sabato 23 settembre 2023

Samsara. S.S. Il Dalai Lama (1)

 "Cercate di aiutare gli altri. Se non ne siete capaci , non fate del male agli altri" - Sua Santità il Dalai Lama riassume in questa frase l'essenza del Buddhismo.    

"Dobbiamo abbandonare il nostro egoismo, o almeno cerchiamo di essere egoisti in modo intelligente".

Nel primi due capitoli del libro Samsara, Liberarsi dalla sofferenza, combattere l'intolleranza attraverso la non-violenza, il Dalai Lama parla dell'invasione del Tibet da parte della Cina fino ad oggi  e dell'esperienza del suo esilio.

Il suo predecessore, il tredicesimo Dalai Lama Thupten Gyatso aveva indicato chiaramente il pericolo che veniva dalla Cina e aveva chiesto più volte a Buthan e Nepal di creare un'armata comune, ma questa proposta fu ignorata.  L’invasione del Tibet ebbe inizio nell’ottobre del 1950, dopo la fine della guerra civile cinese che vide il Kuomintang (il Partito Nazionalista Cinese, KMT) e il Partito Comunista Cinese (PCC) guidato da Mao Zedong contendersi il potere dal 1927 al 1949. Un anno dopo la vittoria del PCC e la conseguente fondazione della Repubblica Popolare il 1° ottobre 1949, ebbe inizio l’invasione del Tibet, regione fino ad allora indipendente dal governo di Pechino. Tra il 6 ed il 7 ottobre 1950, l’esercito cinese (People Liberation Army, PLA) – sotto l’influenza del futuro leader Deng Xiaoping, – circondò la città tibetana di Chamdo, che cadde sotto il comando cinese il 19 ottobre. La sconfitta dell’esercito tibetano a Chamdo diede inizio alle trattative per l’annessione cinese del Tibet che si conclusero un anno dopo con l’Accordo dei Diciassette Punti, con cui il governo tibetano e il Dalai Lama accettavano la presenza del PLA e la sovranità cinese sul suolo tibetano.

Negli anni 1954 il Dalai Lama fu invitato varie volte in Cina  e fu accolto dal Primo ministro Chou En-Lai e dal vice ministro Chu Teh, e per la prima volta, in quell'occasione, vide Mao e scrive di lui che aveva una grande forza magnetica, cordiale e spontaneo. E sempre in questo libricino il Dalai Lama rivela di essere stato attirato dal comunismo, il solo difetto che vedeva nel comunismo era quello di occuparsi dell'aspetto puramente materiale dell'esistenza.  Mao nel 1955 durante una conversazione gli disse "La religione è un veleno, frena il progresso". 

In questo periodo il Dalai Lama incontra anche Nehru in India, che gli fece comprendere chiaramente che l'India non avrebbe potuto aiutare il Tibet.  Gli consigliò di riprendere gli accordi con i cinesi. 

Dal 1949 al 1959 il Dalai Lama restò il capo politico e capo spirituale del suo popolo cercando di stabilire delle relazioni pacifiche tra le due nazioni: Cina e Tibet. La resistenza popolare contro la Cina comunista durò in Tibet fino al 1959, culminando in una giornata di insurrezione generale quando il 10 marzo 1959 300mila tibetani si riunirono ai piedi del Potala, residenza del Dalai Lama, per proteggerlo dalle proteste scoppiate nella capitale Lhasa. Il Dalai Lama chiese ancora una volta consiglio all'oracolo che quella sera gridò "vai via, vai via immediatamente", In seguito, il Dalai Lama dopo essersi recato al santuario di Mahakala, la sua divinità protettrice e avergli fatto l'offerta di una kata (sciarpa di seta bianca) lasciò il Paese per rifugiarsi in India, dove vive ancor oggi da esiliato. Nello stesso anno, l’Accordo dei Diciassette Punti venne ripudiato sia dal governo cinese che da quello tibetano e il Tibet venne ufficialmente annesso ai territori della Repubblica Popolare Cinese come regione autonoma.

Attualmente la popolazione autoctona, nel Tibet, conta 6 milioni di persone mentre la popolazione cinese arriva a 7,5 milioni di persone, ed è una questione veramente grave.  Ogni situazione deve essere considerata nella sua singolarità, ma il fatto di perdonare o di mostrarsi pazienti non significa che i tibetani debbano accettare tutto da chiunque. 

Il periodo attuale si inscrive tra i più difficili per il popolo tibetano, il Dalai Lama non cessa di sperare che il popolo tibetano, la sua cultura e la sua fede sopravviveranno e conosceranno di nuovo la prosperità.  Pensa che la sua presenza nel mondo libero, all'esterno del Tibet, possa essere più utile alla causa tibetana che  ritornare in Tibet.

La giornata della vita del Dalai Lama.   Si sveglia alle 4,00 per recitare il mantra Ngak-djinlap, è una preghiera attraverso la quale  dedica tutti i pensieri, le azioni, le parole come un'offerta agli altri. Guarda il cielo e prende coscienza della nostra insignificanza nel cosmo, e  dell'impermanenza. Fa colazione ascoltando le notizie della BBC.  Dalle 6,00 alle 9,00 medita; attraverso la meditazione cerca di sviluppare la giusta motivazione: compassione, perdono e tolleranza. Medita 6 o 7 volte al giorno.  Dalle 9,00 alle 12,00 legge e studia le scritture. Alle 12,30 prende il pranzo, in generale non vegetariano. Il promeriggio è dedicato agli incontri ufficiali. Alle 18,00 prende il thè, essendo monaco  non cena.  La sera vede le serie della BBC sulla civilizzazione occidentale e documentari sulla natura. 

Obbedisce ai voti di povertà e non ha alcun oggetto personale.  In Thailandia, Sri Lanka e Birmania i monaci sono autenticamente impegnati nella pratica della disciplina monastica, e a differenza dei monaci tibetani, hanno conservato l'abitudine di mendicare il loro cibo, come duemila anni fa, all'epoca del Buddha e dei suoi discepoli.  Spesso i tibetani sono conosciuti per la loro allegria, e questo è dovuto forse all'identificazione con un ideale di compassione.

L'assegnazione del premio Nobel per la pace al Dalai Lama nel 1989 ha permesso all'opinione pubblica di scoprire il problema tibetano. Il Dalai Lama  cominciato ad interagire con vari capi di Stato europei che spesso per problemi diplomatici lo hanno ricevuto in forma privata.  Di questo esilio il Dalai Lama ne ha preso l'aspetto positivo che è quello di scoprire il resto del mondo, incontrare altri popoli, di conoscere altre tradizioni. Auspica che il prossimo governo tibetano sia eletto democraticamente. 

Nel terzo capitolo parla del mondo di oggi.    "Constato che i dirigenti del mondo attuale hanno un grande coraggio, il coraggio di compiere il male"  - Il Dalai Lama.

Dobbiamo già affrontare la morte, la vecchiaia, le catastrofi naturali... tante sofferenze che ci lasciano impotenti, Non sono sufficienti?   Dobbiamo anche affrontare le guerre e la stupidaggine umana?

La sola cosa che valga la pena di fare da parte di un essere umano è provare a sviluppare i pensieri positivi, aumentare il loro potere o la loro forza, e ridurre il modo di pensare negativo. Creare delle comunità e ridurre le disuguaglianze e il fossato tra Nord-Sud del mondo dovrebbe essere l'obiettivo principale dell'Occidente. Oggi la nostra generazione, tutti i membri della nostra famiglia umana, vasta e diversificata, devono malgrado tutto apprendere a vivere insieme e dare vita a una comunità universale.  Quello che colpisce il Dalai Lama è il manicheismo degli occidentali che hanno l'abitudine di pensare in maniera dicotomica, in termini di opposizione nero/bianco, per/contro, dimenticando l'interdipendenza e la relatività dei fatti, e l'esistenza di una zona grigia che esiste tra i due punti di vista. Con questo modo di ragionare si creano distinzioni e frontiere a partire dal colore della pelle, dal luogo geografico, o da fatti storici maturando il sentimento di essere diversi. E' così che nascono critiche, conflitti e guerre.  In questi capitoli, accenna al problema della sovrapopolazione, e si dichiara favorevole al controllo delle nascite e fa presente che le vecchie interdizioni religiose non aiutano.  Per dare prosperità e giustizia ai quasi 8 miliardi di persone che popolano il pianeta è evidente che dovremmo evitare che aumentino di numero. Un'altra necessità è quello di educare le popolazioni dei Paesi in via di sviluppo.  

Ribadisce comunque di difendere tutte le forme di vita, anche quella degli animali. Dal punto di vista buddhista, tutti gli esseri sensibili, gli esseri dotati di sentimento, di esperienze e sensazioni, sono considerati uguali.

Quando l'uomo neglige di coltivare la sua dimendione interiore, diventa l'ingranaggio di una macchina e diventa schiavo delle cose, allora non ha di umano che il nome.   In Occidente, lo sviluppo tecnologico dovrebbe garantire un benessere permanente; ma non è così. Sotto l'apparenza essite del malessere, dell'insoddisfazione mentale e agitazione. Questo mostra che il solo progresso materiale non è la risposta completa all'aspirazione dell'essere umano. In Occidente, si vie in una tensione, in una competizione e una paura incessanti.

I media propongono solo violenza e sesso che portano guadagni e soldi. E' compito dello spettatore contrastare questa tendenza.  Ciascun individuo ha la responsabilità di ridurre la negatività della situazione nella quale si trova confrontato. Se volete cambiare il mondo, provate prima di migliorarvi e trasformarvi.     Siamo in un periodo storico in cui dobbiamo cercare di sostituire i dogmi estremisti con valori spirituali e umani.

Samsara. S.S. Il Dalai Lama (2)

"Senza le qualità umane fondamentali: amore, compassione, bontà, non potremo sopravvivere. La notra propria pace e stabilità mentale dipendono da queste qualità" -  Il Dalai Lama  

Nella seconda parte del libro Samsara, Liberarsi dalla sofferenza, combattere l'intolleranza attraverso la non-violenza, il Dalai Lama parla della fede, della scienza e della religione.


Il buddhismo non cerca di convertire; il buddhismo è un'esperienza personale. Uno degli insegnamenti principali del Buddha è il seguente: "Devi aspettarti tutto da te stesso".

Il buddhismo non accetta la teoria di un Dio o di un creatore. Da un certo punto di vista è una religione, da un altro punto di vista è una scienza della mente. mettendo da parte l'idea di un Dio creatore e giudice, entriamo nel campo di un  "religione umana", ossia nata dalla riflessione umana per rispondere a un bisogno umano.  Il buddhismo non fa nessuna discriminazione tra i sessi, lo scopo ultimo è identico, così come le capacità di arrivare al nirvana. Nella società tibetana presa nel suo insieme, non esiste differenza di status o rango tra uomini e donne ( c'è una grande differenza con India e Cina).

I buddhisti e non buddhisti si distinguono per il fatto che prendano o meno rifugio nel Triplice gioiello, e nell'accettazione dei Quattro sigilli attestando che la dottrina è la parola di Buddha. Il Triplice gioiello è costituito dal Buddha,il dharma (l'insegnamento) e il sangha (la comunità spirituale). I Quattro sigilli attestanti che una dottrina è la parola del Buddha sono; 1- tutte le cose composte sono impermanenti, 2- l'esistenza condizionata è essenzialmente sofferenza, 3- tutti i fenomeni sono vuoti di esistenza in sè, e 4- il nirvana è pace. 

