venerdì 29 settembre 2023

Una piccola introduzione al pensiero di Michel Onfray

Il filosofo, oggi, è oberato di compiti, fra questi ve n'è uno particolarmente insidioso: dimostrare che un'etica, malgrado l'inconsistenza dei sistemi metafisici, è ancora possibile, e che il 'senso di responsabilità' non risiede nel mondo delle idee.   

Michel Onfray, un pensatore contemporaneo non molto conosciuto in Italia, afferma che: ''La risposta al nichilismo non consiste in una restaurazione: alcuni, prendendo atto del declino cristiano, concludono che è necessario lavorare alla sua rinascita, in una forma tradizionale, oppure riformandolo con i soliti compromessi.'' (...) ''La morale non è un affare teologico tra gli uomini e Dio, ma una storia immanente che concerne i rapporti tra gli uomini, senza nessun altro testimone''.

La morale va sì riformata, ma non partendo da seducenti presupposti teologici o metafisici, bensì partendo dagli uomini. Ciò promesso, bisogna chiedersi: cosa desiderano questi uomini? Per fondare un'etica sulla intersoggettività occorre individuare un principio in grado di connettere ciascun soggetto all'altro.   Per Onfray l'elemento che accomuna tutti gli uomini è il piacere.

Scriveva Lorenzo Valla (un umanista, filologo classico) seicento anni fa: ''Le leggi che regolano le città sono state fatte per l'utilità, che genera il piacere, ed ogni governo è diretto allo stesso fine. Le arti liberali (medicina, giurisprudenza, poesia, oratoria hanno tutte per fine il piacere o almeno l'utilità che conduce al piacere). La virtù non è altro che la scelta dei piaceri; si comporta bene colui che antepone il maggior vantaggio al minore e il minor svantaggio al maggiore.'' Il piacere è la costante. 

In un mondo ormai deprivato di ogni velleità metafisica, ''bene'' e ''male'', ''giustizia'' e ''ingiustizia'' sono criteri obsoleti. Non bene è ciò che attrae, ma ciò che attrae è bene. L'uomo occidentale non può più riproporre forme transitorie e malferme di moralismo, deve modellare la propria vita su criteri non più oggettivi, astratti e ontologici, ma biologici, neurologici e universali. 

Ecco che Onfray propone allora un'intersoggettività edonista: ciò che noi tutti cerchiamo è un'esistenza gioiosa, quieta e felice. È il piacere - il fondamento positivo, fisico, contrattuale da cui far derivare ogni sorta di codice etico. Occorre sensibilizzare i futuri cittadini al piacere etico sin dalla più tenera infanzia. E in che modo? Non più ricattandoli con la storia del paradiso e dell'inferno, ma insegnando loro che la vita è tutta qui ed è breve; Se la vita è un transito, il proprio e l'altrui bene non può che coincidere con il piacere-di-viverla. 

Bisogna, insomma, scolpire nella mente dei futuri cittadini che non esiste altro valore al di là del piacere, mostrando loro che è il fine ultimo di tutte le discipline ed azioni (e non azioni) umane.  Onfray sostiene che la base di una simile società debba essere per forza contrattuale: poiché l'edonismo si configura e definisce non solo come ''ricerca del piacere'', ma anche come ''evitamento del dispiacere'', i delinquenti relazionali, ossia coloro che infrangono il patto edonico, vanno allontanati. Chi semplicemente diffonde dispiacere va allontanato.  In una intersoggettività edonista i filosofi metterebbero a disposizione la propria saggezza per decretare quali piaceri andrebbero perseguiti e quali evitati.

Se tale progetto vi pare utopistico, non preoccupatevi: lo è anche per Onfray. In effetti l'idea di un contratto radicalmente basato sul piacere risulta piuttosto inverosimile e il rischio di una deriva soggettivistica sarebbe facilmente pronosticabile. 

Taluni potrebbero azzardare che un sistema del genere esiste già e opera sotto le mentite spoglie delle democrazie liberali. Se ciò fosse vero, se il piacere fosse davvero considerato l'unico termine di riferimento valido e gli fossimo così fedeli come nella intersoggettività edonista, non vi sarebbero chiese né regimi, né guerre né politiche suprematiste, né le principali potenze planetarie si sognerebbero mai di misurarsi con le armi nucleari, o anche soltanto di misurarsi (se non in attività meramente agonistiche).

Frasi


When people label you by saying that you have attitude 

Just tell them that  you have a personality        

which is unshakable and unaffected  by what people say about you. 

___________

Life is like a camera...

Focus on what's important,  Capture the good times, 

Develop from negatives, and if things don't work out,  Take another shot.

__________

Il più grande atto di coraggio è il perdono.   

Il mio viaggio in Islanda

Viaggio in Islanda   (30 agosto 2023 - 11 settembre 2023). Il cerchio d'oro.        

  • 1 giorno Keflavik (aeroporto),
  • 2 giorno Pingvellir  - parco nazionale , fossa tettonica formatasi dalla separazione di due placche che stanno avvicinandosi, cascata di Gullfoss
  • 3 giorno Seljalandfoss, cascata di Skogafoss
  • 4 giorno Skaftafell, parco nazionale e  ghiacciao Vatnajokull, laguna di Svinafellsjokull dove flottano degli icebergs
  • 5 giorno Egilsstaoir, fiordo dell'est
  • 6 giorno Myvatn,  lago e cratere, piscina con acque calde
  • 7 giorno Siglufjordur,  cascata di Goaofoss,  villaggio,  città di Akureyri
  • 8 giorno Havammstangi,  parte Ovest, rocce vulcaniche di Hvitserkur e foche
  • 9 giorno Snaefellsne, parco nazionale di  Snaefellsjokull,  Arnastapi
  • 10 giorno Borgarfjorour, fiordi,
  • 11 giorno arrivo a Reykjavik, chiesa, Perlam museo, vecchio porto,
  • 12 Reykjavik, chiesa, Perlam museo, vecchio porto,  
  • 13 giorno ritorno a casa.             Km percorsi 2500.

