venerdì 24 febbraio 2023

OMM - The One Minute Meditation - di Patrizio Paoletti

«La meditazione ha dei benefici confermati scientificamente». Il libro "OMM - The One Minute Meditation" di Patrizio Paoletti è una guida pratica e facile per conoscere se stessi e vivere felice. Per Paoletti non bisogna sottovalutare il potere racchiuso in un solo minuto. Un minuto per stare meglio.

È insegnante di meditazione riconosciuto nel panorama internazionale e creatore di diverse tecniche di meditazione, oggetto di ricerca psicologica e neurofisiologica, tra cui: “OMM The One Minute Meditation”, e "Quadrato Motor Training" e “OVO Camera di deprivazione sensoriale”, tecniche su cui sono state realizzate diverse pubblicazioni scientifiche. I suoi interessi di ricerca si incentrano sullo sviluppo armonico dell’essere umano, spaziando dall’indagine neuroscientifica sulla coscienza, agli strumenti didattici più efficaci per realizzare i processi di Lifelong Learning e Lifewide Education.

Patrizio Paoletti, coach e filantropo, creatore della fondazione OMM, da quasi 40 anni si occupa di sviluppo personale attraverso diversi programmi di training esperienziale che porta in tutto il mondo, a migliaia di persone. Tutte contraddistinte dallo stesso bisogno: quello di stare bene, conoscersi e migliorare. Perché abbiamo bisogno di meditazione, oggi più che mai? «Si percepisce questo scollamento tra il mondo interiore, le nostre istanze intime e profonde (ad esempio ciò che vorremmo essere e ciò che vorremmo realizzare) e la nostra vita quotidiana fatta di mille momenti di incomprensione con noi stessi innanzitutto, con la nostra insoddisfazione e con gli altri», risponde Paoletti. «Per questo spesso le relazioni tra gli esseri umani sono tese e poco focalizzate. Anche per dare futuro alla nostra specie nasce l’esigenza di migliorare la consapevolezza che abbiamo di noi stessi». Restare in silenzio con il proprio respiro è dunque sufficiente a riavvicinarsi al proprio vero sé: «Per comprendere meglio abbiamo bisogno di un attimo di pausa tra la sollecitazione e la risposta. Questo spazio viene individuato dalle neuroscienze come consapevolezza». E aggiunge: «Per poter sopravvivere la nostra specie farà questo salto evolutivo di imparare ad utilizzare i prefrontali valutativi e non il cervello istintivo - l'amigdala- rispondendo con aggressività a tutto ciò che non comprendiamo».

Paoletti pratica yoga e meditazione e si occupa di neuroscienze facendo centinaia di conferenze all'anno nel mondo», e distingue il metodo OMM da yoga e mindfulness: "Oggi la mindfulness va per la maggiore, io invece preferisco parlare di un aspetto specifico: self-awareness, ovvero autoconsapevolezza. Dobbiamo restare connessi, tenendo presente i tre principi fondamentali per il nostro benessere: l'ascolto di noi stessi, la comprensione di chi siamo e delle nostre aspirazioni, infine la capacità di godere della vita". 

Tante persone si vietano l'opportunità di sentirsi bene». Paoletti è infatti promotore di programmi come la Human Inner Design e la School of Self-Awareness la cui validità è studiata da ricerche che conduce in ambito neuro-scientifico con l’Istituto di Neuroscienza della Fondazione Paoletti in collaborazione con studiosi, Istituti e Università internazionali.
«La meditazione assidua e continuativa ha dei benefici confermati scientificamente da decine di interventi di ricercatori: il primo effetto a lungo termine è che la meditazione sviluppa la creatività. Anche un solo minuto di meditazione permette di modificare il processo respiratorio. Così il respiro rallenta, è più profondo e ossigena meglio il corpo e cervello. Un effetto immediato invece è sul ritmo del battito cardiaco e del processo respiratorio, rilasciando endorfine e benessere: ne consegue che si acquisisce la serenità necessaria a capire meglio la domanda che la vita mi pone e migliorare la capacità di risposta». «Questo attimo in meditazione genera benessere e si riesce a capire cosa è davvero importante».

Nel libro, Paoletti illustra le tre D, che sono i tre passaggi fondamentali da seguire attraverso il percorso di consapevolezza del sé: Distacco dallo stress giornaliero, Distanza dalle molte emozioni distruttive che si vivono quotidianamente e Determinazione a sviluppare un ascolto finalizzato a una successiva realizzazione dei propri desideri più intimi e profondi. Tutto il libro si concentra sui 5 passi concreti della scoperta del stare bene attraverso lo studio e la pratica di piccole azioni, una “track list” che corrisponde alle 5 dita della mano. «È necessario inserire delle piccole novità per modificare le azioni ataviche responsabili della condizione di infelicità in cui ci si trova».
Partecipazione è un’altra parola chiave. «Il tentativo di raggiungere dei risultati non lo vivo come un obbligo ma come una condizione e per essere partecipativo devo essere felice. Viviamo in un mondo pieno di aggressività».

A chi si avvicina alla meditazione e al suo metodo per la prima volta, Paoletti consiglia: «Innanzitutto cominciare con tranquillità. Tutti abbiamo a disposizione un minuto: come una pausa-caffè per riflettere su se stessi una o più volte al giorno, non servono monasteri. È necessario spezzettare questa pratica. Perché non dedicarmi un minuto? Prendere del tempo per sé è una rivoluzione. Dico a me stesso che sono pronto ad accogliermi come sono e a sospendere il giudizio. Quanti di noi sono nemici accaniti di se stessi, e si vergognano?  Bisogna cercare di perdonarsi non in modo passivo, ma propositivo, con la volontà di migliorarsi.  Posso trasformarmi e diventare più consapevole».

Sessanta secondi che possono essere vissuti o divorati senza rendersene conto, ma che, se veniamo lasciati da soli, con niente altro che il nostro respiro, possono essere lunghissimi. Un periodo di tempo chiave per qualsiasi disciplina di meditazione, yoga o mindfulness: l’unità di misura su cui costruire la propria consapevolezza. Basti pensare a quante cose si possono fare in un minuto o anche meno. È più grande dell’istante necessario per fare accadere qualcosa come: «prendere una decisione, scegliere una strada, sorridere, ringraziare, scusarsi oppure scivolare su una buccia di banana, dire una parola sbagliata, compiere un movimento inadeguato».

Iniziando la pratica OMM potrai restare in silenzio con il tuo respiro per un intero minuto e, grazie a esso, scoprire che puoi vivere un'altra dimensione e imparare a costruire un Nuovo Te Stesso.
Nell’era in cui tutti sono costantemente interconnessi, il grande paradosso è che è sempre più difficile trovare un momento, anche solo un minuto, per stare con noi stessi e chiederci: “Ma chi sono io? Che cosa voglio davvero?”  Se fuggi continuamente da queste domande, fuggi continuamente dalla vita. Il rimuginare sul passato e l’ansia per il futuro occupano così tanto spazio nella nostra mente e così tanto tempo nella nostra vita che perdiamo di vista ciò che conta davvero: il momento presente.
E così, passiamo una vita a perderci la vita che è adesso, qui e ora, in questo preciso istante. Ecco qual è la causa primaria del tuo stress e della tua perenne insoddisfazione.

La soluzione per l'autore è OMM che significa dare più vita ai tuoi giorni. Vivere in modo più consapevole. Vivere appassionatamente. OMM è questo momento, OMM è accogliere te stesso per come sei, OMM è non giudicarti, OMM è perdonarti, OMM è migliorarti, OMM è trasformarti, OMM è sapere che sei qui ora e questa è la cosa più importante.  OMM è una tecnica molto semplice che riprende alcune delle pratiche, idee, metodi e strumenti più complessi e millenari riguardanti lo sviluppo dell’uomo, rendendoli concreti e accessibili a tutti.

La meditazione ti permette di sospendere la risposta automatica che ti fa reagire negativamente a tutto ciò che crea stress e ansia, producendo uno spazio al tuo interno in cui puoi comprendere meglio te stesso, le persone e gli eventi.
Imparando a meditare ottieni un aumento della concentrazione, della produttività e creatività, riduzione di ansia, depressione e rabbia, incremento dell’intelligenza emotiva. Ma la meditazione è veramente straordinaria per tre motivi principali. Praticandola, impari a:

  •     ascoltare te stesso;
  •     capire meglio chi sei e quali sono le tue aspirazioni;
  •     godere pienamente della vita.