La dottrina del Buddha può essere riassunta in due frasi: "Aiuta gli altri" e "nel caso non puoi farlo , non nuocere agli altri". Questa dottrina è radicata nel terreno dell'amore e della compassione. 

L'etica è la nostra difesa, e la nostra principale arma di attacco è la saggezza, per questo sono necessarie stabilità mentale e concentrazione. La perfezione dell'etica è raggiunta quando avrete sviluppato fino al punto supremo l'idea di non danneggiare gli altri e non compiere le dieci azioni negative. Questo porta all'estinzione del fuoco dell'attaccamento, della collera e della rabbia.

Le azioni si compiono attraverso tre porte: il corpo, la parola e la mente; le dieci azioni negative sono: l'omicidio, il furto e condotta sessuale inappropriata, la menzogna, l'incomprensione, la parola che ferisce e il pettegolezzo, la lussuria, la malizia, il punto di vista scorretto o perverso.  I quattro antidoti sono il potere del  rimpianto, il potere della purificazione, la forza della determinazione, la forza suprema della meditazione.  

La principale tecnica per arrivare alla pace della mente è la meditazione. La nostra vera natura è calma, per questo il Buddha ci raccomanda di cercare profondamente in noi stessi, in noi stessi troveremo il desiderio di pace.   L'etica è il fattore principale per una rinascita favorevole.

Dopo l'illuminazione, il Buddha girò più volte la ruota della legge prima del aprinirvana, che è la legge cosmica rivelata dal Buddha, l'insegnamento religioso che impedisce di entrare nel ciclo della sofferenza del samsara. L'essenziale resta l'analisi attraverso la logica e la ragione. Se certe cose non si accordano con la ragione e la realtà non dovete mai accettarle. L'uomo che ha la comprensione del Dharma considera uguali i tesori del mondo e la goccia della rugiada sospesa sulla punta di un filo d'erba.   Le grandi scritture, tradotte in tibetano sotto il nome di kangyur, ricoprono l'insieme degli insegnamenti del Buddha. La vera pratica consiste nell'applicazione immediata di quello che apprendiamo.

Non dobbiamo dimenticare che in tutti gli esseri umani esiste un seme di amore e di compassione che farà di lui, un giorno, un Buddha.

Nel capitolo cinque parla della vita. Nel buddhismo si dice che ciascuno è il maestro di se stesso. Il potenziale è identico per ogni essere umano. Se avete la volontà potete fare quello che volete. Se non alleniamo la nostra mente e non riflettiamo, ci è impossibile ottenere la felicità. La felicità non può coesistere con l'aggressività.  

I nostri maestri più preziosi sono i nostri nemici.  Il Dalai Lama consiglia di essere prudenti nello sposarsi, una famiglia felice è un passo verso un mondo felice. La base di tutti gli insegnamenti morali dovrebbe essere la non risposta agli attacchi.  L'ideale sarebbe di spendere il 50% del tempo e dell'energia a occuparsi degli affari correnti e il 50% a coltivarsi interiormente.  Tutti insieme si dovrebbe cercare di sviluppare una spiritualità nuova, parallelamente alle religioni, in modo tale che tutte le persone di buona volontà possano aderire. Un concetto nuovo, una spiritualità laica. 

Tutto quello che è nostro è soggetto all'impermanenza, niente di quello che comunemente crediamo essere reale è permanente. A torto crediamo che il corpo e la mente possiedono una specie di "io". La vacuità corrisponde al vuoto, all'assenza totale di esistenza intrinseca, La vacuità è paragonabile a uno zero, uno zero in se stesso non è niente, ma senza lo zero non è possibile contare. Di conseguenza lo zero è qualcosa anche essendo niente. Lo stesso è per il vuoto; il vuoto è vuoto, ma allo stesso tempo la base di tutto.   La forma è il vuoto, il vuoto è la forma. La materia di cui siamo composti è vuota, tuttavia questo non vuol dire "il nulla", e a torto molti commentatori hanno accusato il buddhismo di nichilismo. Secondo i buddhisti il mondo è una fluidità, una corrente di stati, tutte le cose dipendono da altre cose. Niente esiste separatamente. le cose appaiono, esistono e scompaiono, e appaiono di nuovo. Ma non esistono mai per loro stesse. La forma dunque è vuoto, non separata, non indipendente. Questa forma dipende da una moltitudine di altri fattori. Il vuoto è forma perchè tutte le forme si sviluppano in questo vuoto, in questa assenza di esistenza indipendente. Il vuoto è là per condurre alla forma.

Sull'origine dell'universo, i buddhisti dicono che il secolo in cui viviamo è la conseguenza dei secoli precedenti, e così via fino all'origine dei tempi, 20 o 25 miliardi di anni fa.     Ma come il Big Bang si è prodotto? Ci sono due risposte che i buddhisti non accettano, la prima che non c'è nessuna causa, ma qualcosa è successo.  La seconda risposta è la soluzione divina: Dio ha deciso di creare il mondo.  Secondo le scritture buddhiste delle particelle particolari esistevano nello spazio prima della creazione dell'universo.   Queste particelle spirituali sono ancora là, costituiscono gli esseri, e hanno dato via al Big bang. 

Nel buddhsimo, come in altre tradizioni c'è una via diretta al risveglio costituita da yoga, misticismo, certe forme di meditazione e di estasi. Questo approccio diretta che può condurci per esperienza all'origine del mondo è estremamente difficile. Presuppone che la nostra mente si sia sviluppata e affinata fino alle sua più alta qualità di coscienza sottile, che la sottrae ai cicli temporali. Poche persone arrivano a questi livelli. Quando si arriva a questi livelli di coscienza sottile e di estasi si può con piacere contemplare l'assenza di esistenza in sè, la vacuità e il vuoto. 

Per quanto riguarda la coscienza, benchè ne facciamo esperienza da secoli, non sappiamo cosa sia veramente. Dobbiamo dedicare parte dei nostri sforzi (oltre che alla scienza) alla ricerca interiore, nel campo della mente restano degli immensi spazi da esplorare.  Molti scienzati hanno compreso che il buddhismo non è una religione rigida, e si sono resi conto che è anche una scienza e come tutte le scienze si basa sull'esperienza.  La natura umana è provvisoriamente contaminata, attraverso un processo di purificazione, di risveglio, la nostra mente può raggiungere quella alta qualità che si chiama Nirvana. Lo spirito (la mente) si trova allora trasformato in saggezza e non si è più sottomessi al ciclo delle esistenze. 

Quando la fine è prossima, dobbiamo volgere i nostri pensieri verso la pratica, dobbiamo studiare il processo della morte e familiarizzare con esso attraverso la meditazione, e vivere le otto fasi della dissoluzione del corpo. 1- Il processo comincia con la dissoluzione dell'aggregato delle forme: l'elemento terra si indebolisce, il morente ha l'impressione di finire sotto terra e la sua vista indebolisce, 2- l'elemento acqua perde consistenza e prevale il fuoco, la bocca diventa secca, 3- nella fase seguente l'elemento aria diventa predominante, il morente non riconosce più i suoi cari, interiormente vede come delle lucciole. 4-, l'elemento vento si indebolisce, il sintomo esterno è l'arresto della respirazione, internamente il morente vede una fiamma rossastra. In questo stadio un medico dichiara la persona morta. Ma secondo il buddhismo, il processo non è ancora terminato, la coscienza della persona è ancora presente, ma ciò non significa che si può ritornare indietro.  Ci sono ancora altri quattro stadi, 5-  la percezione di una visione bianca e di energia all'interno, nessun segno esteriore. 6- Poi la percezione di un luce rossa, 7- poi la coscienza di un nero e oscurità profonda, si entra in una specie di incoscienza.  8- Quando la percezione del nero e dell'energia motrice si dissolvono, si manifesta la percezione più sottile di tutte: la chiara luce della morte.  E' allora che la vita si arresta veramente. In questo momento per lo yogi è venuto il momento di mettere alla prova la sua pratica, prima che le cellule degenerino.  Conosce in quel momento il livello più sottile: la coscienza della luce chiara.  La coscienza è divisa in tre livelli di coscienza sottile: lo stato di veglia ( a livello grossolano della coscienza), lo stato di sogno (che è più sottile), e lo stato di sonno profondo (senza sogni e che si rivela ancora più sottile), di una modalità simile, le tre tappe della nascita, della morte fisica, e dello stato intermediario del bardo che procede la rinascita,  sono stati classificati secondo la sottigliezza dello stato di coscienza.  Durante il processo di morte, l'essere penetra nel più profondo della sua coscienza sottile. Ma dopo la morte, durante il bardo, la sua coscienza si prepara e diventa più grossolana, e continua durante il processo della rinascita e della reincarnazione. 

Lo yoga può contribuire al benessere generale, ma il mezzo principale per purificare la mente, è la mente. Attraverso la saggezza si perviene alla verità profonda, o ultima della vacuità, questa saggezza che percepisce l'assenza dell'io, può essere diretta o indiretta.

Yoga e meditazione all'eremo di Camaldoli con Alex Bayer

Oggi è chiamata in causa non una particolare forma di religione; ma la religione in se stessa e solo il movimento ecumenico tra le religioni e lo sforzo di ciascuna ad accettare e apprezzare la verità e santità che si trova nelle altre religioni, può rispondere al bisogno di religiosità dell’uomo moderno.” (Bede Griffiths: Matrimonio tra Oriente e Occidente, p.30, anni '80).

Axel Bayer è nato nel 1970 a Stoccarda (Germania), è monaco benedettino del Sacro Eremo di Camaldoli (AR). È laureato in lingue, lettere e teologia, pratica yoga e meditazione da 20 anni ed è insegnante dell' Himalayan Yoga Institute, fondato da Swami Rama. Dopo essersi diplomato, ha trascorso un periodo di approfondimento e di pratica intensa a Rishikesh in India. Da molti anni propone corsi di meditazione e iniziative che mettono in dialogo la tradizione cristiana con la sapienza dell'Oriente.

Insegna metodi di meditazione cristiana nel master ‘Meditazione e neuroscienze cognitive’ all’università di Udine. Ha scritto la sua tesi di laurea in teologia sulla preghiera pura di Evagrio Pontico ed è autore del libro: ‘Meditazione – dalla preghiera pura di Evagrio Pontico al raja-yoga di Patanjali’.  Evagrio Pontico è uno dei Padri del deserto che ha maggiormente contribuito allo sviluppo di una via meditativa nella tradizione cristiana. Questo testo ricco e prezioso che ci riporta all’essenza della meditazione che, come fa osservare l’Autore, non è patrimonio esclusivo dell’Oriente o dell’Occidente, ma è una risposta trasversale alla ricerca, propria della natura umana, di strumenti che possano metterci in contatto con il Divino. Nel libro viene ripercorsa la storia della via meditativa nella tradizione cristiana, sottolineandone i punti di contatto con quella orientale. Axel Bayer non si limita, però, solo all’aspetto teorico, ma ci offre molte «indicazioni sulla pratica, sul rilassamento, sulla concentrazione, sul ruolo del maestro, sull’importanza della condivisione e, soprattutto, sulla centralità dell’abbandono. Alex spiega le motivazioni e le difficoltà nell'intraprendere una ricerca spirituale oggi; incoraggia comunque a provarci e a mettersi in cammino».