Curiosità sull'Islanda:

  • in Islanda c'è una eruzione vulcanica ogni 4 anni in media;
  • la birra è illegale dal 1989;
  • la settimana lavorativa è di 43,5 ore a settimana (la più lunga in Europa);
  • I bambini sono lasciati fuori a dormire;
  • Non c'è cognome in Islanda, si usa aggiungere al nome il nome dle padre, madre ecc, aggiungendo figlia o figlio;
  • il 65% della popolazione vive a Reykiavik;
  • L'Islanda ha il primo Ministro donna apertamente gay e democraticamente eletto;
  • Il consumo di coca-cola è il più alto in Europa;
  • Non ci sono ristoranti MacDonald;
  • Nel 2010 sono stati vietati gli Strip clubs;
  • L'85% dell'energia è prodotta da fonti rinnovabili, di cui la metà da fonti geotermiche;
  • E' uno degli ultimi Paesi ad essere abitato; 
  • Gli islandesi vedono il maggior numero di film in Europa;
  • Lo sport nazionale è la palla a mano;
  • Non hanno un esercito, una marina militare, nè un'aviazione militare;
  • Le zanzare non esistono in Islanda;
  •  La polizia non è armata;
  • Il 10% della popolazione ha pubblicato un libro e hanno il più alto numero di libri procapite ; 
  • Il 97% della popolazione ha una connessione Internet;
  • Il 10% dell'Islanda è coperta da ghiacciai, i più grandi ghiacciai sono situati nel centro - sud;
  • Intorno al 1000 d.C. gli islandesi adottarono la cristianità e la sua cultura;
  • A Pingvellir fù istituito Albingi, il più antico parlamento del mondo.

E' morto il sociologo Domenico De Masi

Bisogna essere leggeri come una rondine, non come una piuma” è il motto di Paul Valery che il professore aveva scelto per descriversi. Una rondine, cioè un uccello determinato “ma senza spocchia”

Professore emerito di "Sociologia del lavoro", presso l'Università degli Studi di Roma "La Sapienza" di Roma, Domenico De Masi è scomparso a causa di "una improvvisa e micidiale malattia" il 09/09/2023. Il professore, anche già preside della facoltà di Scienze della comunicazione, è stato un appassionato studioso, insegnante, ricercatore e consulente. Il suo interesse era rivolto principalmente alla sociologia del lavoro e alle organizzazioni, alla società postindustriale, allo sviluppo e al sottosviluppo, ai sistemi urbani, alla creatività, al tempo libero, ai metodi e alle tecniche della ricerca sociale con particolare riguardo alle indagini previsionali. Masi ha pubblicando decine di libri.  

Nato a Molisano di Rotello, un paesino di appena mille anime in provincia di Campobasso, lasciato per frequentare prima il liceo classico a Caserta, poi l'Università a Perugia, dove si laureò in Giurisprudenza con una tesi sulla Storia del diritto. 

Poliedrico e cosmopolita, il sociologo aveva studiato a Parigi alla vigilia del ’68, dove aveva preso il dottorato in “Sociologia del Lavoro” studiando con Alain Touraine, direttore di ricerca all'École des Hautes Études en Sciences Sociales di Parigi, tra i massimi esponenti della sociologia contemporanea. Insieme al direttore Touraine, Masi entra in quella dimensione che non lascerà più: la sociologia applicata ai processi reali.

Ma è sempre stata la sociologia al centro della sua attività, sin dai tempi di ricercatore e di collaboratore della rivista Nord e Sud. A Milano, lavora alla Cmf del gruppo Iri e ottiene un riconoscimento dall'allora Cee, la Comunità Economica Europea, che precederà l'odierna Ue. Da docente, insegna Sociologia prima all'Università Federico II di Napoli, poi a Sassari, all'Orientale sempre nel capoluogo partenopeo e infine alla Sapienza di Roma, dove diventa preside della facoltà di Scienze della comunicazione.

Negli ultimi venti anni, Masi in Brasile viene considerato un intellettuale di riferimento, dove diventa figura molto ascoltata dal Partito dei lavoratori e dallo stesso Lula. Masi in Brasile è attratto dalla figura di Oscar Niemeyer, architetto di Brasilia, figura che paragona a Olivetti, e di cui teneva una celebre frase nel proprio studio: “Ciò che conta non è l’architettura, ma è la vita, gli amici e questo mondo ingiusto che dobbiamo modificare”. Ciò che De Masi, con il proprio lavoro, la propria vitalità intellettuale e la propria ricerca ha contribuito a fare.

Ha sviluppato e diffuso uno dei paradigmi post-industriali, basato sull'idea che, a partire dalla metà Novecento, l'insieme di azioni quali: il progresso tecnologico, lo sviluppo organizzativo, la globalizzazione e la scolarizzazione di massa, abbia prodotto una nuova società incentrata sulla produzione di informazioni, servizi, simboli, valori, estetica. Questo processo, secondo il professore, ha determinato nuovi assetti economici, nuove forme di lavoro e di tempo libero, nuovi valori, nuovi soggetti sociali e nuove forme di convivenza.

E' stato uno degli ispiratore della necessità del lavoro agile e del reddito di cittadinanza.
In relazione alla pandemia provocata dal Covid, convinto sostenitore di un progressivo allargamento della platea dello smart working ovvero del cosiddetto "lavoro agile", dedicando al tema la sua ultima pubblicazione, dal titolo La rivoluzione del lavoro intelligente.