Meditare non è chiudere gli occhi. Meditare è aprire gli occhi.” - Patrizio Paoletti

--- La Fondazione Patrizio Paoletti è un Ente di Ricerca No Profit nato ad Assisi nel 2000 per volontà di Patrizio Paoletti e di un gruppo di ricercatori, pedagogisti, psicologi, sociologi, medici e imprenditori. La Fondazione realizza i propri programmi di ricerca ed i progetti pedagogici grazie al sostegno di oltre 100.000 persone per raggiungere un unico scopo: permettere ad ogni persona di entrare in contatto con il proprio immenso potenziale. Da oltre ventanni la Fondazione studia il funzionamento dell'uomo con una ricerca interdisciplinare: neuroscientifica, psicologica, educativa, didattica e sociale."    Indirizzo: Via Nazionale, 230 - Roma, tel: 06 808 2599  sito: https://fondazionepatriziopaoletti.org/

sabato 18 febbraio 2023

Riflessioni sullo yoga

Lo yoga non è un'attività fisica, questa associazione è assolutamente sbagliata! L'hatha yoga può, ovviamente, essere utilizzato anche solo come esercizio fisico, ma questo non è il suo vero vantaggio. Lo yoga può andare molto in profondità e toccare l'anima di un praticante. Se lo yoga è praticato adeguatamente, per un lungo periodo di tempo, il sistema nervoso viene purificato e quindi viene purificata anche la mente. Ci sono così tante diverse pratiche yoga e tutti pensano e dicono di praticarlo nel modo giusto. Come può essere il modo giusto se non produce un qualche cambiamento nelle persone, se non risveglia una qualche energia nei praticanti?  Solo i maestri severi, esigenti, duri insegnano l'intensità della pratica che porta a grandi trasformazioni negli allievi. Questo modo di procedere è ampiamente affermato anche nei testi classici dello yoga. L'accondiscendenza, lo scarso impegno, non sono la via dello yoga tradizionale. Ma forse questo metodo non è facilmente commercializzabile. Spesso i veri maestri trattano male gli allievi per scuoterli dal loro torpore, e questo rientra nella normale relazione di guru-sisya [maestro-discepolo].  Usando tutti i mezzi a sua disposizione, un grande maestro, insegna allo studente come raggiungere il livello di successo che lui stesso ha raggiunto.

Ma lo yoga è anche una relazione, non un movimento di massa. È una relazione uno a uno tra due persone (un maestro e un discepolo) e non un rapporto commerciale. Ciò che sta accadendo in Occidente è un'ampia generalizzazione e trasmissione dell'insegnamento e, purtroppo, i contatti personali sono scarsi. E i praticanti dovrebbero rivalorizzare le relazioni personali.

Il praticante deve lavorare molto duramente e dimostrare qualità di sincerità, onestà e virtù. È responsabilità degli esseri umani muoversi e agire in modo veramente onorevole e, come diceva Patanjali, sviluppare le qualità di gentilezza, compassione, gioia e amore infinito. Quando incarniamo queste quattro qualità, iniziamo ad avvicinarci alla strada per evolvere.

Molte persone hanno perso la fiducia in se stesse, la loro forza e lo yoga fa ri-emergere questi aspetti, li rende nuovamente forti. Il risveglio di questa fiducia interiore nella propria forza è uno dei benfici dello yoga. Attraverso lo studio di sé e l'autocritica, lo yogi sviluppa la propria intelligenza e impara a discernere tra ciò che è reale e ciò che non lo è.  Lo yoga mette in relazione la respirazione e i movimenti fisici. Ogni postura è collegata a una certa sequenza respiratoria. Ciò mantiene aperti i flussi di energia e previene il ristagno di energia nel corpo. Lo yoga purifica il corpo, il sistema nervoso e sviluppa un campo energetico positivo. Gli asana fungono da ponte per unire il corpo con lo spirito e lo spirito con l'anima. Praticare asana e pranayama insegna a controllare il corpo e i sensi, in modo da poter sperimentare la luce interiore, il proprio Sé.

Tutte le nostre differenze e predisposizioni mentali sono limitate dal tempo e dallo spazio, ma quando restiamo al centro del nostro essere, del nostro infinito potenziale, ci svegliamo con una coscienza universale, allargata e non più limitata dalla nostra identificazione. Questa coscienza non ha forma e tuttavia si riflette nel nostro corpo e nella nostra mente come un campo di energia.

Devo confessare, lo yoga è diventato una dipendenza per me, seppure una buona dipendenza. Mi sento male se non faccio la mia pratica o se non medito. Penso che quello che sono oggi lo devo, in buona parte, allo yoga.  Penso che lo yoga risvegli una potente energia nelle persone, un qualcosa di bello che le sostiene dall'interno e ciò permette alla natura umana di rivelarsi. Finché ci sono ardenti ricercatori e praticanti, sono sicuro che la bellezza dello yoga sopravviverà.  

I libri fondamentali per comprendere lo yoga sono: la Baghavad Gita, gli Yoga Sutra di Patanjali, le Upanishad, le varie opere sul Vedanta, il Samkhya,  lo Yoga Karika, lo Yoga Vasishta, lo Yoga Yajnavalkya e i testi classici dello yoga tantrico: Hatha-yoga pradipika, Gheranda samhita e Shiva samhita. 

  • Lo yoga è una delle sei darsana (scuole di pensiero filosofiche) che si contrappongono a quella classica e ortodossa dei Veda (testi sacri) legata a credenze e rituali. Lo yoga si fonda sul testo  Samkhya karika, un testo molto antico, che esordisce con una domanda ben precisa: quali sono le cause della sofferenza umana? Un testo complesso e articolato ma che fornisce un’idea chiara, della causa della sofferenza: la nostra mente e le sue fluttuazioni.

    Secondo questo testo lo yoga può essere la via verso un perfetto equilibrio tra mente e corpo, tra materia e spirito. Lo yoga ha il potere sull’acquietamento della mente. La concentrazione deriva dalla pratica costante e disciplinata. Lo yoga permette, a chi lo pratica in maniera assidua, con disciplina e fervore (tapas), di annullare i vortici mentali, i chitta vritti, i nostri onnipresenti rimuginamenti mentali, che sono la causa, insieme ad altri fattori (secondo la filosofia yoga) della perenne instabilità emotiva umana e quindi della sofferenza.

    Un vero praticante yoga deve prima cambiare il proprio modo di essere, se non vuole che lo yoga resti una mera pratica di stretching. Una volta modificato il nostro modo di porci verso gli altri e verso noi stessi, che sono i primi due concetti dell’ashtanga yoga espressi da Patanjali, allora potremmo realmente comprendere l’essenza della  pratica dello yoga.

  • Lo Yoga Vasishta o Yogavāsiṣṭha è un testo di filosofia indiana āstika (il termine significa colui che crede nell'esistenza di un Sé/Anima o Brahman) scritto fra il VI - VII secolo ed il XII secolo. Il testo è scritto sotto forma di dialogo fra Vasishta ed il giovane principe Rāma.  Secondo la classificazione tradizionale, le Scuole filosofiche indiane sono ripartibili in due grandi categorie, rispettivamente note come astika (ortodossa) e nastika (eterodossa).
    In senso moderno questi due termini significano rispettivamente teistico e ateo, mentre nel linguaggio filosofico tradizionale astika indica chi crede nei Veda e anche chi ha fede nella vita dopo la morte; il termine nastika viceversa , designa soprattutto il rifiuto dell’autorità dei Veda.
    Il gruppo astika comprende i sei principali sistemi di pensiero o darshana: Nyaya (logica), Vaisheshika (fisica), Samkhya (filosofia), Yoga (psicologia), Karma Nimansa (ritualistica) e Vedanta (teologia). Il secondo gruppo, quello nastika, comprende i tre sistemi filosofici denominati Carvaka, Bauddha e Jaina. Nella tradizione antico-indiana ogni scienza non viene considerata come una disciplina a sé stante ma strettamente collegata a tutte le altre in un progetto globale, organico ed integrato di apprendimento e di educazione, volto alla crescita dell'essere su tutti i piani antropologici. La psicologia indiana è saldamente connessa alla filosofia indiana, si basa quindi su fondamenta costituite da profonde verità eterne riguardanti la natura della realtà, lo scopo ultimo dell'esistenza umana e i problemi esistenziali che da sempre hanno interessato l'uomo. 

  • Lo Yoga Yajnavalkya è un scritto sotto forma di un dialogo maschio-femmina tra il saggio Yajnavalkya e Gargi. “Lo yoga di Yājñavalkya  ci permette di conoscere il modo in cui lo yoga era vissuto e praticato in India intorno al x°secolo. Il trattato sviluppa tutti gli elementi che Patañjali aveva proposto molti secoli prima;  vi troviamo un’esposizione precisa del prānāyāma in quanto tecnica respiratoria che tiene in considerazione prāna e āpana con l’indicazione anche del celebre ritmo 1.4.2.1 e l’introduzione di un mantra. Altra originalità del testo è che esso esprime in modo perfetto lo spirito brahmanico dell’epoca, in particolare nell’insistere sulla mistica devozionale ed, al contempo introduce in modo elaborato, concetti celebri come quelli di kundalinī, di agni, di chakra e di nādī che verranno poi ripresi, molti secoli più tardi. Yājnavalkaya viene considerato come uno dei più importanti maestri dell’insegnamento vedico sia rispetto a jñāna (la conoscenza) che rispetto a karma  (l’azione).

Sankalpa

Sankalpa è una parola sanscrita che letteralmente significa proposito, desiderio o più specificatamente intenzione, ed è la convinzione di poter realizzare ciò che la mente si propone. Kalpa significa voto o promessa, e dovrebbe essere la regola da seguire sopra qualsiasi altra. San si riferisce alla priorità, con tutto l’impegno possibile. È una pratica molto interessante. Dovete pensare come ad un'idea, che si forma nella mente e prende dimora – e forza – nel cuore.