L’anelito alla meditazione silenziosa è trasversale alle diverse tradizioni religiose, ed Alex esplora il modo in cui questi cammini si illuminano reciprocamente gettando luce anche sul personale cammino spirituale. 

Propone una  pratica yoga e meditativa con condivisione. Intende lo yoga, come un metodo che aiuta il praticante in un processo di svuotamento e di abbandono che porta ad una calma mentale, aperta all’incontro con l’altro, e in questo modo lo yoga diventa un prezioso strumento per approfondire l'esperienza religiosa, la preghiera e la comprensione di noi stessi.  Prendendo spunto dalla ricca tradizione spirituale che proviene dalle religioni orientali, Alex vuole portare avanti il dialogo iniziato dai padri fondatori dell'ashram in India: Jules Monchanin, Henry Le Saux e Bede Griffiths.

Amare il Dio invisibile significa aprire passivamente il cuore davanti a Dio e attendere l’attiva rivelazione di Lui, in modo che nel cuore scenda l’energia dell’amore divino.”  - Pavel Florenskij.

Riferimenti: 

  • https://www.camaldoli.it/yoga-e-meditazione/
  • https://www.youtube.com/watch?v=YfS6Gc_oatk&ab_channel=AxelBayer
  • https://www.youtube.com/watch?v=yI9XchIhcaY&ab_channel=AxelBayer

Risorse per la meditazione

 The Lighthouse  -  Youtube meditations, documentaries and talk: https://www.youtube.com/@thelighthouseworld/featured

App: https://www.thelighthouse.world/downloadapp     

Choose from the many resources offered by the Global Retreat Centre

https://www.globalretreatcentre.org/discover-more/

 

Il canone buddhista

I testi sacri del Buddhismo sono attualmente raccolti in tre canoni: il Canone pāli, il Canone cinese e il Canone tibetano così denominati in base alla lingua degli scritti.



Il Canone pāli (letteralmente “Tre canestri” in sanscrito Tripitaka) è la più antica collezione di testi canonici buddhisti pervenutaci integralmente. Secondo la tradizione della scuola Theravāda il loro contenuto fu fissato in forma orale durante il primo concilio buddhista a Rājagaha subito dopo la morte del Buddha e furono messi per iscritto in Sri Lanka nel I secolo a.C. da parte della comunità del monastero Mahāvihāra, anche se l’edizione del Canone pāli di cui disponiamo oggi risale al V secolo d.C. (quando la versione attribuita al periodo del re Vaṭṭagāmaṇī (30 a.C.) fu rivista dai monaci del Mahāvihāra.).

I Tre Canestri. Questi scritti si possono dividere in tre categorie, i cui fogli dei primi manoscritti, originariamente consistenti in foglie di palma, erano conservati in canestri, donde il nome collettivo (tipiṭaka, pāli, da ti, tre, e piṭaka, cesto o canestro, tripitaka in sanscrito). 

  • Il primo “canestro”, il Vinaya Piṭaka, è la disciplina monastica, contenente le regole dell’ordine e le procedure da seguirsi in caso di infrazione da parte di un monaco, insieme al resoconto delle circostanze che hanno portato alla promulgazione di ciascuna regola;
  • Il secondo “canestro”, il Sutta Piṭaka, contiene resoconti della vita e degli insegnamenti del Buddha. Il Sutta Piṭaka è a sua volta suddiviso nei cinque Nikāya.
  • Il terzo “canestro” è l’Abhidhamma Piṭaka ed è una raccolta di testi che elaborano ulteriormente diversi concetti e tesi della dottrina presentati nel Sutta Pitaka, giungendo ad una loro trattazione filosofico-metafisica.

In genere le raccolte in cui è diviso contengono testi sia antichi e probabilmente testimoni delle autentiche vicende delle prime comunità monastiche e dell’insegnamento del Maestro, che testi più recenti e successivi. Ad esempio, nel Majjhima Nikāya si confronta il sistema sociale castale indiano con quello greco privo di caste, il che porta a datare questo testo a non prima del III secolo. Il Sutta Piṭaka sembra il prodotto di una comunità unita, che non ha ancora vissuto eventi scismatici. Studiosi osservano che il Canone pali potrebbe non riportare direttamente l’autentico insegnamento del Buddha Shakyamuni. Da fonti esterne si può evincere come tutti i cinque Nikāya del Sutta Piṭaka abbiano preso la loro forma attuale prima della composizione del Milinda Pañha, composto nel I secolo d.C. Studi accademici considerano l'Abhidhamma Piṭaka risalente al III secolo a.C.

L’editto di Bhāru dell’imperatore Aśoka dimostra come almeno parte dei primi quattro Nikāya abbiano preso una forma definitiva durante il III secolo a.C..   Alcuni testi dei cinque Nikāya possono essere datati prima del II secolo a.C..  Alcuni studi di gran lunga più recenti ritengono però che la versione del canone pāli che ci è giunta per opera della comunità monastica del Mahāvihāra di Anurādhapura, Sri Lanka, sia stato redatto per fornire alla comunità di questo monastero «una base istituzionalizzata per la crescita e lo sviluppo continuo della tradizione Theravāda.

Il Canone buddhista cinese rappresenta la versione del Tripitaka buddhista in cinese in tutte le sue recensioni storiche diffuse e accettate in Cina, Giappone, Corea e Vietnam in epoche diverse. Da questo Canone derivano anche i Canoni buddhisti manciù e tangut.

La versione più antica del Dàzàng Jīng (letteralmente: “Grande tesoro delle scritture”), di cui rimane solo il catalogo delle opere che conteneva, risale al 515 ed era riprodotta su rotoli di carta e di seta. La prima edizione a stampa risale invece al 972 (dinastia Song Settentrionali), quando l’imperatore Tàizǔ decise di avviare l’incisione dell’intero Canone. La prima incisione del Canone su blocchi di legno terminò nel 983, quando oltre 5 000 manoscritti che contenevano 1076 testi furono riprodotti su 130 000 blocchi, l’insieme dei quali costituisce la versione del Canone cinese denominata Kāibǎo.

Questa versione xilografica fu poi portata in Corea dove, nel 1030, fu completata l’opera di una edizione analoga sempre su blocchi di legno (Canone coreano), edizione andata poi perduta a causa delle invasioni dei Mongoli nel XIII secolo.   Dopo l’edizione Kāibǎo ne seguirono delle altre, sempre a blocchi, denominate in base al luogo di realizzazione, spesso dei monasteri.

Anche in Giappone si realizzarono diverse edizioni complete del Canone cinese, prima su blocchi lignei e poi a stampa tra il 1640-1680.  Poi il  Canone di Tokyo XIX sec. ; l’ultima edizione, in 85 volumi di stile occidentale è divenuta lo standard di riferimento nei paesi di antica influenza cinese.

Il Canone tibetano è l’opera che raccoglie i sutra, i tantra e in generale le scritture buddhiste ritenute importanti per la tradizione del Buddhismo Vajrayana in Tibet.  Il canone fu composto dal monaco Butön (Bu ston) (1290 – 1364) ed è diviso in due parti: Kangyur e Tengyur. Nella prima sono raccolte le opere espressione diretta degli insegnamenti dei Buddha o dei Bodhisattva, nella seconda i commenti e gli scritti delle varie scuole e lignaggi del Buddhismo tibetano.
Giacché Butön aveva escluso dal canone gli insegnamenti Nyingmapa questi furono raccolti da Ratna Lingpa (1403 – 1478) in un’opera intitolata Nyngma gyubdun.

Il Canone tibetano fu dato alle stampe in tibetano la prima volta a Pechino nel 1411 e solo nel 1742 in Tibet in 333 volumi.
Lo sforzo cui tendeva il canone fu quello di accettare nel Kangyur i testi di cui si possedesse l’originale sanscrito o pali, cassando i testi di cui esisteva oramai la sola traduzione tibetana o cinese. Così solo pochi sutra del Buddhismo dei Nikaya trovarono posto nel canone rispetto ai sutra del Mahayana. Il Vinaya stesso, il codice di regole monastiche, è quello sanscrito dei Mulasarvastivadin. Dato che ormai l’India era sotto il controllo islamico e tutte le università buddhiste e monasteri erano stati distrutti il canone tibetano rappresenta l’estremo tentativo di salvare la tradizione indiana del Buddhismo.


La pratica dello yoga ha una storia millenaria

Lo Yoga è il più grande dono dell’India al mondo.  – Shri T. Krishnamacharya

Articolo di Susanna Marsiglia.   https://www.meditazionezen.it/la-storia-dello-yoga/

La pratica dello Yoga ha una storia millenaria che risale agli albori della civiltà ed è probabilmente la disciplina orientale che ha maggiormente affascinato l’Occidente negli ultimi decenni. Quest’antichissima pratica, che si concentra sull’armonia tra mente e corpo, racchiude una vera e propria scienza del vivere sano. Non a caso si stima che ad oggi più di 300 milioni di persone in tutto il mondo pratichino lo yoga.

La parola “Yoga” deriva dalla radice sanscrita “Yuj”, che significa “unire” o “unione”. Secondo i suoi antichi testi, praticare yoga porta all’unione della coscienza individuale con la coscienza universale, generando una perfetta armonia tra mente e corpo e tra uomo e natura.

La storia dello yoga, tra origini incerte e tradizioni segrete.   Le vere e proprie origini dello yoga antico sono per lo più avvolte dall’incertezza, a causa dell’iniziale trasmissione orale dei suoi testi sacri e della natura segreta dei suoi insegnamenti. Si ritiene che i primi testi sullo yoga fossero addirittura trascritti su fragili foglie di palma che venivano facilmente danneggiate, distrutte o perse. Numerosi storici e ricercatori sono concordi nel ritenere che questa pratica risalga agli albori della civiltà umana, molto prima della nascita delle religioni e di altri sistemi di credenze.

Lo yoga non è infatti una religione, bensì una filosofia di vita che coincide con i primi sforzi dell’uomo di vincere le malattie e conquistare la longevità e il benessere. Mentre la religione richiede una fede cieca, lo yoga è una pratica esistenziale, esperienziale e basata su un cammino di vita individuale che può essere sperimentato e modificato da ognuno di noi.

Dove è nato lo yoga?  Sarebbe un’impresa quasi impossibile dividere la storia dello yoga da quella dell’India. La civiltà e le tradizioni del subcontinente indiano sono infatti profondamente connesse con la nascita di questa disciplina, che è parte integrante dell’identità storica e culturale dell’India contemporanea. Anche se discipline simili allo yoga si sono sviluppate in altre parti del mondo, è stato in India che il sistema yogico ha trovato la sua massima espressione. Ed è proprio tra i resti della civiltà della valle dell’Indo (una tra le più culturalmente ricche e sviluppate del mondo antico) che sono stati rinvenuti numerosi sigilli raffiguranti figure di persone in posizioni di yoga, che suggeriscono la presenza dello yoga nell’antica India già dal 3.500 a.C.

