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domenica 10 settembre 2023

Le Trentasette Pratiche dei Bodhisattva di Thogmé Zangpo

Omaggio a Lokeshvaraya (Omaggio al signore del mondo). "Rispettosamente rendo sempre omaggio attraverso le tre porte ai supremi lama e al protettore Avalokiteshvara che, pur percependo tutti i fenomeni come privi di ‘andare’ e ‘venire’, s’impegnano univocamente per il beneficio dei trasmigratori.  I perfetti buddha, fonti di beneficio e felicità, sorgono dall’aver praticato il santo Dharma che, a sua volta, dipende dalla conoscenza delle pratiche relative".     

Le trentasette pratiche dei Bodhisattva
1  Al fine di liberare se stessi e gli altri dall’oceano dell’esistenza ciclica, ascoltare, riflettere e meditare giorno e notte senza alcuna indolenza, ora che si è ottenuto il raro vascello di libertà e fortune
difficile da ottenere, è una pratica dei bodhisattva.
2  Nella propria terra natia, l’attaccamento per gli amici ci sommerge, l’odio per i nemici ci consuma, il buio dell’ignoranza dimentica ciò che deve essere praticato e ciò che
deve essere abbandonato. Lasciare la propria terra natia è una pratica dei bodhisattva.
3  Attraverso l’abbandono degli oggetti negativi, le emozioni afflittive gradualmente diminuiscono; attraverso l’assenza di distrazioni, una condotta virtuosa si sviluppa naturalmente; attraverso
la chiarezza della mente viene generata la convinzione nel Dharma. Affidarsi alla solitudine è una pratica dei bodhisattva.
4  Gli amici più intimi che per tanto tempo si sono accompagnati si separano, le ricchezze e i beni accumulati con grande sforzo devono essere abbandonati, la coscienza abbandona la casa del
corpo. Rinunciare a questa vita è una pratica dei bodhisattva.
5  La compagnia di amici fuorvianti incrementa i tre veleni, degenera l’ascolto, la riflessione e la meditazione ed esaurisce totalmente amore e compassione. Abbandonare le cattive amicizie è una pratica dei bodhisattva.
6  Relazionandosi con un amico spirituale, i difetti vengono rimossi e le buone qualità aumentano come la luna crescente. Considerare l'amico spirituale più caro del proprio corpo è una pratica dei bodhisattva.
7  Chi potrebbe ottenere protezione da una divinità mondana, legata essa stessa alla prigione dell’esistenza ciclica? Quindi, prendere rifugio nei Tre Gioielli, che non ingannano mai, è una pratica dei bodhisattva.
8  IBuddha ha insegnato che le sofferenze delle cattive trasmigrazioni, così difficili da sopportare, sono il frutto delle azioni negative. Quindi, non commettere azioni negative, anche a costo della propria vita, è una pratica dei bodhisattva.
9  La felicità dei tre reami dell’esistenza ciclica, come una goccia di rugiada sulla sommità di un filo d’erba, si dissolve in breve tempo. Quindi, la ricerca del supremo stato dell’immutabile
liberazione è una pratica dei bodhisattva.
10  Qual è l’utilità della propria felicità se le madri, che da tempo senza inizio sono state gentili con noi, soffrono? Quindi, generare la mente dell’illuminazione per liberare gli innumerevoli esseri senzienti è una pratica dei bodhisattva.

11  Tutte le sofferenze sorgono dal ricercare unicamente la propria felicità, mentre i buddha perfetti nascono dall’attitudine di beneficiare gli altri. Quindi, scambiare completamente la propria felicità
con l’altrui sofferenza è una pratica dei bodhisattva.
12  Anche se qualcuno, mosso da grande desiderio, rubasse tutte le loro ricchezze o mandasse un altro a rubarle, dedicare a questa persona il proprio corpo, risorse e virtù dei tre tempi è è una pratica dei bodhisattva.
13  Anche se qualcuno tagliasse loro la testa quando non hanno commesso neppure il più lieve degli errori, prendere su di sé, colmi di compassione, le negatività di quella persona è una pratica dei bodhisattva.
14  Anche se qualcuno diffondesse, attraverso i miliardi di mondi, vari tipi di calunnie nei loro confronti, parlare con una mente amorevole delle buone qualità di quella persona è una pratica dei bodhisattva.
15  Anche se qualcuno, nel mezzo di una folla di molti esseri, rivelasse i loro difetti o proferisse parole malvagie nei loro confronti, inchinarsi rispettosamente a quella persona considerandola
un amico virtuoso è una pratica dei bodhisattva.
16  Anche se una persona, che hanno protetto caramente come un figlio, li trattasse come un nemico, essere particolarmente misericordiosi nei suoi confronti, come una madre per un figlio ammalato, è una pratica dei bodhisattva.
17  Anche se un essere, uguale o inferiore a loro, pieno d’orgoglio li deridesse, visualizzarlo rispettosamente sulla cima del proprio capo, come un maestro, è una pratica dei bodhisattva.
18  Anche se privi di mezzi di sostentamento, continuamente  disprezzati dagli altri, afflitti da malattie gravi e da demoni, prendere su di sé, senza scoraggiarsi, le negatività e le sofferenze di tutti gli esseri,
è una pratica dei bodhisattva.
19  Anche se fossero famosi, venerati da molti e avessero ottenuto ricchezze pari a quelle di Vaishravana, il non esserne orgogliosi, percependo la mancanza di essenza della gloria e delle ricchezze
dell’esistenza ciclica, è una pratica dei bodhisattva.
20  Se il nemico interiore, l’odio, non viene domato, quando si cerca di soggiogare i nemici esterni, questi aumentano. Domare il proprio continuum, per mezzo dei soldati dell’amore  e della compassione, è una pratica dei bodhisattva.

21  Le buone qualità del reame del desiderio, come acqua salata, più vengono godute più incrementano l’attaccamento ossessivo. Abbandonare immediatamente le cose che generano
attaccamento è una pratica dei bodhisattva.
22  Qualsiasi cosa appaia è la propria mente, la mente stessa è libera sin dall’inizio dagli estremi delle elaborazioni. Attraverso la conoscenza di ciò, il non prestare attenzione ai segni di percepito e percepiente è una pratica dei bodhisattva.
23  Quando si incontrano oggetti attraenti, anche se questi appaiono meravigliosi come un arcobaleno estivo, il vederli come non veri e abbandonare l’attaccamento ad essi è una pratica dei bodhisattva.
24  Come la morte di un figlio in un sogno, il mantenere come veritiere le apparenze erronee delle innumerevoli sofferenze causa un grande affaticamento. Quindi, quando si incontrano condizioni sfavorevoli, il vederle come erronee è una pratica dei bodhisattva.
25  Se, per coloro che desiderano l’illuminazione, è necessario donare anche il proprio corpo, non è neppure da menzionare la necessità del donare oggetti esterni. Quindi, donare senza aspettative di ricompensa o di maturazione karmica in cambio, è una pratica dei bodhisattva.
26  Senza disciplina e senza etica, non si può realizzare il proprio bene, allora pretendere di fare il bene degli altri, diventa assurdo. Osservare una disciplina senza motivazione mondana è una pratica dei bodhisattva.
27  Per un bodhisattva che ricerca le risorse che sorgono dalle virtù, tutti coloro che lo danneggiano sono come un tesoro di gioielli. Quindi, coltivare la pazienza senza provare odio intenso per nessuno, è una pratica dei bodhisattva.
28  Se perfino gli uditori e i realizzatori solitari, che conseguono solo il proprio scopo, vengono visti impegnarsi come se dovessero domare un fuoco sulla cima del loro capo, applicare lo sforzo entusiastico, sorgente di buone qualità per il beneficio di tutti i trasmigratori, è una pratica dei bodhisattva.

29  Comprendendo che le emozioni afflittive si sconfiggono completamente per mezzo della visione speciale, perfettamente dotata di calma dimorante, coltivare la concentrazione che supera anche i quattro assorbimenti senza forma è una pratica dei bodhisattva.
30  Siccome non si può ottenere la perfetta illuminazione mediante le altre cinque perfezioni senza la saggezza, coltivare la saggezza possedendo metodo e non concettualizzando le tre sfere è una pratica dei bodhisattva.
33  Discutere per acquisire guadagni e onori causa il deteriorarsi delle attività di ascolto, riflessione e meditazione. Quindi, abbandonare l’attaccamento verso i possedimenti di amici e benefattori è una pratica dei bodhisattva. 
34  Le parole dure turbano la mente altrui e causano il deteriorarsi del comportamento di un bodhisattva. Quindi, l’abbandono delle parole dure, spiacevoli per gli altri, è una pratica dei bodhisattva.
35  Se ci si abitua alle emozioni afflittive, sarà difficile sconfiggerle applicando gli antidoti. Quindi, vincere le emozioni afflittive dell’attaccamento e così via, immediatamente, al loro primo apparire, brandendo l’arma dell’antidoto generato attraverso consapevolezza e introspezione, è una pratica dei bodhisattva.
36  In breve, realizzare l’altrui beneficio attraverso la pratica continua di consapevolezza e introspezione, conoscendo lo stato della propria mente in ogni tipo di condotta, è una pratica dei bodhisattva.
37  Dedicare all’illuminazione, con la saggezza della purezza delle tre sfere, le virtù ottenute con sforzo in questo modo, al fine di eliminare la sofferenza degli innumerevoli esseri trasmigratori, è una pratica dei bodhisattva.

I consigli di Matthieu Ricard per il raggiungimento della felicità

Se è vero che la felicità non si nasconde negli oggetti materiali o nel possesso, esistono dei passi da compiere, delle strategie che possiamo mettere in atto per vivere una vita più piena e felice?       
Matthieu Ricard, ricercatore francese diventato monaco buddista, viene scientificamente considerato l’uomo più felice del mondo, dopo che alcune analisi hanno dimostrato che il suo cervello produce un eccezionale livello di onde gamma, mai riscontrato prima. Studioso di genetica in Francia, negli anni settanta Ricard ha deciso di lasciare la propria carriera per andare alla scoperta dei segreti del buddismo, trasferendosi nell’altopiano del Tibet. Negli anni ha abbandonato progressivamente la ricerca scientifica e i dibattiti intellettuali per avvicinarsi al lato più spirituale dell’esistenza, iniziando a viaggiare in giro per il mondo alla ricerca del senso della vita e della felicità.          

https://www.ted.com/talks/matthieu_ricard_the_habits_of_happiness?language=it

La pratica quotidiana della meditazione ha certamente svolto un ruolo essenziale nel rendere Ricard l’uomo più felice al mondo – ma c’è di più. Nel corso della sua vita, ha messo a punto alcune “tecniche” che possono aiutarci a raggiungere una felicità autentica e duratura, migliorando la qualità della nostra esistenza.  Le cinque strategie per intraprendere il cammino verso il raggiungimento della felicità sono:

  •         Non ti preoccupare di ciò che non puoi risolvere;
  •         Allenati alla felicità;
  •         Trova il tuo perché;
  •         Renditi utile;
  •         Vivi di felicità riflessa.

