e costituisce un lavoro di consapevolezza di sé. La preparazione del pasto deve essere paragonata ad un'attività sacra. Si deve cucinare con le energie giuste, masticare bene il cibo e respirare profondamente durante la masticazione. Il secondo tipo di nutrimento è la respirazione corretta che genera un adeguato apporto di ossigeno ai tessuti e agli organi. Il terzo tipo di nutrimento sono le impressioni che riceviamo attraverso film, letture, musica, ecc. Questo è il nutrimento più sottile, quello che determina maggiormente il livello d’Essere di un individuo.

Nella fase iniziale il sistema che funziona, poi questo sistema diventa il sistema e viene identificato con la conoscenza, nella fase finale spesso si perde di vista a cosa mirava il sistema e l’obiettivo diventa la perpetuazione del sistema, e non il raggiungimento della conoscenza e della verità.

Il processo evolutivo dalla Vita alla Via consiste nell’acquisizione della disciplina necessaria e un graduale processo di rinuncia alle nostre identificazioni. Meno si è identificati ma non disinteressati, intorno a qualcosa, più si riesce ad imparare dalla situazione. Non bisogna confondere il piano mentale dal piano intellettuale, essere esperti, eruditi, raffinati nelle argomentazioni non significa nulla sul piano spirituale. È necessaria una certa polarizzazione mentale,  espressione per indicare il superamento di un certo livello emotivo e l’acquisizione di un certo distacco psichico. Un altro aspetto importante dell’imparare ad imparare è che il ricercatore deve rinunciare alla propria libertà. L’uomo teme di perdere una parte essenziale di se stesso se rinuncia alle sue opinioni, alle sue scelte, alle sue abitudini, e così via; finché non comprende che in tutto questo di suo c’è ben poco. Senza sacrificio nulla può essere raggiunto, anche se si deve sacrificare solo ciò che immaginiamo di avere e che non possediamo affatto.

Spesso ci mettiamo in relazioni che riflettono sempre gli stessi schemi, relazioni che prima ti entusiasmano, poi conflittuali e sofferte, e spesso si concludono con una rottura. Perché ci riproponiamo lo stesso copione? Che cosa è che ci spinge ad evitare legami intimi, anche se ci sentiamo soli? Non è forse la paura di mettersi in gioco in modo più nuovo e creativo, ed evitare vecchie e nuove ferite? Sembra strano ma è la sofferenza a tenere legato l’uomo ai suoi vecchi schemi di pensiero, agli atteggiamenti autodistruttivi, alla sua incapacità di imparare e amare. Rinunciare alla sofferenza è un impegno ineludibile lungo la Via, più che la rinuncia al desiderio. Il desiderio fa parte della natura umana, la quale reclama giustamente i sui diritti. Basta semplicemente non identificarsi con i bisogni inferiori. I desideri sul piano spirituale non scompaiono, ma non sono più invasivi, non sono più “bisogni”. Anche il ricercatore avanzato prova desideri, come quello di ammirare un tramonto, di gustare un cibo, di fare l’amore, di meditare, ecc.  Questi desideri vengono e vanno, ma la sua vita non è imprigionata da questi desideri. Non facciamo l’errore ascetico secondo il quale i desideri sono sbagliati! Fanno parte della nostra natura umana, perché negarli? Bisogna solo evitare desideri deviati, ossessivi e malsani … che ci fanno perdere la lucidità necessaria.

Il ricercatore deve non essere schiavo della mentalità ordinaria, pur essendo nel mondo. Significa che deve essere nel mondo e non rinunciare ad esso, ad esempio deve cercare di eccellere nel proprio lavoro, di essere un buon padre, ecc.  La spiritualità non deve essere confusa con un’ascesi alla mortificazione. Non c’è nessun bisogno di rinunciare alla carne, alla lettura, ai normali impegni sociali, praticare il celibato. Oggi purtroppo il campo della spiritualità è contaminato da occultisti umili e pronti alla sottomissione, da nevrotici e persone che sentono di dover rinnegare il proprio sviluppo intellettuale, emotivo ed affettivo.

L’apice del percorso spirituale consiste nell’impegno concreto e costruttivo nel mondo attraverso una coscienza rinnovata e tale impegno consente il definitivo ingresso dell’uomo nella Via. Operare nel mondo, assistendo e sostenendo gli altri, dedicarsi allo sviluppo degli altri come un moderno Boddhisattva.

Luoghi di meditazione, di pellegrinaggio, di spiritualità in Italia di Paola Giovetti

 Meditare fa bene: Ma dove e con chi?  Articolo scritto da: Roberto Fantini e pubblicato su Flipnews.org        Conversazioni con Paola Giovetti, autrice di Luoghi di meditazione, di pellegrinaggio, di spiritualità in Italia del 2011.

Concentrati nel cuore. Entra profondamente in esso e vai lontano, il più lontano che puoi. Raccogli tutti i fili sparsi della tua coscienza, riuniscili e immergiti. C’è una fiamma che brucia nelle calme profondità del tuo cuore. E’ il Divino in te, il tuo vero essere. Ascolta la sua voce. Ubbidisci alle sue parole.”  E’ con queste suggestive parole di Sri Aurobindo che Paola Giovetti ha scelto di aprire con indubbia efficacia il suo ultimo bellissimo libro, Luoghi di meditazione, di pellegrinaggio, di spiritualità in Italia (ed.Mediterranee, ottobre 2011).

"Meditare", ci dice la nota scrittrice, “è una grande occasione, una porta aperta verso infinite possibilità e potenzialità. Qualcosa, peraltro, che è alla portata di tutti, giovani e vecchi, colti e meno colti, sani o meno sani che siano. A tutti la meditazione porta benefici, a livello fisico, mentale, spirituale .” E, attraverso le informazioni contenute in questo libro, abbiamo la fortuna di scoprire che in Italia esistono numerosi luoghi dove è possibile ritrovare se stessi, recuperare armonia e cimentarsi in un ben preciso cammino di autorealizzazione. Il lavoro della Giovetti è nato proprio dal desiderio di delineare “una mappa di questi luoghi, suddivisi per tradizione e orientamento: templi, monasteri, santuari che custodiscono antiche memorie, e istituzioni moderne, create appositamente ai giorni nostri per ospitare iniziative religiose e laiche più recenti, o più recentemente approdate in Italia.”

Luoghi, quindi, molto diversi fra loro, in quanto espressioni di esperienze filosofico-religiose culturalmente molto distanti (da molti, ancora oggi, ritenute contrapposte), ma intimamente e sostanzialmente accomunati da un unico intento: “insegnare e meditare – secondo regole e discipline diverse, antiche e moderne, ma tutte tese a mettere il praticante in condizione di ritrovare il proprio centro, calmare la mente, far pace con se stesso, con il prossimo e con il mondo, dare un senso alla propria vita, intraprendere il cammino che conduce al Divino, al Dio che vive nel profondo di ognuno di noi. Con gradualità, a poco a poco, un passo dopo l’altro, un orizzonte dopo l’altro.”

A Paola Giovetti abbiamo voluto rivolgere alcune domande al fine di meglio comprendere la genesi e il significato della sua opera.

Domanda -          La lettura del tuo ultimo libro ci permette di fare, insieme a te, un viaggio particolarissimo sull’intero territorio nazionale, alla scoperta di luoghi destinati al dialogo interiore e alla ricerca spirituale. Si tratta indubbiamente di un’occasione preziosa per scoprire ambienti, personaggi, scuole di pensiero e tecniche meditative, che ci vivono accanto, spesso a pochi passi dalle nostre città e dalle nostre abitazioni.  Credo che anche per te, da tanti anni viaggiatrice inesausta nei territori dello spirito, sia stata un’esperienza ricca di incontri straordinari. Quali ti hanno particolarmente sorpresa e/o coinvolta?