Una delle pratiche a cui viene più accostato il Sankalpa è lo Yoga Nidra, dato che permette di andare molto in profondità nella psiche, al di là della mente. Ma un Sankalpa è una intenzione, che può essere fatta anche prima di qualsiasi sadhana o all’inizio di qualsiasi pratica yogica, prima della meditazione. Esprimere un sankalpa è avere l'intenzione di trasformare la propria vita fisicamente, mentalmente, emotivamente e spiritualmente. Quando il sankalpa è praticato su una mente calma e rilassata, piantiamo un seme  a livello profondo del nostro essere sapendo che quando sarà il momento giusto sarà realizzato.  Possiamo dire che ci sono due tipi di sankalpa:

  • Il primo è una intenzione fissata nel presente, come ‘Io sono in pace con me stesso,’ o ‘Io sono guarito.’ Questo ci permette di attuare da subito il cambiamento che desideriamo e sostenere la nostra pratica e la nostra vita.
  • Il secondo tipo di sankalpa possiamo intenderlo come il formulare una specifica intenzione o obiettivo, che vogliamo raggiungere entro un lasso di tempo stabilito. Un Sankalpa molto nobile potrebbe essere una intenzione sul cammino spirituale.  Nei veda è sottolineato come siamo noi a creare il nostro mondo tramite la mente.
Il cervello diviso in 7 aree, il numero 7 è molto ricorrente nella natura e nell’Occidente, il corpo cambia cellule ogni 7 anni, 7 sono i chakra o centri energetici, la luce del sole passa attraverso un prisma, e si decompone in 7 colori (l’iride), ecc. Nell'Ayurveda, la medicina tradizionale indiana, ci sono sette punti di pressione chiamati Marma, che significa 'vulnerabile', 'sensibile'.

La prima area del cervello è correlata alla funzione discriminativa, la seconda è l'area della concentrazione, qui e ora, quando attivo troppo questa area vado nel futuro, l’area n’ 3 è l’area creativa, quando è iper funzionante non si ha contatto con la realtà (come gli artisti); l’area n’ 4 rappresenta la coscienza collettiva, l'area n’ 5 rappresenta il nostro contatto con il sub inconscio. L'Illuminazione è il potenziamento di queste aree per portarsi il più vicino possibile alla vera realtà.
Nello yoga ci sono molte pratiche per armonizzare queste parti del cervello e per conciliare l’emisfero destro del cervello (femminile), più incline alla emozionalità, all'emisfero sinistro legato alla razionalità (maschile), e avere così una persona equilibrata. Il cervello è come un prisma che trasforma la coscienza. Con la meditazione e lo yoga l'essere umano si avvicina alla sua vera natura, alla vera realtà  e capirà che vive in una illusione, che niente gli appartiene, nemmeno l’aria.  
Gli esercizi di pranayama  (come anuloma viloma kriya) e la respirazione a narici alternata servono a potenziare e riequilibrare le due aree del cervello, i due emisferi. L'inspirazione è una forma di alimentazione base, l'espirazione è una forma di eliminazione, potreste farlo anche senza usare le dita, in padmasana inspirando con i palmi delle mani aperte. Trattenendo potenzio il cervello, poi espiro dall’altra parte poggiando la mano a terra. Con il pranayama e la respirazione posso indirizzare l’energia dove voglio. 
Inspirate 9, 18, 27 volte mantenete la stessa attenzione in tutte le parti, inspirate energia e positività, con l'espirazione vengono eliminati i problemi relativi alle varie aree.

Perché meditare - Mauro Bergonzi

Appunti presi durante gli incontri di ‘condivisione dell’essere’ (sat-sang) organizzati da Mauro Bergonzi.  Mauro Bergonzi è docente di “Religioni e Filosofie dell’India” presso l’Università degli Studi di Napoli “L’Orientale” e socio ordinario della International Association for Analytical Psychology (I.A.A.P.) e del Centro Italiano di Psicologia Analitica(C.I.P.A.). Ha pubblicato articoli e saggi sui processi meditativi nel buddhismo antico, sulla psicologia del misticismo, sul simbolismo religioso, sull’incontro tra Oriente religioso e Occidente contemporaneo e sul dialogo interculturale fra psicologie sapienziali orientali e psicologia occidentale. .

Quando una persona inizia una pratica di meditazione,  deve sapere quale scopo e quale risultato vuole ottenere. Ad esempio nelle pratiche buddhiste, si vuole arrivare ad una quiete e una visione profonda delle cose. Occorre quindi scegliere una pratica per ottenere risultati specifici e praticare assiduamente. Il primo obiettivo della meditazione è arrivare ad una quieta profonda, all’armonia corpo e mente, al risveglio delle energie. Il secondo obiettivo è quello di arrivare al risveglio o alla liberazione, mettersi sul cammino della felicità stabile, incoraggiati dalle persone che hanno sperimentato questo stato. Quando nasciamo, siamo gettati nella vita, proveniamo dal buio e ci troviamo nella luce, ci sentiamo piccoli, fragili, incompleti, cerchiamo la totalità (Dio, l'assoluto, il vero sé).  Ma se il tutto è tutto, come potrebbe non essere già qua?  Questa ricerca rinforza una visione illusoria, posso dire che non so che cosa è il tutto, ma posso asserire con sicurezza che sta già qua. È come la storia della signora che cerca la collana, la cerca dappertutto, ma non l’ha mai persa, in quanto si trova intorno al suo collo. La ricerca è l’ostacolo per trovare ciò che si sta cercando, in quanto noi ci percepiamo come qualcosa di separato dal tutto. Cerco fino a quando non trovo; nella meditazione cerco fino a quando non collasso, ma se non è già qui, non è quello che cerchiamo.

Il piacere della pace profonda, è uno stato costruito della mente, e quindi prima o poi se ne andrà. Si cerca di stare in questo stato finché dura, ma tutto ciò che nasce muore, non c’è eccezione nella natura, se possiamo raggiungere la liberazione possiamo anche perderla. La meditazione è quindi una caccia al tesoro, come il diamante che viene scoperto in tasca, dopo aver fatto varie tappe ed essere ritornati alla casa di partenza, e constato che durante tutto il percorso era già in nostro possesso.

Tony Parsons, uno dei teorici del non dualismo, racconta la storia del monaco che copiava manoscritti, ad un certo punto ha un dubbio su una frase che trova su un manoscritto, va a cercare l’originale e scopre che la parola celibato era stata sostituita con celebrare, quindi scopre che nella vita non bisogna adottare il celibato ma celebrare la vita. La meditazione è la celebrazione della vita, la vita può essere celebrata in diversi modi: con un atto di amore, con una passeggiata nella natura ecc. La meditazione è la celebrazione della vita, l’esplosione della vita nel silenzio.  L’universo o non ha scopo oppure è una danza e un gioco. La vita non si può evitare, la vita è un dato innegabile e sapere di esserci è un fatto incredibile.

La meditazione è un optional, un ornamento per esaltare la vita, è un modo per coprire la nostra nudità. Durante la pratica spirituale occorre decostruire, togliere, smantellare tutti i meccanismi e condizionamenti che ci fanno soffrire. La contemplazione non porta a niente, la meditazione è uno spazio maggiore alla ricettività, ma non aiuta a decostruire l’io. E’ necessaria l’accettazione, puoi arrivare alla comprensione dell’io come costruzione, ma non hai il potere di mostralo ad altri.