Non ti preoccupare di ciò che non puoi risolvere.   Spesso la nostra mente è rivolta verso il futuro o il passato, verso preoccupazioni per cose che potrebbero accadere o rimorsi per cose che non sono accadute (o non sono andate come avremmo voluto). In entrambi i casi, non siamo concentrati sul presente e questo ci impedisce di essere felici davvero. Se il problema che ci affligge non ha una soluzione che dipende dalla nostra volontà di azione, evitiamo di preoccuparci, e dedichiamoci invece ad altre attività sulle quali abbiamo maggiore potere.

Allenati alla felicità.  
Secondo Ricard, la felicità è come un muscolo che va allenato con pazienza affinché diventi sempre più forte e potente. Se le nostre giornate sono fatte di profonda infelicità e disappunto nei confronti della vita, del lavoro, della nostra famiglia, proviamo ad introdurre nella nostra routine dei piccoli “esercizi” per una vita più felice.   Iniziamo a guardarci intorno con meraviglia e ad essere grati per tante piccole cose che accadono nelle nostre giornate. Qualche esempio? La parola cortese di un collega di lavoro o la telefonata di un amico che non sentivamo da tempo, il nostro film preferito visto insieme al partner. Solo se impariamo ad apprezzare questi “piccoli e trascurabili momenti di felicità”, riusciremo davvero a vivere una vita più felice e soddisfacente.

Trova il tuo perché
. I giapponesi lo chiamano ikigai, che significa “ragione della propria esistenza”. Dobbiamo trovare nelle nostre giornate uno scopo, un motivo per essere felici che muove le nostre azioni e i nostri pensieri.    Mai trascorso giornate correndo tra mille faccende senza riflettere sul loro senso e ciò che ci rende felici? Trovare lo scopo, ciò che ci fa alzare la mattina con entusiasmo, è fondamentale per vivere una vita felice.  Cosa ci fa sentire davvero bene? Quali azioni faremmo anche se siamo stanchi o demotivati? Poniamoci questi interrogativi quotidianamente, fino a scoprire il nostro scopo, a individuare la passione che guida il nostro cammino.  Potrebbe essere accudire bambini, cucinare, suonare uno strumento o praticare sport. Qualunque cosa sia, custodiamola nel cuore e usiamola come faro per illuminare i momenti bui e tristi delle nostre giornate.

Renditi utile. Trovare il proprio scopo nella vita vuol dire anche riuscire ad essere di aiuto alle altre persone. La felicità esiste solo se condivisa, sosteneva il giovane Chris McCandless, la cui storia ha ispirato il film “Into the wild” (2007).  Questo vuol dire che non possiamo essere felici davvero se ci chiudiamo nel nostro piccolo universo e non facciamo un passo verso gli altri aiutandoli e a superare le loro difficoltà e i loro problemi. In ogni cosa che facciamo, in ogni nostra attività, cerchiamo il modo di essere di aiuto anche alle altre persone. Pratichiamo volontariato, svolgiamo delle attività socialmente utili, sosteniamo un amico in un momento di difficoltà, ascoltiamo le lamentele dei nostri genitori anziani.  Con le nostre azioni diffonderemo la felicità nel mondo e, di conseguenza, ne ricaveremo una maggiore felicità per noi stessi.

Vivi di felicità riflessa. Se è vero che non possiamo essere davvero felici se qualcuno attorno a noi è triste, sta soffrendo o ha dei problemi, allo stesso modo non saremo mai felici davvero se trattiamo male gli altri o compiamo delle azioni negative nei loro confronti, li offendiamo, li deridiamo. Essere felici significa liberarsi dall’arroganza, dal narcisismo, dall’egocentrismo, da tutti quegli atteggiamenti e quei sentimenti che danneggiano il prossimo. Solo se ci liberiamo di questi stili di vita riusciremo a raggiungere la vera felicità. 

- Articolo di Sabrina Del Fico, pubblicato il 26 Agosto 2023

The Devotion of Matthieu Ricard     https://www.youtube.com/watch?v=gpGfIVEBlxU&ab_channel=festivalmedia

Matthieu Ricard, è uno dei monaci buddisti più nto in Europa, oltre che un consigliere fidato del Dalai Lama.  Matthieu Ricard nel 2009 è stato al centro di uno studio scientifico condotto su di un folto gruppo di persone dedite con costanza alla meditazione. In tale frangente Richard Davidson, esperto della University of Wisconsin, ha applicato alla testa del monaco buddista 256 sensori che hanno potuto cogliere un dato rilevante. Quando l’uomo si trovava in stato meditativo, avendo come oggetto la compassione (con il significato di empatia), il suo cervello era in grado di produrre un livello di onde gamma mai registrato prima per quanto concerne attenzione, apprendimento e memoria. È inoltre emerso come l’emisfero sinistro del suo cervello fosse molto più attivo rispetto alla parte destra dello stesso, registrando in questo modo una inconsueta propensione alla positività ed alla felicità contro una minima tendenza alla negatività. Tali risultati hanno spinto i ricercatori a dichiarare ufficialmente Matthieu Ricard come l’uomo più felice del mondo. 

Conversazione con Matthieu Ricard e Richard J. Davidson https://www.youtube.com/watch?v=TMtJQ1U1fHs&ab_channel=Mind%26LifeInstitute

Buddhism meets Neuroscience | Matthieu Ricard & Wolf Singer    https://www.youtube.com/watch?v=Nne3BJ-p7Yg&ab_channel=HowToAcademyMindset

Antoine Lutz - The Neuroscience of Compassion      https://www.youtube.com/watch?v=8fIeI6sfX6E&ab_channel=EmpathyandCompassioninSociety

giovedì 27 luglio 2023

Monaco per un mese in Ladakh

In Ladakh, a 3500 metri su un altopiano circondato dalle montagne innevate del Tibet e laghi azzurri, il Mahabodi International Meditation Centre di Leh offre la possibilità di sperimentare per trenta giorni un’esperienza spirituale di buddhismo tibetano himalayano.  Il Ladakh ha poco meno di 60 mila chilometri quadrati e dal 2019 è un territorio a se stante rispetto all’India. Chiuso al turismo fino al 1974 ha una densità di popolazione di neanche 4 abitanti per chilometro quadrato.       

I partecipanti prenderanno parte alle attività quotidiane del monastero che ospita 11 monaci (6 giovani e 5 anziani) e 9 monache, tutti del Ladakh. Un’esperienza limite, nel cuore di quello che viene chiamato il «piccolo Tibet», nel territorio di Leh che oggi è conosciuta soprattutto per i siti buddhisti e trekking. Il Ladakh è descritto come un luogo dove la spiritualità buddhista e la sua antica cultura regnano sovrane, immerse nella natura incontaminata. È un’area desertica, ma fredda nel nord dell’India, punteggiata da minuscoli villaggi disseminati sulle vette himalayane adiacenti al Tibet. Le condizioni climatiche sono difficili e può capitare, se non si è attenti, di subire scottature o congelamento anche in estate. Particolarmente importanti sono i primi giorni del ritiro, visto che l’organismo deve acclimatarsi per l’altitudine a 3.500 metri dell’altopiano.

«Le giornate iniziano alle 5.30 del mattino con il suono di una campana e sono dedicate agli insegnamenti e includono sessioni di meditazione. A fine giornata ci sarà un momento dedicato alle domande/risposte, durante il quale si potranno chiedere approfondimenti su tecniche di meditazione, letture, e molto altri. Durante il percorso proposto è previsto l’alternarsi di 3 giorni di meditazione “guidata” e 2 giorni di pratiche individuali, durante i quali si potranno mettere in pratica i frutti degli insegnamenti, interagire con i monaci del centro e con le altre persone presenti al ritiro, oltre ad avere l’opportunità di vivere un’esperienza spirituale rilassante in questo deserto ad alta quota. Questa esperienza permetterà di avere uno scambio culturale profondo; infatti, i partecipanti dovranno adattarsi allo stile di vita monastico, sperimentando anche la quotidianità dei monaci buddisti, osservando le regole ed i precetti del centro.

Il centro di meditazione Mahabodi International Meditation Center nasce nel 1986 con lo scopo di offrire sia servizi umanitari che spirituali alle persone del Ladakh, nonché provvedere alla loro istruzione per migliorare le condizioni di vita locali.  - Adesso offre la possibilità a viaggiatori provenienti da tutto il mondo, di partecipare ad un'esperienza spirituale che include ritiri di meditazione, un'opportunità di apprendere le tecniche meditative e di ritrovare il proprio benessere mentale e fisico. Gli alloggi previsti sono piccole casette tradizionali (kuti), semplici ma confortevoli e pulite, che rendono il soggiorno ancora più pacifico e piacevole, rispetto al pernottamento nei tipici dormitori dei monasteri.
Per coloro che avranno  il desiderio di un cambiamento radicale c’è anche la possibilità di avere un colloquio con il monaco principale del centro, Bhikkhu Sanghasena, presidente e fondatore della Mahabodi International Meditation Center nel 1986.

Vedi: http://www.mahabodhi-ladakh.info/   https://www.consciousjourneys.com/it/monaco-per-un-mese/

giovedì 6 luglio 2023

Buon compleanno Tenzin Ghiatso, Sua Santità il XIV Dalai Lama

Tenzin Gyatso nato con il nome di Lhamo Dondrub è un monaco buddhista tibetano, nonché il XIV e attuale Dalai Lama del Tibet. E' nato il 6 luglio 1935, in un piccolo villaggio chiamato Takster nel nordest del Tibet e oggi celebra gli 88 anni.  Riconosciuto universalmente come un uomo di pace per il suo ricorso continuo al dialogo, alla disponibilità e alla speranza, tutto ciò che consiglia con il suo sorriso amorevole, si basa sul non danneggiare gli altri e su come portare loro beneficio.

Il miglior regalo di compleanno per me: per favore abbiate maggiore compassione nel vostro cuore e nella vostra mente” - Sua Santità il XIV Dalai Lama.

sabato 1 luglio 2023

Il mantra Om Mani Padme Hum

Om Mani Padme Hum (o Hung) è conosciuto come "il mantra della grande compassione" o come "il mantra delle sei sillabe". Come ogni mantra è una vibrazione che protegge la mente dalle emozioni afflittive. Sotto sono riportate le sei sillabe che compongono questo mantra con il loro significato. Oltre che un mantra di purificazione è un mantra che racchiude il significato di unione tra mente, parola, corpo, maschile e femminile, io e noi, in perfetto equilibrio.