Risposta - La ricerca che mi ha portata a individuare e descrivere nel mio libro numerosi luoghi di meditazione italiani ha costituito una sorpresa anche per me, nel senso che non pensavo che di simili iniziative ne esistessero così tante. Quando cominciai la ricerca conoscevo già alcuni centri, ma poi, cercando, informandomi, passando da un centro all'altro, col passaparola, con l'aiuto di esperti e anche di Internet, ho finito per individuare una grande e insospettata varietà di centri di spiritualità e meditazione degli indirizzi più vari:  cristiani, induisti, buddhisti, musulmani, laici, legati a determinati personaggi, come per esempio Babaji e Krishnamurti  e altro ancora. La vera sorpresa è stata questa: il gran numero di iniziative e di persone impegnate in questo tipo di ricerca, che può essere rivolta al benessere psicofisico (riduzione di ansia e stress, maggior serenità e così via) ma anche alla spiritualità, alla ricerca del Divino in noi.

D -     E con quali esperienze contemplative e autorealizzative ti sei sentita particolarmente in sintonia?

R - Quanto al coinvolgimento personale, devo dire che tutti i centri che ho inserito nel libro (e qui vorrei precisare che ho fatto una scelta molto accurata e ho personalmente visitato tutti i luoghi di cui parlo) mi hanno interessata e coinvolta, indipendentemente dalla loro tradizione, perché dappertutto ho sentito serietà, desiderio autentico di approfondimento e ricerca personale, disponibilità a mettersi in gioco e a confrontarsi con tradizioni e approcci diversi da quelli abituali.

D -  Ancora molti, oggi, sono inclini a ritenere l’esigenza di sperimentare forme di religiosità alternative a quelle più “ufficializzate” come espressione di un disagio socio-esistenziale, come una sorta di smarrimento culturale, nonché manifestazione di un bisogno di mera evasione. Alla fine di questo grande cammino esplorativo, cosa ti sembra che induca maggiormente tante persone a dedicarsi alla ricerca interiore e alla pratica meditativa lungo tanti sentieri differenti?

R - Per quanto ho avuto modo di vedere, non mi è sembrato affatto che le persone che affrontano un cammino di ricerca su vie "alternative" siano mosse da mera curiosità, da noia esistenziale o altre motivazioni di questo genere. Ho sentito invece l'impulso a fare le cose sul serio e il bisogno di affrontare un cammino che conduce alla scoperta di se  stessi. Il tipo di pratica scelta dipende poi da tanti fattori: conoscenze, letture, incontri, tendenze naturali, affinità. Va detto, e desidero sottolinearlo, che in nessuno dei centri che ho visitato e in nessuna delle persone che guidano tali centri ho notato la tendenza a sollecitare conversioni, a distogliere dalla tradizione di appartenenza; piuttosto l'invito a cogliere ciò che di buono può esservi in quella tale tradizione e a farlo proprio. Certamente, c'è chi è diventato, per esempio, buddhista o induista, ma si tratta di scelte personali piuttosto rare.

D -   Hai scritto che “In anni recenti in Italia un numero crescente di cattolici, sacerdoti e laici, si dedica alla pratica della meditazione, traendo ispirazione anche da altre vie, in particolare dallo yoga e dallo Zen, e integrando tali pratiche nella preghiera profonda della nostra tradizione”. Tu parli di “risultati molto incoraggianti”, ma le autorità ecclesiastiche, tradizionalmente sospettose e ostili nei confronti di vie individuali orientate al misticismo e al sincretismo, sempre con il timore di perdere prestigio e potere, come ti sembra che stiano reagendo di fronte a questi interessantissimi (e in buona parte inediti) fenomeni culturali?

R - Gli esempi che ho riferito di pratiche meditative nei monasteri cristiani vengono portati avanti nella piena ufficialità. Tali pratiche prendono a prestito dallo Zen o dallo Yoga soltanto le tecniche, e non mi risulta che ci siano mai state difficoltà di alcun genere, anche perché si tratta di percorsi proposti con molta prudenza e affidati a persone di sperimentata e ben nota serietà ed esperienza. L'impressione che ne ho riportato è stata quindi molto positiva e incoraggiante nell'ottica di una maggiore apertura e di una più approfondita reciproca conoscenza.  In ultima analisi, ho fiducia di aver fatto un lavoro onesto, teso a far conoscere un panorama ancora poco noto e ad aiutare ad orientarsi chi fosse interessato a un percorso di questo tipo.

Apocalisse o Apocatastasi?

 Dal libro del mio amico Roberto Fantini  La menzogna dell'inferno che vi consiglio vivamente di leggere. Un saggio filosofico che spazia da Origene a Giovanni Papini, da Agostino ad Aldo Capitini trattando questo scomodo tema dell'inferno.

Devo ringraziare Roberto che mi ha fatto scoprire Origene, uno dei più grandi Teologi della Chiesa orientale e le affinità della Apocatastasi con il pensiero dell'Advaita Vedanta.

 
Questa è una ennesima dimostrazione che tra le varie filosofie ci sono molti punti in comuni. Ma andiamo per ordine.  Tra le dottrine di Origene, poi ripudiate dalla Chiesa, una delle più notevoli è quella della restaurazione finale (Apocatastasi), cioè del perdono per tutti i peccatori indistintamente. 
 
Le frasi contenute nei due paragrafi seguenti sono prese dal testo di Roberto.

Questa concezione è diametralmente opposta alla posizione di Agostino d'Ippona che dichiara che ci sarà l'eterno supplizi dei dannati, il loro verme non morrà e il loro fuoco non si estinguerà,  tesi a cui fa riferimento la Chiesa Cristiana ufficiale.  Per secoli e secoli, generazioni e generazioni sono state allevate/educate sulla base di questa fermissima e terrificante certezza: che Dio avrebbe punito i peccatori destinandoli alle pene infernali, necessariamente e giustissimamente eterne. Solo recentemente Papa Francesco ha cominciato a mettere in discussione questa tesi mettendo al centro dei suoi discorsi il tema della misericordia. Papa Francesco afferma che la misericordia di Dio sarà sempre più grande di ogni peccato, E la misericordia dura in eterno ed è senza fine.

 La Apocatastasi si basa sulla nozione che Dio è prima di tutto, bontà, e che il Cristo è morto volontariamente per redimere tutti allo stesso modo, peccatori e santi, perchè quelli che hanno smarrito la loro perfezione iniziale possono riacquistarla, sopportando la prova del fuoco che li purificherà, e così tutti alla fine saranno glorificati, e si ricostituirà l'unità originaria voluta da Dio. Origene in questo verso si riaccosta alla nota concezione dell' "eterno ritorno" di tutte le cose.  Tutte le creature razionali, allora, saranno riassorbite nella condizione primordiale di perfetta purezza e di indissolubile armonica unità e "Dio sarà tutto in tutti", cioè tutto in ciascun uomo.  Quindi, allorché tutti avranno raggiunto il più alto grado di perfezione, tutte le differenze saranno annullate. Questo ciclo di separazione, purificazione e apocatastasi si ripeterebbe eternamente.   

Lo stesso dice la filosofia Advaita Vedanta dove l'essere umano possiede un “atman” che indica l' "essenza" o il "soffio vitale", rappresenta la  sostanza immortale, l'anima individuale. Con il concetto di Brahman viene descritta  invece l'Entità Cosmica, l'Anima Universale. Si tratta dell'entità senza tempo dell'universo, la realtà unica nella sua accezione divina. Il Brahman si manifesta ciclicamente, ad ogni ciclo nasce l’Universo (inteso come tutto ciò che esiste, a noi visibile ed invisibile), si evolve, poi si involve ed alla fine si estingue nel Brahman che emanerà un nuovo ciclo.  Quando termina un ciclo tutti i piani dell’esistenza che conosciamo e non conosciamo vengono riassorbiti compreso il mondo divino. Ciò che resta immutabile è solo il Brahman.

