Thich Nhat Hanh (1926-2022), Maestro di pace, è stato monaco zen vietnamita, poeta e
pacifista, famoso in tutto il mondo per la saggezza e per le straordinarie doti
intellettuali e morali. Martin Luther King lo definì “apostolo della pace e della
nonviolenza” e lo propose per il Nobel per la pace.
Per molti anni, Thich Nhat Hanh ha regolarmente viaggiato in America e in
Europa, al fine di insegnare l’arte di “vivere consapevolmente”.
Thich Nhat Hanh ci invita a vedere come siamo tutti interconnessi e come le nostre azioni influenzino continuamente il mondo intorno a noi. La pratica diventa, quindi, un atto collettivo, un contributo alla riduzione delle sofferenze nel mondo e la meditazione ci spinge verso una compassione che si estende a tutti gli esseri viventi. Questo modo di connettersi crea una rete di relazioni basate sulla
compassione reciproca. Questa compassione si estende anche alla natura e
a tutto ciò che ci circonda, incoraggiandoci a coltivare
"l'interessere", un ben preciso senso di interconnessione con tutto
l'universo.
Nel testo Il miracolo della presenza mentale, un vero manuale di meditazione, vengono presentati diversi metodi per meditare, precisando che “la meditazione non deve essere intesa come evasione, ma come un incontro sereno con la realtà”, un modo di scoprire come vivere pienamente il momento presente.
Uno degli insegnamenti chiave di Thich Nhat Hanh è la consapevolezza del respiro. Egli invita le persone a ritornare al loro respiro come mezzo per stabilizzare la mente e connettersi con la realtà presente. La respirazione consapevole diventa un punto focale che permette di ancorare la mente nell’adesso, offrendo un rifugio tranquillo, lontano dalle frenesie della vita quotidiana.
Un posto particolarmente rilevante, all’interno delle varie pratiche meditative, viene assegnato alla meditazione sulla “gentilezza amorevole”, una pratica che, partendo dal “conosci te stesso”, ci sospinge a coltivare la comprensione, l’amore e la compassione, prima per noi stessi e poi per gli altri. Occorre liberare la mente da “rabbia, preoccupazioni, paura e ansia” e a generare e coltivare “semi di pace, gioia e liberazione”, facendo sempre massima attenzione al rischio che lo svincolarsi dall’”attaccamento” possa produrre indifferenza. In una conferenza, dopo l'attacco alle torri gemelle, disse: “Non è
l’uomo il vero nemico dell’uomo. Il vero nemico è l’ignoranza, la
discriminazione, la paura, l’avidità, e la violenza.” Secondo
Thay, il Buddhismo è in grado di offrirci “l’unico antidoto alla
violenza, all’odio e alla rabbia” grazie alla pratica della compassione e
della gentilezza amorevole, le quali “non possono nascere così per
caso”, ma soltanto in seguito alla pratica del “guardare in profondità”.
Il maestro vietnamita puntualizza con ricorrente fermezza che il meditante non dovrebbe mai limitarsi a praticare soltanto per veder sorgere nella propria mente i cosiddetti “Quattro incommensurabili stati mentali” (amore, compassione, gioia ed equanimità), ma anche per far sì che essi penetrino nel mondo, per mezzo di parole e azioni. Pratichiamo finché non vediamo gli effetti concreti del nostro amore sugli altri, finché non siamo in grado di offrire pace e felicità a tutti, anche a coloro che si sono comportati in modo tutt’altro che amabile verso di noi.
“Respirate – ci dice – coscientemente mentre abbracciate, e abbracciate con tutto il corpo, l’anima e il cuore. (…) Abbracciandola e inspirando ed espirando per tre volte, fate sì che quella persona diventi reale, e anche voi diventate davvero reali.” L’abbraccio assume la valenza di un vero gesto di apertura verso l’altro, un gesto di dichiarazione del nostro concreto desiderio di voler comprendere l’altro e di volere la sua felicità.
Con Thay si affermò lo sviluppo del “buddhismo impegnato”, che vede i buddhisti non isolati nella foresta o in un eremo, ma attivi nella società, per alleviare dolore e paure. Secondo Thich Nhat Hanh, infatti, la mindfulness buddhista è sempre socialmente impegnata, concentrata sul rimedio alle cause della sofferenza e dell'oppressione del mondo. Può servire come pratica di sostegno per un sistema sociale più inclusivo e come forzaer sfidare le iniquità strutturali ed economiche che hanno schiavizzato i poveri e gli affamati.