 

Anytime Anywhere Meditation

Incontro con esperti in meditazione "Anytime Anywhere Meditation" - prima mondiale, 30 giugno - 02 luglio.  Vedi: https://events.tergar.org/events/detail/anytime-anywhere-meditation-MTk3   

Questo workshop è l'occasione perfetta per iniziare un viaggio alla scoperta di sé con l'associazione Tergar.  "Anytime Anywhere Meditation" è un programma nuovo ed essenziale per rendere la pratica della meditazione accessibile ed efficace. Questo workshop, che rappresenta il lancio ufficiale del programma, sarà tenuto da Mingyur Rinpoche in persona e si concentrerà sull'effetto trasformativo della meditazione. Con un approccio notoriamente leggero, Rinpoche condividerà i metodi che ci aiutano a scoprire le nostre qualità innate. Ci mostrerà che la meditazione non è rigida e che non dobbiamo cambiare noi stessi per essere felici: dobbiamo semplicemente scoprire ciò che già possediamo dentro di noi.
All'evento parteciperanno anche alcuni dei maggiori esponenti della meditazione a livello mondiale, che condivideranno aneddoti e prove scientifiche sui benefici dello sviluppo di una pratica.
Tra gli illustri esperti che parteciperanno a questo workshop, di 3 giorni, organizzato da Mingyur Rinpoche troviamo:

  • Ruth Ormston.  Ruth Ormston è codirettrice dell'iniziativa Mindfulness e membro fondatore del Mindfulness in Law Group, un think tank globale e un ente di beneficenza che si occupa di mettere la mindfulness e le pratiche contemplative al centro delle politiche e dei processi decisionali.
  • Gelong Thubten. Monaco buddista, insegnante di meditazione e autore del bestseller A Monk's Guide to Happiness e del libro di prossima pubblicazione Handbook for Hard Times, Gelong Thubten è specializzato nell'insegnamento della mindfulness nelle aziende, nelle scuole, nelle università, nelle carceri e nei centri di consulenza sulle dipendenze.
  • Luke Doherty. Ha progettato programmi di mindfulness per alcuni dei più importanti atleti e dirigenti del Regno Unito.
  • Wasfia Nazreen. Wasfia Nazreen è l'unica bangladese ad aver scalato il K2 e le Seven Summits e l'unica donna a detenere contemporaneamente i titoli di National Geographic Explorer e Adventurer. In un recente e interessante webinar ha parlato dell'uso della meditazione in situazioni ad alto tasso di adrenalina.
  • Richie Davidson. Il dottor Richard Davidson è un autore pluripremiato di oltre 400 articoli e professore di ricerca di psicologia e psichiatria presso l'Università del Wisconsin-Madison, con particolare attenzione alle basi neurali dell'emozione e dello stile emotivo e ai metodi per promuovere il benessere umano.
  • Wendy Garling. Insegnante di Dharma nella tradizione Lam Rim, Wendy Garling è un'autrice e studiosa pluripremiata che ricerca e scrive storie di donne al tempo del Buddha.
  • Ebi Atawodi
  • Stephanie Wagner
  • Uvinie Lubecki
  • Pawo Choying Dorji
  • Dekila Chungyalpa
  • Cortland Dahl
  • Mark Williams
  • Rasmus Hougaard
  • Venerabile Tashi Choedup
  • Vidyamala Burch

All'incontro di apertura parteciperà anche il monaco Matthieu Ricard.

Informazioni su Yongey Mingyur Rinpoche. Gli insegnamenti profondi e allo stesso tempo accessibili di Mingyur Rinpoche lo hanno reso famoso agli studenti di tutto il mondo. Dopo aver completato la formazione formale nel buddismo tibetano, ha fondato un collegio monastico. In seguito ha collaborato con i neuroscienziati Francisco Varela e Richard Davidson per esaminare gli effetti della meditazione sul cervello; la ricerca che ne è scaturita è stata riportata sia dal National Geographic che dal TIME.

Il primo libro di Rinpoche, La gioia di vivere: Unlocking the Secret and Science of Happiness, è apparso nella classifica dei bestseller del New York Times ed è stato tradotto in più di 20 lingue.

venerdì 2 giugno 2023

La vita di Thich Nhat Hanh

Il buddhismo in Vietnam e la vita di Thich Nhat Hanh.

Un approccio sincretistico ancora più pronunciato è rinvenibile negli insegnamenti di un’altra figura di spicco della scuola Lin Chi del Ch’an, considerato da molti la voce più importante del buddhismo contemporaneo dopo il Dalai Lama: il maestro vietnamita Trung Quang Nhat Hanh (al secolo Nguyen Xuan Bao, nato nel 1926; come di uso per i monaci nella sua patria, al nome viene premesso l’epiteto onorifico Thich, che denota l’appartenenza al clan gentilizio degli Śākya, il lignaggio del Buddha). La sua esistenza s’intreccia con le vicende del buddhismo del Vietnam. Fattosi monaco nel 1949 nel tempio di Tu Hieu presso l’antica capitale imperiale di Hue, si scontrò con gli ambienti più conservatori, finendo per stabilirsi in un monastero abbandonato nei dintorni di Saigon. In seguito divenne direttore dell’organo ufficiale della General association of Vietnamese buddhists (GAVB) costituita nel 1951. La sua entusiastica predicazione di un buddhismo unificato, disapprovata dai più, portò alla chiusura del periodico. L’incessante attività del personaggio in quest’epoca comprende la fondazione del monastero delle Foglie di palma fragranti (Phuong Boi) nel Vietnam centrale, della casa editrice La Boi e della prima Scuola superiore buddhistica del Vietnam, in grado di fornire un’alternativa alle strutture educative francesi. Con la partizione sancita dagli accordi di Ginevra, nel nord la General association of Vietnamese buddhists veniva disciolta d’autorità nel 1957 e i suoi fautori imprigionati o soppressi, mentre una Association of unified Vietnamese buddhists, creata sul modello cinese, garantiva il controllo del Partito comunista su strutture e istituzioni buddhistiche nella neonata Repubblica del Vietnam. A sud il prestigio internazionale del Thich Nhat Hanh, che per due anni si era distinto studiando religioni comparate a Princeton e insegnando alla Columbia university, gli valse alla fine una legittimazione da parte dell’establishment monacale e fu chiamato a contribuire alla fondazione, nel 1964, dell’università buddhistica di Saigon, che prendeva nome dal vicino tempio delle Mille benedizioni (Van Hanh), ed era destinata a divenire un prestigioso focolaio di iniziative politiche e culturali. Validamente coadiuvato dalla sua discepola Cao Ngoc Phuong (nata nel 1938), ritornata allora in patria dopo essersi laureata in biologia a Parigi, egli creava altresì, con un gruppo di professori e studenti, la School of youth for social service, un corpo di 10.000 volontari operante nelle aree arretrate e martoriate dalla guerra del Paese, per la riedificazione di villaggi distrutti, per la costruzione di scuole e ospedali e per l’insegnamento delle tecniche agricole progredite ai contadini. Una tale attività appariva filocomunista agli occhi del governo e non mancarono arresti ed esecuzioni sommarie di attivisti. Nel 1964, simultaneamente alla trasformazione della General association of Vietnamese buddhists nell’Unified buddhist church of Vietnam (il Vien Hoa Dao), il maestro fondava l’Order of interbeing (Tiep Hien), termine da lui coniato per rendere la catena di cause e condizioni che nella visione buddhistica forma l’orizzonte del divenire impermanente, qui considerata sotto un profilo decisamente positivo. Di lì a poco il Thich Nhat Hanh ritornava negli Stati Uniti, chiamato dalla Fellowship of reconciliation per rendere edotto il pubblico americano sui terribili effetti della guerra, contro la quale si era battuto per anni attirandosi odi e diffidenze nei due campi avversi. Le sue posizioni emergono da una conferenza stampa del 1° giugno 1966 indirizzata al presidente Lyndon B. Johnson e al suo Gabinetto: egli richiedeva che gli Stati Uniti sospendessero i bombardamenti, riducessero o arrestassero temporaneamente le altre azioni militari e, nel caso di una risposta positiva dei Vietcong a queste iniziative, annunciassero il ritiro delle loro truppe dal Vietnam. In seguito essi avrebbero sia dovuto comprendere che la dittatura militare non era l’unica alternativa al comunismo sia sostenere il popolo vietnamita nel suo desiderio di un governo nazionalista conforme alle loro aspirazioni, non compromesso con la persecuzione dei buddhisti; questi non consideravano gli Stati Uniti come un nemico, ma come un alleato, un alleato per la pace e non per la guerra. Nel 1965 aveva scritto a Martin Luther King una lettera aperta intitolata Searching for the enemy of man, giustificando il suicidio con il fuoco di alcuni suoi confratelli, tra cui il venerabile Thich Quang Duc (1897-1963), per protestare contro la discriminazione nei confronti della maggioranza dei vietnamiti (fra il 70 e il 90% a seconda delle stime) costituita dai buddhisti, da parte del dittatore cattolico Ngo Dinh Diem. Dopo l’incontro King si impegnò a osteggiare la guerra nel Vietnam, avanzando nel 1967 la candidatura di Nhat Hanh al premio Nobel per la pace, che non gli fu conferito in quanto quell’anno non fu scelto alcun candidato. La giustificazione fornita fu che lo stesso King aveva pregiudicato la nomina preannunciandone pubblicamente l’esito. Nel 1969 Nhat Hanh ottenne il ruolo di principale esponente della delegazione per la pace della Unified buddhist church of Vietnam, che a Parigi partecipava ai colloqui destinati a porre fine al conflitto; contemporaneamente teneva lezioni alla Sorbona. In Francia fondò quello stesso anno una sua Église bouddhique unifiée. Nel 1973, una volta giunti alla pace, il maestro, considerato assieme a Chan Khong, che nel frattempo l’aveva raggiunto, persona non grata dal governo vietnamita, fu di fatto esiliato. Quando, nel 1975, ebbe luogo la riunificazione del Vietnam sotto il regime comunista trionfante, la sua situazione non mutò. Ponendo come suo quartier generale la Communauté des patates douces, situata in una fattoria non lontano dalla capitale dove teneva frequentatissimi corsi di meditazione, egli si era adoperato per organizzare aiuti ai profughi che cercavano di fuggire per mare dal Vietnam del Sud, dalla Cambogia e dal Laos, i cosiddetti boat people, desistendo alla fine a causa dell’ostruzionismo dei governi del Sud-Est asiatico coinvolti nella vicenda. Mentre il suo prestigio restava intatto, come provano i riconoscimenti internazionali che si sono susseguiti negli anni dell’esilio, la sfera d’influenza del personaggio andava restringendosi, anche perché veniva meno il ruolo pubblico della Unified buddhist church of Vietnam, fatta oggetto di dure repressioni nel tentativo di estendere il controllo, già vigente al nord del paese, alle strutture e istituzioni buddhistiche del sud. A questo fine veniva creata, nel 1981, la Vietnam buddhist church (VBC) poi ribattezzata Vietnam buddhist Sangha, organo del Fronte patriottico del Partito comunista del Vietnam e sola voce ufficiale dei buddhisti vietnamiti in patria e all’estero.