Chiesa cattolica e Yoga

 Negli ultimi anni si è vista una crescita esponenziale della pratica dello Yoga, soprattutto nei paesi occidentali. E’ bene, quindi, compiere una riflessione su cosa comporti la pratica di questa disciplina orientale.

 

- Lo yoga è una disciplina spirituale induista, non solo posture ed esercizi. La parola yoga deriva dalla radice sanscrita “yuj” che significa “unione”. L’obbiettivo dello yoga è quello di unire l’io temporale o “jiva” con l’io eterno, o “Brahman”, che non è un dio personale, ma una sostanza impersonale che è tutt’uno con la natura e il cosmo. Il Brahman è una sostanza impersonale e divina che “impregna, avvolge e soggiace in ogni cosa.  Lo yoga  cerca di elevare l’anima al “samadhi”, vale a dire, lo stato in cui il naturale e il divino diventano uno; uomo e dio giungono a essere uno senza alcuna differenza, una sorta di panteismo. Il panteismo è un componente della dottrina del filosofo greco Eraclito, secondo cui il divino è in tutte le cose ed è identico al mondo nella sua interezza.

- Per l’induismo esiste un’unica realtà e tutto il resto è un’illusione; vale a dire, l’universo viene inteso come una energia eterna, divina e spirituale, dove tutti gli esseri che esistono -inclusi gli esseri umani- sono una sua estensione. Lo yoga è il cammino che conduce colui che lo pratica verso questa energia cosmica. Per l’induismo, il bene e il male sono illusori (maya)

-  Non è possibile separare la spiritualità induista dalla pratica dello yoga. Lo yoga non è soltanto un’attività di rilassamento e di stretching, ma è proprio nell’esercizio fisico dove viene riflesso il fine spirituale. Esistono posture (asanas) e esercizi di respirazione (pranayama), che contraddistinguono lo yoga come qualcosa di più di un esercizio, sono “esercizi psicosomatici”; ossia hanno un'influenza  sul corpo e sulla mente. 

- L’origine dello yoga risale ai “Veda” di 5000 anni fa e per molto tempo i suoi principi e le pratiche ascetiche furono trasmessi per via orale. Poi Patanjali compilò e codificò tutta la conoscenza dello yoga negli  Yoga Sutra, il testo più autorevole su questa tematica.

Molti cristiani pongono la domanda sulla possibilità di utilizzare o meno le tecniche dello yoga.

- Il rapporto della Chiesa Cattolica con le filosofie orientali.  viene trattato nella “Lettera ai Vescovi della Chiesa Cattolica su alcuni aspetti della meditazione cristiana” del 1989. La Congregazione per la Dottrina della Fede, pur non condannando espressamente lo Yoga, dichiara che "bisogna essere prudenti con le pratiche dei “metodi orientali” ispirati dall’induismo e dal buddhismo: Queste proposte o altre analoghe di armonizzazione tra meditazione cristiana e tecniche orientali dovranno essere continuamente vagliate". Per la Chiesa cattolica, l’uomo è essenzialmente una creatura di Dio e tale rimane in eterno, cosicché non sarà mai possibile un assorbimento dell’io umano nell’io divino, neanche nei più alti stati di grazia.  Il documento spiega come l’idea che gli esseri umani si riuniscano in una unica “coscienza cosmica divina” sia in contraddizione con l’insegnamento della Chiesa.    “Lo yoga è una pratica utile e benefica per il corpo e per la mente, ma non bisogna confonderla con la spiritualità. […] Lo yoga non è un mezzo per essere in contatto con il divino, sebbene possa contribuire alla salute fisica e mentale. […] deve essere considerato come un esercizio fisico, una posizione atta a concentrarsi o a meditare.

 Nel 2003, il Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso ha pubblicato un documento che descrive lo "Yoga come una delle molte pratiche della New Age e che diventa difficile da conciliare con la dottrina e la spiritualità cristiana”.

Nel 2010 la Catechesi Dialogica” dice che la  Chiesa cattolica nulla rigetta di quanto è vero e santo in queste religioni,  che non si dovranno disprezzare pregiudizialmente in quanto non cristiane. Si potrà, al contrario, cogliere da esse ciò che vi è di utile, a condizione di non perdere mai di vista la concezione cristiana della preghiera, la sua logica e le sue esigenze.

Nel 2011, il decano degli esorcisti italiani, padre Gabriele Amorth, spiegò al Telegraph che «pratiche orientali apparentemente innocue come lo yoga sono subdole e pericolose. Pensi di farle per scopi distensivi ma portano all’induismo. Tutte le religioni orientali sono basate sulla falsa credenza della reincarnazione». 

Quand’era cardinale, Joseph Ratzinger spiegò che pratiche come lo yoga,  lo Zen e altre forme di meditazione trascendentale possono  «degenerare in un culto del corpo che svaluta la preghiera».  E invita i cattolici a stare molto attenti al contesto ideologico in cui lo yoga viene proposto. Senza questa continua cautela da parte del praticante di yoga cattolico, lo yoga potrebbe diventare un elemento distruttivo non solo della fede cristiana, ma anche della verità connessa all'essere umano in quanto tale.

Il vescovo di Avila ha sottolineato che il senso di pace e tranquillità del buddismo o dell’induismo è diverso dalla Pace che offre il Cristo Risorto, o dalla Felicità che si vive nella religione cristiana. Di conseguenza non bisogna confonderne il contenuto semantico. Queste tecniche o vie di spiritualità non appartengono alla mistica cristiana. La mistica cristiana, con le sue diverse scuole  è caratterizzata da un influsso costante dei doni dello Spirito Santo nella vita del cristiano. 

Anche Papa Francesco nel 2015 ribadisce: “Catechesi, yoga e zen sono inutili, bisogna aprirsi allo Spirito Santo" Tutto questo non sarà mai capace di darti la libertà di figlio. Soltanto lo Spirito Santo è capace di scacciare, di rompere questa durezza del cuore e fare un cuore… morbido".

Diversamente, da decenni, i monaci Camaldolesi ospitano gruppi di yoga  nel loro monastero nel Casentino e sono molto aperti e ospitali nei confronti di appartenenti ad altre religioni, come del resto viene richiesto dalla loro regola, formulata dal fondatore San Romualdo. Nel loro ashram in India pratiche come lo yoga, la meditazione, la lettura di testi come la Bhagavad Gita (testo fondamentale della filosofia dello yoga) si fondono armoniosamente con le loro pratiche cristiane.

giovedì 4 novembre 2021

La meditazione - Maestro Gyanander

 Dal libro Yog album del Maestro  Gyanander  Vedi link             Vedi sito

Yogi Gyanander è un grande Maestro indiano venuto in Italia nell'86 per il grande meeting organizzato dalla rivista "Astra" sulle rive del Garda. Si fece seppellire sotto terra, dove rimase per quattro giorni. Era in "samadhi", uno stato di trascendenza e di beatitudine, una condizione in cui vengono sospese tutte le funzioni del corpo, il livello più alto dello Yoga. Fu controllato da telecamere, ne parlarono le tv e tutti i giornali. Poi rientrò in India e dopo due anni tornò in Italia e si stabilì a Perugia dove aveva trovato amici cari, spiega, «avevo capito che c’era chi aveva bisogno di me». E qui da anni insegna lo Yoga.  Ha pubblicato il suo Yoga Album che raccoglie anni di studio e soprattutto di esperienza. E' un testo scritto a mano in italiano e in sanscrito.

Nei capitoli VI , VII, VIII del testo si parla della concentrazione, della meditazione e del samadhi.  

Dharana,  concentrazione
(capitolo VI).   Fissare la mente su un oggetto, è il sesto scalino dell’ashtanga yog, osservare i pensieri, adottare la tecnica del testimone, soffermarsi su ogni figura lo stesso tempo, dall’elemento più grossolano al più sottile, percorso evolutivo verso l’assoluto, visualizzazione dei simboli durante kumbak (la ritenzione del respiro). 