"Solo l’amore, la compassione e la comprensione – infatti – possono veramente portare un cambiamento, perché l’odio - come ci spiega magnificamente il Dhammapada - non può essere eliminato dall’odio.”
Coloro che hanno a cuore la causa della pace e che desiderano ottenerla sono chiamati, prima di ogni altra cosa, a praticare l’onestà, l’umiltà e la capacità di usare un linguaggio amorevole, vivendo in maniera semplice, liberi da ogni forma di avidità e desiderio di possesso. Il nirvana - ci dice - è la liberazione da tutte le idee e le opinioni: “Quando entri in contatto con la realtà non hai più opinioni. Hai la saggezza”.
Thich Nhat Hanh, d’altra parte, impartiva insegnamenti in ogni momento. Come solo i grandi maestri possono, incarnava l'armonia di pensiero, parola, azione. Ripeteva continuamente: “Quando inspiri, torni a te stesso. Quando espiri rilasci ogni tensione.”
La pratica della consapevolezza, pertanto, consisterà nel comprendere, rispettare e sviluppare le nostre innate caratteristiche, non soltanto in vista del proprio personale bene, ma per la felicità di tutti gli esseri viventi. Se vogliamo essere felici, dobbiamo smettere di continuare ad innaffiare
i semi nocivi e imparare, invece, ad innaffiare soprattutto il seme
della consapevolezza che è dentro di noi.
Impegnarsi nel cercare di ravvivare il nostro fiore, ogni volta che tenderà ad appassire, ci obbligherà a fermarci, imparando ad arrestare il marasma delle preoccupazioni, delle ansie e della tristezza, “così da poter trovare (soprattutto attraverso la pratica meditativa) pace e felicità e sorridere ancora.”
Siamo chiamati a trasformare il momento presente nel “momento più meraviglioso” e possiamo riuscirci a condizione di imparare a fermare la nostra sciocca corsa verso il futuro e smettendo di torturarci per il passato.
Indispensabile sarà, perciò, trasformare le tossine della nostra coscienza individuale e collettiva: “La pace comincia dal prendersi cura ogni giorno del proprio corpo e della propria mente.” Thay crede che sia realmente possibile, grazie ad un sincero impegno generale, trasformare la cultura della guerra e della violenza in modo da creare una cultura della pace in cui siano possibili “uno sviluppo sostenibile, la protezione dell’ambiente e la realizzazione personale di ogni essere umano”, creando, così, un mondo in cui siano presenti dignità e armonia, giustizia, solidarietà, libertà e prosperità.
Questi i punti programmatici del Manifesto del 2000:
• Rispettare la vita e la dignità di ogni persona senza discriminazione o pregiudizio.
• Praticare la non violenza attiva, rifiutando la violenza in tutte le sue forme, fisica e sessuale, in particolare verso i più indifesi e vulnerabili, come i bambini e gli adolescenti.
• Condividere il proprio tempo e le proprie risorse materiali nello spirito della generosità per porre fine all’esclusione, all’ingiustizia e all’oppressione politica ed economica.
• Difendere la libertà di espressione e le differenze culturali, dando sempre la preferenza al dialogo e all’ascolto piuttosto che al fanatismo,alla maldicenza e al rifiuto degli altri.
• Promuovere un consumo e un comportamento responsabili e delle pratiche di sviluppo che rispettino tutte le forme di vita e preservino l’equilibrio della natura sul nostro pianeta.
• Contribuire allo sviluppo della propria comunità, con la piena partecipazione delle donne e il rispetto dei principi democratici, in modo da creare insieme nuove forme di solidarietà.”
Nel Buddhismo, ci dice, il Buddha viene visto come una porta, come un maestro che ci indica la via, una porta a cui, ovviamente, viene attribuito un particolare valore, perché ci fornisce “accesso al regno della consapevolezza, dell’amorevolezza, della pace e della gioia.”
Ma, al contempo, si ritiene che esistano ben ottantaquattromila porte del Dharma, ovvero della dottrina. “Se siete abbastanza fortunati - aggiunge - da trovare una porta, non sarebbe da veri buddhisti sostenere che sia l’unica.