A partire dal 1982, trasferito il centro della sua organizzazione al Village des pruniers in Dordogna, il Thich Nhat Hanh è venuto accrescendo la propria attività in Occidente. Accanto ai programmi di insegnamento estivi in Francia, seguiti da 2000 persone all’anno, ha intrapreso diversi viaggi, segnatamente negli Stati Uniti, fondando 230 centri di meditazione. Lo troviamo tra i promotori della dichiarazione da parte dell’Assemblea generale dell’ONU del periodo dal 2001 al 2010 (International decade for a culture of peace and non-violence for the children of the world) e, in collaborazione con diversi assegnatari di premi Nobel per la pace tra i redattori del Manifesto 2000 dell’UNESCO sulla pratica di tali valori. I libri scritti e dettati dal maestro, che è anche poeta, sono circa 40, inclusa una voluminosa vita romanzata del Buddha, Old path white clouds. Walking the footsteps of the Buddha (1991). La sua carica rivoluzionaria, che cerca una sintesi tra le posizioni delle diverse scuole soprattutto in una ortoprassi rinnovata secondo le esigenze del mondo contemporaneo, si può cogliere dall’attenta revisione durata cinque anni dell’intero Vinaya (il minuzioso codice formato da prescrizioni ascritte al Buddha in persona che regola ogni aspetto della condotta degli asceti) da parte del Concilio dei maestri del Dharma (Dharmācārya) del Village des pruniers presieduto dallo stesso Thich Nhat Hanh. Il risultato è stato promulgato solennemente il 31 marzo 2003 alla Choong Ang Sangha university di Seoul.

Dopo trentanove anni d’esilio, nel 2005 Nhat Hanh è finalmente ritornato in Vietnam. Le sue condizioni per avvalersi del visto finalmente concesso dalle autorità, desiderose di migliorare la propria immagine presso l’opinione mondiale, comprendevano l’essere accompagnato da un seguito di duecento tra monaci e monache e la facoltà di parlare in pubblico. Ciò gli è stato accordato sotto forma di una conferenza da tenersi presso la Scuola dei quadri del Partito comunista, seguita, grazie all’approccio conciliante del maestro nei confronti dell’ideologia dominante, da una serie d’incontri coronati da un certo successo, durati quattro mesi. Un suo nuovo viaggio in Vietnam ha avuto luogo nel 2007, con una cerimonia pubblica di ‘gran compianto’ per i caduti della guerra, da lui stesso officiata. La sua intesa abbastanza cordiale con il regime ha portato a critiche da parte degli esponenti della Unified buddhist church of Vietnam, tuttora sotto attacco da parte dello Stato e considerata ormai espressione di una minoranza tra i dieci milioni di buddhisti vietnamiti.

Reincarnazione o rinascita?

Il Buddhismo asserisce la rinascita, ossia Il continuum mentale di un individuo, con i suoi istinti, talenti, e così via, proviene da vite passate e prosegue in vite future. In base alle proprie azioni e alle propensioni..

 "Nel buddhismo noi possiamo trascendere la nozione di nascita e di morte e utilizziamo il termine: ri-manifestazione".   (Thich Nhat Hanh, 20 agosto 2001).

Di volta in volta noi dobbiamo abbandonare le nostre percezioni e le nostre nozioni e conoscenze in favore di percezioni migliori, di una fede migliore. Non possiamo associarci ad una sola nozione, ad un oggetto unico della nostra fede.

All'inizio quindi è possibile che noi crediamo che il concetto di reincarnazione corrisponda all'idea che un'anima entri nel corpo. Possiamo dire che l'anima è permanente e il corpo impermamente. Allorquando ci sbarazziamo di un corpo possiamo entrare nuovamente in un altro corpo.
L'immortalità dell'anima e l'impermanenza del corpo è forse una prima nozione di reincarnazione.

Può darsi che noi cominciamo in questo modo e che iniziamo a chiamarci buddhisti: è accettato da parte di un debuttante.  Ma se continuate ad essere buddhisti dovete praticare di più, e l'idea di immortalità dell'anima deve lasciare spazio ad un'altra idea più prossima alla realtà.
Se studiate i sutra, se praticate l'osservazione della vostra "mente-cuore", vedrete che non esiste nulla di permanente nell'insieme dei cinque skanda (aggregati): il corpo, le sensazioni, le percezioni, le formazioni mentali e la coscienza.
Tutto cambia costantemente. Non esiste una sola cosa che resti identica per due istanti consecutivi.
Vedete che non solamente il corpo, ma anche l'anima è impermanente, perché anche l'anima è composta da elementi, come le sensazioni, come le percezioni, come le formazioni mentali e come la coscienza.
Al di fuori di questi elementi non vi è nulla che voi possiate chiamare "anima".
L'idea di immortalità dell'anima deve quindi essere rimpiazzata e la vostra comprensione di reincarnazione sarà più prossima alla realtà.

Chiamiamo buddhismo popolare il buddhismo della masse. Ma se continuate, entrate in un altro buddhismo, il buddhismo profondo, ed è il territorio dell'esplorazione. In conseguenza di tale esplorazione siamo più prossimi alla realtà di noi stessi e del Dharma. L'idea di reincarnazione è ancora là, ma la nostra comprensione è differente. Re-in-carn-azione: "carn" è la carne. L'idea consiste nel fatto che vi sia un'anima, un corpo, e l'anima penetra nel corpo. 

Nel buddhismo noi non utilizziamo il termine reincarnazione ma la parola "rinascita", questo perché la nozione di reincarnazione implica l'esistenza di un'anima immortale che entra e esce dal corpo e poi entra di nuovo in un altro corpo.
Non esiste niente di simile a questa anima immortale che esce da un corpo per entrare in un altro.

L'utilizzazione del termine rinascita è percepita come qualcosa di inadeguato perché anche la parola "nascita" rappresenta qualcosa che non esiste veramente, se siamo capaci di toccare la realtà della non-nascita e della non-morte.
Essere, infatti, non significa che a partire da *niente* diventiamo qualche cosa e che a partire da quel *qualche cosa* ridiventiamo niente quando muoriamo.
Esisto per tanti anni e tutt'a un tratto cesso di esistere: questa è la nozione comune di morte e di nascita. Ma osservando bene ed a fondo ciò che ci circonda vediamo chiaramente che proprio niente funziona così.
C'è un fiore, e noi pensiamo che è qualcosa che viene dal niente.
Ma prima della sua nascita il fiore esiste sotto un'altra forma.
Nel buddhismo possiamo trascendere la nozione di nascita e di morte e utilizziamo il termine "RIMANIFESTAZIONE".
La nascita del fiore è un giorno di rimanifestazione.
Il fiore era quindi già lì, sotto una certa forma, ma noi non eravamo capaci di riconoscerlo.

Vishnapti vuol dire manifestarsi in modo tale che le persone possano riconoscere e percepire.
L'idea di manifestazione implica l'idea di una manifestazione anteriore. Questa cosa è sempre là. Se le condizioni sono sufficienti, allora questa cosa può nuovamente rimanifestarsi. E, quando vediamo le cose manifestarsi, diciamo che sono nate, ma in effetti esse non sono nate, ma si sono manifestate. Questo perché essere nati significa essere nati dal nulla. Invece qualcosa esisteva prima che avvenisse la manifestazione.  Le nozioni di nascita, di esistenza, di venire, di comparire sono nozioni che noi applichiamo a una cosa *dopo* che essa si è manifestata. Prima della manifestazione di questo fiore noi non lo vediamo. Allora noi diciamo: il fiore non è ancora nato. E quando invece si manifesta, allora noi diciamo: il fiore è nato, è arrivato.

Essere nato, essere venuto al mondo significa essersi manifestato , allora, quando il fiore - a causa di una mancanza di condizioni necessarie - cessa di manifestarsi noi diciamo che non esiste più.
Quindi tutte le nozioni come la nascita, la morte, l'esistere, il non esistere, arrivare, partire, tutte queste nozioni devono essere trascese. La realtà è al di fuori di queste nozioni.
Dal momento che studiamo il buddhismo e pratichiamo la visione profonda noi ci liberiamo di tutte queste idee.  Noi abbiamo sempre un credo [in questo caso potrebbe essere tradotto indifferentemente come fede, credenza, opinione, ma userei qualcosa come convinzione-visione, qualcosa su cui fare affidamento] ed essa è istante dopo istante sempre più solida e nessuno può privarcene, perché il nostro credo non è fatto di nozioni ma di realtà.

All'inizio possiamo credere alla reincarnazione, e grazie a questo credo avete l'impressione di trovarvi su una certa strada, ma, quando cominciate a praticare, la vostra idea della reincarnazione cambia.
All'inizio avete l'idea di questa anima immortale che entra in un corpo e che ne esce per poi entrare in un altro. Ma appena osservate profondamente all'interno e all'esterno comprendete che questa nozione è un po' naïve. Quindi trascendete questa nozione ed anche la vostra fede si sviluppa.

Poiché il credo della vostra fede è basato sull'osservazione veritiera, voi avrete sempre la vostra fede che continua a portarvi della gioia, e sapete che anche se la vostra opinione domani cambierà voi non avrete paura perché vi state avvicinando sempre di più alla realtà.

Non vi è alcun pericolo di non avere più un vostro credo perché voi avete deciso di essere uno con la realtà. Se invece decidete di attaccarvi ad un concetto rischiate davvero di dover poi dubitare e allora, piomberete nel buio dell'assenza di fede e questo è un momento molto difficile da vivere in un'esistenza umana.

Dal sito di Gianfranco Bertagni:  http://www.gianfrancobertagni.it/materiali/buddhismo/reincarnazione.htm 

Vedere anche: https://studybuddhism.com/it/buddhismo-tibetano/il-sentiero-per-l-illuminazione/karma-e-rinascita/cos-e-la-rinascita

https://studybuddhism.com/it/studi-avanzati/lam-rim/impermanenza-e-morte/il-tema-della-rinascita-nel-buddhismo

Buddhismo e buddhismi

Gli insegnamenti del Buddha, hanno segnato il destino intellettuale e spirituale dell’Asia. Molte scuole si sono formate differenziandosi sia nella dottrina sia nella prassi sotto numerosissimi aspetti.

Sri Lankha. Molti dotti occidentali come Elena Petrovna Blavatskij (1831-1891) e Henry Steel Olcott (1832-1907), aderirono formalmente al buddhismo e in particolare al Sangha di Sri Lanka 1880. Olcott cercò di ridare respiro alla cultura tradizionale a Colombo e Kandy. David Hewavitarne (1864-1933), divenne monaco con il nome di Dharmapāla e cercò di far affermare il buddhismo al di là dei suoi confini. Nel 1950, veniva fondata a Colombo, sotto gli auspici governativi, la World fellowship of buddhists (WFB), con una decisione sottoscritta dai delegati di 27 nazioni. Il primo presidente fu George Pieris Malalasekera (1899-1973. Dal 1963 la sede della WFB si è trasferita a Bangkok. Nel 1998, venne creata la World buddhist university (WBU). La WFB presenta una struttura imponente, che conta 15 vicepresidenti, con diversi plessi radicati in tutto il mondo (è recente l’istituzione in Tanzania d’un centro regionale per la diffusione del buddhismo in Africa). 