Dhyan, meditazione (capitolo VII).    Dhyan significa un solo pensiero, l’anima individuale si scioglie nel puro eterno spirito assoluto, la meditazione non è una fuga dalla vita e da se stessi, al contrario la comunione con l’io profondo, con gli stati inconsci e profondi e risolvendo i nostri conflitti interiori ci permette di agire in modo più efficace e appagante del mondo,

Nel testo Gheranda Samhita sono riportati tre tipi di meditazione:

  •  sulla forma divina, 
  •  sulla kundalini, 
  •  su forme di luce.  

Nel testo Bakti Sagar sono riportati quattro tipi di meditazione:

  • Una grossolana, sulle varie del corpo, dai piedi alla testa e viceversa,
  • Sui chakar, da muladhara a sahasrara,
  • Più sottile, sul punto tra le sopracciglie,
  • Abbandonando il piano dell’esistenza materiale.

La mente è divisa in sette parti, nello stato ordinario ne funziona una soltanto; le malattie non vengono dall’esterno ma esistono nella mente, quando il seme viene a maturazione si manifesta nel corpo. Per la meditazione occorre:

  • dedicare del tempo in maniera costante, possibilmente la sera,
  • un posto adatto, possibilmente piccolo e bianco, illuminato da una piccola luce, profumato dall'incenso,
  • adottare una tecnica, e ciò dipende dalla personalità del praticante. Ci sono due tipi di meditazione: con forma – Saguna;  senza forma Nirguna.  Le pratiche fisiche sono preliminari a quelle meditative.

La pratica Nirguna, è una pratica sui suoni, quando le nadi (i canali energetici) sono purificate si ode il suono Nad;  per udire il suono Nad nella meditazione occorre chiudere le orecchie con cera di api, tenere la lingua attaccata al palato, fare mula bandha (contrazione muscoli alla base della colonna), le dita delle mani devono essere tenute in chin mudra. La pratica Nirguna (senza forma) utilizza il respiro e il pranayama, durante l'espirazione si pronuncia il japa mantra "Ham", durante l'inspirazione si pronuncia "So".  Occorre rimanere consapevoli delle fasi della respirazione per almeno cinque minuti cercando di visualizzare l’energia, una luce bianca che sale dalla colonna toccando i più importanti ciakar.   Piano piano si deve cercare di allungare il tempo dell’inspirazione e dell’espirazione.  Poi mentalmente fare il percorso inverso a ritroso ripercorrendo le tappe esposte però utilizzando minor tempo ( due minuti).  Cercare di ripetere il mantra "So Ham" anche nella quotidianità.

Pratica Saguna (con forma ) è una forma di meditazione in cui si usano i mantra (il più importante è "Ram", Ra significa sole e Ma luna ). Non c'è  differenza tra i mantra "Ram" e "AUM" (pronunciato OM). Per praticare questa forma di meditazione recitare il mantra "Sita Ram", tenendo la mala (un rosario indiano formato da 108 grani in legno di tulsi) nella mano destra, a livello del cuore o sulle ginocchia  e facendo scorrere i grani. Nella meditazione si usa nella mano destra (anche se si è mancini) passando i grani tra il pollice e il dito medio. Dopo qualche giro completo, socchiudere gli occhi, guardare in basso, sussurrare il mantra; Dopo qualche altro giro, chiudere gli occhi, ripetere il mantra mentalmente.  Aggiungere poi  mula bandha e nabho mudra ossia si ruota la lingua contro il palato molle e shambhavi mudra (sguardo fisso al centro tra le sopracciglia).  Piano piano, occorre aggiungere consapevolezza sul respiro e provare a visualizzare il respiro che sale dalla base della colonna fin sulla sommità della testa e poi scende.

La meditazione Nirguna e Saguna insieme. Ripetendo il mantra "OM" la meditazione assume la qualità Nirguna, Om è il suono primordiale, che può essere percepito quando la mente ha trasceso la polarità del mondo materiale, a quel punto "So Ham" finisce, perché il praticante è entrato in Turya, il quarto stato della mente dove l'individualità svanisce. Facendo la meditazione possono affiorare numerosi pensieri, e questi sono i frutti del Karma ed è  importante restare testimoni. 

Meditazione tramite kirtan. Il kirtan (la ripetizione continua di un mantra) è una  pratica di Nad Yog (yoga del suono) ed aiuta a liberare il lato emozionale della persona, infatti il kirtan è una pratica di meditazione in cui l'individuo cerca di  lasciarsi andare alle emozioni, liberandosi da blocchi mentali ed inibizioni. I Mantra impiegati sono a pag 190 del testo.

Samadhi, (capitolo VIII) il cui significato letterale dal sanscrito è sam equilibrio e dhi intelletto, è lo stato più alto della meditazione in cui la mente perde la sua individualità, il meditante e l’oggetto si fondono l’uno nell’altro.  Senza maestro è impossibile arrivare ad entrare in samadhi e per farlo si possono applicare sei metodi: 

  • - Dhyan
  • - Nad
  • - Rasanad
  • - Lay
  • - Bhakti
  • - Raj

Il samadhi porta alla beatitudine e questa è la perfezione ricercata nello yog. Una volta arrivati al samadhi non rimane nessuna altra pratica da fare.  Per entrare in samadhi è indispensabile:

  •  restare nella posizione  padmasan (seduto a gambe incrociate)  per 3 ore e 48 minuti senza sforzo, 
  • conoscere le tecniche segrete del mula bhanda, (un termine sanscrito che vuol dire letteralmente “sigillo della radice” alla base della colonna. I bandha, infatti, sono contrazioni muscolari per veicolare il prana),  
  • fare khecari mudra,  girare la lingua e introdurla nella cavità interna del cranio, dietro il palato, e fissare lo sguardo nello spazio fra le sopracciglia,
  • fare ritenzione e astensione spontanea del respiro, in sanscrito è kevala kumbhaka,
  • avere le nadi (i canali energetici) purificate, in modo particolare la sushumna nadi, e aver fatto shank praksalan (il difficile nome di shank prakshalan significa “lavaggio della conchiglia”  o dell'intestino),
  • mantenere il contatto con la madre terra.

Quando si giunge in samadhi le azioni (karam) cessano e gli archetipi del subconscio (sanskar) si estinguono e al loro posto resta solo purezza, si resterà in stato di Turiya, in questo stato la persona in samadhi è sveglia per Dio e dorme per il mondo.

giovedì 28 ottobre 2021

Esperienze ai confini della morte

L’aldilà esiste, la morte non esiste, la vita cambia e non sparisce nel nulla. - Padre Mariano Ballester

Il libro Milioni di farfalle è un saggio del neurochirurgo statunitense Eben Alexander, riguardante la sua esperienza ai confini della morte. Nel 2008 ha contratto una rara forma di meningite e per sette giorni è entrato in coma profondo che ha azzerato completamente l'attività della sua corteccia cerebrale. In pratica il suo cervello si è completamente spento, eppure una parte di lui era ancora vigile e ha intrapreso uno straordinario viaggio verso il Paradiso:  "Mi ritrovai in un mondo completamente nuovo. Il mondo più bello e più strano che avessi mai visto... Luminoso, vibrante, estatico, stupefacente. Ero circondato da milioni di farfalle..."  Il dottor Alexander non ha mai creduto alla vita dopo la morte, eppure è toccato a lui esserne testimone. . Al suo risveglio il dottor Alexander era un uomo diverso, costretto a rivedere le sue posizioni profondamente razionali sulla vita e sulla morte. 

Per il Teologo Vito Mancuso, nel testo L'anima e il suo destino, la morte NON è qualcosa di negativo. Questo testo è un saggio sull’anima, ed ha come obbiettivo di “sostenere l’esistenza di un futuro di vita personale oltre la morte”, problema che tocca cruciali questioni dottrinarie.  Il teologo indaga con coraggio il delicato argomento alla luce della coscienza laica presente in ogni uomo e che “cerca la verità per se stessa”.