Sito http://www.consapevol-mente.it/mauro-bergonzi/     Bergma@libero.it

 Bibliografia

  •  1) “Mandala buddhista e vista simbolica”, Conoscenza religiosa n.1-2 (1979), pp. 174-193.
  •  2) “Osservazioni su samata e vipassanā nel buddhismo theravāda”, Rivista degli Studi Orientali, vol. LIV, fasc. I-II e III-IV (1980), pp. 143-170 e 327-357.
  •  3) Inchiesta sul nuovo misticismo, Roma-Bari 1980 (ed. Laterza).
  •  4) “Il buddhismo in Occidente”, in H.-Ch. Puech (a cura di), Storia del Buddhismo, Roma-Bari 1984 (ed. Laterza), pp. 305-396.
  •  5) "Riflessioni su buddhismo e Occidente contemporaneo", La Critica Sociologica, n°111-112 (ottobre 1994 - febbraio 1995), pp.85-101.
  •  6) "I tre risvegli del Buddha", Atti della Giornata di Studio: "Psicologia e Meditazione: Consapevolezza, Discriminazione, Ascolto. Tre Vie di Accesso al Transpersonale, Torino 1997, pp.14-22.
  •  7) "Adattamento e istinto spirituale", Studi Junghiani 5/6, vol. 3, n. 1/2 (Gennaio-Dicembre 1997), pp.89-92.
  •  8) "La consapevolezza fra psicologia del profondo e meditazione orientale", In/Formazione. Psicologia, psicoterapia, psichiatria, n° 34-35 (maggio 1998 - marzo 1999), pp.6-27).
  • 9) "L'atteggiamento transpersonale", Studi Junghiani 10, vol. 5. n. 2 (luglio-dicembre 1999), pp.91-110.
  •  10) “Prassi psicoanalitica e prassi meditativa orientale: un confronto interculturale”, in Atti del Convegno: “Crisi del freudismo e prospettive della scienza dell’uomo”, Roma 2000 (Nuove edizioni romane), pp. 25-38.
  •  11) “Riflessioni sulla morte nell’India religiosa”, in Aa.Vv. (a cura di L. Crozzoli Aite), Sarà così lasciare la vita?, Milano 2001 (Ed. Paoline), pp. 215-227.
  •  12) “Il Sé come fattore di salute e guarigione”, Studi Junghiani 13, vol. 7. n. 1 (gennaio-giugno 2001),
  •  13) “La dimensione soteriologica nel pensiero filosofico-religioso indiano”, in AA.VV. (a cura di G. D’Erme), Fedi e culture oltre il Dio di Abramo, Napoli (Ed. Guida), 2003, pp.169-183.
  •  14) “Comparatismi e dialogo interculturale fra filosofia occidentale e pensiero indiano”, in Maria Donzelli (a cura di),Comparatismi e filosofia, Liguori Editore, Napoli 2006, pp. 262-295.
  •  15) “Riflessioni sulla psicologia del misticismo”, in R. Conforti e G. Scalera McClintock (a cura di), La mente e l’estasi, Rubbettino, Soveria Mannelli 2010, pp. 221-297
  •  16) “Psicoanalisi e meditazione orientale. Una prospettiva interculturale”, in Cloe Taddei Ferretti (a cura di), Scienza cognitiva. Un approccio interdisciplinare, Il Pozzo di Giacobbe, Trapani, 2011, pp. 291-331.
  •  17) Il sorriso segreto dell’essere, Milano 2011 (Mondadori).

La meditazione - Mauro Bergonzi

Mauro Bergonzi ha insegnato Religioni e Filosofie dell’India e Psicologia Generale all’Università degli Studi di Napoli “L’Orientale” dal 1985 al 2017. E’ membro della International Association for Analytical Psychology (I.A.A.P.) e del Centro Italiano di Psicologia Analitica (C.I.P.A.). Ha pubblicato articoli e saggi sui processi meditativi nel buddhismo antico, sulla psicologia del misticismo, sul simbolismo religioso, sull’incontro tra Oriente religioso e Occidente contemporaneo e sul dialogo interculturale fra psicologie sapienziali orientali e psicologia occidentale. A partire dagli anni ’70, ha praticato varie forme di meditazione con uno spirito libero da dogmi e adesioni confessionali, approdando infine ad una prospettiva non-dualista, che da diversi anni trasmette attraverso i suoi incontri di ‘condivisione dell’essere’ (sat-sang).  Sito:  http://www.consapevol-mente.it/mauro-bergonzi/

Appunti presi durante gli incontri di ‘condivisione dell’essere’ (sat-sang). 

Bergonzi comincia ad illustrare che cosa è la meditazione usando il seguente racconto: "Un leoncino viene adottato da un contadino e viene usato insieme agli altri asini per trasportare varie cose e come questi si abitua a mangiare erba. Un giorno arriva un possente leone, gli asini scappano, così pure il leoncino, il leone riesce a prendere il leoncino, lo porta al fiume, lo fa specchiare nel fiume e il leoncino scoprendo la sua vera natura ruggisce". La meditazione è proprio questo: il fermarsi a guardare la nostra immagine riflessa e scoprire la nostra vera natura.  La nostra natura non scompare, il nostro vero sé è già lì ed è un punto fisso. Quello che noi vediamo nella quotidianità, quello che crediamo di essere è la molteplicità in movimento.  Spesso nel nostro cammino spirituale cerchiamo un maestro (un possente leone) e non ci accorgiamo che tra noi e il maestro non c’è nessuna differenza, solo una diversa consapevolezza. Se si vive il rapporto con il maestro, come una differenza, abbiamo perso in partenza.

Quello che viviamo nella quotidianità è la molteplicità in movimento, e spesso l’instabilità ci indebolisce, siamo dilaniati da un conflitto diacronico nel tempo tra ciò che siamo e ciò che vorremmo essere con un consumo enorme di energia.  Dietro a colori, suoni, sensazioni e ricordi comunque c’è sempre un io, ma quando provo ad osservare questa costante, che è la nostra visione del mondo, il nostro sé, la sensazione sfugge perché questa costante non si può osservare, in quanto la costante è l’osservatore con il suo sguardo sul mondo. L’osservatore guarda attraverso la coscienza consapevole che la mente del resto non può afferrare.

Con la meditazione si può arrivare ad un momento di silenzio e a rallentare. E quando si rallenta, si rallenta, gli oggetti a poco a poco scompaiono, e si a rriva ad un punto in cui non ci sono più oggetti ed è più facile identificare la coscienza consapevole, manifestare la vera natura (ruggire), e prendere coscienza di essere sempre stati un leone. Poi al risveglio le forme si rimettono in movimento ed è irrilevante ciò che credo di essere. La differenza tra il risvegliato (l’illuminato, il possente leone) e il non risvegliato (il non illuminato, il leoncino) è che il non risvegliato crede che ci sia ancora una differenza tra di loro.  Nella meditazione c’è l’erronea percezione di poter disciplinarsi, di poter gestire il processo del rallentamento; ma non è così, le cose ad un certo punto accadono e non sei più in grado di gestirle, tutto collassa e ti trovi in un’altra dimensione, in un’altra modalità percettiva e la stanza dove stai meditando non è più una stanza.

 Lo scopo della meditazione è quello di trovare un'armonia corpo mente, di coltivare stati di quiete profonda, essere in armonia con la realtà.  Il primo passo nel cammino della meditazione è la meditazione sul respiro o su un punto tra le sopracciglia, ed è basata sulla concentrazione, un focalizzarsi su un oggetto, in questo caso aumenteranno i sintomi di irrequietezza (deglutire, distrarsi, ecc) poi la mente proverà il gusto della quiete. Il passaggio successivo sarà la concentrazione su un oggetto.

Per ottenere uno stato di quiete profonda occorre: 1) essere in una situazione non conflittuale, 2) meditare per un periodo di tempo lungo, 3) vivere in una situazione particolare, 4) essere guidato da un maestro, 5) star bene fisicamente, 6) non preoccuparsi della quotidianità, 7) la mente del meditante, deve cercare la quiete ed evitare distrazioni. L'iniziazione con un guru crea una implicazione emotiva e può essere la situazione ideale. Il risultato non è condizionato dal tipo di pratica,  il tipo di pratica viene scelto in funzione della propria personalità e i propri interessi.

Favoletta Taoista: "Un uomo ricco viveva al Cairo, ereditò una fortuna ma cedette tutti i suoi beni ai suoi amici, e gli restò soltanto una casa con una veranda, una palma e vicino un pozzo. Una notte sogno il volto di un uomo che emergeva dall’acqua con in bocca una moneta che gli diceva “se vuoi trovare un tesoro, devi andare a Isfarn una città distante dal Cairo e lì sotto gli archi della città troverai indicazioni per un tesoro. L’uomo parte arriva la sera stremato e si sistema per la notte a dormire sotto gli archi, dove dormono anche ladri, borseggiatori ecc,  La polizia fa una retata e dopo avergli dato diverse manganellate lo portano in questura. Qui il commissario lo interroga e ascolta divertita la sua storia, e allora gli rivela “anch’io tutte le sere sogno che qualcuno mi indica di andare al Cairo ed in una casa con la veranda troverò un tesoro in un pozzo vicino ad una palma” ma non è che io vado al Cairo per questo….”  L’uomo capisce il messaggio, ritorna al Cairo e dentro il pozzo trova il tesoro.  Il tesoro ce l’abbiamo in casa, ma spesso in certe situazioni dobbiamo fare un viaggio e poi, semplicemente, ti ritrovi a casa con una maggiore consapevolezza. Applicata alla meditazione questa storiella indica che spesso la meditazione è inutile ma in certi casi occorre seguire questo percorso per arrivare all’illuminazione.

La meditazione è un invito per riconoscere la presenza. Quando le idee collassano, in quel momento, in quel NON tempo, tutto sparisce, e la separazione scompare,  e si manifesta l’amore.

La versione non dualista ti obbliga a stare nella vita. Quale è il ruolo della volontà? Esiste il bene o il male?  Nel mondo delle manifestazioni non dualistiche, le onde oscillano da un punto all’altro e così le vibrazioni.  Il linguaggio separa, è fatto di pieni e vuoti, le frasi separano un opposto dall’altro. Caldo freddo, bene male, ci alleniamo con il bene e speriamo di annientare il male. Gli opposti sono tracciati come linee nella nostra mente, quando traccio un angolo concavo su una lavagna mi ritrovo anche l’angolo convesso.