Quando è nato lo yoga? La nascita dello yoga come disciplina può essere fatta risalire a oltre 5.000 anni fa, ma alcuni ricercatori ritengono che affondi le sue radici in tempi ben più antichi. Fu Patanjali nel II secolo d.C. a sistematizzare e codificare le pratiche dello yoga esistenti (e fino a quel momento trasmesse solo per via orale) attraverso il suo libro Yoga Sutra. Proprio a quest’opera letteraria si attribuisce la prima trasmissione scritta dei principi dello yoga moderno. La lunga e ricca storia dello yoga può essere suddivisa in quattro periodi principali di concezione, pratica e sviluppo.

Yoga preclassico.  I primi fondamenti dello yoga furono sviluppati dalla civiltà dell’Indo-Sarasvati nell’India settentrionale oltre 5.000 anni fa. La parola yoga è menzionata per la prima volta nei Veda, la più antica raccolta di testi spirituali in sanscrito, risalente al periodo tra il 1500 e il 900 a.C. I Veda contenevano canti, mantra e rituali usati dai brahmani, i sacerdoti della civiltà religiosa vedica (ovvero la cultura filosofica e religiosa degli antichi popoli dell’India nord-occidentale).  I primi rudimenti di yoga furono poi lentamente perfezionati e sviluppati proprio dai Brahmani e dai Rishi (veggenti mistici).  Ogni volume dei Veda contiene quattro parti e una di queste in particolare, le Upanishad, riguarda la meditazione, la filosofia e la spiritualità indù.  Le Upanishad adottarono l’idea del sacrificio rituale dai Veda e la interiorizzarono, insegnando il sacrificio dell’ego attraverso la conoscenza di sé, l’azione (karma yoga) e la saggezza (jnana yoga).

Yoga classico.  Nella fase pre-classica, lo yoga era un miscuglio di varie idee, credenze e tecniche che spesso erano in conflitto e si contraddicevano a vicenda. L’inizio del periodo classico è definito dagli Yoga-Sûtra di Patanjali, la prima presentazione sistematica dello yoga. Redatto nel II secolo d.C., il testo descrive il percorso del Raja Yoga, spesso definito come “yoga classico” o “yoga originario”. Patanjali fu il primo ad organizzare la pratica dello yoga in un “percorso a otto stadi” contenente i passaggi e le fasi per raggiungere Samadhi, ovvero l’illuminazione. Per questo motivo Patanjali è spesso considerato il padre dello yoga e i suoi Yoga-Sûtra influenzano ancora fortemente la maggior parte degli stili di yoga moderno.

Yoga post-classico. Alcuni secoli dopo Patanjali, i maestri di yoga elaborarono un sistema di pratiche con lo scopo di ringiovanire il corpo e prolungare la vita. Rifiutarono gli insegnamenti degli antichi Veda e abbracciarono il corpo fisico come mezzo per raggiungere l’illuminazione. Si sviluppò così il Tantra Yoga, con tecniche radicali per purificare il corpo e la mente, spezzando i nodi che ci legano alla nostra esistenza fisica. L’esplorazione di queste connessioni fisico-spirituali e pratiche incentrate sul corpo portò alla creazione dello stile di yoga maggiormente praticato in Occidente: l’Hatha Yoga.

Yoga moderno e diffusione in Occidente. Tra la fine del 1800 e l’inizio del 1900, i maestri di yoga iniziarono a viaggiare in Occidente attirando attenzioni e seguaci. Al Parlamento delle Religioni Mondiali del 1893 a Chicago il maestro indiano Swami Vivekananda estasiò i partecipanti con le sue lezioni sullo yoga e sull’universalità delle religioni del mondo. Negli anni ’20 e ’30 del XX secolo l’Hatha Yoga fu fortemente promosso in India grazie al lavoro di divulgazione di T. Krishnamacharya, Swami Sivananda e altri maestri che praticavano l’Hatha Yoga. Krishnamacharya aprì la prima scuola di Hatha Yoga a Mysore nel 1924 e nel 1936 Sivananda fondò la Divine Life Society sulle rive del sacro fiume Gange.  Fu proprio Krishnamacharya ad istruire tre studenti che avrebbero poi portato avanti la sua eredità e aumentato la popolarità dell’Hatha Yoga nel mondo: B.K.S. Iyengar, TKV Desikachar e Pattabhi Jois.  Sivananda fu un altro autore prolifico, pubblicando oltre 200 libri sullo yoga e fondando nove ashram e numerosi centri yoga in tutto il mondo.

La diffusione dello yoga in Occidente proseguì progressivamente fino all’apertura dello studio di yoga di Indra Devi a Hollywood nel 1947, che segnò un punto di svolta per la popolarità della pratica negli Stati Uniti. Da quel momento molti altri insegnanti occidentali e indiani divennero pionieri della disciplina in Nord America e in Europa, rendendo sempre più conosciuto l’Hatha Yoga e guadagnando milioni di seguaci. L’Hatha Yoga conta oggi molte scuole e stili differenti, che enfatizzano aspetti differenti della pratica.

La storia dello yoga secondo la mitologia indiana. Nella tradizione yogica, il dio Shiva è considerato il primo yogi (o Adiyogi) nonché il primo Guru (o Adi Guru).  Si narra che diverse migliaia di anni fa, sulle rive del lago Kantisarovar nell’Himalaya, Shiva riversò la sua profonda conoscenza nei leggendari Saptarishi o “sette saggi”.  I saggi diffusero questa potente scienza yogica in diverse parti del mondo, tra cui l’Asia, il Medio Oriente, il Nord Africa e il Sud America. Agastya, il Saptarishi che viaggiò attraverso il subcontinente indiano, fu il responsabile della diffusione e sviluppo dello yoga indiano che conosciamo oggi. Questa leggenda si rifà agli stretti parallelismi tra le culture antiche di tutto il mondo, dove ritroviamo elementi culturali, filosofici e religiosi molto simili tra loro nonostante la distanza geografica.

I falsi miti sullo yoga in Occidente.
Per molte persone in Occidente la pratica dello yoga è limitata all’Hatha Yoga e alle Asana (posizioni). Questo per via del fatto che i maestri di Hatha Yoga sono stati i maggiori divulgatori della disciplina al di fuori dell’India. Tuttavia, soltanto tre degli Yoga Sutra sono dedicati alle asana. Fondamentalmente, l’Hatha Yoga è un processo preparatorio affinché il corpo possa sostenere livelli di energia più elevati. Il processo inizia con il corpo per poi proseguire con il respiro, la mente e il sé interiore.  

Lo yoga è anche erroneamente inteso come una terapia o un sistema di esercizi per la salute e il fitness. Anche se la salute fisica e mentale sono conseguenze naturali dello yoga, l’obiettivo dello yoga è di più ampia portata. Lo yoga riguarda l’armonizzazione di sé stessi con l’universo. È la tecnologia per allineare la geometria individuale con il cosmico, per raggiungere il più alto livello di percezione e armonia. Diverse usanze sociali e rituali in India, la terra dello Yoga, riflettono l’amore per l’equilibrio ecologico, la tolleranza verso altri sistemi di pensiero e una visione compassionevole verso tutte le creature.
Lo yoga in tutte le sue sfumature e accezioni è considerato una panacea per una vita più ricca e realizzata. Il suo orientamento a una salute globale, sia individuale che sociale, lo rende una pratica accessibile a persone di tutte le religioni, razze e nazionalità.

La storia dello yoga: Tappe chiave.
Yoga preclassico: 4500 – 2500 aC
Yoga classico: 100 a.C. – 500 d.C
Yoga post-classico: 500 – 1300 d.C
Yoga moderno: 1700 d.C. – ora
 

La storia riassunta. 3500 a.C -1500 a.C.: La civiltà della valle dell’Indo viene creata dall’assimilazione di popolazioni indigene dravidiche e indoeuropee originarie della regione del Caucaso che emigrano nell’Asia meridionale e si diffondono nelle fertili pianure settentrionali.
1800-1000 a.C.: Viene redatto il più antico testo dei Veda, Ṛgveda.
600 a.C.: Vengono redatte le prime Upanishad, che contengono alcune interpretazioni mistiche e spirituali dei Veda.
599-527 a.C.: Mahavira fonda il Giainismo e insegna l’osservanza di cinque voti (simili a quelli che saranno poi gli stadi del Raja Yoga).
563-483 a.C.: Siddhartha Gautama (Buddha) raggiunge l’illuminazione e diffonde gli insegnamenti alla base del buddismo che invitano al severo ascetismo.
400-200 a.C.: Il buddismo in India raggiunge la sua massima diffusione.
200 a.C.- 200 d.C.: Lo Yoga Sūtra di Patanjali codifica le pratiche yogiche (rāja), presentandole come un sistema a otto stadi (ashtānga). La tradizione filosofica è legata alla scuola Sankhya.
350- 500: Si sviluppa il Tantra, un insieme di credenze e pratiche di meditazione e rituali che cerca di incanalare l’energia divina del macrocosmo o divinità nel microcosmo umano, per ottenere siddhi (poteri) e moksha (liberazione/libertà).
1450: Viene redatto l’Hatha Yoga Pradipika, un’opera composta da quattro capitoli che includono informazioni su asana, pranayama, hcakra, kundalini, bandha, kriya, śakti, nāḍī e mudrā tra gli altri argomenti.
1650: Viene redatto Gheranda Samhita, uno dei tre testi classici dell’hatha yoga (gli altri due sono l’Hatha Yoga Pradipika e lo Shiva Samhita). È considerato il più enciclopedico dei tre testi classici sull’hatha yoga.
1893: Sv. Vivekananda parla al Parlamento delle religioni del mondo a Chicago, divenendo una figura chiave nell’introduzione delle filosofie indiane del Vedanta e dello Yoga nel mondo occidentale.
1869-1948: Gandhi guida gli indiani ad opporsi alla tassa sul sale imposta dagli inglesi con la Dandi Salt March di 400 km (250 miglia) nel 1930, e in seguito gioca un ruolo chiave nel chiedere agli inglesi di lasciare l’India nel 1942.
1924: Sir John Woodroofe traduce Satcakranirupana (“Il potere del serpente”), che introduce molti concetti dello yoga e del tantrismo in Occidente.
1936: Sivananda fonda la Divine Life Society sulle rive del Gange.
1947: Indra Devi apre il suo studio di yoga a Hollywood, consacrando la diffusione dell’Hatha Yoga in Occidente.

Conclusione. Oggigiorno, milioni e milioni di persone in tutto il mondo beneficiano della pratica dello yoga, che è stata preservata e promossa dai grandi maestri dai tempi antichi fino ad oggi. Lo yoga rappresenta uno dei primi tentativi dell’uomo di raggiungere un benessere olistico e, in tutte le sue forme, ci aiuta ancora oggi a ritrovare noi stessi e a raggiungere un’unione universale, profonda e consapevole con l’universo. La storia dello yoga, per molti versi, è anche la storia della coscienza umana.

Fonti. Ministry of External Affairs, India,  Yoga Stats and Facts, History of Yoga, Wikipedia, Yoga History Timeline.

Letture consigliate.  Yoga sutra, Patañjali;    Le radici dello yoga, Mallinson, James;
Yoga e mito. Origine e storia di 64 asana, Devdutt Pattanaik , Matthew Rulli.