E' morto il filosofo Gianni Vattimo

Gianni Vattimo (1936-2023), il filosofo del pensiero debole e del postmoderno aveva 87 anni quando è morto il 19/09/2023 a Torino. Antidogmatico, tra i più citati all’estero, ha influenzato gli studi su Nietzsche e Heidegger.

Vattimo deve la sua fama a livello internazionale per aver teorizzato e sviluppato il concetto di “pensiero debole“, una critica alla metafisica tradizionale. Professore di filosofia all’Università degli studi di Torino, è stato anche politico e membro del Parlamento europeo.

Tra i più noti filosofi italiani e tra i massimi esponenti della filosofia ermeneutica a livello mondiale, tradotto in varie lingue, studioso e originale prosecutore del pensiero di Martin Heidegger, Gianni Vattimo ha teorizzato l’abbandono delle pretese di fondazione della metafisica e la relativizzazione di ogni prospettiva filosofica, diventando così appunto il maestro del “pensiero debole” a livello internazionale. 

Il "pensiero debole" trovava il nucleo ispirativo più significativo nel cristianesimo, il cui Dio si incarna nell'uomo, si fa debole per offrire un messaggio di verità e carità. Dal cristianesimo, frutto di una fede giovanile via via sempre più ripresa e ravvivata nella matura età, trasse le domande esistenziali della sua ricerca filosofica e, se non le risposte ultime, i significati e gli interrogativi che arricchivano il suo pensare. Benché negli anni Ottanta qualsiasi riferimento diretto al cristianesimo resti pressoché assente dai suoi scritti, nel 1996, con il libretto-confessione Credere di credere, Vattimo esplicitamente fece professione di fede cristiana, indicandone nell'incarnazione di Dio, il messaggio principale.

È stato allievo di Luigi Pareyson, assieme a Umberto Eco con cui ha condiviso amicizia e interessi, laureandosi in filosofia nel 1959 all’Università di Torino. Oltre alla giovanile militanza nell’Azione Cattolica, Vattimo fu con Eco anche tra i pionieri della televisione italiana: nel 1954 insieme parteciparono e vinsero un concorso della Rai per l’assunzione di nuovi funzionari. Abbandonarono l’ente televisivo alla fine degli anni Cinquanta.

Ha insegnato negli Stati Uniti e ha tenuto seminari in diversi atenei del mondo. Era editorialista per vari quotidiani e ha ricevuto lauree honoris causa dalle Università di La Plata, Palermo, Madrid e dalla Universidad Nacional Mayor de San Marcos di Lima.

Vattimo è stato non solo un filosofo ma anche un intellettuale militante di spicco della sinistra, dichiaratamente omosessuale e al tempo stesso rivendicando la sua fede cattolica, svolgendo attività politica in diverse formazioni politiche.   Il suo assistente e compagno Simone Caminada ha comunicato ai media la notizia del decesso.

sabato 23 settembre 2023

The Why Cafè - John P. Strelecky

Se qualcuno oggi ti chiedesse se sei soddisfatto della tua vita, cosa risponderesti? A volte nella vita quello che sembrava un fastidioso imprevisto può rivelarsi una scorciatoia verso la felicità. È ciò che accade a John, il protagonista di questo libro, un uomo che va sempre di fretta ma che un giorno, per colpa del traffico, è costretto a rallentare e imboccare un cammino secondario, reale e metaforico, ignaro che quello che sta per incontrare - un misterioso caffè in mezzo al nulla - lo cambierà per sempre. Sì, perché il caffè alla fine del mondo esiste ed è dentro di noi, è il luogo dove tutte le nostre domande trovano risposta, dove i nostri desideri appaiono nitidi e raggiungibili, e dove finalmente troveremo il coraggio di cambiare. Un libro, per non scordarci mai che affrontare noi stessi è l'unica via verso la felicità.   

Le tre domande che si trovano nel libro sono :  Perchè siete qui? Avete paura della morte? Siete pienamente soddisfatti?   Porsi la prima domanda aprirà una specie di porta, lo spirito  della persona o la sua anima vorrà cercare la risposta.

La domanda crea lo slancio necessario per trovare la risposta. Appena una persona conosce il perchè è qui, perchè vive, quale è la sua ragione di esistere, vorrà realizzare questa ragione di essere (RDE). Ci sono delle persone che non si sono mai poste la domanda nella vita. E' la persona che decide se prendere in considerazione la domanda o meno, è una scelta puramente personale.  

Perchè sei qui? Perchè le persone esistono. E' una domanda difficile a cui rispondere e le persone si interrogano in momenti diversi della loro vita per trovare la loro ragione di essere (RDE). Alcune  la risolvono quando sono giovani, altre quando sono vecchi, e alcune non rispondono mai alla domanda.  Ma poi cosa fanno dopo che si sono posti la domanda o dopo che hanno trovato la risposta?  Se per esempio, il mio scopo è aiutare le persone, l'obiettivo si può raggiungere diventando medico, volontario della Croce Rossa, costruendo rifugi nelle regioni defavorevoli, diventare contabile e aiutare le persone a calcolare le loro imposte, ecc..  Molto spesso, invece,  si prende una via nella vita seguendo i consigli della famiglia, la pressione culturale, l'opinione della gente.