La morte è una parte strutturata della vita. Nel Tibet il termine Delok significa  significa letteralmente "tornato dalla morte", e tradizionalmente i délok sono persone che apparentemente "muoiono" a causa di una malattia, e si trovano a viaggiare nel bardo, ossia a vivere il rito di passaggio tra la vita e la morte - conosciuto in occidente anche come “Il libro Tibetano dei morti”. Visitano gli inferni o i paradisi, oppure i regni di buddha. Dopo un periodo di circa una settimana il délok viene rimandato al corpo con un messaggio del Signore della Morte per i vivi, esortandoli alla pratica spirituale e a un modo di vivere benefico. Le biografie di alcuni dei délok più famosi sono state scritte e sono cantate in tutto il Tibet da menestrelli itineranti.

Brian Weiss (1944 - ) è uno psichiatra e scrittore statunitense. I suoi interessi includono aree pseudoscientifiche quali la reincarnazione, l'ipnosi regressiva, la progressione a vite future e la sopravvivenza dell'anima dopo la morte. Brian Weiss utilizza la terapia regressiva per approfondire la sopravvivenza dell'anima dopo la morte, sia per quanto concerne la recessione a vite passate, sia per la progressione a vite future. Secondo l'autore, molti dei disturbi fisici ed emozionali della vita attuale dipendono da esperienze passate. Ricordare il passato per curare il presente, quindi, per consentire all'inconscio di fare emergere quelle esperienze che, una volta comprese, permetteranno al paziente di guarire. Questo processo viene descritto nel testo Oltre le porte del tempo.

Nel testo Il Viaggio delle Anime del 2016 - un libro di Michael Newton, l'autore presenta il resoconto delle esperienze di diverse persone (medium, sensitivi, ecc)  da lui poste in uno stato di "sovra coscienza", per scavare nelle loro memorie più profonde, le vite dopo la morte fisica. Ogni individuo narra in maniera emozionante e con dettagli straordinari le proprie esperienze nel mondo spirituale, soffermandosi sulle sensazioni al momento della morte, le percezioni subito dopo il trapasso, lo svolgimento della nuova vita e il ritorno alla manifestazione terrena il cui scopo diventa man mano più chiaro.

Anche i Vangeli recitano: "nella casa del Padre mio ci sono molti posti, io vado a preparare un posto, io ritornerò e vi porterò con me". 

Le esperienze vicine alla morte e le esperienze dopo la morte sono molto diverse. L'esperienza dopo la morte fisica si concretizza come l'entrata in un tunnel, dopo il tunnel si avverte un'attrazione soave e continua, coadiuvata dalla luce,  si avverte la presenza una guida con cui si ha una sintonia particolare, una consapevolezza di dove si sta andando, che rappresenta una tappa di guarigione. 

A Londra nel 2018, alcuni volontari hanno accettato di assumere dimetiltriptammina (DMT), un potente allucinogeno, e hanno sperimentato il brivido un po' macabro di simulare gli ultimi istanti di vita, per raccontare poi le loro sensazioni. La simulazione è avvenuta nell'ambito di uno studio condotto da un gruppo di ricerca del prestigioso Imperial College di Londra, i cui risultati sono pubblicati su Frontiers in Psychology.  Sotto effetto della DMT si scatenano allucinazioni intense, al limite del trascendente: tutti i 13 volontari dello studio hanno parlato di esperienze extracorporee, di una sensazione di pace interiore e hanno descritto la percezione di passare in un'altra dimensione, quasi paradisiaca.

La sfida del cambiamento - Jiddu Krishnamurti

 Jiddu Krishnamurti (1895 - 1986) è stato una grande figura spirituale del XX secolo. Dopo la gioventù passata negli ambienti della teosofia, non volle più appartenere a nessuna organizzazione o movimento spirituale.

  Gianfranco Bertagni spiega Krishnamurti -  https://www.youtube.com/watch?v=cbEvXmD9NPk

  J. Krishnamurti: Che cosa è lo yoga   -            https://www.youtube.com/watch?v=chPBmSzvStQ

  J. Krishnamurti - La sfida del cambiamento  -  Film biografico su J. Krishnamurti del 1984                             https://www.youtube.com/watch?v=lWVtovuTRE0

Libri consigliati sul tema della NON dualità

La meraviglia dell’essere di Jeff Foster,  questo libro del 2017 raccoglie in un'edizione congiunta e completamente riveduta i primi due libri di Jeff Foster che lo hanno portato alla notorietà internazionale: Life Without a Centre (Vita senza un centro) e Beyond Awakening (Oltre il risveglio).   Questo libro è sulla fine della ricerca, la fine della lotta, la fine della sofferenza, la fine dell'idea che siate persone separate dalla completezza.         Jeff Foster propone un percorso che  cambierà profondamente l'individuo e dove, ad un tratto, le parole non serviranno più. ... Nei nostri tentativi di cambiare, migliorare noi stessi o diventare "illuminati", finiamo per ignorare questa intimità senza parole, che è il nostro diritto di nascita e la nostra vera casa.

 
 
Altro libro consigliato del 2017: The Nature of Consciousness: Essays on the Unity of Mind and Matter di Rupert Spira e Deepak Chopra, Kastrup Bernardo.   Una serie di saggi portano all'esplorazione della natura di questo elemento conoscitivo che ognuno di noi chiama "io".       The Nature of Consciousness postula che la coscienza è la realtà fondamentale dell'apparente dualità di mente e materia. Mostra che il trascurare o ignorare questa realtà è la causa principale dell'infelicità esistenziale che pervade e motiva la vita della maggior parte delle persone, così come i conflitti più ampi che esistono tra comunità e nazioni. Al contrario, il libro suggerisce che il riconoscimento della realtà fondamentale della coscienza è il primo passo nella ricerca di una felicità duratura e la base per la pace nel mondo.

Rupert Spira è l'autore di The Essence of Non‑Duality · Teachings ·- Deepak Chopra, autore di Tu sei l'universo, Soluzioni spirituali e Super cervello. 

Il Maestro Giorgio Furlan

Giorgio Furlan è stato uno dei pochi grandi Maestri yoga di Roma insieme ad Antonio Nuzzo e Vincenzo Russo.  Ha lasciato il corpo  a  dicembre 2021.

Furlan inizia sin da giovane ad interessarsi allo Yoga e alla Spititualità orientale, frequenta da allievo il Maestro Carlo Patrian unico e indiscusso precursore dello Yoga in Italia.  Carlo Patrian a soli 15 anni rimase affascinato dagli scritti di Yogi Ramacharaka, pseudonimo di William Walker Atkinson, che dal 1900 al 1912 pubblicò testi su yoga e induismo ancora oggi di grande attualità. Pubblicò il volume «Yoga» per la Sperling & Kupfer e nel 1965 aprì una scuola di yoga. Il felice sodalizio con la Divine Life Society lo portò a promuovere l' incontro fra papa Paolo VI e il monaco Swami Chidananda. Chidananda Saraswati era presidente della Divine Life Society, di Rishikesh, India. Noto in India come yogi e leader spirituale, succedette come Presidente della Divine Life Society nel 1963, dopo la morte del suo predecessore, Sivananda Saraswati, che fondò la Società.

Giorgio Furlan si è diplomato Maestro Yoga presso la più importante e conosciuta scuola Yoga dell’India fondata da Swami Sivananda Saraswati: la Divine Life Society di Rishikesh.  

E'  autore di importanti libri sullo Yoga nella sua forma originaria tra i quali: "Esperienze Yoga”, “Condotti e centri supersottili”, “Yoga: Armonia, Potenza, Saggezza”, “Lo Yoga della Conoscenza”, editati dalle produzioni Babaji.  