Sempre a Colombo viene fondato nel maggio 1966 il World buddhist sangha council (WBSC), destinato ad affiancare la WFB specialmente nei rapporti e scambi fra le diverse comunità monastiche. Nel 1967, a coronamento del suo primo Congresso, il WBSC promulgava una dichiarazione sui Basic points unifying the Thēravāda and the Mahāyāna, ricorrendo significativamente al lessico sanscrito proprio del Mahāyāna nella recensione in lingua occidentale. I principi sono di seguito elencati:

  • «Il Buddha è il nostro primo Maestro. 
  • Prendiamo rifugio nel Buddha, nel Dharma (il complesso delle dottrine da lui insegnate) e nel Sangha (la comunità dei monaci).
  • Se Dio abbia creato e/o governi il mondo è questione che non tende all’edificazione.
  • Consideriamo fine della vita lo sviluppare la compassione per tutti i viventi senza distinzione e l’operare per il loro bene, felicità e pace, nonché lo sviluppare la saggezza che conduce alla realizzazione della Verità ultima.
  • Siamo guidati dalle quattro nobili verità – la verità sul Duḥkha (il disagio esistenziale), la verità sul sorgere del Duḥkha, la verità sulla cessazione del Duḥkha, la verità sul sentiero che mena alla cessazione del Duḥkha – e dalla legge di causa ed effetto, il Pratītyasamutpāda (il con-sorgere dei fenomeni in presenza di cause e condizioni).
  • Asseriamo che tutti i saṃskāra (le cose condizionate) sono anitya (impermanenti) e duḥkha e che tutti i dharma (le cose condizionate e incondizionate, incluso il Nirvāna) sono anātman (senza sé o non sé).
  • Accettiamo i trentasette bodhipakṣadharma (le qualità che conducono all’Illuminazione) come aspetti diversi della via insegnata dal Buddha che mena all’Illuminazione.
  • Vi sono tre modi d’attingere la Bodhi (l’Illuminazione): come śravaka (uditore, discepolo che l’attinge grazie all’insegnamento altrui), come pratyekabuddha (Buddha per uno che l’attinge per sé stesso e non la insegna ad altri) e come Saṃyaksambuddha (Buddha perfettamente e totalmente illuminato, che l’attinge per sé stesso e la insegna ad altri). Accettiamo come ideale più elevato, più nobile ed eroico il seguire la carriera d’un Bodhisattva (dalla mente tesa all’Illuminazione, un futuro Buddha) e divenire un Saṃyaksambuddha al fine di salvare gli altri.
  • Ammettiamo l’esistenza di differenze in credenze e pratiche buddhistiche in diversi Paesi. Tali forme ed espressioni esteriori non vanno confuse con gli insegnamenti essenziali del Buddha».

Queste iniziative mirano a identificare un minimo comune denominatore tra i diversi ‘buddhismi’ – qui rappresentato dai capisaldi più significativi del Thēravāda, ultima sopravvissuta delle diciotto scuole buddhistiche antiche. I risvolti politici del WBSC appaiono anche dal fatto che alla sua presidenza onoraria sia stato posto un prestigioso esponente dell’establishment buddhistico della diaspora cinese, il venerabile maestro del Dharma Wu Ming.

Negli Stati Uniti gli immigrati dalle diverse zone dell’Asia, che formano la massa dei buddhisti statunitensi (l’80% dei circa sei milioni di persone che si riconoscono tali nei censimenti effettuati sui gruppi religiosi americani), non sembrano sentirne il bisogno di fare riferimento ad una organizzazione internazionale e s’accontentano di far capo a strutture confessionali interne alle rispettive tradizioni delle loro comunità, come l’imponente organizzazione nazionale delle Buddhist churches of America (BCA) che raccoglie i seguaci della scuola della Vera pura terra di Amitābha (Jōdo Shinshū). Le BCA aderiscono direttamente alla WFB; ma ve ne sono, moltissime che l’ignorano.

In Europa è stata fondata nel 1975 la European buddhist union (EBU), che abbraccia comunità e istituzioni buddhistiche d’ogni appartenenza. In origine destinata a raccogliere soltanto l’adesione di confederazioni nazionali – come la Deutsche buddhistische Union E.V. (DBU, fondata nel 1955), la Österreichische buddhistische Union (fondata nel 1976) e l’Unione buddhista italiana (UBI, fondata nel 1985) e riconosciuta dallo Stato italiano con intesa stipulata nel 2007.

Il Friends of the western buddhist order (FWBO) è stato fondato nel 1967-68 a Londra da Dennis Lingwood. Dopo il suo rientro in patria dall’India dopo una serie di iniziazioni al Thēravāda e al Mahāyāna tibetano, ha tentato una sintesi(un sincretismo) tra le diverse esperienze proponendo una versione occidentale del buddhismo.  Un altro alfiere di questa tendenza è lo scozzese Stephen Batchelor, ordinato monaco nella tradizione dei Gelugpa tibetani nel 1978 dopo un duro noviziato – durato otto anni a Dharamshala e in Svizzera. Traduttore dal tibetano e dal coreano e autore del brillante pamphlet che porta il significativo titolo di Buddhism without beliefs. A contemporary guide to awakening (1997), questo ‘buddhista agnostico’, come si autodefinisce, relativizza la maggior parte delle concezioni su cui poggia la visione del mondo delle diverse scuole che si rifanno al Buddha.

I membri effettivi del FWBO ricevono un’iniziazione e s’impegnano a uno stile di vita a metà tra quello tradizionale dei bhikkhu e quello dei laici. Si noterà che, anziché presentarsi come upāsaka (così normalmente nel lessico buddhistico vengono detti i laici), questi ‘buddhisti occidentali’ preferiscono essere chiamati dharmacārin (praticante del Dharma).

La branca indiana del FWBO ha rilevante importanza tra quelle, sempre più numerose, che si sono formate via via in Occidente, in Oceania e nell’Asia meridionale.  Lingwood durante il suo soggiorno indiano aveva incontrato Bhimrao Ramji, poi Babasaheb Ambedkar (1891-1956), uno dei padri della Costituzione dell’India, fondatore dell’Independent labour party e fiero nemico della società tradizionale basata sulle caste – essendo egli stesso un appartenente alla stirpe degli ‘intoccabili’ mahar. Ambedkar ha fondato la Buddhist society of India nel 1955 e  si è fatto iniziare al Thēravāda il 14 ottobre 1956, portando con sé un seguito di quasi mezzo milione di seguaci.  The Buddha and his Dhamma (1957) è il suo testamento spirituale. I seguaci del Navayāna (nuovo veicolo) sarebbero circa cinquanta milioni secondo le stime dei portavoce del movimento, meno di dieci secondo i suoi avversari; il censimento è reso difficile dal fatto che perlopiù continuano a essere registrati all’anagrafe come hindu. Accanto a un esplicito rifiuto dei tradizionali culti indiani e della fede nelle ‘incarnazioni’ di Dio , coloro che pronunciano i ventidue voti dettati da Ambedkar si impegnano a credere nell’eguaglianza tra tutti gli esseri umani e a lottare per stabilirla, oltre ad adottare il Dhamma del Buddha (il termine è in lingua pāli e sottolinea l’appartenenza al Thēravāda) come sola vera religione. Non mancano incidenti con esplosioni di violenza popolare; l’ultima risale al 2006. Chi contesta la figura e gli scritti di Ambedkar talora è minacciato di morte dagli estremisti che si fanno chiamare buddhist panters. Vi sono organizzazioni buddhistiche indiane, che si rifanno espressamente ad Ambedkar, le quali aderiscono alla WBF.

Nel 2007 vi sono state nel Regno Unito interrogazioni parlamentari che hanno espresso preoccupazioni sul presunto carattere settario del FWBO, così come di altri movimenti buddhistici, quali la Soka Gakkai international (UK) e la New Kadampa tradition, che reclutano con successo i loro adepti fra i sudditi britannici, tutti coordinati dal Network of buddhist organisations (UK) (NBO), fondato nel 1993. Il NBO è stato accolto come membro dalla European buddhist union apparentemente sullo stesso piano del FWBO: il che fa pensare che quest’ultimo abbia conservato una certa indipendenza nei confronti del primo.

Il Dalai Lama ricopre un ruolo rilevante nel coordinare e unificare il frammentatissimo panorama delle scuole buddhistiche. Le tappe della vita e delle vicissitudini di tale carismatica figura sono ben note: Lhamo Dondup venne riconosciuto all’età di tre anni come quattordicesimo tülku del Bodhisattva Avalokiteśvara nel ruolo di Dalai Lama. Fu educato nel palazzo-monastero di Potala a Lhasa, venendo da allora in poi designato con gli epiteti onorifici di Jetsun Jamphel Ngawang Lobsang Yeshe Tenzing Gyatso. Il suo insediamento ufficiale ebbe luogo il 17 nov. 1950, un mese dopo l’ingresso in Tibet di un corpo di spedizione cinese di 80.000 uomini. Il nuovo capo di Stato convisse faticosamente con il dominio cinese fino a che fuggì in India (marzo 1958) con un piccolo seguito che, negli anni successivi, venne ingrossandosi fino a contare 85.000 persone. 

Javaharlal Nehru, mentre garantiva a Pechino che l’esule non si sarebbe più occupato di politica, lo sostenne nella formazione di un governo tibetano in esilio. Nel giugno 1959 il Dalai Lama faceva appello all’ONU, in cui invitava a rispettare, così come a non pregiudicare, i diritti umani della sua popolazione. La risoluzione  del 1961 esprimeva allarme per l’esodo dei tibetani e tornava a invitare con forza al rispetto dei loro diritti umani, incluso quello di autodeterminazione. Dopo che la Repubblica popolare cinese all’ONU ha preso il posto della Repubblica di Cina, ridotta a Taiwan, nel 1971 non vi sono state altre prese di posizione da parte dell’Assemblea. L’India, ammise nel 1954 che il Tibet fosse «una regione della Cina», riconoscendone implicitamente la sovranità. Il Dalai Lama, allocato dal governo dell’India a Dharamshala, stilava nel 1955 una Charter of Tibetans in exile. Fino a oggi il Dalai Lama ha compiuto circa 90 viaggi ufficiali, ricevendo lauree honoris causa e onorificenze in numerosi Paesi, conferendo a decine di migliaia di occidentali iniziazioni – segnatamente connesse alla pratica della Mahāmudrā e alla scuola tibetana del Kālacakra – e sovrintendendo alla diffusione delle diverse scuole tibetane, cominciando da quelle della tradizione dei Gelugpa.

Negli Stati Uniti, ha fondato la Foundation for the preservation of the Mahayana tradition (FPMT). Nel 1987 il Dalai Lama ha stilato un Five point peace plan for Tibet, chiedendo: a) la trasformazione dell’intera regione in zona demilitarizzata; b) la cessazione dell’immigrazione massiccia dalla Cina di popolazione Han, mirante a trasformare i tibetani in una minoranza sotto tutela; c) il rispetto dei diritti umani dei tibetani e delle loro libertà democratiche; d) la cessazione dell’uso cinese del Tibet come pattumiera nucleare; e) l’inizio di negoziati con la Cina per arrivare ad una autonomia del Tibet.