Una volta veramente trovata la nostra ragione di essere (RDE), occorre apprendere quello che ci permetterà di realizzarla. Spesso siamo noi stessi che ci imponiamo delle limitazioni, piuttosto che dei veri limiti esterni ce lo impediscono.  Bisogna aggiustare le nostre scelte all'ambiente, come fanno le tartarughe che aggiustano i loro movimenti seguendo la corrente dell'acqua.  Spesso le persone che ignorano la loro ragione di essere passano il loro tempo a fare tante cose, una dopo l'altra. In questo modo le energie si disperdono e quando l'occassione di fare veramente quello che vogliomo si presenta, è possibile che non abbiano più abbastanza energie. Nella vita quotidiana, molte attività, cose, e persone si presentano davanti alle persone cercando di catturare la loro attenzione, distogliendole dalla loro vera ragione di essere.

E' simpatica la storia dell'uomo d'affari che per scappare dalla pressione del quotidiano va in vacanza in una piccola isola tropicale, dove incontra un pescatore, costui durante la giornata va a pescare il necessario per la famiglia, e quando il pescato è eccessivo, rimette i pesci in acqua. L'uomo di affari gli disse "ma perchè non peschi tutta la giornata e non vendi il pesce eccessivo?".  Per quale motivo gli risponde il pescatore, L'uomo d'affari risponde "Per avere del denaro con cui poi puoi fare quello che vuoi",  Il pescatore sorrise all'uomo d'affari. L'uomo d'affari insiste: "una volta guadagnato il denaro ti ritirerai e farai quello che vuoi", Il pescatore risponde: "mi metterei a pescare", "passerei mia serata con mia moglie sulla spiaggia ad ammirare il tramonto"  (che era quello che stava facendo attualemente), serrò la mano all'uomo d'affari e gli sorrise di nuovo.

Molte persone lavorano per andare in pensione e poi poter, infine, fare quello che vorrebbero. Si mettono a guadagnare del denaro e entrano in una specie di routine.  Ma perchè queste persone passano tanto tempo a prepararsi per il giorno in cui potranno fare quello che vorranno al posto di fare semplicemente adesso quello che vogliono?

In parte è l'influenza della società dei consumi, che ci propone prodotti immaginari per migliorare la vita e combattere le nostre paure.  Anzi si arriva a far credere che il non possesso di determinati prodotti comprometterebbe addirittura la nostra soddisfazione e la nostra realizzazione.  Spesso le persone svolgono un lavoro non interamente soddisfacente, che non corrisponde alle loro aspirazioni e allora per compensare acquistano sempre più cose.

La sfida è determinare che cosa veramente ci soddisfa e ci realizza, il determinarlo individualmente e non perchè qualcun altro ce lo ha detto.   All'inizio occorre prendere un po' più tempo per noi stessi;  ogni settimana, ogni giorno, e fare quello che si vuole veramente.

Spesso sono proprio queste persone,  che non si sono messe in cammino per realizzare la loro missione di vita facendo quello che vogliono fare,  che hanno paura della morte. 

Avete incontrato delle persone che erano totalmente appassionate da quello che fanno ogni giorno? Delle persone che passano il loro tempo a fare qualcosa che amano veramente?  Dalla mia esperienza non ce ne sono molte.

Vi siete mai posti queste domande? Come sarebbe la mia vita se facessi solo le attività che mi piacciono? Se impiegassi il mio tempo a fare quello che mi appassiona?

Perchè attendere di fare quello che si vuole fare  se si può farlo da adesso?  Spesso c'è l'illusione che il denaro riuscirà a soddisfare il nostro bisogno di realizzazione acquistando cose e prodotti vari. Molte delle cose che possiediamo ci permettono di evadere momentaneamente. 

Ma se facessi sempre quello che desideravo, allora avrei meno bisogno di evadere e vivrei senza dubbio con meno stress.  Se mi consacrassi alle attività che soddisferebbero la mia ragione di esistere, allora sarei probabilmente meno preoccupato dal denaro.  Spesso avvenimenti inattesi sopravvengono proprio al momento in cui ne abbiamo  bisogno.

Perchè le persone non seguono la loro ragione di esistere? Che cosa le ritiene?   Non è così facile seguire la propria strada, spesso queste persone credono di non avere il diritto di seguirla e realizzare la loro ragione di esistere.  E' una sfida arrivare a realizzare che ciascuno di noi ha il controllo sul proprio destino e sul grado di realizzazione.  Nessuno può impedirci di realizzare quello che vogliamo nella vita. Siamo noi che controlliamo il nostro destino. 

Bisogna trovare da soli la risposta del perchè si è su questa terra, e le persone lo fanno in modalità diverse. Ascoltano musica, si ritirano nella natura, altri parlano con i propri amici, altri si lasciano guidare da idee e storie lette sui libri.  Noi siamo i soli a poter trovare la nostra risposta.  E' importante allontanarsi dal rumore esteriore al fine di concentrarsi su che cosa riflettere. Le nuove esperienze e le nuove idee permettono alle persone di scoprire delle nuove risonanze in loro.

Quando si resta seduti di fronte all'incredibile bellezza e maestosità della natura, si realizza che la nostra vita non è che una porzione infinitamente piccola di qualcosa di molto più grande. Spesso in questo caso ci poniamo le seguenti domande: Quale è il senso della vita? Per quale ragione esisto? Perchè sono qui?  La vita è una storia formidabile, soltanto le persone non realizzano che ne sono gli autori e la possono scrivere come vogliono. 

Quando si arriva a valutare due scelte, una è quella di vivere una vita che realizzerà la nostra ragione di esistere e l'altra che è quella di vivere semplicemente, si potrebbe pensare che la scelta è facile.  Ma non è così.  La maggior parte delle persone mettono fine alla loro ricerca, guardano da un buco della porta e vedono chiaramente la vita che vorrebbero avere, ma per una serie di ragioni, non aprono quella porta e non avanzano mai verso quella vita desiderata.  Le persone si trovano di fronte a questo bivio in differenti momenti della loro vita, quando sono giovani, altre più tardi. La scelta comunque non può essere brusca o imposta.