La pratica della meditazione ha una storia millenaria

La Storia della Meditazione, dall’antichità ad oggi, articolo di Susanna Marsiglia,            https://www.meditazionezen.it/la-storia-della-meditazione/          

Negli ultimi anni l’attenzione verso la meditazione è cresciuta esponenzialmente, avvicinando sempre più persone ai numerosi benefici di questa pratica. Ciononostante, le sue origini e la sua storia millenaria rimangono ancora un mistero per molti.

Come recita uno degli aforismi più famosi attribuiti al filosofo francese Michel de Montaigne, “la cosa più grande al mondo è sapere come appartenere a sé stessi”. Pensiamo che questa massima riassuma perfettamente il senso e lo scopo della meditazione. Nella società frenetica in cui viviamo oggi è necessario uno sforzo cosciente per prenderci un momento di consapevolezza ed esplorare chi siamo veramente – eppure conoscerci in profondità è da sempre un istinto innato nell’uomo, probabilmente quello da cui ha avuto origine questa pratica.

La parola meditazione deriva da meditatio, un termine latino che significa “riflessione”. Meditando, infatti, possiamo trovare una migliore connessione con il nostro corpo nei momenti quotidiani e creare una maggiore consapevolezza di come le nostre emozioni influenzano il nostro comportamento.

Quando è nata la meditazione?  La risposta a questa domanda è più complessa di quanto potremmo credere. Diverse ricerche, libri e accademie parlano di una “tradizione secolare”, ma l’effettiva origine della meditazione come pratica dipende dalla definizione che vogliamo dare al termine “meditare”.

La meditazione potrebbe essere antica quanto l’umanità stessa, tenendo conto delle potenziali capacità meditative degli uomini di Neanderthal. Diverse scuole di pensiero, però, collocano le radici della pratica nell’ambito di un insieme di tecniche e rituali originari del continente asiatico, arrivato a noi sotto forma di artefatti e scritture.  In India, la meditazione viene citata in alcuni dei più antichi documenti risalenti al 1500 a.C.  La pratica di Dhyāna (o Jhāna) è indicata come allenamento della mente, spesso tradotto come “meditazione”. Molti di questi documenti provengono dalle tradizioni indù della filosofia vedica e discutono varie pratiche di meditazione nell’antica India. Le scritture buddiste indiane e i testi risalenti a poche centinaia di anni prima di Cristo rappresentano ulteriori menzioni della pratica, ma molti sostengono che questi siano alquanto ambigui nei loro riferimenti diretti alla meditazione.
In Cina, le prime forme di meditazione sono citate fin dal III e VI secolo a.C. e collegate al taoista Laozi, un antico filosofo cinese, e ai suoi scritti. Nelle sue opere vengono usati molti dei termini impiegati nei secoli successivi per descrivere le tecniche di meditazione, tra cui:

    - Shou Zhong – tradotto approssimativamente come “guardia di mezzo”.
    - Bao Yi – tradotto approssimativamente come “abbracciare l’uno”.
    - Shou Jing – tradotto approssimativamente come “guardia alla tranquillità”.
    - Bao Pu – tradotto approssimativamente come “abbracciare la semplicità”.

Tuttavia, alcuni sostengono che è difficile stabilire se queste tecniche fossero già ampiamente utilizzate quando il testo è stato scritto, o se fossero termini nuovi ideati appositamente per il testo. La verità è che nessuno sa con assoluta certezza quando la meditazione ebbe origine ufficialmente. Ci sono molteplici riferimenti in diverse culture e religioni – tra cui il giudaismo, l’Islam e il Cristianesimo – a pratiche di tipo meditativo, che sembrano tutti aver contribuito a formare la pratica che oggi conosciamo.

Dove è nata la meditazione?  Esattamente come per il “quando”, è altrettanto difficile capire dove la meditazione ha avuto origine. Le prime testimonianze scritte provengono dall’India, più precisamente dalle tradizioni indù del vedismo intorno al 1500 a.C.  
La filosofia vedica è uno dei primi percorsi indiani conosciuti per l’illuminazione spirituale. Altre forme di meditazione sono poi citate intorno al VI e al V secolo a.C. nella Cina taoista e nell’India buddista. Le origini precise sono molto dibattute, soprattutto intorno alla meditazione buddista. Alcuni primi resoconti scritti dei diversi stati di meditazione del buddismo in India si trovano nei sutra del Canone Pāli, che risale al I secolo a.C. Il Canone Pāli è una raccolta di scritture della tradizione buddista Theravada.
Alcune prove hanno anche collegato le pratiche meditative con il giudaismo, che si pensa sia stato ereditato dalle sue tradizioni precedenti. La Torah (i primi cinque libri del Tanakh, la Bibbia ebraica) contiene una descrizione del patriarca Isacco che va a ‘lasuach’ in un campo. Questo termine è generalmente inteso come una forma di meditazione.

Sappiamo chi ha creato la meditazione?   In poche parole, no, non lo sappiamo. Poiché le sue origini precise nello spazio e nel tempo sono abbastanza nebulose, scoprire chi ha ideato questa pratica è altrettanto ambiguo.  Ciò che sappiamo, tuttavia, è che alcune personalità influenti nel corso della storia sono state fondamentali per la diffusione della meditazione. Di seguito abbiamo elencato tre figure chiave, ma ce ne sono molte altre che sono state ugualmente importanti nel divulgare la pratica.
- Il Buddha (India) è conosciuto anche con altri nomi, tra cui Siddhārtha Gautama in sanscrito o Siddhattha Gotama in pali, era un principe che divenne monaco, saggio, filosofo e leader religioso. È proprio sulla base dei suoi insegnamenti che è stato fondato il buddismo. Per questo motivo, potrebbe essere facile supporre che il Buddha abbia creato o inventato la meditazione, ma non è così. I testi del buddismo fanno infatti riferimento a molte pratiche diverse di meditazione e il Buddha stesso ebbe degli insegnanti dai quali apprese la pratica. Sebbene sia stato fondamentale per diffondere il valore della meditazione come pratica, il Buddha non l’ha certamente inventata.
.- Lao-Tze (Cina) è conosciuto anche da Lao-Tzu e Laozi, era un antico filosofo cinese il cui nome è essenzialmente un titolo d’onore che significa “Vecchio Maestro”. A lui si attribuisce il merito di essere l’autore del Tao-Te-Ching, un’opera che esemplifica i suoi pensieri e gli insegnamenti che hanno fondato il sistema filosofico del taoismo, che fa riferimento alle pratiche meditative e all’idea di saggezza nel silenzio. Si specula molto sul fatto che Lao-Tze sia effettivamente esistito come uomo singolo, o che il nome si riferisca a un insieme di individui e filosofi che condividevano le stesse idee.-- - Dosho (Giappone)  era un monaco giapponese che, nel VII secolo, viaggiò in Cina e studiò il buddismo sotto la guida di Hsuan Tsang, un grande maestro dell’epoca. Fu durante questo viaggio che Dosho imparò tutto sui dettami dello Zen.  Al suo ritorno, aprì la sua prima sala di meditazione dedicata alla pratica dello Zazen, una meditazione seduta. Creò una comunità di monaci e studenti con l’obiettivo primario di insegnare questa forma di meditazione in Giappone.

Le radici della meditazione. Anche se oggi la meditazione come pratica è piuttosto comune e diffusa, è bene capire che le origini e le radici della meditazione risalgono a molto tempo fa. Oggi la meditazione continua ad essere adattata alle nostre vite e a mutare. Tornare alle sue radici può aiutare a sviluppare un forte apprezzamento della vastità di questa pratica e per il modo in cui si è sviluppata in diversi luoghi nel corso di diversi momenti storici.

Le più antiche immagini documentate della meditazione provengono dall’India e risalgono al periodo compreso tra il 5000 e il 3500 a.C. I dipinti murali raffigurano persone sedute in posture meditative con gli occhi socchiusi, che si presume siano raccolte in meditazione.   Il più antico testo di meditazione documentato proviene anch’esso dall’India, dalle tradizioni indù, intorno al 1500 a.C. Sebbene i veda abbiano creato testi che descrivono pratiche meditative, è importante sapere che queste erano state tramandate oralmente per secoli.  Accanto alla pratica vedica, le tradizioni indù descrivono anche la pratica yogi di meditare nelle grotte. Si ritiene che molte pratiche moderne di meditazione derivino da questo lignaggio, compreso il movimento dello yoga moderno le cui tecniche si basano prevalentemente sulla pratica dell’Hatha Yoga.

Buddismo in India. La meditazione è spesso strettamente legata al buddismo, anche se l’immagine del Buddha che medita su un loto è arrivata solo molto più tardi, molto tempo dopo l’inizio del buddismo stesso. Nel linguaggio classico del buddismo, la meditazione è chiamata bhāvanā, che significa sviluppo mentale, o dhyāna, che significa calma mentale. 

Le varie tecniche e pratiche della meditazione. Più o meno nello stesso periodo in cui il buddismo si diffondeva, si sviluppavano anche altre tre pratiche, ognuna con il proprio modo di avvicinarsi alla meditazione.

-Lao Tze e il taoismo in Cina.   Anche se c’è qualche controversia sul fatto che Lao Tze sia esistito come persona singola, si ritiene abbia vissuto intorno al VI secolo a.C. Il taoismo pone l’accento sul fatto di diventare un tutt’uno con il Tao, che significa “vita cosmica” o natura. Le tecniche tradizionali di meditazione taoista includono un’attenzione particolare alla consapevolezza, alla contemplazione e all’uso della visualizzazione.

-Confucio e confucianesimo in Cina.  Confucio era un insegnante, un politico e un filosofo cinese, vissuto nel VI secolo a.C. I suoi insegnamenti e i suoi pensieri si esprimevano attraverso la filosofia oggi nota come confucianesimo e sono ancora oggi molto importanti in Cina. Il confucianesimo pone l’accento sulla crescita personale, sulla moralità e sulla giustizia sociale. La meditazione nel confucianesimo è conosciuta come Jing Zuo, e si concentra sul miglioramento di sé e sulla contemplazione.

-Sufismo. Il sufismo è un’antica tradizione islamica che risale a 1400 anni fa. È una pratica in cui i musulmani cercano di connettersi con Allah (Dio) attraverso la riflessione e la contemplazione di sé stessi e la rinuncia ai beni materiali. Si pensa che attraverso una certa influenza indiana, il sufismo abbia sviluppato la sua particolare pratica di meditazione che include l’attenzione alla respirazione e l’uso dei mantra.

-Ebraismo. Oltre a quelle che si crede siano descrizioni della pratica della meditazione nella Torah, anche il metodo esoterico ebraico e la scuola di pensiero della Cabala includono alcune forme di meditazione. Queste si basano generalmente su un pensiero profondo su temi filosofici e sulla preghiera.

La meditazione in Occidente. La meditazione iniziò ad interessare l’Occidente intorno al 1700, quando alcuni testi di filosofia orientale, contenenti riferimenti a tecniche e pratiche di meditazione, vennero tradotti in diverse lingue europee.  Questi includevano:
-    Le Upanishad vediche – Una raccolta di testi religiosi e filosofici provenienti dall’India, che si suppone siano stati scritti tra l’800 e il 500 a.C.
-    La Bhagavad Gita – Una scrittura sanscrita composta da 700 versi che fanno parte del Mahabharata: un’epopea indù che descrive la vicenda tra il principe Pandava Arjuna e Krishna.
-    I Sutra buddisti – Scritture che si suppone siano gli insegnamenti orali del Buddha.