Nel 1989 gli venne conferito il premio Nobel per la Pace. Nella documentazione relativa a questa onorificenza gli veniva riconosciuto il ruolo di «capo spirituale e temporale del popolo tibetano», e veniva menzionato per i suoi ripetuti contatti con le autorità religiose di tutto il mondo, sottolineando in particolare i suoi colloqui con Paolo VI, nel 1963, e con Giovanni Paolo II.  Il Dalai Lama tracciava così le linee di un umanesimo universale in cui il retaggio del Buddha è importante, ma tutt’altro che esclusivo. La visibilità internazionale del Dalai Lama si è accresciuta nel tempo soprattutto in Italia, Inghilterra, Francia e Belgio. Nel 2009 è stato insignito della cittadinanza onoraria di Roma e di Venezia. Ha partecipato a sedute plenarie del Parlamento europeo.

Nel Sud-Est asiaticoè presente il buddhismo Thēravāda. Solo nella Thailandia, dove la società si è evoluta senza drammatiche fratture, lo status del Sangha conserva gran parte dell’antico prestigio: la monarchia continua a sostenerlo e a esserne sostenuta. I bhikkhu – possono ritornare allo stato laicale – godono di privilegi come, per es., il trasporto gratuito sui mezzi pubblici, ma vige per essi il divieto di votare e candidarsi a ricoprire ruoli politici. Si registra la presenza di leader monacali con un certo peso nell’opinione popolare come Mongkol Rakpong. Nella sua autobiografia, Truths about my life (1993), egli si presenta come un Bodhisattva con una certa carica di sincretismo.  Il buddhismo thailandese ha avuto molti rapporti con il potere politico in varie occasioni. Il movimento, impegnato nell’istruire i contadini nell’agricoltura alternativa e nel predicare un’ideologia basata sul ‘meritismo’ opposto al capitalismo, ha avuto parte attiva nel Phalang Tham (Partito ‘della Forza del Dhamma’) fondato nel 1988 dall’ex generale Chamlong Srimuang. Una importante scuola è quella della Tradizione della selva. Si tratta di un movimento ascetico originariamente promosso dal monaco Sao Kantasila (1861-1941) e dal suo allievo Mun Bhūridatta (1870-1949).  La disseminazione in Occidente degli insegnamenti di questa scuola si deve a un discepolo di Bhūridatta, Bodhiñāna, più noto come Chah (1918-1992). Dopo avere accolto nel 1966 tra i suoi allievi l’americano Robert Jackman, divenuto bhikkhu con il nome di Luang Por Sumedho, l’anno seguente, il maestro Chah, coadiuvato da costui, cominciò a insegnare a un numero crescente di occidentali, fino a fondare, nel 1975, per accoglierli il Wat Pah Nanachat (Pagoda internazionale della selva). Gli anni successivi li videro viaggiare in Europa, in America e in Oceania, dove sono stati fondati diversi monasteri.

Il buddhismo in Birmania. Esponente del Thēravāda birmano è il famoso maestro Sobhana Mahāthēra (1904-1982), ha creato la scuola della Vipassanā; i centri di meditazione che ne prolungano l’insegnamento sono presenti in tutto il territorio birmano, con più di mezzo milione di praticanti, e all’estero. E' considerata una ‘via birmana al Socialismo’ ed anche Aung San Suu Kyi ha seguito queste pratiche.  Anche qui il buddhismo è legato alla politica; nel settembre-ottobre del 2007 la cosiddetta rivoluzione (in abito color) zafferano (saffron revolution) ha visto i bhikkhu partecipare, sovente nel ruolo di coprotagonisti con laici. Il governo ha listituito nel 1990  uno State Sangga maha nayaka committee che permette di condannare senza esitazioni i bhikkhu sospetti di simpatie antigovernative, dopo averli ridotti allo stato laicale.

La Repubblica popolare cinese fin dalla sua nascita (1949) ha in larga misura osteggiato, in nome dell’ateismo di Stato, le diverse scuole buddhistiche presenti da secoli nel Paese. Fra il 1966 e il 1967 la rivoluzione culturale lanciata da Mao Zedong si accanì tra l’altro contro quel che restava delle strutture buddhistiche cinesi, producendo guasti irreparabili a templi e santuari. Nel solo Tibet i monasteri distrutti furono più di duemila. Ciò era in armonia con la condanna di tutte le forme di religione, accusate di aver causato pregiudizio alla Cina, e il divieto d’ogni pratica a esse relativa. Morto Mao Zedong, nel 1976, ed esauritasi la rivoluzione culturale, la trentennale politica di lotta al buddhismo è stata ufficialmente abbandonata. La nuova Costituzione della Repubblica popolare cinese, con successivi aggiornamenti ed emendamenti) dichiara che «lo Stato tutela i legittimi interessi e diritti delle minoranze nazionali» (art. 4) e sancisce la libertà di credenze religiose». L’eventuale egemonia straniera su organizzazioni e affari di natura religiosa in Cina è formalmente esclusa (art.36). Le statistiche ufficiali parlano dell’8% della popolazione è buddhsita, mentre i simpatizzanti sono in numero assai maggiore. A fini di promozione d’immagine presso gli stranieri molti monasteri sono stati ricostruiti o eretti ex novo, come quello di Nanshan sull’isola di Hainan, terminato nel 1998, e sono divenuti mete turistiche.

A partire dal 1953 tutte le attività buddhistiche dei gruppi di monaci e laici sono state assoggettate al coordinamento della China buddhist association, impegnandone gli aderenti al perseguimento della lotta di classe sotto la guida del Partito comunista cinese. A partire dal 1983, la sua parola d’ordine è stata «coniugare il Ch’an con i lavori agricoli», ponendo sotto questa etichetta qualsiasi attività produttiva rivolta al bene della società: accanto all’esercizio della coltivazione vera e propria, i monasteri sono invitati a creare fabbriche, cliniche e a praticare il commercio.  Ci sono stati molti episodi di repressioni verso i monaci che non erano allineati con la politica governativa (come ad esempio Xu Zhiqiang, il maestro Jiequan, il maestro Shengguan).

A Formosa (Taiwan), dove il governo del Kuo Min Tang si era rifugiato nel 1949, la Buddhist association of the Republic of China è sopravvissuta come unico punto di riferimento dei buddhisti emigrati dal continente. POi cìè stato una ripresa dello sviluppo del buddhismo dal basso. Oggi sono circa 8 milioni (le statistiche ufficiali parlano del 34% della popolazione), di cui 30.000 hanno abbracciato lo stato monacale. Una figura importante in questo processo è stata un esponente della Scuola della pura terra e del Ch’an: il maestro del Dharma Yin Shun (1906-2005) ed autore del testo The Buddha in this world. Tra i suoi discepoli la venerabile maestra Cheng Yenha posto le basi della Buddhist compassion relief (Tzu Chi) foundation, le cui monache rifiutano di ricevere donazioni nel modo tradizionale, tramite la questua e la recitazione dei sūtra, e lavorano per guadagnare risorse destinate all’aiuto delle famiglie non abbienti.  Il movimento conta più di 5 milioni di sostenitori, centocinquanta monache e 30.000 ‘commissari’ laici (solo il 30% maschi) sparsi per il mondo: attività caritatevoli; contributi alla medicina; sviluppo dell’educazione; umanitarismo; assistenza nelle calamità naturali; donazione di midollo; volontariato e riciclaggio. Cheng Yen ha anche dato alle stampe alcuni saggi, tra i quali Still thoughts (1996); The thirty-seven principles of enlightenment (1999) e Three ways to the pure land (2001).   Le tecniche di ‘Ch’an in moto’ insegnate in tali istituzioni affiancano alla meditazione in posizione assisa elementi tratti dal Qigong.

Il Vietnam. Considerato da molti la voce più importante del buddhismo contemporaneo dopo il Dalai Lama: il maestro vietnamita Thich Nhat Hanh (1926-2021) è uno dei massimi esponenti del buddhismo in Vietnam. Fattosi monaco nel 1949 divenne direttore dell’organo ufficiale della General association of Vietnamese buddhists (GAVB) costituita nel 1951 che poi fù chiusa. Veniva istitutita l'Association of unified Vietnamese buddhists, creata sul modello cinese, che garantiva il controllo del Partito comunista su strutture e istituzioni buddhistiche nella neonata Repubblica del Vietnam. Una sua discepola Cao Ngoc Phuong, ritornata allora in patria crea, con un gruppo di professori e studenti, la School of youth for social service, un corpo di 10.000 volontari operante nelle aree arretrate e martoriate dalla guerra del Paese, per la riedificazione di villaggi distrutti, per la costruzione di scuole e ospedali e per l’insegnamento delle tecniche agricole progredite ai contadini. Una tale attività appariva filocomunista agli occhi del governo e non mancarono arresti ed esecuzioni sommarie di attivisti. 

Thich Nhat Hanh prima andò negli Stati Uniti, si incontrò con Martin Luther King, denunciò i terribili effetti della guerra, contro la quale si era battuto per anni attirandosi odi e diffidenze nei due campi avversi. Nel 1967 fù candidato al premio Nobel per la pace, che non gli fu conferito in quanto quell’anno non fu scelto alcun candidato. Costitui la Communauté des patates douces, situata in una fattoria non lontano da Parigi dove teneva corsi di meditazione.  In Vietnam La Unified buddhist church of Vietnam, fu fatta oggetto di dure repressioni e contemporaneamente veniva creata, nel 1981, la Vietnam buddhist Sangha, organo del Fronte patriottico del Partito comunista del Vietnam e sola voce ufficiale dei buddhisti vietnamiti in patria e all’estero. A partire dal 1982, Thich Nhat Hanh ha trasferito la sua organizzazione al Village des pruniers in Dordogna. Accanto ai programmi di insegnamento estivi in Francia, seguiti da 2000 persone all’anno, ha fondato 230 centri di meditazione in America. Dopo trentanove anni d’esilio, nel 2005 a Nhat Hanh è stato concesso di ritornare in Vietnam.

Riferimento: https://www.treccani.it/enciclopedia/buddhismo-e-buddhismi_%28XXI-Secolo%29/

BuddhaNet’s eBook library, http://www.buddhanet.net/

Buddhist publication society, http://www.accesstoinsight.org/lib/

sabato 13 maggio 2023

Jetsunma Tenzin Palmo - una delle prime monache occidentali.

Jetsunma Tenzin Palmo (nata nel 1943 - ) è una delle più importanti insegnanti buddhiste occidentali del mondo. Nel 1967, all'età di 24 anni, ricevette l'ordinazione al monastero di Rumtek in Sikkim dal XVI Karmapa, diventando una delle prime monache occidentali. Ha completato dodici anni di intense pratiche meditative, con tre anni di rigoroso ritiro solitario in una grotta nelle montagne innevate di Lahaul, India settentrionale. Il suo maestro Khamtrul Rinpoche le chiese di fondare un convento e, con la benedizione di Sua Santità il Dalai Lama, fondò Dongyu Gatsal Ling in India. Ora viaggia per il mondo insegnando, sostenendo pari diritti e opportunità per le monache buddhiste e raccogliendo fondi per il suo convento. Vicki Mackenzie, che ha scritto Cave in the Snow su di lei, racconta che ciò che ha ispirato la stesura del libro è stato leggere la dichiarazione di Tenzin Palmo a una rivista buddhista: "Ho fatto voto di raggiungere l'Illuminazione nella forma femminile - non importa quante vite ci vorranno".