Spesso di fronte agli spettacoli della natura, di fronte a ghiacciai, di fronte a montagne, di fronte agli oceani, ci rendiamo conto che dal punto di vista universale, i nostri stress, le nostre ansietà, le nostre vittorie e sconfitte contano veramente poco.  Ma è proprio davanti alla nostra apparente insignificanza che troviamo il senso della vita. 

______Riferimenti: il sito: www.whycafe.com   e    il sito www.johnstrelecky.com

John e sua moglie hanno intrapreso un viaggio con lo zaino intorno al mondo; durante nove mesi hanno percorso più di 100000 km (tre volte la circonferenza delal terra) utilizzando mezzi di trasporto più disparati, tra cui il cavallo, l'elefante, la bicicletta e il battello, ecc.

Samsara. S.S. Il Dalai Lama (1)

 "Cercate di aiutare gli altri. Se non ne siete capaci , non fate del male agli altri" - Sua Santità il Dalai Lama riassume in questa frase l'essenza del Buddhismo.    

"Dobbiamo abbandonare il nostro egoismo, o almeno cerchiamo di essere egoisti in modo intelligente".

Nel primi due capitoli del libro Samsara, Liberarsi dalla sofferenza, combattere l'intolleranza attraverso la non-violenza, il Dalai Lama parla dell'invasione del Tibet da parte della Cina fino ad oggi  e dell'esperienza del suo esilio.

Il suo predecessore, il tredicesimo Dalai Lama Thupten Gyatso aveva indicato chiaramente il pericolo che veniva dalla Cina e aveva chiesto più volte a Buthan e Nepal di creare un'armata comune, ma questa proposta fu ignorata.  L’invasione del Tibet ebbe inizio nell’ottobre del 1950, dopo la fine della guerra civile cinese che vide il Kuomintang (il Partito Nazionalista Cinese, KMT) e il Partito Comunista Cinese (PCC) guidato da Mao Zedong contendersi il potere dal 1927 al 1949. Un anno dopo la vittoria del PCC e la conseguente fondazione della Repubblica Popolare il 1° ottobre 1949, ebbe inizio l’invasione del Tibet, regione fino ad allora indipendente dal governo di Pechino. Tra il 6 ed il 7 ottobre 1950, l’esercito cinese (People Liberation Army, PLA) – sotto l’influenza del futuro leader Deng Xiaoping, – circondò la città tibetana di Chamdo, che cadde sotto il comando cinese il 19 ottobre. La sconfitta dell’esercito tibetano a Chamdo diede inizio alle trattative per l’annessione cinese del Tibet che si conclusero un anno dopo con l’Accordo dei Diciassette Punti, con cui il governo tibetano e il Dalai Lama accettavano la presenza del PLA e la sovranità cinese sul suolo tibetano.

Negli anni 1954 il Dalai Lama fu invitato varie volte in Cina  e fu accolto dal Primo ministro Chou En-Lai e dal vice ministro Chu Teh, e per la prima volta, in quell'occasione, vide Mao e scrive di lui che aveva una grande forza magnetica, cordiale e spontaneo. E sempre in questo libricino il Dalai Lama rivela di essere stato attirato dal comunismo, il solo difetto che vedeva nel comunismo era quello di occuparsi dell'aspetto puramente materiale dell'esistenza.  Mao nel 1955 durante una conversazione gli disse "La religione è un veleno, frena il progresso". 

In questo periodo il Dalai Lama incontra anche Nehru in India, che gli fece comprendere chiaramente che l'India non avrebbe potuto aiutare il Tibet.  Gli consigliò di riprendere gli accordi con i cinesi. 

Dal 1949 al 1959 il Dalai Lama restò il capo politico e capo spirituale del suo popolo cercando di stabilire delle relazioni pacifiche tra le due nazioni: Cina e Tibet. La resistenza popolare contro la Cina comunista durò in Tibet fino al 1959, culminando in una giornata di insurrezione generale quando il 10 marzo 1959 300mila tibetani si riunirono ai piedi del Potala, residenza del Dalai Lama, per proteggerlo dalle proteste scoppiate nella capitale Lhasa. Il Dalai Lama chiese ancora una volta consiglio all'oracolo che quella sera gridò "vai via, vai via immediatamente", In seguito, il Dalai Lama dopo essersi recato al santuario di Mahakala, la sua divinità protettrice e avergli fatto l'offerta di una kata (sciarpa di seta bianca) lasciò il Paese per rifugiarsi in India, dove vive ancor oggi da esiliato. Nello stesso anno, l’Accordo dei Diciassette Punti venne ripudiato sia dal governo cinese che da quello tibetano e il Tibet venne ufficialmente annesso ai territori della Repubblica Popolare Cinese come regione autonoma.

Attualmente la popolazione autoctona, nel Tibet, conta 6 milioni di persone mentre la popolazione cinese arriva a 7,5 milioni di persone, ed è una questione veramente grave.  Ogni situazione deve essere considerata nella sua singolarità, ma il fatto di perdonare o di mostrarsi pazienti non significa che i tibetani debbano accettare tutto da chiunque. 

Il periodo attuale si inscrive tra i più difficili per il popolo tibetano, il Dalai Lama non cessa di sperare che il popolo tibetano, la sua cultura e la sua fede sopravviveranno e conosceranno di nuovo la prosperità.  Pensa che la sua presenza nel mondo libero, all'esterno del Tibet, possa essere più utile alla causa tibetana che  ritornare in Tibet.