L’esistenza oscilla tra il momento in cui si vive una coscienza cosmica o si vive un io separato. La dualità è l’essenza della falsità, la realtà è un’infinità di differenze ma non c’è separazione tra l’io e il mondo.  La meditazione è un invito alla non dualità, permette di sperimentare che esserci e essere cosciente sono una unica cosa.

Quando la mente è in stato di galleggiamento spensierato, le idee collassano, in quel momento, in quel NON tempo, tutto sparisce, e la separazione scompare, l’io e il mondo diventano una sola cosa, l’io che abbiamo costruito scompare.  Queste esperienze di sperimentazione del Tutto, della non separazione, della non localizzazione avvengono anche nella quotidianità come ad esempio al mare, di fronte ad un tramonto, ad un concerto.  La mente è in stato di galleggiamento spensierato, fuori dal tempo, e in quello stato la coscienza dell’io scompare. La dualità è l’essenza della falsità, nella realtà infinità di differenze non c’è separazione.

Gesù e il Diavolo stavano parlando, quando videro un uomo che si chinava per raccogliere qualcosa, Gesù disse “ha trovato la verità”, Il diavolo rispose “Bene, allora  potrò così organizzare la verità e creare una  nuova religione, dei riti ecc".

Spesso l’ostacolo a questa esperienza è proprio la ricerca di una tecnica e di un metodo. Il suggerimento è quello di Non cercare di razionalizzare, e di vivere la vita con leggerezza ed allegria, come rappresentata da Shiva nataraja la vita è una danza.

Meditazione 2 - Mauro Bergonzi

Appunti presi durante gli incontri di ‘condivisione dell’essere’ (sat-sang) organizzati da Mauro Bergonzi. Mauro Bergonzi è docente di “Religioni e Filosofie dell’India” presso l’Università degli Studi di Napoli “L’Orientale” e socio ordinario della International Association for Analytical Psychology (I.A.A.P.) e del Centro Italiano di Psicologia Analitica(C.I.P.A.). Ha pubblicato articoli e saggi sui processi meditativi nel buddhismo antico, sulla psicologia del misticismo, sul simbolismo religioso, sull’incontro tra Oriente religioso e Occidente contemporaneo e sul dialogo interculturale fra psicologie sapienziali orientali e psicologia occidentale.

La parola meditazione, dal latino meditare, ha origine indoeuropea, significa Man, ossia misurare con il pensiero; meditare in latino è collegato a mentire, la radice Ma significa misurare, madre, maya, metro, matrice.  Il costruttivismo, è un'esperienza costruita dalla nostra mente, il nome è utile, ci dice a cosa serve un oggetto, con la Ma misuriamo la realtà che diventa una matrice (mappa) della realtà che poi viene scambiata per la realtà, La mente mente, la meditazione è la medicina della mente. La meditazione è una tecnica per tornare dallo stato artificiale (mente che mente) allo stato naturale.

Possiamo identificare tre tipi di meditazione:

  • su un oggetto specifico su cui meditare,  la mente è attratta naturalmente da un oggetto, occorre scegliere un oggetto come supporto meditativo, osservare solo quell’oggetto,  può essere anche una candela, una statua, un mantra ripetuto, il mantra funziona in automatico fino a diventare uno sfondo pervasivo della coscienza e porta pace, col tempo si ha una diminuzione del rumore interno, e diventa indistinguibile la mente dall'oggetto. In questo caso  inizia a svilupparsi una quiete, una voglia di rimanere in questa situazione ed  il resto diventa un disturbo. Se si arriva a questo livello si soffre meno, anche se arriva qualcosa a destabilizzare la mente. Il passaggio successivo è il passaggio dalla mente alla non mente, coltivando la quiete della mente, un processo unstressing per scaricare la tensione. Durante la meditazione, lo stress per la prima volta emerge in maniera pura ed è difficile da controllare. 
  • meditazione di consapevolezza aperta; non si sceglie nessun oggetto ma si pone l’attenzione su quello che emerge di volta in volta nel momento presente, è molto difficile perché si deve essere capaci di mollare l’oggetto su cui siamo concentrati per dedicarci ad un altro più preponderante, fino a raggiungere lo stato di quiete profonda mentale. Nella pratica di consapevolezza aperta non c’è preferenza tra mente quieta e mente agitata.  E' un'esperienze di flusso, dove la realtà compare e scompare.Si può comparare questo tipo di tecnica ad un guardiano sulla soglia del cancello della città.
  • esperienze vibrazionali quando si medita sulle energie, lasciando lavorare le energie positive del corpo, è qualcosa di esperienziale che ha degli effetti anche fisici. Un esempio di questo tipo di meditazione è il Tibao. Il Tibao si può fare in piedi, seduti e sdraiati, durante la pratica la mente galleggia, l’energia si muove, si cerca di sintonizzarsi con uno spensierato galleggiamento.

Cosa si vuole ottenere dalla meditazione?  Coltivare la quiete, far interagire mente e corpo, acquisire maggiore energie, sviluppare il silenzio, sviluppare l’attenzione in azione, vivere meglio nel quotidiano, raggiungere uno stato profondo di beatitudine. La meditazione non ci può dare la felicità con la F maiuscola, può ridurre la sofferenza, si possono ottenere dei vantaggi, ma i vantaggi che raggiungeremo li perderemo.  Esempio del lama tibetano che ha creato Pomaya, devastato dal tumore dopo 40 anni di meditazione si sentiva come foglia al vento.

Dovremmo iniziare ad investigare su ciò che non cambia mai attraverso le varie esperienze, e perché quindi preoccuparci di ciò che va e viene?

Si inizia la meditazione per ottenere la pace, il controllo delle energie utilizzando tecniche diverse. Ma occorre sapere che non ci sono tecniche per raggiunge la liberazione, a volte accade. 

Esistono altri due tipi di meditazione:  sull’oggetto e sul soggetto (ad esempio l'investigazione sul sé nel buddhismo). Secondo Maharishi, si deve indagare sul chi medita (ed è più importante), in quel caso l’attenzione dall’oggetto si orienta sul soggetto, e la  mente ritorna all’interno. Lo stesso avviene nella pratica di meditazione nello Zen, in questo tipo di pratica si deve volgere la luce dell'attenzione all’interno (rotazione a 180 gradi dell’attenzione).

Nisargadattha e Ramakrisna posero spesso la domanda "Chi sono io?"  In questo caso occorre passare dall’attenzione sugli oggetti all'attenzione sull’io sono, il pensiero dell'io sono fa sparire tutti gli altri pensieri. Concentrarsi sul pensiero "io sono" non indica nient’altro che l’esserci (quello che c’è sempre), il foglio dietro le parole, un abisso di meraviglia che può essere assaporato in qualsiasi momento della vita quotidiana.  Dobbiamo lasciare andare l’io sono. Entrare nella nube del non sapere per andare oltre il pensiero e distruggere il pensiero (questo è l'obiettivo degli indiani e dei tibetani ), o non pensare a niente (questo è l'obiettivo dei cinesi). Dobbiamo passare dalla mente distratta alla mente una, poi alla non mente.

La tecnica consiste nel lasciare andare l’oggetto percepito, cercare di percepire il vuoto e poi spostare l’accento su chi percepisce il vuoto. L’investigazione è una pratica ma ci si muove nell’ottica dell’io separato e limitato. Occorre utilizzare dei metodi o tecniche come la meditazione per superare la separazione.

Le pratiche meditative possono muoversi  nella orizzontalità per aiutarci a gestire il dolore (se muore un coniuge, genitore o figlio) imparando qualcosa di nuovo e migliorarsi; questo ci aiuta eliminare tanta sofferenza. Oppure nella verticalità di ciò che siamo, l'apparenza di un io separato è reale come è illusorio che l’io sia veramente separato, la percezione della separazione dell’io separato non altera ciò che lo percepisce. L’io separato che cerca il tutto è un gioco che porta sofferenza.

Un discepolo su un greto del fiume chiede al maestro che siede sull’altra sponda: “come si fa a raggiungere l’altra sponda?” Il maestro rispose “tu sei già sull’altra sponda”.

Io non sono un corpo che cambia, io sono quel quid che non cambia. Se scarto tutto quello che cambia, resta la coscienza di esserci, e l'esserci. Ma la tua coscienza può essere diversa dalla mia? In che cosa è diversa? La differenza può essere nella coscienza del corpo, mente, stato sociale, ecc. La luna che si manifesta in mille riflessi è la stessa luna (vedi la copertina del libro di Bergonzi Il sorriso segreto dell'Essere).

La coscienza di esserci abita tutto, Noi non siamo solo individualità, tu puoi vederti come onda o come mare, l’onda è attività dell’acqua, è mare. Ci sono infinite differenze, ma non reale separazione, il pensiero usato impropriamente crea dualismo, il pensiero viene dalla totalità, e quindi non può portare alla totalità, ci manca la semplicità.

Se io osservo vedo molteplicità in movimento, la costante è l’elemento che non muta, l’osservatore, la coscienza costante e invisibile.  Per percepire il cambiamento c’è bisogno di qualcosa che non cambi, la coscienza che percepisce è vuota e invisibile come lo spazio, quando oggetti molteplici si manifestano la coscienza diventa invisibile. Per definire la coscienza possiamo adottare la metafora dello spazio e del silenzio ( è lo sfondo dove il suono e le cose si manifestano). Quando non ci sono più oggetti è più facile percepire la coscienza (l'io sono).