Intervista fatta da Study Buddhism

    Study Buddhism - Domanda: Sei stata una delle prime donne occidentali ad essere ordinate come monaca buddhista, in un momento in cui il Buddhismo era a malapena conosciuto in occidente, e non c'erano centri di Dharma e quasi nessun insegnante in giro. Sei cresciuta a Londra, quindi come sei entrata in contatto con il Buddhismo e come spieghi la convinzione che hai provato in così giovane età?

Tenzin Palmo:
Fin da bambina, credevo che fossimo intrinsecamente perfetti, e che dovevamo continuare a tornare ancora e ancora finché non avremmo riconosciuto la nostra perfezione innata. La domanda era, naturalmente, che cosa è esattamente la perfezione e come la raggiungiamo? Quando avevo 18 anni lessi un libro e incontrai il Dharma. Ero a metà del libro quando mi rivolsi a mia madre e le dissi: "Sono buddhista", e lei rispose: “Oh, davvero mia cara? Beh, finisci il libro e poi puoi parlarmene”. Mi resi conto di essere sempre stata buddhista, ma non sapevo che esistesse, perché in quei giorni nemmeno la parola "Buddha" era mai stata pronunciata. Questo era negli anni '60, quindi non c'era molto materiale disponibile, nemmeno a Londra.   In seguito mi resi conto di essere più incline alla tradizione tibetana, e quando avevo 20 anni, andai in India. Al mio ventunesimo compleanno, incontrai il mio lama, Khamtrul Rinpoche, e tre settimane dopo presi la mia prima ordinazione da monaca e andai a lavorare con lui.    Poi mi disse di andare a Lahaul, nel nord dell'India, dove rimasi per i successivi 18 anni. Non mi sono mai chiesta se avesse senso spostarsi da Londra a Lahaul. Tutto sembrava una progressione naturale. A Londra mi sentivo nel posto sbagliato e volevo andarmene. Avevo pensato di andare in Australia o in Nuova Zelanda. Non ho niente contro l'Inghilterra, ma sapevo che non dovevo essere lì. Ma non appena incontrai il Dharma, riconobbi che il posto dove dovevo andare era dove c'erano i maestri.    In seguito tornai in India, dopo che mi fu chiesto di fondare un convento, e da allora ho trascorso il mio tempo lì e ho girato il mondo tenendo conferenze sul Dharma.

Domanda: 
Khamtrul Rinpoche è stato il tuo primo insegnante e hai avuto un rapporto molto impegnato e stretto con lui. Come hai scelto Khamtrul Rinpoche, e qual è il tuo consiglio per chi cerca un maestro?

Tenzin Palmo: In India molte persone vengono a parlare da me. La metà di loro mi dice: “Ho un problema, voglio trovare un maestro”. L’altra metà dice: “Ho un problema perché ho un maestro!”. Quindi non è così semplice.    Ci sono tanti maestri molto qualificati in giro, ma questo non significa che ciascun maestro sia adatto per la stessa persona, proprio come le persone non si innamorano della stessa persona. Abbiamo tutti il nostro karma e molti maestri differenti andranno bene per studenti differenti. Ci sono anche certi maestri che non dovrebbero essere dei maestri. Ma la cosa principale qui è che non dovremmo essere troppo ingenui o lasciarci prendere dal carisma. Solo perché qualcuno è molto carismatico, non significa che sia genuinamente qualificato.

Nei testi, e come ci ricorda Sua Santità il Dalai Lama, dovremmo controllare il comportamento della persona non quando è seduta su un grande trono, ma dietro le quinte. Come tratta la gente comune – non i grandi sponsor – ma solo la gente comune che non è di particolare importanza per loro. Ho chiesto al mio lama cosa pensasse di un lama particolarmente controverso che conosceva molto bene, e ha detto che era difficile da dire, e che dovremmo controllare tra 20 anni per vedere come sarebbero diventati i suoi studenti. Se vedete un Sangha buono e armonioso, e se stanno praticando bene e sono brave persone con un buon cuore, allora avete un motivo per avere fiducia.   Quanto a me, sapevo che Khamtrul Rinpoche era il mio lama non appena sentii il suo nome.

Domanda:    Quando hai iniziato, sei dovuta andare in India per ricevere insegnamenti. Ma al giorno d'oggi, possiamo accedere agli insegnamenti su Internet e persino praticare la meditazione guidata online attraverso vari canali YouTube. Vanno bene solo questi o gli insegnamenti faccia a faccia sono comunque essenziali?

Tenzin Palmo: Internet può essere enormemente utile, proprio come i libri, ma non credo sia tutto quello che è necessario per praticare veramente il Buddhismo. A un certo punto, come con l'apprendimento di qualsiasi abilità, avremo bisogno di istruzioni personali da qualcuno che è più avanzato di noi. Se vogliamo essere musicisti, ballerini o sportivi, possiamo scaricare una certa quantità di materiale online e guardare DVD e leggere libri, ma alla fine abbiamo bisogno di qualcuno che ci valuti e ci dia istruzioni personali. Le due cose vanno insieme. Non abbiamo sempre bisogno di stare seduti ai piedi dell'insegnante, ma di tanto in tanto abbiamo bisogno di qualcuno che possa guardarci e darci una direzione.

Domanda: 
Molte persone si interessano alla pratica buddhista attraverso la mindfulness [presenza mentale], che tu spesso citi come una parte integrale della vita buddhista. Cosa significa la presenza mentale per te e come ci sostiene nella nostra pratica del Dharma?

Tenzin Palmo: Al giorno d’oggi, la mindfulness [presenza mentale] è diventata una parola che racchiude tutto, ma il principio generale di cercare di essere più coscienti e consapevoli nella nostra vita quotidiana è molto importante. Assieme a questo, è utile contemplare alcuni versi dell’addestramento mentale che sono progettati per affrontare e trasformare tutti i problemi che sperimentiamo nella vita. Per tutte le circostanze esterne e le persone scortesi e difficili che incontriamo, invece di arrabbiarci, sconvolgerci, o frustrarci, possiamo prendere tutte queste circostanze e utilizzarle sul sentiero in un modo che effettivamente ci rinvigorisce e ci rafforza, piuttosto che sconfiggerci. È un consiglio molto pratico, ed è per questo che parlo molto di come trasformare la nostra vita quotidiana nella pratica del Dharma, altrimenti è facile sentirsi senza speranza e indifesi.

Che siamo in ritiro o fuori nel mondo, dovremmo cercare di sviluppare la qualità della consapevolezza il più possibile. La distrazione è il problema principale per tutti noi – ciò che il Buddha chiamava la "mente scimmia". Ovunque siamo e qualunque cosa stiamo facendo, o siamo coscienti, o non lo siamo. O siamo consapevoli e presenti, o non lo siamo. Non c'è via di mezzo.  Uno dei migliori consigli che abbia mai ricevuto mi è stato dato dagli yogi del nostro monastero, che consigliavano di osservare la mente tre volte ogni ora. Ci impegniamo a fermarci per un momento e a guardare cosa sta facendo la mente, in quale stato mentale stiamo dimorando. Non lo giudichiamo, lo sappiamo e basta. A poco a poco ci abitueremo sempre di più ad essere consapevoli di ciò che stiamo pensando e a quali sono i nostri vari stati positivi e negativi. Diventeremo sempre più padroni della nostra mente, piuttosto che esserne schiavi.

Domanda:   Hai appena parlato di quando ci sentiamo senza speranza e impotenti, e penso che a volte potremmo sentirci così anche se siamo dei praticanti maturi. Come possiamo nutrire noi stessi quando ci sentiamo bloccati nella nostra pratica del Dharma, senza entusiasmo, oppure quando sentiamo che ci manca l’energia?

Tenzin Palmo: Innanzitutto, è importante alleggerirsi un po’! Ho detto spesso che la settima paramita dovrebbe essere il senso dell’umorismo, così non ci prendiamo troppo sul serio. Abbiamo bisogno di essere sinceri nella nostra pratica, ma allo stesso tempo non possiamo prenderci troppo sul serio.    Qui penso che sia fondamentale riconoscere che siamo così fortunati ad avere questa nascita umana dove possiamo praticare ciò che vogliamo, prendere un libro e non solo leggerlo, ma capirlo davvero. Questo livello di istruzione è molto raro nel corso della storia, quindi non dovremmo darlo per scontato. Dovremmo sviluppare un profondo apprezzamento per tutto ciò che abbiamo e non sprecarlo, altrimenti moriremo con profondi rimpianti.   Per tutto il tempo abbiamo a che fare con la mente e [cerchiamo di capire] come domarla, e come trascendere la nostra mente convenzionale ordinaria. Questo richiede un'enorme quantità di determinazione e perseveranza. Richiede anche un atteggiamento rilassato e spazioso, non teso e stressato. Non è certo una questione di rilassarsi e aspettare che tutto accada. Se non lo facciamo accadere, non succederà!

Inoltre, penso che sia un po' come la tecnologia, devi ricaricare le batterie. Fare ritiri, ottenere insegnamenti personali di volta in volta da maestri che vi ispirano, tutto questo aiuta a ricaricare le nostre batterie. Allora ne siamo ispirati e possiamo integrare quello che abbiamo imparato nella nostra vita quotidiana, che è molto importante.  Infine, il Buddha ha sempre sottolineato l’importanza di avere buoni amici. Viviamo in una società che va in una direzione, quindi è bene avere almeno alcuni amici che condividano gli stessi valori e possano incoraggiarci e aiutarci a ricordare che non siamo soli o particolari, ma che ciò che stiamo facendo è un modo molto valido di vivere. Questo ci incoraggerà a porre il Dharma al centro della nostra vita e non alla periferia, e a usare la nostra vita quotidiana come pratica del Dharma.

Domanda:    Sei conosciuta in tutto il mondo come una pioniera per le donne nel Buddhismo. Prima di tutto, hai fatto voto di raggiungere l'illuminazione nella forma femminile! Inoltre, hai fondato il convento Dongyu Gatsal Ling in India e stai sostenendo l'uguaglianza per le monache. Come vedi i ruoli e le opportunità attuali delle donne nel Buddhismo?

Tenzin Palmo: Tradizionalmente, le donne non avevano un grande ruolo nel Buddhismo. I libri erano tutti scritti da monaci, per altri monaci. Quindi la visione generale del femminile era piuttosto misogina, con le donne che interpretavano il ruolo dell'altro proibito, in attesa di piombare su piccoli monaci innocenti! In quella società, era difficile che le donne diventassero istruite e ottenessero gli insegnamenti più profondi diventando davvero realizzate.