La giornata della vita del Dalai Lama.   Si sveglia alle 4,00 per recitare il mantra Ngak-djinlap, è una preghiera attraverso la quale  dedica tutti i pensieri, le azioni, le parole come un'offerta agli altri. Guarda il cielo e prende coscienza della nostra insignificanza nel cosmo, e  dell'impermanenza. Fa colazione ascoltando le notizie della BBC.  Dalle 6,00 alle 9,00 medita; attraverso la meditazione cerca di sviluppare la giusta motivazione: compassione, perdono e tolleranza. Medita 6 o 7 volte al giorno.  Dalle 9,00 alle 12,00 legge e studia le scritture. Alle 12,30 prende il pranzo, in generale non vegetariano. Il promeriggio è dedicato agli incontri ufficiali. Alle 18,00 prende il thè, essendo monaco  non cena.  La sera vede le serie della BBC sulla civilizzazione occidentale e documentari sulla natura. 

Obbedisce ai voti di povertà e non ha alcun oggetto personale.  In Thailandia, Sri Lanka e Birmania i monaci sono autenticamente impegnati nella pratica della disciplina monastica, e a differenza dei monaci tibetani, hanno conservato l'abitudine di mendicare il loro cibo, come duemila anni fa, all'epoca del Buddha e dei suoi discepoli.  Spesso i tibetani sono conosciuti per la loro allegria, e questo è dovuto forse all'identificazione con un ideale di compassione.

L'assegnazione del premio Nobel per la pace al Dalai Lama nel 1989 ha permesso all'opinione pubblica di scoprire il problema tibetano. Il Dalai Lama  cominciato ad interagire con vari capi di Stato europei che spesso per problemi diplomatici lo hanno ricevuto in forma privata.  Di questo esilio il Dalai Lama ne ha preso l'aspetto positivo che è quello di scoprire il resto del mondo, incontrare altri popoli, di conoscere altre tradizioni. Auspica che il prossimo governo tibetano sia eletto democraticamente. 

Nel terzo capitolo parla del mondo di oggi.    "Constato che i dirigenti del mondo attuale hanno un grande coraggio, il coraggio di compiere il male"  - Il Dalai Lama.

Dobbiamo già affrontare la morte, la vecchiaia, le catastrofi naturali... tante sofferenze che ci lasciano impotenti, Non sono sufficienti?   Dobbiamo anche affrontare le guerre e la stupidaggine umana?

La sola cosa che valga la pena di fare da parte di un essere umano è provare a sviluppare i pensieri positivi, aumentare il loro potere o la loro forza, e ridurre il modo di pensare negativo. Creare delle comunità e ridurre le disuguaglianze e il fossato tra Nord-Sud del mondo dovrebbe essere l'obiettivo principale dell'Occidente. Oggi la nostra generazione, tutti i membri della nostra famiglia umana, vasta e diversificata, devono malgrado tutto apprendere a vivere insieme e dare vita a una comunità universale.  Quello che colpisce il Dalai Lama è il manicheismo degli occidentali che hanno l'abitudine di pensare in maniera dicotomica, in termini di opposizione nero/bianco, per/contro, dimenticando l'interdipendenza e la relatività dei fatti, e l'esistenza di una zona grigia che esiste tra i due punti di vista. Con questo modo di ragionare si creano distinzioni e frontiere a partire dal colore della pelle, dal luogo geografico, o da fatti storici maturando il sentimento di essere diversi. E' così che nascono critiche, conflitti e guerre.  In questi capitoli, accenna al problema della sovrapopolazione, e si dichiara favorevole al controllo delle nascite e fa presente che le vecchie interdizioni religiose non aiutano.  Per dare prosperità e giustizia ai quasi 8 miliardi di persone che popolano il pianeta è evidente che dovremmo evitare che aumentino di numero. Un'altra necessità è quello di educare le popolazioni dei Paesi in via di sviluppo.  

Ribadisce comunque di difendere tutte le forme di vita, anche quella degli animali. Dal punto di vista buddhista, tutti gli esseri sensibili, gli esseri dotati di sentimento, di esperienze e sensazioni, sono considerati uguali.

Quando l'uomo neglige di coltivare la sua dimendione interiore, diventa l'ingranaggio di una macchina e diventa schiavo delle cose, allora non ha di umano che il nome.   In Occidente, lo sviluppo tecnologico dovrebbe garantire un benessere permanente; ma non è così. Sotto l'apparenza essite del malessere, dell'insoddisfazione mentale e agitazione. Questo mostra che il solo progresso materiale non è la risposta completa all'aspirazione dell'essere umano. In Occidente, si vie in una tensione, in una competizione e una paura incessanti.

I media propongono solo violenza e sesso che portano guadagni e soldi. E' compito dello spettatore contrastare questa tendenza.  Ciascun individuo ha la responsabilità di ridurre la negatività della situazione nella quale si trova confrontato. Se volete cambiare il mondo, provate prima di migliorarvi e trasformarvi.     Siamo in un periodo storico in cui dobbiamo cercare di sostituire i dogmi estremisti con valori spirituali e umani.

Samsara. S.S. Il Dalai Lama (2)

"Senza le qualità umane fondamentali: amore, compassione, bontà, non potremo sopravvivere. La notra propria pace e stabilità mentale dipendono da queste qualità" -  Il Dalai Lama  

Nella seconda parte del libro Samsara, Liberarsi dalla sofferenza, combattere l'intolleranza attraverso la non-violenza, il Dalai Lama parla della fede, della scienza e della religione.


Il buddhismo non cerca di convertire; il buddhismo è un'esperienza personale. Uno degli insegnamenti principali del Buddha è il seguente: "Devi aspettarti tutto da te stesso".