Giorgio Furlan con gli studi di medicina all'Università di Roma e con la conoscenza delle medicine biologiche orientali ha saputo creare un utile connubio tra Oriente e Occidente.   

Un'altra importantissima iniziativa, nata dal desiderio del Maestro Giorgio Furlan di divulgare la scienza dello Yoga, è l'annuale Congresso Internazionale: "Giornata dello Yoga" che ha l'importante scopo di creare un ponte tra la scienza e la cultura occidentale alla scienza e saggezza orientale.  

Il Maestro Giorgio Furlan, è fondatore dell'Accademia Yoga 1969, vedi http://www.accademiayoga.it/informazioni/giorgiofurlan.html  che ha come scopo la diffusione  della millenaria Scienza dello Yoga nel mondo occidentale, secondo gli antichi insegnamenti dei Maestri realizzati (Rishi) dell'India.     Per questo motivo L'Accademia Yoga è in continuo contatto con le più importanti scuole di yoga dell'India.

I doni dello yoga - del Maestro Antonio Nuzzo

Lo Hatha Yoga non è una pratica per il benessere, contro il mal di schiena o antistress, ma un sofisticato percorso di ricerca spirituale, la ricongiunzione tra il sé e il Sé

Il testo I doni dello Yoga, per praticare una vita piena (pubblicato nel 2019, Edizioni Morellini - Yoga Journal)  è stato scritto dal Maestro Antonio Nuzzo e a cura di Mario Raffaele Conti. Mario Raffaele Conti è collaboratore di Yoga Journal. Esperto di religioni, ha trovato il suo sentiero nello yoga.
Puoi trovare la presentazione del libro al seguente link:  https://www.youtube.com/watch?v=TzOcllSDnqw      Alla presentazione ha partecipato anche Guido Gabrielli, direttore di Yoga Journal Italia. 

Uno dei maestri di yoga più importanti d'Italia, racconta in un libro il suo Yoga della Via di Mezzo. Il concetto di yoga della via di mezzo non preclude la trascendenza, ma cura tutti gli aspetti collegati all'immanenza. Secondo il Maestro Antonio Nuzzo si deve cercare di far coincidere immanenza e trascendenza, ossia mantenere la propria responsabilità in questa società, senza tralasciare la vita spirituale.
André Van Lysebeth, il maestro di Antonio e uno dei primi ad introdurre lo yoga in Europa, era un uomo molto attivo e nello stesso tempo capace di entrare in una dimensione di profonda trascendenza.
Come può cambiare la percezione e la vita quotidiana dell’uomo occidentale praticando yoga? Secondo il Maestro Antonio Nuzzo lo yoga non è una pratica per il benessere o antistress, ma un percorso spirituale che ha per scopo il ricongiungimento del sè con il Sè, l'eliminazione della sofferenza e il raggiungimento della beatitudine. Di yoga ce n'è uno solo. Significa unione e l'uomo occidentale purtroppo è riuscito a frammentarlo in mille rivoli.
In Occidente chi pratica, ricerca un'ideale di yogin immaginario e ideale, ciò porta ad atteggiamenti repressivi e a disagi fisici e squilibri interiori.

Si deve praticate lo yoga se si vuole conoscere l'essenza di ciò che siamo, lo yoga è un percorso che permette di agire contemporaneamente su corpo e mente, e cerca la percezione della totalità, cerca di ridimensionare l'influenza dell'Ego e migliorare la qualità dell'osservazione. Quando le condizioni interiori saranno pronte, allora grazie alla logica e le scritture si potrà provare a percepire una realtà più profonda. Lo yoga è uno straordinario viaggio interiore che porta ad un grande equilibrio psichico e fisico. Lo yoga è la scienza della spiritualità, ed intraprendere il percorso è cercare di arrivare in una dimensione in cui convivono passato, presente, futuro e ad una coscienza liberata dalle fluttuazioni della mente.
Lo yoga è una pratica che ci mette in relazione con l'inconscio, nel costruire la stabilità della posizione si costruisce la stabilità interiore e un nuovo modo di affrontare la vita.  E' importante capire lo spirito dello yoga prima di buttarsi nella pratica.

Le 10 condizioni per definire la pratica yoga:

  •  assumete un asana secondo le vostre possibilità, questa è l'asana perfetta, fermatevi appena    prima di sentire dolore. 
  • l'asana deve essere comoda e confortevole, a seconda delle nostre possibilità,
  •  rilassate il corpo,
  •  mantenete il corpo immobile, as significa immobile,
  •  per lungo tempo,
  •  espandete la coscienza nel corpo globale, e cercate la dimensione dell'autentica realtà interiore,
  •  ascoltate tutte le sensazioni dall'abbinamento asana e respirazione,
  •  non cercate un risultato,
  • se ci sono queste condizioni, si attiverà un processo che comincerà a lavorare nel subconscio,
  • mettere in atto gli yama e niyama.

Nel testo il Maestro Antonio Nuzzo ci illustra il suo percorso e  ripercorre le tappe dello sviluppo dello yoga in Italia e in Europa. La nascita della rivista “Yoga” nel 1963.  Nel 1971 la creazione del Centro studi di Yoga di Roma con Barbara Woelher. Nel 1972 il primo festival yoga in Europa. Nel 1974 la prima Federazione Italiana di Yoga. 1977 la nascita dell'Istituto per la formazione di insegnanti yoga. Nel 2000 la nascita dell'Advaita Yoga sangha  e della Federazione Mediterranea Yoga.

Alla domanda: Cosa un insegnante di Yoga NON può NON sapere?  Antonio non ha avuto dubbi nel rispondere: L'insegnamento che è proposto da Patanjali negli Yoga Sutra. Gli Yoga Sutra sono il parametro per determinare se la pratica è yoga o non yoga. Fuori dalla via di Patanjali il rischio di alimentare illusioni è fortissimo.   Avere una visione mistica significa osservare la totalità del corpo ed espandere la coscienza, la coscienza del Tutto. Insegnare Yoga è insegnare a gestire simultaneamente corpo, mente e respiro in una progressione spirituale che ci porterà ad una coscienza totale del corpo, ad una nuova dimensione interiore e ci farà entrare in uno stato quasi meditativo.   La pratica (Kriya yoga) si deve sviluppare attraverso l'azione, lo studio di sé e dei testi e la devozione del divino, Tutto il resto è pilates.

Perchè si dovrebbe praticare yoga?  Uno yogi ci risponderà “ Uomo stolto, ma per ottenere il samadhi”; Il samadhi la leggenda dello yoga, l'esperienza ultima dei ricercatori orientali. E' il momento in cui il particolare si perde nel Tutto, in cui il sé e il Sè diventano una cosa sola, oltre il quale c'è l'ineffabile. Il samadhi si può raggiungere con la fede, l'energia e la memoria. Patanjali dice che dobbiamo piegare al nostro volere l'Ego. Per avanzare nel percorso occorre una pratica continua (abhyasa) e un distacco (vairagya).  Patanjali dà vita alle tre grandi vie dello yoga: bhakti yoga, karma yoga, jnana yoga. Lo yoga si basa sulla combinazione di tre elementi, l'ascesi, lo studio, la devozione all'energia divina  cosmica (Isvara).

Cosa succederà, se con il passare del tempo non riusciremo più a fare la posizione del pavone?  L'avidya (ignoranza) nello yoga è il credere all'eterna giovinezza e alla salute perenne. Confondere l'io (asmita) con l'ego è una delle cause di sofferenza.  Occorre imparare a vivere il momento presente per superare l'ultimo klesha, la paura della morte. La felicità non viene da fuori di te.