La vera spiritualità è una forma radicale di democrazia. Ci sforziamo di diventare leoni e cerchiamo il "chi sono io". Ma se scartiamo tutto quello che cambia (corpo, sesso, nazionalità, età), si sgretola l'identità. Ad un certo punto il pensiero deve dire "non so", a quel punto tutto evapora, anche il tempo, resta solo esistenza e coscienza, il pensiero si abbandona, si lascia il filosofo e si scende al cuore e nasce il mistico. La coscienza è lo spazio dove tutto finisce, non si muove niente, non è nel tempo. La coscienza è il non esserci. Per Kant inseriamo le cose in griglie conoscitive di tempo e spazio. La coscienza accetta tutto senza alterarlo. Il libero arbitrio presuppone un io separato dagli altri.

Sei sicuro che esisti evidenza dell’esserci nasce il pensiero, il tempo appare all’interno dell’esperienza, la presenza è qui, e l’io separato va e viene.

L'attività del percepire è caratterizzata da esperienze che appaiono e scompaiono, Per percepire il movimento esterno ci vuole qualcosa che sta fuori. Non c’è una sola percezione che può apparire separatamente dalla coscienza. Quindi coscienza ed esperienza sono la stessa cosa. Io sono il mondo.

La coscienza è uno spazio senziente, una vivida presenza, la coscienza del dormiente crea il sogno, questa coscienza di qualcosa sparisce ogni notte nel sonno profondo. La coscienza se ne va con la morte. Coscienza in sé, è un fatto puro e semplice di essere cosciente. Per Nisargadatta, l'assenza di memoria non è prova di inesistenza. La coscienza è una funzione del cervello? Ma io chi sono in realtà? Il cervello non è la sola somma di neuroni, Da quando ero bambino ad oggi, c’ero e ci sono. Il mio essere cosciente in che cosa mi differenzia da un altro? Esperienze e le emozioni sono diverse ma non la coscienza. C’è una sola coscienza o molte coscienze?

Un sistema auto osservante è costretto a dividersi in due parti: in osservatore e osservato e quindi l’osservazione non sarà mai completa.  La coscienza è invisibile a se stessa, ma è l’unica cosa certa, coscienza e consapevolezza sono sinonimi. L'attenzione è invece diversa dalla coscienza. Per dare attenzione a qualcosa (per avere la coscienza di qualcosa) devi lasciare andare tutto il resto, il resto è sfondo. L’attenzione può esserci solo con la coscienza, la coscienza non puoi espanderla perché è già lì.

Il Monismo è un sistema filosofico, un modo di descrivere la realtà ed afferma l’uno e nega la molteplicità. Nel Non dualismo si afferma che esiste qualcosa che abbraccia tutto, l’uno e i molti, appaiono infinite differenze ma nessuna separazione. Bergonzi aderisce ad un Non dualismo radicale (ma non possiamo definirlo una filosofia). 

Con il pensiero non è possibile descrivere questa meraviglia, non è possibile rappresentare l’infinito, che è caratterizzato dalla famosa frase "Neti, Neti", non è nè questo, nè quello.

Sei sicuro di esserci? Si, quindi ho una consapevolezza concettuale. Se prima non ci sono io niente appare. Essere ed essere cosciente sono la stessa cosa, sono parti di uno stesso io, puoi essere cosciente dell’io sono, del pensiero che io sono. La coscienza è però universale. Absoluto, sciolto da tutto, il sé comprende l’io, il sé comprende il tutto, c’è una sospensione dell’io, il sé è irraggiungibile dall’io, le cose accadono anche senza l’io. Esperienza e realtà sono la stessa cosa?  E' indimostrabile che ci sia un’unica coscienza, quando dormi il mondo non c’è più ma per un altro esiste.

La coscienza è il cervello? E’ una funzione del cervello? La coscienza in sé non è possibile studiarla, è possibile studiare i contenuti della coscienza. La coscienza è un’emergenza del cervello, la coscienza è creata dal cervello, ma così si crea un loop epistemologico. Shrodering  pone le seguenti domande: Come è possibile che migliaia di cellule diano vita ad una sola coscienza?

La vita è corta, se non ha senso e significato che viviamo a fare? Allora cerchiamo delle risposte, le cerchiamo rivolgendoci alla mente, al pensiero. La mente per dare un senso alla vita ci racconta delle storie. Ogni storia ha un protagonista, ci dimentichiamo che le abbiamo inventate, è meglio una brutta storia che l’assenza di storie. Anche l’illuminazione è una storia, e l’illuminazione non può essere definitiva, tutto ciò che possiamo raggiungere poi muore, si perde. Questo è vero ma c’è un’unica eccezione: la liberazione (ci si convince che questa storia non andrà via).

Avidya significa non vedere, non vedere la nostra connessione con il tutto, il senso di qualcosa che è proiettato in qualcosa di più grande, l’universo.  Il movimento dell’universo è simile ad una danza ed un movimento senza finalità.

Solo coloro che hanno tempo per la sapienza dispongono del loro tempo. La solitudine è per lo spirito ciò che il cibo è per il corpo. Frequenta quelli che potranno renderti migliore, accogli quelli che tu potrai rendere migliori. Insegnando gli uomini imparano.   

sabato 11 febbraio 2023

La sintesi dello Yoga, la conoscenza integrale - Sri Aurobindo

 Dal testo La sintesi dello Yoga - Sri Aurobindo, II - Lo yoga della conoscenza integrale.

Tutte le ricerche spirituali muovono verso qualcuno o qualcosa di eterno, d'infinito, di assoluto che non è la realtà a cui siamo sensibili. Mirano a uno stato di conoscenza e ad una coscienza diversa e più elevata. Si deve abbandonare tutto ciò che è individuale e mondano per arrivare alla Verità assoluta e il solo oggetto di conoscenza spirituale è il supremo Sè o l'assoluto Nulla.  

Per giungere alla conoscenza del Sè è indispensabile una completa passività intellettuale, il potere di allontanare ogni pensiero; bisogna che la mente abbia il potere di non pensare, come descritto nella Gita. Solo quando la mente si fa immobile come un'acqua chiara e senza increspature scendendo nella purità di una perfetta pace, e l'anima trascende il pensiero, il Sè affiora nella pura essenza del nostro essere, sorgente e superamento di tutto il divenire. Solo nel silenzio completo si ode il Silenzio; solo in una pace assoluta si svela l'Essere.

In India la concentrazione implica il ritirarsi del pensiero da tutte le attività obbligandolo a concentrarsi sull'idea dell'Uno, per cui l'anima può elevarsi ed uscire dal mondo dei fenomeni per entrare nell'unica Realtà. Un valido aiuto alla concentrazione, secondo le Upanishad, è rappresentato dalla sillaba mistica AUM, le cui tre lettere rappresentano il Brahman nei tre gradi del suo stato (L'anima di veglia, di sogno e di sonno).  Colui che pratica il Raja yoga, la via regale, il metodo di disciplina spirituale che si serve del dominio della respirazione e dell'attività mentale, deve avere un grado elevato di purezza morale e spirituale. La concentrazione è il mezzo mediante il quale, l'anima individuale s'immedesima col Sè e questa unificazione col Divino è la condizione per raggiungere la conoscenza divina ed è il principio dello yoga della conoscenza. Il samadhi non è uno stato che ci permette di ritirarci dal mondo esteriore, ma una condizione che deve persistere anche quando siamo in stato di veglia.

Se la disciplina delle diverse parti del nostro essere, mediante la purificazione e la concentrazione, è il braccio destro dello yoga, la rinuncia ne è il braccio sinistro. La rinuncia è uno degli strumenti indispensabili per la nostra perfezione. L'attaccamento e il desiderio devono essere quindi interamente rifiutati. Non bisogno però rifiutare l'amore, tenderemo quindi ad un amore universale sereno ed intenso, oltre la passione. Uno dei più grossi ostacoli o resistenze è l'Ego. Dobbiamo scovarlo e portarlo alla luce per distruggerlo. L'altruismo e l'indifferenza sono i suoi travestimenti preferiti.

Lo scopo della Conoscenza è il ritrovamento del Sè, nostra vera esistenza. Il Sè è la realtà e l'universo una realtà del Sè, una realtà della coscienza del Sè e non solamente una formazione materiale, che tuttavia è reale.   Lo yoga della conoscenza per arrivare alla conoscenza del Sè ha messo a punto due metodi (pag. 55): il metodo negativo consiste nel ripetere continuamente "io non sono il corpo, la vita, la mente, i movimenti, i sensi e il pensiero". E il metodo positivo che consiste nel ripetersi "Io sono Quello, il puro , l'Eterno, il beato". Concentrandosi su questo saremo in grado di rinunciare all'esistenza individuale e al cosmo.