Il buddhismo non accetta la teoria di un Dio o di un creatore. Da un certo punto di vista è una religione, da un altro punto di vista è una scienza della mente. mettendo da parte l'idea di un Dio creatore e giudice, entriamo nel campo di un  "religione umana", ossia nata dalla riflessione umana per rispondere a un bisogno umano.  Il buddhismo non fa nessuna discriminazione tra i sessi, lo scopo ultimo è identico, così come le capacità di arrivare al nirvana. Nella società tibetana presa nel suo insieme, non esiste differenza di status o rango tra uomini e donne ( c'è una grande differenza con India e Cina).

I buddhisti e non buddhisti si distinguono per il fatto che prendano o meno rifugio nel Triplice gioiello, e nell'accettazione dei Quattro sigilli attestando che la dottrina è la parola di Buddha. Il Triplice gioiello è costituito dal Buddha,il dharma (l'insegnamento) e il sangha (la comunità spirituale). I Quattro sigilli attestanti che una dottrina è la parola del Buddha sono; 1- tutte le cose composte sono impermanenti, 2- l'esistenza condizionata è essenzialmente sofferenza, 3- tutti i fenomeni sono vuoti di esistenza in sè, e 4- il nirvana è pace. 

La dottrina del Buddha può essere riassunta in due frasi: "Aiuta gli altri" e "nel caso non puoi farlo , non nuocere agli altri". Questa dottrina è radicata nel terreno dell'amore e della compassione. 

L'etica è la nostra difesa, e la nostra principale arma di attacco è la saggezza, per questo sono necessarie stabilità mentale e concentrazione. La perfezione dell'etica è raggiunta quando avrete sviluppato fino al punto supremo l'idea di non danneggiare gli altri e non compiere le dieci azioni negative. Questo porta all'estinzione del fuoco dell'attaccamento, della collera e della rabbia.

Le azioni si compiono attraverso tre porte: il corpo, la parola e la mente; le dieci azioni negative sono: l'omicidio, il furto e condotta sessuale inappropriata, la menzogna, l'incomprensione, la parola che ferisce e il pettegolezzo, la lussuria, la malizia, il punto di vista scorretto o perverso.  I quattro antidoti sono il potere del  rimpianto, il potere della purificazione, la forza della determinazione, la forza suprema della meditazione.  

La principale tecnica per arrivare alla pace della mente è la meditazione. La nostra vera natura è calma, per questo il Buddha ci raccomanda di cercare profondamente in noi stessi, in noi stessi troveremo il desiderio di pace.   L'etica è il fattore principale per una rinascita favorevole.

Dopo l'illuminazione, il Buddha girò più volte la ruota della legge prima del aprinirvana, che è la legge cosmica rivelata dal Buddha, l'insegnamento religioso che impedisce di entrare nel ciclo della sofferenza del samsara. L'essenziale resta l'analisi attraverso la logica e la ragione. Se certe cose non si accordano con la ragione e la realtà non dovete mai accettarle. L'uomo che ha la comprensione del Dharma considera uguali i tesori del mondo e la goccia della rugiada sospesa sulla punta di un filo d'erba.   Le grandi scritture, tradotte in tibetano sotto il nome di kangyur, ricoprono l'insieme degli insegnamenti del Buddha. La vera pratica consiste nell'applicazione immediata di quello che apprendiamo.

Non dobbiamo dimenticare che in tutti gli esseri umani esiste un seme di amore e di compassione che farà di lui, un giorno, un Buddha.

Nel capitolo cinque parla della vita. Nel buddhismo si dice che ciascuno è il maestro di se stesso. Il potenziale è identico per ogni essere umano. Se avete la volontà potete fare quello che volete. Se non alleniamo la nostra mente e non riflettiamo, ci è impossibile ottenere la felicità. La felicità non può coesistere con l'aggressività.  

I nostri maestri più preziosi sono i nostri nemici.  Il Dalai Lama consiglia di essere prudenti nello sposarsi, una famiglia felice è un passo verso un mondo felice. La base di tutti gli insegnamenti morali dovrebbe essere la non risposta agli attacchi.  L'ideale sarebbe di spendere il 50% del tempo e dell'energia a occuparsi degli affari correnti e il 50% a coltivarsi interiormente.  Tutti insieme si dovrebbe cercare di sviluppare una spiritualità nuova, parallelamente alle religioni, in modo tale che tutte le persone di buona volontà possano aderire. Un concetto nuovo, una spiritualità laica. 

Tutto quello che è nostro è soggetto all'impermanenza, niente di quello che comunemente crediamo essere reale è permanente. A torto crediamo che il corpo e la mente possiedono una specie di "io". La vacuità corrisponde al vuoto, all'assenza totale di esistenza intrinseca, La vacuità è paragonabile a uno zero, uno zero in se stesso non è niente, ma senza lo zero non è possibile contare. Di conseguenza lo zero è qualcosa anche essendo niente. Lo stesso è per il vuoto; il vuoto è vuoto, ma allo stesso tempo la base di tutto.   La forma è il vuoto, il vuoto è la forma. La materia di cui siamo composti è vuota, tuttavia questo non vuol dire "il nulla", e a torto molti commentatori hanno accusato il buddhismo di nichilismo. Secondo i buddhisti il mondo è una fluidità, una corrente di stati, tutte le cose dipendono da altre cose. Niente esiste separatamente. le cose appaiono, esistono e scompaiono, e appaiono di nuovo. Ma non esistono mai per loro stesse. La forma dunque è vuoto, non separata, non indipendente. Questa forma dipende da una moltitudine di altri fattori. Il vuoto è forma perchè tutte le forme si sviluppano in questo vuoto, in questa assenza di esistenza indipendente. Il vuoto è là per condurre alla forma.