Per la realizzazione del sé, Patanjali ci suggerisce i cinque yama e i cinque niyama: Gli yama sono: non violenza, verità, onestà, moderazione, il non attaccamento, come ad esempio alla memoria, al passato.  I niyama sono: la purificazione (shat karma), la contentezza per ciò che si ha, l'ascesi, lo studio dei testi sacri, la devozione ad Isvara che rappresenta l'energia divina, il cosmo, la natura.

L'ansia ci riempie di tossine e la staticità dell'asana le toglie.  In India si dice che la vita di un individuo si conti in respiri. Allungando il respiro si allunga la vita. Attraverso il respiro si controlla il prana (l'energia) e si influenzano i processi mentali. Durante le pratiche di respirazione occorre essere consapevoli delle pause, tra inspiro ed espiro e tra espiro ed inspiro  e cercare di allungarle, producendo una dolce trasformazione del respiro. Calmare il respiro per calmare la mente. É il pre-requisito della meditazione.   Non ci si esercita alla meditazione, dhyana accade. Il dhyana è  il tempo sospeso, la ritrazione dei sensi, l'universo che entra dentro di noi e noi in esso.  Se la trasformazione dovrà avvenire, avverrà, Ma non sarà merito nostro.
Con la pratica yoga si cambia, si cambiano i gusti, si diventa vegetariani, si smette di fumare, si arriva a coltivare Yama e Niyama. Nello yoga non bisogna porsi obiettivi, si cerca di trasformare la mente e depotenziare l'Ego ed andare verso il Sè. Fino ad arrivare al distacco dal risultato dell'azione. L'hatha yoga è molto pericoloso, perchè spesso il raggiungimento di posizioni complesse allontana dall'obiettivo, per questo negli ashram si fa soprattutto karma yoga.
La posizione o asana deve essere uno stimolo all'osservazione, un laboratorio dell'inconscio. Se vogliamo arrivare alle radici dell'inconscio dobbiamo fare hatha yoga. L'obiettivo è arrivare al distacco e alla consapevolezza del Sè. L'azione corporea è solo uno strumento, non dovremmo mai separarla dalla ricerca interiore.  Il nostro ideale deve essere quello di diventare “una statua che respira”- Andrè Van Lysebeth.  Questo è l’Hatha Yoga per Antonio Nuzzo. Una posizione dove l’intenzione e l’azione hanno una direzione chiara e sincera. 

Nel libro sono riportati anche consigli pratici come la dieta del dott. Herbert Shelton. Antonio raccomanda ai vegetariani l'assunzione della vitamina B12, e racconta che andare in un ristorante e dire non mangio quello, non mangio questo, è come affermare di essere un'altra cosa rispetto agli altri. Scherzando dice anche:  "A volte mangio il pesce per comunicare con la parte immanente della mia esistenza."

Di seguito riporto alcune domande e risposte prese da Yoga Journal vedi link:  http://www.yogajournal.it/antonio-nuzzo-vi-racconto-il-mio-libro/

Yoga Journal:  Come mai un libro dopo tutti questi anni?.
Antonio Nuzzo:  Sono sempre stato sollecitato a scrivere un libro, ma per fortuna non l’ho fatto. Se lo avessi scritto, avrei fatto un archivio di pratiche, ricercandone i benefici. Mentre, dopo anni di riflessione e di pratica, sono giunto a capire che lo yoga è un processo che coinvolge l’uomo nelle parti più profonde e intime. Sono giunto alla conclusione che sia più importante l’attitudine interiore che l’azione fisica. Questa è un supporto alla trasformazione, per sostenere la rivoluzione mentale. Come nella pratica giapponese del tiro con l’arco: non è importante l’obiettivo, il bersaglio, ma la costruzione dell’interiorità, il processo per il tiro.

Y. J. È questo l’insegnamento che hai avuto dai numerosi maestri che hai frequentato?
A.N.  Questo è ciò che ho appreso attraverso la pratica di asana, e fin qui mi si è rivelata da sola, nessuno me lo aveva mai detto prima. Ho avuto molte influenze e indizi, ma è necessario un profondo lavoro interiore, senza escludersi dal mondo circostante. Bisogna avere una chiarezza di visione interiore per produrre una azione perfetta. Una persona emotivamente incerta, coinvolta in quello che fa, non riesce a coglierne il senso.  La perfezione fisica si raggiunge quando la mente è sufficientemente distaccata. Lo so, sembra una contraddizione:l’azione e l’intenzione si uniscono per creare la sinergia interna perfetta. Senza tutto questo, lo Yoga è ginnastica.

Y.J. Come sei giunto a questa riflessione?
A.N. Ci ho messo tanto a capirlo. Ho praticato tanto, con molto impegno fisico e perfezionando le posture, fino a creare una interiorità distaccata dalla forma. Ero nello spirito. Non si può tenere una posizione per oltre mezz’ora senza arrivare al distacco, ma in tempi brevi questo distacco semplicemente non accade. Guardandomi attorno mi sono reso conto che tutti praticano uno yoga dinamico e mi sono chiesto a quale interiorità possa portare. Pratico anche io il Saluto al Sole in maniera dinamica, ma la dimensione psichica a cui essa mi porta è imparagonabile con quel distacco profondo e interiore che c’è in una posizione statica.

 Y.J. Il tuo libro si confronta con l’interpretazione di alcuni Yoga Sutra di Patañjali. Perché li hai scelti?
A.N.  Ho letto i testi classici della tradizione, come Hatha Yoga Pradipika e ho letto Patañjali. Secondo me il primo è apparentemente più accessibile, ma ad un approfondimento appare ermetico, non comprensibile. Faccio un esempio: quando viene spiegata la pratica di Pashimottanasana, “distendi le gambe, porta avanti il busto, chinati verso le ginocchia e in questa posizione troverai l’immortalità”.
Questa ultima frase è ambigua, cosa significa immortalità? Il più delle volte la gente pensa alla diminuzione di malattie e a una vita più lunga. In realtà si sottintende che in quella posizione trascendi il corpo fisico e entri in relazione con la tua parte immortale. Nulla a che vedere con la salute fisica: è un indizio per approfondire oltre. 

Y.J. Mentre negli Yoga Sutra?
A.N. A Patañjali, invece, si deve l’onore del fatto che senza Yoga Sutra, lo yoga non sarebbe mai esistito. Lo yoga ha avuto la sua identità (darshana) grazie a lui. Tutte le branche dello yoga (Bhakti, Tantra, Jnana, Karmaecc) si sono appoggiate a lui e lo hanno modellato alle loro sensibilità e pratiche. La famiglia dello yoga ha come capofamiglia Patañjali. Mi ha sollecitato a trovare delle risposte alle mie intuizioni che non trovavo in altri testi.

 Y.J.  Come hai selezionato i Sutra da commentare?
A.N. Ho scelto i Sutra di Patañjali in base all’utilizzo che un praticante che vuole entrare nel mondo yoga possa farne, gli elementi essenziali. Il primo capitolo parla delle finalità, il secondo della struttura della sadhana (strategia di vita), gli altri due sono i risultati dell’attuazione dei primi due. Ho pensato a quel praticante che oggi avesse bisogno di sapere cosa fare nel momento in cui si ricongiunge con se stesso sul tappetino. Ho estrapolato i Sutra del primo capitolo per consentire di intravedere quali siano gli obiettivi principali. Poi successivamente, nel secondo capitolo, alcuni Sutra determinanti per attivare la propria interiorità. In questo modo si riesce a costruire una pratica interiore durante l’azione.

 Y.J. Il libro è stato curato anche da un tuo allievo, Mario Raffaele Conti, giornalista e ricercatore spirituale. Come è stato il confronto?
A.N. Mi ha coinvolto l’entusiasmo di Mario e la sua creatività divulgativa. Ad ogni mia riflessione su particolari Sutra lui rispondeva con una metafora, a volte molto ironica, ma impeccabilmente chiara. Ha saputo dare un linguaggio fruibile, contemporaneo per il lettore e non ha mai tradito il rispetto della tradizione e l’intenzione profonda alla base dello Yoga.