Nel XVIII secolo la meditazione era considerata solo un argomento di discussione e di interesse da parte di filosofi e intellettuali, tra cui Voltaire e Schopenhauer. Solo nel XX secolo divenne più importante, soprattutto negli Stati Uniti, quando Swami Vivekananda, tenne una presentazione al Parliament of Religions di Chicago. La presentazione creò una nuova ondata di interesse per i modelli orientali di spiritualità in Occidente, e influenzò un certo numero di insegnanti spirituali ad emigrare dall’India negli Stati Uniti, tra cui: Swami Rama,  Paramahansa Yogananda,  Maharishi Mahesh Yogi. Accanto a questi insegnanti, anche i rappresentanti spirituali di diverse scuole di pensiero buddiste cominciarono a migrare in Occidente, compresi gli individui delle scuole di pensiero Zen e Theravada. Da sottolineare il fatto che ogni volta che la meditazione è stata introdotta in un luogo nuovo, è stata inevitabilmente plasmata e mutata dalla cultura individuale di quel luogo.

Meditazione e scienza. Con la sua introduzione in Occidente, la meditazione ha cominciato a diventare più lontana dalle connessioni religiose e dagli insegnamenti delle sue radici e ad essere insegnata in modi più occidentalizzati. Negli anni Sessanta e Settanta, la meditazione è stata ricercata attraverso studi scientifici, rimuovendo ulteriormente i suoi contesti spirituali e incoraggiando la pratica ad essere utilizzata da chiunque, non solo da coloro che cercano una realizzazione spirituale.

Alla fine degli anni ’70, Jon Kabat-Zinn scoprì la meditazione attraverso i suoi studi al MIT e iniziò anche a studiare i potenziali benefici per la salute della pratica meditativa. Nel 1979 introdusse il suo programma MBSR (Mindfulness-Based-Stress-Reduction) e aprì la Clinica per la riduzione dello stress.

In quel periodo, anche la meditazione trascendentale proposta da Maharishi Mahesh Yogi crebbe in popolarità, con molte celebrità che si rivolgevano a questa pratica per aiutarli a far fronte alla fama, compresi i Beatles, anche se molte tecniche di meditazione erano legate prevalentemente alla cultura Hippie e non erano molto diffuse. Solo negli anni Novanta la situazione cominciò a cambiare.

Nel 1993 Deepak Chopra pubblicò il suo libro Ageless Body, Timeless Mind e nel 1996 apparve nel famoso show televisivo americano Oprah, vendendo più di 137.000 copie in un giorno. Mentre sempre più celebrità si facevano avanti per elogiare la pratica della meditazione, cominciarono ad apparire altri libri sul come e perché meditare.

La nascita della mindfulness. Proprio come la meditazione, le radici storiche e antiche della mindfulness (letteralmente “consapevolezza”) sono rintracciabili in tutto il mondo e attingono da diverse tradizioni spirituali.  La consapevolezza come forma di meditazione è fatta risalire all’induismo, intorno al 1500 a.C., ed è fortemente connessa con la pratica dello yoga. Lo yoga nelle sue radici più antiche implicava pochissimi riferimenti al movimento o alle posture e poneva una maggiore enfasi sull’immobilità, sull’attenzione alla respirazione e sulla presenza del corpo in quel momento. La consapevolezza in questo contesto è stata ricondotta anche al buddismo e al taoismo, che includono entrambi una forte attenzione alla respirazione e alla consapevolezza di sé.

Molte religioni includono una forma di preghiera o una tecnica di meditazione che vede l’individuo allontanare i propri pensieri dalle ansie quotidiane alla ricerca di una maggiore consapevolezza di sé e di una migliore presenza mentale. Questa forma di meditazione è molto vicina alla pratica e allo scopo della mindfulness, che è semplicemente una tecnica di meditazione il cui focus è la consapevolezza.

La mindfulness oggi,  A Jon Kabat-Zinn si attribuisce spesso il merito di essere stato il fondatore della mindfulness “moderna”, dell’idea e del concetto di consapevolezza che è comunemente diffusa in tutte le culture occidentali, ovvero quella del “qui e ora”. Negli anni ’70 Kabat-Zinn fondò la Clinica per la riduzione dello stress presso la scuola di medicina dell’Università del Massachusetts. Da allora la scuola ha contribuito a formare ed educare più di 18.000 persone ai principi della Mindfulness-Based Stress Reduction (MBSR) – un programma clinicamente testato per aiutare gli individui che soffrono di una serie di condizioni tra cui depressione, ansia, insonnia, dolore cronico e problemi cardiovascolari.

Williams, Teasdale e Seagal
(1995) hanno portato avanti il lavoro di Kabat-Zinn combinando l’MBSR con la Terapia Cognitivo Comportamentale (CBT) per creare il programma di Terapia Cognitiva Basata sulla Memoria (MBCT).  Il programma è clinicamente approvato nel Regno Unito ed è comunemente usato in psicologia clinica per aiutare a trattare individui con una serie di disturbi, tra cui disturbi della personalità, dolore cronico, regolazione delle emozioni e depressione.

La storia della meditazione: tappe chiave.

   5000 a.C. – 3500 a.C.:  La più antica prova documentata della pratica della meditazione è l’arte murale in India.
    1500 a.C. : I Veda, antichi testi religiosi, contengono la più antica menzione scritta della meditazione.
   VI secolo a.C.: Siddhartha Gautama si propone di raggiungere l’illuminazione, apprendendo la meditazione nel processo.
   VI – V secolo a.C.: Si sviluppano altre forme di meditazione nel taoismo cinese e nel buddismo indiano.
   X – XIV secolo d.C.: Si sviluppa l’esicasmo, una tradizione di preghiera contemplativa nella Chiesa ortodossa orientale.
   XI – XII secolo d.C.: Il concetto islamico di Dhikr viene interpretato da varie tecniche di meditazione e diventa uno degli elementi essenziali del sufismo.
  XVIII secolo d.C.: Lo studio del buddismo in Occidente rimane un argomento discusso principalmente tra gli intellettuali.
  1936: Viene pubblicato il primo studio scientifico sulla meditazione.
  Anni ’50: Il movimento Vipassana viene fondato in Birmania.
  Anni ’50: Maharishi Mahesh Yogi promuove la meditazione trascendentale.
 1955: Viene pubblicato il primo studio di ricerca scientifica sulla meditazione che utilizza l’elettroencefalogramma.
    Anni ’60: Swami Rama diventa uno dei primi yogi ad essere studiato dagli scienziati occidentali.
    Anni ’70: Jon Kabat-Zinn inizia a sviluppare un programma di mindfulness per adulti in ambienti clinici. Lo chiama riduzione dello stress basato sulla consapevolezza (MBSR).
    Anni ’70: Herbert Benson mostra l’efficacia della meditazione attraverso la sua ricerca.
    1977: James Funderburk pubblica una prima raccolta di studi scientifici sulla meditazione.
    1979: Jon Kabat-Zinn apre il Center for Mindfulness e insegna la riduzione dello stress basata sulla consapevolezza per trattare le condizioni croniche.
    1981: I primi centri di meditazione Vipassana al di fuori dell’India e del Myanmar vengono istituiti in Massachusetts e in Australia.
    1996: Il Chopra Center for Wellbeing viene fondato da Deepak Chopra e David Simon.
    2000: Viene condotto il primo importante studio clinico di mindfulness su pazienti affetti dal cancro, con risultati che indicano esiti benefici nei programmi di riduzione dello stress basati sulla consapevolezza.

Conclusione.   Dopo aver letto la storia e le origini della meditazione, è inevitabile provare un senso di soggezione per quanto questa pratica sia antica e intrinsecamente legata all’essere umano. Il desiderio di visitare i luoghi pregni di spiritualità in cui ha avuto origine la meditazione è naturale per chi medita regolarmente o è semplicemente affascinato dai principi di questa disciplina.
Al di là di ogni appartenenza religiosa, la meditazione sembra essere un tassello fondamentale dell’umanità. È stata tramandata per secoli, in diverse aree del pianeta, e non dobbiamo sottovalutare quanto possa essere importante praticarla anche per breve tempo ogni giorno. Da secoli, infatti, regala all’uomo innumerevoli benefici e pace mentale.

Il Nirvana

Termine sanscrito che letteralmente significa «spegnimento». È utilizzato in contesto induista e buddista per indicare la realtà ultima e la liberazione, in opposizione al saṃsāra, dal ciclo delle rinascite in cui consiste l’esistenza ordinaria. Nel Canone buddista pāli il nirvana è descritto come l’assenza di ogni perturbazione mentale causata da ignoranza e attaccamento o avversione.       

Il Buddha non risponde a domande specifiche in merito alla natura del nirvana, considerandole inutili nel cammino verso il risveglio (bodhi), e il nirvana stesso, come chi venga colpito da una freccia velenosa dovrebbe occuparsi solo di eliminarla e non di porre domande sul veleno, sull’arciere, o sulla natura della condizione in cui si troverà una volta rimossa la freccia. 

Inoltre, secondo un tema implicito nel Canone pāli ed esplicito nel buddismo successivo, il linguaggio è intrinsecamente inadatto a parlare del nirvana perché intrinsecamente condizionato (mentre il nirvana rappresenta proprio l’estinzione di tali condizionamenti). Il nirvana è fra i bersagli dell’acume critico di Nāgārjuna, che arriva a mostrare come anche l’opposizione fra saṃsāra e nirvana sia insostenibile.

Alcuni studiosi hanno suggerito che ciò equivalga a dire che il nirvana non è altro che il saṃsāra una volta rimossa l’ignoranza. Non quindi un’entità esistente ‘altrove’, bensì una trasformazione della nostra esperienza ordinaria. Altro tema dibattuto è se l’ingresso nel nirvana significhi anche la fine di ogni possibile influenza benefica sugli altri. Il raggiungimento del nirvana - seguendo alcuni spunti critici del Mahāyāna – rischia di configurarsi come un desiderio egoistico e può essere un ostacolo nel cammino verso il risveglio. Nel Mahāyāna, la soluzione è offerta dalla figura del Bodhisattva.

mercoledì 13 settembre 2023

Le medicine orientali (1)

In un approccio legato al benessere, le medicine dell’Asia sono oggi largamente conosciute nel mondo. Hanno un interesse crescente e sono spesso incluse nei percorsi ospedalieri e terapeutici convenzionali. Mentre la medicina occidentale è prima di tutto una medicina della malattia, che conviene trattare, le medicine dell’Asia appaiono come delle medicine della buona salute, che è opportuno mantenere. Anche se preventive, le medicine dell’Asia hanno sviluppato delle diagnosi, dei trattamenti e un approccio globale - olistico, che prende in conto il corpo e la mente come un tutto che collega il paziente all’universo che lo circonda. La relazione tra cure e sacro è senza dubbio all’origine del legame che unisce l’arte alla medicina, poiché è nel campo religioso che la produzione artistica è la più importante.         