Per arrivare ad una vera relazione col Sè, il mezzo più semplice è separare Purusha e Prakriti. Il Purusha o anima deve ricordarsidella sua natura ed essere consapevole che il corpo non è che un'operazione di Prakriti e la mente, una volta disciplinata, imparerà ad avere un'attitudine corretta con il corpo fino ad arrivare a percepire il corpo come qualcosa di esterno e  separabile. La mente assume un sereno distacco. Nella sua ascesa l'anima deve non solamnete separarsi dalla vita nel corpo, ma anche dall'azione dell'energia vitale sulla mente. (Pag 69) Il Purusha dopo essersi servito della mente pensante per liberarsi dalla identificazione con la vita, col corpo e con la mente di desiderio, di sensazioni ed emozioni, chiuderà il circolo e affronterà la mente pensante dicendo "Non sono nemmeno questo". In questo modo si crea una divisione tra la mente che pensa e vuole, e la mente che osserva. Il Purusha diventa il semplice testimone.  Ma è necessario il silenzio, è nel silenzio e non nel pensiero che si scopre il Sè e per ottenere questa ascesa è necessario liberarsi del senso dell'ego nella mente.

Il pensiero umano è diviso in due estremi opposti: uno mondano e prammatico che considera la soddisfazione del senso dell'ego mentale, vitale e fisico dell'individuo o della collettività, come lo scopo della vita e non riesce ad andare oltre. L'altro spirituale, filosofico o religioso,ha come obiettivo la conquista dell'ego da parte dell'anima. Nel primo caso ci sono due posizioni: 1- l'ego è una creazione della mente e si dissolverà al momento della morte: 2- l'ego è il supremo compimento della natura, anche se transitorio, cercando di nobilitarlo convinti che la sua soddisfazione sia lo scopo della nostra esistenza.

(Pag. 71) Nei percorsi spirituali si ritrovano delle divergenze: il buddhismo che nega l'esistenza di un ego e nemmeno ammette quella di un essere universale e trascendente. L'Advaita Vedanta dichiara che l'anima individuale in apparenza, non è altro che il Sè supremo o Brahman; la sua individualità è un'illusione e sbarazzarsi dell'esistenza individuale è la sola e vera liberazione. Altri sistemi, affermano che la durata eterna dell'anima umana, in cui vedono una base di multipla coscienza dell'Unico o un ente dipendente anche se separato dall'Unico, attribuendogli, in ogni caso, una realtà costante e imperitura. Il ricercatore deve scegliere il percorso, ma se lo scopo è la liberazione, è indispensabile superare la ristretta cerchia dell'Ego. Una purificazione dall'egoismo è necessaria, non fosse altro che per il progresso e l'elevazione morale, o per il bene sociale, la perfezione sociale; ma ancora più indispensabile per la pace, la purezza e le gioie interiori.

(pag. 72) Dobbiamo uscire fuori dal mondo dell'ego, l'ego deve fondersi in un più grande Io, nell'immensità dell'Io cosmico che contiene tutti questi piccoli sè o nel Trascendente di cui anche il Sè cosmico non è che un'immagine ridotta. Trovare, conoscere e possedere l'esistenza divina, la coscienza e la natura divina e vivere per il Divino, è il nostro vero scopo e la sola perfezione a cui dobbiamo aspirare.  Bisogna sbarazzarsi di ogni senso dell'ego e ritornare al Purusha su cui si appoggia, e di cui è l'ombra; L'ombra deve sparire e si rivelerà la limpida sostanza dello Spirito che il pensiero europeo chiama monade e la filosofia indiana Jiva o Jivatman, l'ente vivente, il sè della creatura vivente. Questo Spirito è lo stesso Sè del nostro sé, l'Unico, l'Altissimo, il Supremo che dobbiamo realizzare, l'Esistenza infinita in cui dobbiamo entrare.  Il Java deve liberarsi del senso dell'ego che proviene dalla natura inferiore o Maya.

(pag. 75) Il ricercatore monista si immergerà nel Supremo, il dualista punterà alla sparizione dei molteplici nell'Uno, il devoto avrà come scopo l'essere assorto nell'amore e nella gioia del Supremo. Ma il percorso sarà veramente completo quando il ricercatore vive la sua unità essenziale ed integrale col Supremo.   Tutto sarà l'Uno e ogni Persona o ogni Purusha sarà per il ricercatore, l'Uno sotto una delle sue innumerevoli forme, o piuttosto sotto uno dei suoi innumerevoli aspetti. Il Java rimane uno col Signore, e non c'è più legame nè illusione. E' in possesso del Sè e liberato dell'ego.  Dobbiamo accogliere tutti gli esseri e tutte le cose nella nostra nuova coscienza cosmica, una col tutto e non più separata da una egoista individualità. Dobbiamo accettare di essere la coscienza cosmica, dobbiamo identificare il nostro essere con l'Infinito, base e sostanza dei mondi, dimorante in tutte le esistenze. Il nostro Sè non è l'essere mentale dell'individuo, che è solo immagine, apparenza, il nostro vero Sè è cosmico, infinito, uno con tutta l'esistenza e dimorante in tutte le esistenze. Dobbiamo aiutare la mente, attraverso la concentrazione e la meditazione, a desistere di pensare che le cose e gli esseri esistano separati gli uni dagli altri e considerare sempre l'Uno in tutto e tutto nell'Uno.   Non vivremo nella vera Verità finche non vivremo nella vera Unità.

(Pag. 82) La realizzazione che tutto è Dio o Brahman, presenta vari aspetti. In primo luogo il Sè in cui tutti gli esseri esistono. Lo Spirito, il Divino che si manifesta come Essere infinito esistente in sè, puro e libero da tempo e spazio che sono immagini della sua coscienza. Rifiutando le nostre resistenze dell'intelletto dobbiamo sapere (tramite la nostra conoscenza completa e integrale) che il Divino abita tutte queste forme in divenire e ne è il vero Sè, lo Spirito cosciente e questo bisogna sentirlo per esperienza personale. La nostra mente, corpo e vita sono espressioni del divenire del Sè.

La scienza e l'arte dello yoga (pag. 85) tentano di conoscere l'Altissimo e di unirsi a lui, vivere nel Sè, unirsi col Divino ed esprimere questa Verità in tutto ciò che siamo e facciamo.  La Gita asserisce che lo yoga il samkhya sono necessari alla conoscenza integrale. Ogni essere individuale è il Sè, il Divino, malgrado le limitazioni esteriori  in cui si presenta nel mondo.  Esiste un vero e stabile potere del nostro essere che dobbiamo conoscere e preservare affinché attraverso di esso, l'Infinito possa manifestarsi.  

Tutto è purusha e Brahman, ma il purusha è mutevole, un fenomeno dell'Eterno, non la sua stabile realtà. La Gita distingue tre Purusha, che costituiscono la totalità del Divino nella sua immobilità e nel suo movimento: il mutevole, l'immutabile, e il supremo al di là dell'uno e dell'altro e che li comprende entrambi. Il Supremo è il Signore in cui viviamo, il Sè supremo nostro e di tutti. L'immutabile è il Sè silenzioso, uguale, inattivo, senza cambiamenti, che raggiungiamo quando passiamo dall'attività alla passività. Il mutevole è la sostanza e il motivo immediato del flusso continuo della personalità. 

La filosofia indiana, a proposito di questo triplice modo dell'Essere, distingue fra il Brahman con attributi e senza attributi, come il pensiero europeo fra il Dio Personale e Impersonale. Il Nirguna senza attributi ma non incapace di attributi, si manifesta nel saguna e nell'anantaguna dagli infiniti attributi. Esistono tre gradi di avvicinamento al Dio personale: il primo è concepito con forma e attributi particolari, che sono il nome e la forma della Divinità, il secondo in cui Egli è la vera persona, la personalità totale, l'ananta-guna; il terzo è quello che ci riporta alla radice di ogni idea e di ogni realtà personale, ed è ciò che l'upanishad deisigna Lui senza attributi.

(Pag. 93) Il Samkhya è l'aspetto della conoscenza che si occupa della realizzazione astratta e analitica della verità, mentre lo yoga è l'aspetto della conoscenza quale realizzazione concreta e sintetica. Lo yoga della conoscenza porta ad una perfetta ed efficace conoscenza di cui la pace è l'eterno fondamento. Tutto è Chit perchè tutto è Sat; tutto è un vario moto della Coscienza originaria, perchè tutto è un moto variato dell'Essere originario. Se scopriamo, vediamo o conosciamo Chit, scopriamo che la sua essenza è Ananda o gioia in sè dell'esistenza. Il Divino, che si manifesta nella totalità degli attributi o senza attributi è sempre SatChitAnanda.