Y.J. Il libro è preceduto da un capitolo in cui racconti, anche con un certo stupore a te stesso, della tua lunga storia con lo yoga. Su tutti primeggia la figura di Andrè Van Lysebeth.
A.N. L’incontro con Andrè Van Lysebeth è stato fondamentale per iniziare a capire il senso dello Yoga. Il suo più grande insegnamento, per me, è stato quello di portare lo yoga in qualsiasi azione quotidiana compiesse. Era instancabile: praticava, leggeva, conduceva insieme a sua moglie Denise un centro di Yoga, si era comprato una tipografia, ove tra le altre cose, dirigeva assieme a sua moglie Denise la rivista”Yoga”, che poi veicolava per abbonamento. Si alzava al mattino e faceva le sue pratiche per un’ora poi, dopo colazione, si muoveva in auto imparando le lingue con le audiocassette. Ogni volta che si allacciava le scarpe si piegava in Padahstasana (la Posizione delle Mani sotto i Piedi), con una naturalezza tale da sembrare un gesto quotidiano, familiare. Una lezione fondamentale per comprendere la trascendenza nell’immanenza.

Y.J. In tutto il tuo racconto di vita attraverso lo yoga c’è una carrellata di incontri e aneddoti straordinari.
A.N.  Attraverso Andrè, e su suo stimolo, ho conosciuto e ricercato maestri straordinari come Swami Gitananda Giri, Swami Satchidananda, Mataji Hridayananda diretta discepola di Swami Sivananda,  Swami Satyananda, l'unico discepolo di Sivananda, esperto di tantra, e Vimala Thakar seguage di Krishnamurti, amici ricercatori come me, come Gérard Blitz, Giorgio Furlan, Carlo Patrian, il Prof. Jean Varenne storico delle religioni.… Io sono il luogo in cui questi personaggi si sono incontrati. C’è un lungo filo conduttore che lega la mia vita nello yoga, dall’incontro con il mio amico Frédéric in età adolescenziale, i libri in francese di Andrè Van Lysebeth e poi l’incontro con lui e la sua famiglia. Questo percorso, fino ad oggi, è stato un viaggio pieno di casualità che oggi hanno un senso compiuto.

Y.J. Oggi citi spesso che il tuo Yoga è “quello della via di Mezzo”
A.N. Io pratico e insegno yoga da tanti anni. Sono stato e sono un lavoratore, ho amato moltissimo il lavoro con la Protezione Civile. Sono marito, padre, adesso nonno. Sono riuscito a vivere la presenza mentale dello yoga in tutto questo. Lo yoga non è un antistress per dare sollievo alla dispersione mentale, è un percorso spirituale che agisce e trasforma la struttura fisica e mentale. È questa la via indicata dagli Yoga Sutra di Patañjali.

 _____________Antonio Nuzzo è uno dei più autorevoli Maestri yoga italiani. Nato al Cairo (Egitto) da madre di origine libanese e padre italiano, ha cominciato a praticare nel 1963 all'età di 16 anni. Nel 1971 è diventato allievo di André Van Lysebeth, con il quale per 15 anni ha approfondito le tecniche di hatha e tantra yoga. Un'autorevole voce che da oltre 50 anni pratica, ricerca e insegna questa disciplina. Nessuno come lui ha vissuto in maniera onnicomprensiva la ricerca di questa disciplina: dal suo lavoro come funzionario alla Protezione Civile agli incontri apparentemente casuali con tutti i più importanti maestri yogi del ‘900. Oggi insegna in Italia e in Francia, coordina Corsi di Formazione Insegnanti per la Federazione Mediterranea Yoga e, per la prima volta nella sua vita, è autore di un libro che incornicia una parte importante di questa lunga ricerca: “I doni dello Yoga. Per praticare una vita piena” (Yoga Journal – Morellini Editore). All’interno del libro si trovano anche:

  •     I sūtra più importanti da conoscere,
  •     Il commento agli Yoga Sutra di un grande maestro conosciuto in tutto il mondo,
  •     Il glossario delle parole sanscrite più usate e famose,
  •     Gli insegnamenti nascosti della grande tradizione dello hatha yoga,
  •     Una sequenza finale originale per mettere in pratica la teoria.

I Maestri che ho incontrato - Antonio Nuzzo

Il Maestro Antonio Nuzzo ha recentemente pubblicato (maggio 2019)  I doni dello yoga, per praticare una vita piena.   In questo testo, spiega cosa è lo hatha yoga, un sofisticato percorso di ricerca spirituale che ha come obiettivo ultimo l'eliminazione della sofferenza, il raggiungimento della beatitudine, della felicità più profonda, la ricongiunzione tra il sé e il Sé.

All'inizio del testo ripercorre la sua esperienza nel campo dello yoga:  Erano i primi anni 80 che iniziai ad interessarmi di yoga e quando venni a sapere che a Terni, un insegnante di yoga di Roma Giorgio Astolfi teneva dei corsi, iniziai a frequentare. E da lì ho iniziato il lavoro di ricerca che non finirà mai.

Il viaggio che ho intrapreso moltissimi anni fa attraverso lo yoga si è materializzato con l’incontro inaspettato di grandi Maestri appartenenti a un lignaggio di tutto rispetto, come quello del grande Maestro, Swami Sivananda Saraswati di Rishikesh. Primi fra tutti André e Denise Van Lysebeth, coloro che mi hanno introdotto nel mondo dello yoga con i quali ho percorso un cammino sistematico e graduale di conoscenza fatto di esperienza, studio e pratica. È stata una vera e propria formazione durata più di 10 anni.      Successivamente ho incontrato in modo fortuito Swami Satyananda Saraswati di Monghyr, un incontro che si è evoluto attraverso lunghi periodi di permanenza accanto a lui nell’ashram dove ho assorbito non solo l’insegnamento, ma anche la sua grande e inesauribile energia volta alla diffusione e alla ricerca continua, così da non interrompere mai il proprio percorso personale. 

Il loro insegnamento mi ha permeato, è stato poi da me metabolizzato per decine di anni e ritrasmesso con un linguaggio che, si è via via plasmato e adattato alle necessità e alle condizioni del momento storico in cui lo yoga vive.

Una donna che mi ha segnato profondamente, anche se non ho avuto modo, come negli altri casi, l’opportunità di seguirla per lunghi periodi: è stata Vimala Thakar, una ricercatrice del profondo. Ha saputo comunicare un insegnamento sistematico, risultato della propria esperienza di praticante e della lettura dei maggiori testi di riferimento della spiritualità indiana e dello yoga, un insegnamento che era sempre preceduto da un lungo periodo di silenzio.  Come diceva Vimala: "dopo un lungo silenzio, il parlare diventa un'esperienza creativa"

 ________ Antonio Nuzzo è uno dei più autorevoli Maestri yoga italiani. Ha cominciato a praticare nel 1963 all'età di 16 anni. Nel 1971 è diventato allievo di André Van Lysebeth, con il quale per 15 anni ha approfondito le tecniche di hatha e tantra yoga. Un'autorevole voce che da oltre 50 anni pratica, ricerca e insegna questa disciplina. Nessuno come lui ha vissuto in maniera onnicomprensiva la ricerca di questa disciplina: dal suo lavoro come funzionario alla Protezione Civile agli incontri apparentemente casuali con tutti i più importanti maestri yogi del ‘900. Oggi insegna in Italia e in Francia, coordina Corsi di Formazione Insegnanti per la Federazione Mediterranea Yoga e, per la prima volta nella sua vita, è autore di un libro che incornicia una parte importante di questa lunga ricerca: “I doni dello Yoga. Per praticare una vita piena” (Yoga Journal – Morellini Editore).  

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Il Blog è nato nel marzo 2021, in tempo di pandemia, per comunicare e condividere le mie letture e i miei interessi.  Nel blog ci sono ci...