In Cina, Corea e Giappone il buon medico non è quello che ha vinto la malattia ma piuttosto quello che riesce ad evitare che il paziente sia malato. Per questo bisogna garantire un equilibrio tra le funzioni organiche, il processo di rinnovamento del corpo e del modo di vita del paziente. Questa armonia si evidenzia nel soffio vitale il Qi che dà vitalità al corpo, circola nei dodici canali connessi tra essi, chiamati meridiani, corrispondenti ai dodici organi principali. Così la salute si concepisce come il mantenimento di un flusso regolare e equilibrato del sangue e del Qi che si propagano senza ostacoli nei canali. Le prime testimonianze scritte concernenti la medicina in Cina datano della fine del 2 millenario prima di Cristo, La base di questi insegnamenti si trovano nel testo Classique interne de l’empereur Jaune, un’opera redatta un secolo A.C. e attribuita a Huandgi, uno degli imperatori mitici fondatori della civiltà cinese. I procedimenti terapeutici cinesi i più frequentemente utilizzati per ritenere il flusso vitale sono la stimolazione con il calore o l’utilizzo di fini aghi o l’assunzione di preparati medici.

Medicina tibetana. Designata nella lingua autoctona sowa rigpa, la scienza delle cure, la medicina tibetana entra nella storia molto tardi, verso il 7 secolo, con l’introduzione nel paese di un sistema di scrittura che, sin dalle origini, ne è il vettore principale. Si caratterizza per i molteplici influssi stranieri, soprattutto indiani (la teoria ayurvedica degli umori), ma anche cinese (certe pratiche di diagnosi, come controllare il battito del polso). L’acquisizione e la trasmissione del sapere medico si iscrivevano nella formazione religiosa. Il terapeuta esercitava la sua arte sulla base di trattati medici di cui il più importante è I quattro tantra, redatto nel 12 secolo da un sapiente dal nome di Yuthog Yonten Gonpo, è percepito come l’aggiornamento degli insegnamenti del Buddha della medicina, Bhaishajyaguru. Affronta vari campi della teoria e della pratica medica; anatomia, fisiologia, patologia, diagnostica e terapia. Nella sfera culturale del Tibet, restare in buona salute o guarire riguarda sia la scienza medica che la religione. Così per la persona che conosce i rimedi (menpa) come per il paziente, la medicina è sempre coesistita con altre pratiche terapeutiche, empiriche o magico-religiose suscettibili di offrire un rimedio contro la malattia. I cinque elementi: o dosha, sono la costituzione o gli umori del corpo, e sono associati ai cinque elementi e alla divinità che li personalizza: etere/aria (Vayu), acqua (Varuna), fuoco (Agni), terra (Bhumi/Prithvi) , Sadashiva. Nel tamil Nadu queste divinità sono portate in processione.

L’Ayurveda il cui nome significa letteralmente saper (veda) per prolungare la durata della vita (ayus) è più che una medicina. E’ una scienza religiosa, le cui prime prescrizioni terapeutiche, presenti nei testi sacri dell’India (I Veda) erano basati sul ricorso delle potenze divine. I testi fondatori della medicina ayurvedica sono due trattati redatti in sanskrito nei primi anno D,C. , basati sulla tradizione orale: la Sushruta Samhita, e la Charaka Samhita. La dottrina classica dell’ayurveda ha per principio quello che si chiamava in Occidente la teoria degli umori. La diagnosi delle malattie si fonda sull’esame metodico dei tre umori (dosha) – il vento (vata), la bile (pita) e il muco (kapha) – comandati dalle rispettive divinità Vayu, Agni, Varuna. La buona salute dipende dall’equilibrio di questi tre umori. Essi variano secondo dei fattori differenti quale il regime alimentare, il metabolismo, o secondo influenze esterne naturali o sovrannaturali. Una buona alimentazione, l’assenza di eccessi e la pratica di attività fisiche come lo yoga possono garantire una buona salute. E’ in questo senso che si può parlare dell’ayurveda come medicina preventiva.

In Asia tutte le divinità sono portatrici di benessere, sia sul piano spirituale che fisico. Alcune, comuni al mondo religioso orientale, sono specialmente invocate per premunirsi contro gravi malattie. Nell’induismo la terribile Mariyammai era conosciuta per proteggere dal vaiolo, nel buddhismo la dea Hariti (Kishimojin in Giappone) una diavolessa pacificata dal Buddha, è particolarmente venerata in quanto protettrice dei bambini; e nel taoismo, è la Signora di Jada del monte Taishana che la credenza popolare ha elevato al rango di protettrice dei nuovi nati. E’ nel buddhismo che si incontra il maggior numero di divinità associate alla cura e alla guarigione: Bhaishajyaguru (il Buddha della medicina), Amitayus il Buddha della longevità infinità, ma anche certi Bodhisattva, come Avalokiteshvara il grande compassionevole (Guanyin in Cina e Kannon in Giappone) garantiscono buona salute e lunga vita. L'opera benefica delle divinità, soprattutto nel campo della salute, è resa possibile e particolarmente efficace dalla forza quasi magica dei riti  a loro dedicati, perché è dall'attuazione dei riti e dal loro buon funzionamento che procede l'atto divino.
Poco documentati dalla storia, i "luoghi della medicina" in Asia sono ancora poco conosciuti.  Ad esempio, all'epoca della grandezza di Angkor e dell'impero khmer sotto il regno del re buddista Jayavarman VII (1181 - 1220 circa), sono ben documentati  gli ospedali in Cambogia diffusi in tutto il Paese, che erano accessibili a tutta la popolazione. Costruiti in legno, gli edifici ospedalieri non sono sopravvissuti. Si conoscono solo le cappelle in pietra che li accompagnavano.

Nella medicina dell’Asia la cura si articola intorno a tre assi fondamentali: la diagnosi, i trattamenti terapeutici e la presa in carico del paziente nella sua globalità, sia sul piano fisico che spirituale. Gli squilibri interni possono manifestarsi per delle alterazioni degli organi visibili, come gli occhi, la pelle, la lingua, irregolarità del battito del polso, ecc, In seguito a questi esami, si ricorre a vari trattamenti terapeutici con l'obiettivo di riequilibrare le energie interne. Tra questi, molto conosciuta in Occidente, l'agopuntura che tratta gli squilibri utilizzando aghi sottili inseriti nei meridiani e nei canali energetici del corpo. Basata sugli stessi principi, la moxibustione (combustione di moxa) prevede di stimolare i punti di agopuntura con il calore utilizzando bastoncini di artemisia, un'erba aromatica. La coppettazione, invece, viene applicata sulla pelle per favorire la circolazione e decongestionare un organo (prevede la suzione di alcune aree anatomiche del corpo umano, mediante speciali vasetti). Anche la pratica di meditazione contribuisce all’equilibrio mentale del paziente. 

I metodi di diagnosi del paziente sono ripartiti in quattro categorie: l’osservazione, l’interrogazione, il sentire e l’ascolto, la presa dei battiti del polso. Si osserva come la persona cammina, gli occhi, la sonorità della voce, il modo di esprimersi e la costituzione del corpo. L’esame continua con il palpare tutti gli organi vitali. Questo permette di avere una prima impressione dello stato interno del corpo e dei cambiamenti a livello funzionale o strutturale. In seguito, il medico pone un certo numero di domande sui problemi di di salute attuali e passati. Poi procede alla presa dei battiti cardiaci a livello del polso, per determinare eventuali disequilibri dell’energie del corpo. La salute si coltiva con degli esercizi fisici che riaffermino la vitalità e favoriscano la buona salute dei praticanti come ad esempio esercizi di Qi Gong, Tai chi, e Yoga. Lo scopo è armonizzare la mente e calmare il corpo. Il Qi Gong consiste nell’effettuare dei gesti lenti e ripetitivi al fine di stimulare la circolazione dell’energia, e nella sua versione più marziale, il Tai Chi, hanno mostrato dei risultati nel trattamento di numerose malattie geriatriche e gli effetti benefici su dei dolori cronici. Certe forme di yoga permettono di ritrovare della mobilità alle articolazioni e di rendere elastici i muscoli, i tendini e i legamenti. Permette di guadagnare in elasticità e equilibrio, di rivitalizzare gli organi interni grazie a un massaggio generato da certe posizioni.

La meditazione è una pratica che permette di coltivare e di sviluppare certe qualità umane fondamentali. Le parole sanskrite e tibetane tradotte in meditazione sono rispettivamente bhavana che che dà benessere e sgom pa coltivare diventare familiare con. Si tratta principalmente di familiarizzare con una visione chiara e giusta delle cose, e di coltivare delle qualità che noi possediamo ma che dimorano allo stato latente se noi non facciamo lo sforzo di svilupparle. Se lo scopo principale della meditazione è di trasformare l’esperienza del mondo, è indubbio che praticare la meditazione ha anche degli effetti benefici sulla salute fisica. In un mondo dove medicina e religione sono strettamente legati, le manifestazioni della malattia, che è l’espressione di un disequilibrio interno dei flussi energetici, possono risultare da cause soprannaturali come l’azione di un demone o gli effetti di un cattivo destino. Il legame intimo esistente tra divino e medicina nella prevenzione delle malattie si sviluppa in un dialogo tra salute e magia. Il medico e l’esorcista diventano complementari. 

Gli esorcismi hanno portato alla produzione di alcuni oggetti di grande effetto, come i grembiuli d'osso del Tibet o le maschere di legno dipinte dipinte dello Sri Lanka, utilizzate in cerimonie vivaci e altamente teatrali. In Corea, la complessa figura dello sciamano, al tempo stesso anello di congiunzione tra l'uomo e la natura e tra il mondo dei vivi e quello dei morti, è al centro dell'attenzione, è un punto culminante nella presentazione del mondo medico asiatico.

Gli scambi nel campo della medicina tra Europa e Asia datano a partire del 16 secolo, I missionari portoghesi in India e Cina, poi in Giappone si sono interessati inizialmente alla farmacopea e alla classificazione delle piante. Queste piante faranno poi la ricchezza della Compagnia delle Indie attraverso il commercio delle spezie. 

Un altro campo ha attirato l’attenzione degli occidentali: l’agopuntura. Conosciuta a partire dal 18 secolo, fu combinata nel 19 secolo con l’elettricità per dare vita a una terapia per curare i reumatismi (vedi Jean Baptiste Sarlandiere 1787-1838 che utilizzo questo metodo in Francia). In Asia, è soprattutto con la traduzione dei trattati di medicina europei nelle lingue locali che si propagano le conoscenze mediche. In Cina, all’inzio del 17 secolo, queste traduzioni hanno permesso di completare le conoscenze sull’anatomia. L’apertura al Giappone a partire dal 1868 favorisce lo sviluppo della medicina occidentale in questo Paese. La creazione a Tokyo nel 1875 dell’istituto di farmacologia e farmacia diretto da Alexandre Langgaard (1847-1971) è una delle più importanti testimonianze. 

Attualmente Oriente e Occidente cominciano a comprendersi reciprocamente ea scambiarsi conoscenze essenziali.