Esistono due specie di realizzazioni del Sè o SatChitAnanda: quella che è indifferente al fenomeno infinito dell'universo e lo osserva senza parteciparvi  e quella che sostiene la manifestazione, governandola liberamente senza esserne legata. E' il Trascendente nella sua essenza e questo è l'oggetto della realizzazione del sadhaka dello yoga integrale. Questa rapporto tra statico e dinamico è la base della filosofia Samkhya, che insegnava che il Purusha  o Anima Cosciente è un'entità passiva, inattiva, immutabile, e che la Prakriti o Anima della Natura (in cui sono comprese la mente e l'intendimento) è attiva, mutevole e si riflette nel Purusha, che si immedesima con ciò che in esso si riflette prestandogli la luce della propria coscienza. Quando il Purusha impara a non più identificarsi, la Prakriti incomincia a perdere impulso e ritorna all'equilibrio e al riposo. Anche nella filosofia Vedantica c'è la concezione del Sè inattivo o sola realtà il Brahman, mentre le altre cose vengono considerate con nomi e forme che cadono su di Lui e gli si sovrappongono in virtù di un'illusione mentale. (pag. 110).  Da qui emergono due attitudini: o rimanere inattivi testimoni del gioco cosmico (lo yoga ascetico), oppure agirvi meccanicamente, senza la partecipazione del sè cosciente ( in modo passivo, indifferenza, assenza di emozioni).     Oppure si può raggiungere il simultaneo stato di libertà completa: di passività interiore ed attività esteriore. Lo yogi, come dice la Gita agisce senza agire, non è lui che agisce ma la Natura universale guidata dal Signore della Natura. Egli non è legato al risultato delle sue opere che non lasciano in lui traccia alcuna.

L'essere divino si fonda sull'unità e la trascendenza, sulla totalità; l'essere umano si fonda sulla molteplicità separata delle cose di cui si fa suddito. Fra i due piani esiste un velo che impedice all'umano di conoscere il Divino. Mediante un processo d'allargamento del sè e di trasformazione si può passare dall'uomo materiale all'uomo divino o spirituale. Il sadhaka che ha seguito la discipla necessaria a ritirare il sè dalla sua identificazione con l'ego, la mente, la vita e il corpo, arriva mediante la conoscenza, alla realizzazione di una pura, immobile Esistenza autocosciente, senza divisioni, tranquilla, inattiva, non turbata dall'azione del mondo. (Pag. 109) - Lo yoga integrale esige, invece un ritorno divino all'esistenza nel mondo e il suo primo passo deve essere la realizzazione del Sè come Tutto, sarvam brahma, Tutto ciò che esiste per la mente e i sensi è l'immagine di un mondo che esiste nel puro Sè che, per la nostra coscienza, siamo divenuti.

Vivere il Brahman attivo ed unirsi a Lui, significa passare dalla coscienza individuale a quella cosmica , più o meno perfettamente a seconda che l'unione sia totale o solo parziale. La realizzazione sulla via della conoscenza è nella dissoluzione della personalità nel Sè universale e il fondersi nella coscienza cosmica è fondersi in SatChitAnanda e in questa dimensione l'esperienza e la valutazione delle cose dell'Universo risulta radicalmente cambiata. Mediante la conoscenza integrale perveniamo al nostro vero essere, eterno, immutabile, all'Esistente in sé, che ogni "io" nell'universo rappresenta oscuramente, e che annulla ogni differenza nella grande certezza: "So aham", "io sono Lui"; e ci conduce nello stesso tempo alla nostra identità con tutti gli esseri umani. Le nostre opere saranno equanimi, non legate nè alla azione nè ai risultati.

(Pag. 142) Una salvazione individuale non è il nostro obiettivo, anche la liberazione degli altri è cosa che ci concerne intimamente, altrimente la nostra unione con gli altri non avrebbe senso. Scoprire l'illusione dell'egoismo è la prima vittoria, scoprire l'illusione della felicità dei cieli, è la seconda vittoria, scoprire la grande illusione dell'evasione dalla vita è l'altra grande vittoria. Elevare gli uomini verso il Divino è il solo mezzo efficace per aiutare l'umanità.

Psychothèrapie de Dieu. Le sexe et les dieux - Boris Cyrulnik

"L'attività più regolamentata nelle religioni è la sessualità. Si tratta di codificare un atto fisiologico,  in modo tale da conferirgli un'importanza metafisica". Così Boris Cyrulnik inizia la sua riflessione sulla sessualità nella sua nuova Psicoterapia di Dio.

 Boris Cyrulnik (1937- ), ex responsabile del gruppo di ricerca di etologia clinica dell'ospedale di Tolone e docente di etologia umana presso l'Università del Sud di Tolone-Var, è noto per aver sviluppato il concetto di "resilienza" (rinascita dalla sofferenza).  Da bambino ebreo durante la seconda guerra mondiale, fu affidato a una famiglia affidataria e nel 1943 fu catturato dai nazisti a Bordeaux.

Regole/Proibizioni.  In effetti, fin dall'inizio, le religioni hanno inquadrato la sessualità con norme e divieti, la cui ragione principale è la necessaria regolazione degli impulsi per il buon equilibrio della società. I divieti erano terribili, spesso conditi da condanne a morte; anche il quadro normativo era molto forte, con una regolamentazione estremamente codificata degli atti intimi: il più delle volte organizzati intorno al dominio maschile, con l'obbligo del coito coniugale e il divieto di accoppiarsi in periodi ben precisi, come le mestruazioni femminili, certe cerimonie o eventi sociali...

Cyrulnik ci ricorda le fasi della socializzazione che portano agli eccessi: "Per stare bene insieme, dobbiamo sviluppare l'empatia. I divieti necessari per strutturare le nostre relazioni e incanalare i nostri impulsi spesso diventano abusivi. E poiché l'eccesso diventa disgustoso, l'atto sessuale diventa disgustoso, agli occhi degli iper-credenti.   La giustificazione di questi regolamenti e divieti è sempre data dalla parola divina, o dai suoi commentatori, ovviamente indiscutibile. "Un piacere vergognoso contamina lo sguardo di chi prova questo sporco desiderio: "chi guarda una donna (...) ha già commesso adulterio con lei" (Vangelo di Matteo), poiché il semplice fatto di desiderarla è una contaminazione". Il famoso Manuale del Confessore, all'inizio del secolo scorso, non diceva nulla di diverso quando condannava "l'adulterio nel pensiero".

Desiderio.  "Più si è innamorati di Dio, meno partner sessuali si hanno, il che non impedisce di provare un sentimento di fiducia, di piacevole intimità sessuale e di benessere con il partner con cui si hanno pochi incontri sessuali". Sembra quindi importante che i partner siano in sintonia tra loro nella coppia: "Le coppie religiose sono tanto più armoniose quanto più la loro religiosità è in sintonia. Se uno va in chiesa e l'altro se ne frega, il legame di attaccamento è intessuto in modo imperfetto, perché non permette la condivisione di un'esperienza affettiva importante. Cyrulnik sottolinea l'importanza della coesione del credo religioso per l'equilibrio coniugale.

Concezione e piacere.  Il cristianesimo insiste sulla scissione fondamentale tra fertilità e sessualità, il che significa che il concepimento di un bambino è accettabile solo in assenza di desiderio e, naturalmente, di piacere. La rottura tra sessualità e piacere è quindi evidente: "L'odio per il piacere sessuale si ritrova in molte religioni (...) Il godimento coniugale, osteggiato dalla Chiesa, veniva chiamato "fornicazione" per significare la dissolutezza di un incontro sessuale senza frutto. Solo i rapporti coniugali sono moralmente accettabili.

Astinenza.    Infine, Boris Cyrulnik ci ricorda che i modelli dell'amore cristiano sono tutti asessuati (la Vergine Maria, Giuseppe e Cristo...), così come l'induismo e il buddismo che, per ragioni diverse, sono oggi "campioni dell'astinenza" "mentre in origine il sesso era considerato un semplice elemento naturale della condizione umana" (vedi paragrafo sotto)". Il sesso sublimato permette quindi di accedere alla condizione spirituale. Questa diffidenza nei confronti del desiderio (pericoloso quando non è controllato perché lascia agire i nostri impulsi animali) è una costante dei grandi monoteismi.

Questa ricca interrogazione di Boris Cyrulnik sui legami tra sessualità, rapporto coniugale, modernità e religione è solo una delle sfaccettature del suo nuovo libro - Psicoterapia di Dio - sul rapporto tra gli uomini e gli dei che hanno creato; il rapporto del bambino con il Dio che gli viene presentato; i legami tra affettività, empatia e religiosità; la costruzione della perdita e del lutto; la costruzione della Fede; l'attaccamento a divinità "punitive"; il legame amoroso con una divinità; la costruzione della spiritualità; credenze e false credenze...

Dal paragrafo Le sexe et les dieux del libro Psychothèrapie de Dieu.  Nell’induismo e nel buddhismo il sesso era considerato come un semplice elemento naturale della condizione umana. Il sesso è celeste poichè dona la vita, espressione della danza divina, il Kamasutra ne è l’illustrazione, L’omosessualità non era ripugnante e i partners multipli non erano immorali. L’atto sessuale senza seme, dovuto all’energia femminile, apre i centri psichici dei chakras. Questa sessualità tranquilla è stata poi modificata dal puritanesimo.

Anche il buddhismo, derivato dall’induismo, considerava la sessualità come una semplice attività umana. La sola costrizione morale era il rispetto, dell’altro e di sé. Si potevano dunque avere delle avventure extra coniugali a condizione di non “tradire” il congiunto. L’atto sessuale con un altro non era un tradimento, ma mentirgli, nascondergli la relazione lo era.

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