Il Buddha, ci spiega, non espose una “dottrina assoluta”. Per ogni buddhista, quindi, l’attaccamento dogmatico ad una qualche dottrina rappresenterebbe un “tradimento” dello stesso Buddhismo. Anzi arriva anche a scoraggiare coloro che vorrebbero abbandonare la loro religione per abbracciare il buddhismo, esortando sempre ad andare oltre la dimensione esteriore del proprio credo, al fine di comprenderne meglio i più profondi messaggi spirituali.
In piena sintonia con il pensiero teosofico e con quello gandhiano, quindi, sostiene che nessuna singola tradizione religiosa può ritenersi depositaria del monopolio dell’intera verità. “Dobbiamo cogliere -dice - i valori migliori delle diverse tradizioni e lavorare insieme per rimuovere le tensioni fra le tradizioni stesse: solo così potremo offrire un’opportunità alla pace. Dobbiamo unirci e cercare in profondità il modo per aiutare la gente a mettere nuove radici. Dobbiamo indicare il miglior percorso per raggiungere la salute fisica, mentale e spirituale della nostra nazione e della Terra".
La via che viene insistentemente proposta (e praticata) è quella del dialogo, attraverso il quale i credenti di varie tradizioni potranno riconoscere somiglianze e differenze. “E’ bene - comunque - che un’arancia sia un’arancia e un mango sia un mango.” Entrambi, però, nonostante le differenze di colori, profumi e sapori, meritano di essere considerati, senza odiosi esclusivismi e gerarchizzazioni, “frutti genuini”: grazie ad una approfondita osservazione, infatti, potremo renderci conto “che tutti e due i frutti hanno dentro di sé i raggi del sole, la pioggia, i minerali e la terra. Solo le loro manifestazioni sono diverse.”
Ovviamente, affinché possa crearsi un prezioso rapporto di dialogo costruttivo, capace, al contempo, sia di indurre a comprendere e ad amare maggiormente le proprie radici, sia di assaporare ed anche assimilare le cose migliori delle altre fedi e dottrine, dovranno essere abbandonate le pretese di primato e di monopolio, come quella espressa da Giovanni Paolo II nel suo Varcare la soglia della speranza, che, presentando il Cristianesimo, secondo la consolidata tradizione cattolica, come “l’unica via di salvezza”, renderebbe, di fatto, impossibile qualsiasi sincero dialogo, fomentando, altresì, discriminazione e intolleranza.
Il sogno di Thich Nath Hanh è, quindi, quello di tutti i grandi saggi e maestri, dal neoplatonismo di Ammonio Sacca all’umanesimo di Pico della Mirandola, dalla teosofia di Madame Blavatsky al pensiero nonviolento di Aldo Capitini: le diverse scuole religiose, impegnandosi con grande serietà in un dialogo fiduciosamente aperto e animato da spirito di autentico ecumenismo, potranno, nello stesso tempo, riscoprire gli aspetti più preziosi della propria dottrina e apprezzare ed apprendere fruttuosamente gli elementi di maggior valore presenti in ciascun credo.
Comprensione e amore potranno, finalmente, sgretolare pregiudizi, diffidenze e intolleranza, facendo in modo che, su questo campo di pratica, la pace possa aprire “i suoi petali come un fiore meraviglioso”.
La missione di Thich Nhat Hanh è stata quella di diffondere amore e positività, lo stesso obbiettivo di quando, appena sedicenne, entrò nel monastero buddhista: portare pace e amore al mondo intero. Thich Nhat Hanh è stato ed è il punto di riferimento per tutte quelle persone che credono nella forza positiva degli esseri umani.
"Non dare la colpa agli altri: se hai capito e dimostri di aver capito, la situazione cambierà“.
Il vero amore è libero da legami: amare una persona significa volerla accompagnare nel percorso della vita senza cambiarla. “Se il tuo amore è solo possesso, non è amore. Il vero amore crea libertà“.
"Il momento presente è tutto ciò che hai". L’unica cosa che abbiamo realmente è il momento presente. Ieri è un passato irraggiungibile, domani un futuro incerto. Vivere al massimo il momento presente è tutto ciò che davvero ci serve per essere felici.