Le medicine orientali (2)

Quando si parla di benessere, le medicine asiatiche sono ormai ampiamente utilizzate in tutto il mondo. Esse suscitano un interesse crescente e vengono sempre più inserite nelle cure ospedaliere e terapeutiche convenzionali. Mentre la medicina occidentale è soprattutto una medicina della malattia, che deve essere curata, la medicine asiatica è vista come prevenzione, una medicina per mantenere la salute.      
Pur essendo preventive, le medicine asiatiche hanno sviluppato diagnosi, trattamenti e un approccio globale - noto come "approccio olistico" - che prende in considerazione il corpo e la mente come un insieme che collega il paziente all'universo che lo circonda.
L'equilibrio delle energie vitali è il principio fondamentale di tutte le medicine orientali.


Farmacopea ed erboristeria. Le farmacopee cinese e indiana sono costituite da un corpus di piante di grande varietà. Le sostanze medicinali di origine vegetale o animale vengono raccolte dal mondo naturale che circonda i medici: nelle foreste lussureggianti in India, e montagne in Cina. Tra le più conosciute sono la noce di areca, essenziale per la produzione del betel quid, e il papavero, da cui si estrae l'oppio medicinale, e alcuni funghi, ritenuti in grado di assicurare la longevità, fanno tutti parte della ricca, varia e talvolta sorprendente farmacopea asiatica. Il confezionamento di queste preparazioni ha reso necessaria la produzione di contenitori e cofanetti, che sono dei veri oggetti d'arte.

I massaggi. Oltre ai trattamenti terapeutici, le medicine asiatiche prevedono massaggi per i pazienti, con l'obiettivo di prevenire gli squilibri interni che sono stati identificati come la causa principale delle malattie. Pertanto, i trattamenti si basano in gran parte sulla conoscenza dei flussi energetici su cui l'operatore interviene in molteplici tipi di massaggio.

A differenza della kinesiterapia e della fisioterapia che migliorano le disfunzioni meccaniche o articolari, i massaggi orientali sono concepiti per stimolare le energie interne al fine di mantenere, ripristinare o addirittura attivare  il corretto flusso di energia, che è la chiave della buona salute.
Il Qi gong, Tai chi e yoga sono considerate pratiche energetiche.

L'astrologia. L'uomo ha sempre prestato particolare attenzione ai fenomeni celesti, sia per la loro natura misteriosa, sia per i presagi, positivi o negativi, tradizionalmente associati alla loro manifestazione. Molte divinità asiatiche sono legate all'astrologia e si ritiene che svolgano un ruolo
ruolo nel determinare il destino dell'uomo. Questo vale per le grandi figure zodiacali e degli animali che le simboleggiano nel mondo cinese (il Ratto, il Bue/Bufalo, la Tigre, il Coniglio/Lepre, il Drago, il Serpente, il Cavallo, la Capra/Pecora, la Scimmia, il Gallo, il Cane e il Maiale) o i navagraha "Nove Sequestratori" della tradizione induista (Sole, Luna, Marte, Mercurio, Giove, Venere, Saturno, l'Eclissi e la Cometa).

Amuleti e talismani. Per proteggersi dalla sfortuna o da influenze soprannaturali, un amuleto portafortuna o un talismano preparato ritualmente è molto diffuso in Asia. Ognuno di essi è pensato per una protezione speciale e talvolta per un tipo specifico di persona. È il caso dei lucchetti progettati per proteggere l'anima dei bambini, che sono molto vulnerabili ai demoni o agli incantesimi maligni.Lo stesso vale per le professioni particolarmente esposte o pericolose come i tassisti in Thailandia. Gli incantesimi più efficaci sono quelli scritti da grandi maestri. 

Abbigliamento protettivo. I panni e gli indumenti protettivi possono essere indossati sul corpo o appesi in casa. in casa. Generalmente ricoperti di diagrammi e formule magiche, fanno parte dell'ampia varietà di oggetti protettivi che le persone amano acquistare in Asia. L'indumento è un mezzo per attirare la fortuna e il favore divino, allontanando al contempo il male e gli spiriti maligni. Nella maggior parte dei Paesi, questi indumenti erano destinati principalmente ai bambini, per proteggerli dalle malattie e dalle minacce provenienti dai mondi invisibili. Infatti, fino alla metà del 20° secolo, il tasso di mortalità infantile era particolarmente elevato in Cina, non solo a causa delle condizioni igieniche a volte precarie, ma anche a causa della mancanza di cure, in particolare di vaccini. 

Trattamento attraverso l'esorcismo. L'esorcismo è una pratica rituale che consiste nel rimuovere un'entità maligna da una persona. Ne esistono di diversi tipi: esorcismi terapeutici in cui la persona posseduta è considerata malata e bisognosa di cure; esorcismi collettivi, che mirano a eliminare un male su larga scala per mantenere l'equilibrio sanitario all'interno di una comunità; esorcismi spirituali, per sottomettere le forze demoniache e aiutare il praticante a raggiungere uno stato di uno stato di coscienza superiore, in particolare nel buddismo tantrico. L'origine di una malattia è considerata unica per l'individuo e non fa parte del sistema naturale. Di conseguenza, è pratica comune rivolgersi a questi "guaritori" le cui pratiche hanno un approccio magico. Il tipo di esperienza religiosa vissuta dallo sciamano determinerà la diagnosi. Spesso, però, i problemi di salute rivelano l'intervento di esseri soprannaturali come lo spirito di un morto o uno spirito maligno. In tutti i casi, lo sciamano individua l'origine della malattia attraverso la divinazione, entra in comunicazione con gli spiriti e cura il male.

Le medicine dell'Asia, sia che si guardi alla medicina indiana, cinese o alla tradizione medica del mondo himalayano, sono tutte caratterizzate da un approccio soprattutto preventivo e da un approccio olistico alla cura del paziente, con l'obiettivo di mantenere l'equilibrio dei flussi energetici che attraversano il corpo.

Come lo yoga ha conquistato il mondo

Fino alla fine del XX secolo, la scena dello yoga è puramente indiana e asiatica, le pratiche degli yogi e i testi sui quali esse si appoggiano sono di un esoterismo disorientante per gli occidentali. Nonostante questo lo yoga riesce a svilupparsi in Occidente e creare un legame tra l’India depositaria di saggezza, e un Occidente razionale e materialista. Un successo sorprendente, imprevedibile, che si può riportare a due tappe differenti.


La prima mondializzazione dello yoga (1893-1968), gli anni 1890-1930 hanno segnato una svolta con la presenza di Vivekananda al Parlamento delle religioni durante l’esposizione universale di Chicago nel 1893. I primi guru di yoga viaggiano verso l’Ovest per creare delle scuole, negli Stati Uniti, poi in Europa occidentale, vengono a colmare la richiesta di spiritualità alternativa al cristianesimo istituzionale e alla razionalità moderna.  In India, lo hatha yoga è di origine tantrica, dove il lavoro fisico giocava un ruolo secondario, poi si è a poco a poco trasformato in una disciplina posturale ricca e varia. Nella seconda metà del XIX secolo, quando i Britannici misero sotto controllo la società indiana, molti yogi furono le vittime di una forma di persecuzione; nel 1961 durante il primo censimento gli yogi furono classificati come vagabondi diversi, privandoli delle loro risorse.  Anche gli intellettuali indiani che avevano ricevuto un’educazione occidentale nei collegi britannici, in particolare a Calcutta, che fu il luogo di un ricco incontro interculturale, interiorizzarono questa svalutazione dello yoga. Comunque le performance fisiche e le dimostrazioni di poteri sovrannaturali fecero breccia nei cerchi esoterici occidentali. I maestri che si installarono negli Stati Uniti e in Europa negli anni 1920-1940 fondarono il loro successo insegnando uno yoga esigente sul piano posturale, accordando tutto lo spazio al corpo, promettendo la salute fisica e mentale, un stato di benessere durabile, e aperti a una realizzazione integrale del Sé. Questa reinterpretazione accompagnerà negli anni 1960 l’emergenza di rivendicazioni nuove, nella gioventù nord-americana, poi europea. Una gioventù in rivolta contro la tutela della famiglia e della morale cristiana, contro l’imperialismo materialista di produzione delle società moderne, contro la violenza delle guerre. Una gioventù che milita per una liberazione del corpo e un altro approccio all’esistenza, sotto il segno del de-condizionamento dell’ego. Lo yoga gioca un ruolo importante, come disciplina totale, allo stesso tempo fisica e mistica, porta aperta sugli stati alterati di coscienza, che si possono trovare anche con l’uso delle droghe. I guru indiani, di preferenza, venerati a volte come delle reincarnazioni divine, forniscono le risposte a queste ricerche, adattano i loro discorsi e le loro pratiche a queste attese, si sostituiscono alle autorità educative e ai detentori del sapere accademico. Rappresentativo di questa fase è il soggiorno dei Beatles all’ashram di Maharishi Mahesh a Rishikesh. Soggiorno che segnerà poi la rottura con il loro maestroi.

Le cose si sarebbero potute fermare là, ma durante gli anni 1980, la pratica e l’insegnamento dello yoga conoscono un sviluppo inatteso. Questa seconda mondializzazione si inscrive nel solco della prima, è il frutto di diversi elementi: lo yoga è praticato dalle star americane (Madonna, Sting), poi da influencer che utilizzano i social media, per mettere in moto una potenza economica impressionante che si rivolge ai milioni di praticanti nel mondo. Questi yogi privilegiano la pratica posturale basata sulla costruzione del corpo ideale, la ricerca di una buona salute e di un'armonia tra individuo e l’ambiente. Si pratica yoga ovunque, nei club, nelle palestre, nella case di riposo, negli ospedali, scuole, prigioni, la pratica perde la sua natura contestatrice e emancipatrice e accompagna la vita più che trasformarne il significato.

Bisogna includere in questo contesto la rivalutazione di questa disciplina in India. Dopo l’indipendenza del 1947, la costruzione della cultura nazionale si è appoggiata sulla rivalorizzazione delle grandi tradizioni di saggezza come lo yoga.  All’arivo al potere di Narendra Modi, che ha segnato il trionfo dell’ideologia nazionalista, questa riappropriazione prende un aspetto politico. Nel 2014, un ministro indipendente si occupa dello yoga, così come delle medicine autoctone, tra cui l'Ayurveda.  Frutto di una intensa mediazione diplomatica, la giornata internazionale dello yoga approvata dall’ONU fa in modo che ogni 21 giugno ci sia la proiezione di un’India ideale che partecipa alla costruzione della pace mondiale. La strumentazione di una antica disciplina di liberazione spirituale a scopi identitari è inedita e pone una serie di domande per quanto riguarda l’avvenire. Infine, le crisi successive che segnano i primi decenni del XXI secolo rimettono fortemente in primo piano la richiesta di senso, le rivendicazioni di una realizzazioni di sé, con l’adozione di una disciplina globale corpo/mente la ricerca di un’etica nell’azione, le preoccupazioni ecologiche, il bisogno di spiritualità, in senso largo. Questi piani meno visibili, più profondi, continuano di fare dello yoga una risorsa, una potenzialità di resilienza che spiega largamente il suo successo mondiale. 

Lo Yoga è una disciplina nata in India, ma negli ultimi dieci anni ha conquistato letteralmente tutto il mondo. Secondo il Financial Times, dal 2008 è diventata la disciplina più praticata al mondo, sia dalle donne che da gli uomini. Basti pensare che in Italia sono oltre 2 milioni le persone che hanno abbracciato questa attività.

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