Oggi tutto questo è cambiato molto. Le ragazze vanno a scuola insieme ai ragazzi e stanno diventando molto istruite. Quest'anno ci sarà il primo raccolto di geshema (dottorato in filosofia buddhista), con i certificati presentati da Sua Santità il Dalai Lama. Le monache, più di chiunque altro, stanno realmente facendo pratiche spirituali profonde impegnandosi in ritiri a lungo termine, e in ogni modo stanno riconoscendo il loro potenziale.   Va detto che i principali sostenitori in questo sono stati i monaci, una volta che hanno compreso l’idea che anche le monache potessero studiare. Diventarono i loro insegnanti incoraggiando molto le monache. Ciò a cui si sono opposti è l'idea della piena ordinazione delle monache, che ha avuto un interessante muro di resistenza negli ultimi 30 anni.   A tal proposito, in questo momento abbiamo molte speranze grazie a Sua Santità il Karmapa, che ha detto che sarà fatto. Quindi dobbiamo aspettare e vedere come ha intenzione di farlo, perché tutti staranno a guardare. È importante che sia fatto bene e che lui trovi un modo in cui tutti possano essere d'accordo che si tratta di un'ordinazione valida, perché poi questo aprirà la porta per tutti.

 Domanda:   È bello sapere che le monache stanno facendo progressi. Hai detto in passato che pensi che le monache avranno un ruolo sempre più importante da svolgere nel sostenere il Dharma. Quali sono gli ostacoli principali che devono affrontare?

Tenzin Palmo: Se vai in qualunque convento e gli chiedi quali sia l’ostacolo principale, diranno sempre una bassa autostima e la mancanza di fiducia. Ci vuole tempo. Ma la differenza tra le prime ragazze del Ladakh che diventarono monache e quelle che abbiamo adesso è molto incoraggiante.  Una volta chiesi al primo gruppo di monache che avevamo se credevano che i maschi fossero intrinsecamente più intelligenti delle femmine, e tutte risposero di sì. E io dissi: “No, è solo che hanno avuto più opportunità. Quando avete pari opportunità, entrambi ve la cavate bene. Alcuni maschi sono intelligenti, altri sono stupidi. Alcune femmine sono intelligenti, altre stupide. Siamo tutti esseri umani, nessuno è superiore”. Ora, se dovessi fare la stessa domanda, le ragazze sarebbero perplesse dalla domanda stessa! Quindi abbiamo fatto dei passi avanti. Le nuove monache non sanno che “dovrebbero” essere miti e sottomesse, e così in molti modi credono di poter fare qualsiasi cosa, perché le monache precedenti ce l’hanno fatta. Così non hanno nulla da dubitare.

Domanda:
Molti di noi in occidente lottano anche contro la bassa autostima, l’ansia, e la depressione. Si dice che i paesi occidentali stiano vivendo “un’epidemia di solitudine”. Come può il Buddhismo aiutarci con questi sentimenti? 

Tenzin Palmo: Forse uno dei principali antidoti alla depressione, alla mancanza di autostima, alla solitudine e così via è il riconoscimento che abbiamo davvero la natura di Buddha. Tutti gli altri problemi come la rabbia, la gelosia, le ambizioni, sono semplicemente modelli abituali che abbiamo imparato, ma non sono inerenti a chi siamo. Non siamo umili peccatori, non siamo esseri inutili. Siamo come dei bei gioielli. Ci viene sempre dato il messaggio che il nostro potenziale è così limitato, il che è molto triste. In realtà, il nostro potenziale è infinito. La natura della mente è assolutamente incredibile. Questo è davvero utile perché, anche se uno potrebbe non essere un buddhista impegnato, ci aiuta solo a diventare esseri umani migliori. Conosco molti sacerdoti e suore cattoliche che usano gli insegnamenti buddhisti per diventare cattolici migliori, ed ebrei che li usano per diventare ebrei migliori. Perché no?! Ci porta solo a riconoscere più profondamente la nostra natura originale, che è qualcosa che noi tutti abbiamo.      

La meditazione ci porta ad un livello più profondo di consapevolezza. Siamo normalmente coinvolti nelle correnti dei nostri pensieri, sentimenti ed emozioni. Grazie alla consapevolezza, possiamo osservare tutto questo senza esserne spazzati via. Questo ci dà accesso a qualcosa di molto più vasto e profondo della nostra solita mente compressa.  Il Buddhismo ci aiuta a superare la nostra mente che continuamente si afferra a un ego, dandoci la possibilità di aprirci a qualcosa di molto più spazioso e genuinamente significativo. Tutti noi possiamo avere accesso a questo. Non è così difficile. Con qualche istruzione e con la pratica, tutti possono farlo.

https://studybuddhism.com/it/punti-essenziali/interviste/intervista-con-jetsunma-tenzin-palmo 

Jacques Vigne - Psichiatra e Swami

Il dottor Jacques Vigne (1956 - )è uno psichiatra francese formatosi a Parigi. Per 15 mesi ha praticato e insegnato psichiatria in Algeria e, dopo la laurea nel 1986, si è recato in India con una borsa di studio quadriennale del governo francese. Ha studiato yoga e filosofia tradizionale indiana per tre anni presso l'Università indù di Benares, quindi ha vissuto per dieci anni quasi ininterrottamente con il suo maestro Swami Vijayananda, un medico francese che ha vissuto in India per 60 anni e che è stato uno dei più stretti discepoli occidentali di Mâ Anandamayî, una delle più famose donne "sagge" del XX secolo. Per i 12 anni successivi, Jacques Vigne ha trascorso circa un terzo del suo tempo in eremitaggio, tornando regolarmente dal suo maestro per continuare l'insegnamento. Dal 2010 è legato a Tenzin Palmo, che da oltre 50 anni è la più anziana occidentale a diventare monaca tibetana e che ha trascorso, tra l'altro, undici anni e mezzo in meditazione in una grotta dell'Himalaya.

Jacques Vigne ha scritto 17 libri, il cui tema principale è la psicologia spirituale e la meditazione. Nei suoi scritti è particolarmente attento a costruire ponti tra Oriente e Occidente, tra psicologia moderna e spiritualità, tra le pratiche sapienziali dell'India e il cristianesimo. Ha scritto due grandi libri di 400 pagine sulla mistica comparata, uno sul Matrimonio interiore, che cerca di tracciare l'unione dei canali ida e pingala dello yoga in altre tradizioni, e l'altro sulla Mistica del silenzio. Uno dei suoi ultimi libri, Secular Meditation Practice, propone una visione della laicità inclusiva e non esclusiva, rispettando i contributi delle religioni, ma allo stesso tempo sostenendo la diffusione della meditazione per tutti, con la sua serie di benefici per la salute fisica e mentale ormai sempre più scientificamente accertati. I suoi viaggi come testimone dello yoga e della meditazione lo hanno portato in diversi Paesi europei, più volte in Libano, due volte in Marocco, una volta in Tunisia e una volta per tre settimane in Cina. Organizza viaggi spirituali in India, Ladakh, Monte Kailash e Tibet.

Sito: https://www.jacquesvigne.org/
Insegna alla Sarva Yoga University https://www.sarvayogauniversity.com/our_team/dr-jacques-vigne/ in questa importante università on line insegnano anche Mauro Bergonzi e Eros Selvanizza.

venerdì 5 maggio 2023

Se non ora quando? Sull'urgenza del cammino interiore. - Intervento di Corrado Pensa

 Seminario con Corrado Pensa all'A.ME.CO - Roma   22/04/2023

Non bisogna rimandare la pratica. Le tre aree importanti per la pratica sono: l'etica, la saggezza e la meditazione.  L'insegnamento deve mettere al centro l'essere umano e il praticante deve prendere quello che fa più bene con chiarezza di intenti e cercando di cambiare il modo di essere. Lo studio del Dharma va affrontato con umiltà e pazienza.  I tre inquinanti: attaccamento, avversione e confusione impediscono di fare le giuste scelte verso il bene e rendono schiavo il praticante.  Il saggio deve cercare di vivere il momento presente, cosa non facile perchè si tende a rimandare immaginando di avere un tempo senza fine. Si tende a rimandare le cose importanti, i buoni propositi verso i 60 anni, a cui molti non arrivano. La vita è un'occasione unica per vivere nel presente, un momento è unico e irripetibile.  La pratica va fatta con continuità e in modo approfondito attraverso i ritiri; e bisogna nutrire sistematicamente l'abitudine alla meditazione. L'ostacolo alla meditazione è l'errata comprensione della consapevolezza. La consapevolezza non è mai ababstanza, è anche attenzione non giudicante, equanimità, presenza. Anche il Buddha non giudicava mai i suoi discepoli. La consapevolezza è un attimo di luce e la consapevolezza intellettuale non è consapevolezza.

"Chi non disprezza più nessuno, ha realizzato l'amore".  Solo guardando e riguardando posso comprendere ed essere consapevole.  Nel contatto con la vita e gli altri le chiavi per un rapporto sano sono pazienza e fiducia.

Nell'area dell'amore per noi stessi, manifestiamo diffidenza e freddezza continuamente o in modo intermittente.  Invece, occorre calore ed amicizia per se stessi, amore di sè, un amore maturo per se stessi da non confondere con l'egoismo, che è il sentimento opposto. Dobbiamo arrivare ad una sincera e piena accettazione di noi stessi ed esprimere un'autentica umiltà che cresce insieme alla capacità di amarsi.  Umiltà e disistima o disprezzo sono all'opposto.  Usando una gentilezza amorevole dobbiamo avere chiara la consapevolezza del nostro valore ed arrivare al più presto ad amare noi stessi di più. Non dobbiamo farci risucchiare dai pensieri negativi e invece, dobbiamo cercare di arrivare alla pace interiore. Spesso alimentiamo l'amarezza senza accorgercene, perdendo la  consapevolezza del presente, delle stagioni, delle persone positive che ci circondano.   Le porte del cambiamento si aprono proprio quando ci accettiamo così come siamo.  Accettazione significa coraggio e non cieca passività e rassegnazione. Possiamo imparare a non farci risucchiare dal vortice diei pensieri negativi e, piano piano, arrivare a sentirci a casa nella nostra aspirazione alla pace e all'armonia.  Dobbiamo avere fiducia nel bene e cercare la pace nel momento presente che, anche se definito fugace, può avere il sapore dell'eternità.  In questo  modo possiamo entrare con umiltà in un mondo più vero, dove prevale la leggerezza del vivere, riuscendo a non essere di peso a noi stessi e agli altri. L'umiltà è vera quando è profonda, ed è in questo caso è utile per se stessi e per gli altri.  Poco compresa e diffusa è l'umiltà, e le persone umili che si incontrano rimangono impresse nella memoria.  

Il Buddha ha dato un inseganmento davvero molto forte: "Fintanto che c'è attaccamento  al piacere e avversione per lo spiacevole, la liberazione è impossibile".

Mie riflessioni_____   La compassione per il male è la massima espressione della compassione, di questo tipo di compassione ne ho sentito parlare per la prima volta da Thich Nhat Hanh quando parlava dei torturatori, secondo lui era necessario cercare di capire la sofferenza che c'era in loro, per arrivare a fare quello che avevano fatto.

Introduzione al Blog

Il Blog è nato nel marzo 2021, in tempo di pandemia, per comunicare e condividere le mie letture e i miei interessi personali.  Nel blog c...