Sull'origine dell'universo, i buddhisti dicono che il secolo in cui viviamo è la conseguenza dei secoli precedenti, e così via fino all'origine dei tempi, 20 o 25 miliardi di anni fa.     Ma come il Big Bang si è prodotto? Ci sono due risposte che i buddhisti non accettano, la prima che non c'è nessuna causa, ma qualcosa è successo.  La seconda risposta è la soluzione divina: Dio ha deciso di creare il mondo.  Secondo le scritture buddhiste delle particelle particolari esistevano nello spazio prima della creazione dell'universo.   Queste particelle spirituali sono ancora là, costituiscono gli esseri, e hanno dato via al Big bang. 

Nel buddhsimo, come in altre tradizioni c'è una via diretta al risveglio costituita da yoga, misticismo, certe forme di meditazione e di estasi. Questo approccio diretta che può condurci per esperienza all'origine del mondo è estremamente difficile. Presuppone che la nostra mente si sia sviluppata e affinata fino alle sua più alta qualità di coscienza sottile, che la sottrae ai cicli temporali. Poche persone arrivano a questi livelli. Quando si arriva a questi livelli di coscienza sottile e di estasi si può con piacere contemplare l'assenza di esistenza in sè, la vacuità e il vuoto. 

Per quanto riguarda la coscienza, benchè ne facciamo esperienza da secoli, non sappiamo cosa sia veramente. Dobbiamo dedicare parte dei nostri sforzi (oltre che alla scienza) alla ricerca interiore, nel campo della mente restano degli immensi spazi da esplorare.  Molti scienzati hanno compreso che il buddhismo non è una religione rigida, e si sono resi conto che è anche una scienza e come tutte le scienze si basa sull'esperienza.  La natura umana è provvisoriamente contaminata, attraverso un processo di purificazione, di risveglio, la nostra mente può raggiungere quella alta qualità che si chiama Nirvana. Lo spirito (la mente) si trova allora trasformato in saggezza e non si è più sottomessi al ciclo delle esistenze. 

Quando la fine è prossima, dobbiamo volgere i nostri pensieri verso la pratica, dobbiamo studiare il processo della morte e familiarizzare con esso attraverso la meditazione, e vivere le otto fasi della dissoluzione del corpo. 1- Il processo comincia con la dissoluzione dell'aggregato delle forme: l'elemento terra si indebolisce, il morente ha l'impressione di finire sotto terra e la sua vista indebolisce, 2- l'elemento acqua perde consistenza e prevale il fuoco, la bocca diventa secca, 3- nella fase seguente l'elemento aria diventa predominante, il morente non riconosce più i suoi cari, interiormente vede come delle lucciole. 4-, l'elemento vento si indebolisce, il sintomo esterno è l'arresto della respirazione, internamente il morente vede una fiamma rossastra. In questo stadio un medico dichiara la persona morta. Ma secondo il buddhismo, il processo non è ancora terminato, la coscienza della persona è ancora presente, ma ciò non significa che si può ritornare indietro.  Ci sono ancora altri quattro stadi, 5-  la percezione di una visione bianca e di energia all'interno, nessun segno esteriore. 6- Poi la percezione di un luce rossa, 7- poi la coscienza di un nero e oscurità profonda, si entra in una specie di incoscienza.  8- Quando la percezione del nero e dell'energia motrice si dissolvono, si manifesta la percezione più sottile di tutte: la chiara luce della morte.  E' allora che la vita si arresta veramente. In questo momento per lo yogi è venuto il momento di mettere alla prova la sua pratica, prima che le cellule degenerino.  Conosce in quel momento il livello più sottile: la coscienza della luce chiara.  La coscienza è divisa in tre livelli di coscienza sottile: lo stato di veglia ( a livello grossolano della coscienza), lo stato di sogno (che è più sottile), e lo stato di sonno profondo (senza sogni e che si rivela ancora più sottile), di una modalità simile, le tre tappe della nascita, della morte fisica, e dello stato intermediario del bardo che procede la rinascita,  sono stati classificati secondo la sottigliezza dello stato di coscienza.  Durante il processo di morte, l'essere penetra nel più profondo della sua coscienza sottile. Ma dopo la morte, durante il bardo, la sua coscienza si prepara e diventa più grossolana, e continua durante il processo della rinascita e della reincarnazione. 

Lo yoga può contribuire al benessere generale, ma il mezzo principale per purificare la mente, è la mente. Attraverso la saggezza si perviene alla verità profonda, o ultima della vacuità, questa saggezza che percepisce l'assenza dell'io, può essere diretta o indiretta.

Yoga e meditazione all'eremo di Camaldoli con Alex Bayer

Oggi è chiamata in causa non una particolare forma di religione; ma la religione in se stessa e solo il movimento ecumenico tra le religioni e lo sforzo di ciascuna ad accettare e apprezzare la verità e santità che si trova nelle altre religioni, può rispondere al bisogno di religiosità dell’uomo moderno.” (Bede Griffiths: Matrimonio tra Oriente e Occidente, p.30, anni '80).

Axel Bayer è nato nel 1970 a Stoccarda (Germania), è monaco benedettino del Sacro Eremo di Camaldoli (AR). È laureato in lingue, lettere e teologia, pratica yoga e meditazione da 20 anni ed è insegnante dell' Himalayan Yoga Institute, fondato da Swami Rama. Dopo essersi diplomato, ha trascorso un periodo di approfondimento e di pratica intensa a Rishikesh in India. Da molti anni propone corsi di meditazione e iniziative che mettono in dialogo la tradizione cristiana con la sapienza dell'Oriente.

Insegna metodi di meditazione cristiana nel master ‘Meditazione e neuroscienze cognitive’ all’università di Udine. Ha scritto la sua tesi di laurea in teologia sulla preghiera pura di Evagrio Pontico ed è autore del libro: ‘Meditazione – dalla preghiera pura di Evagrio Pontico al raja-yoga di Patanjali’.  Evagrio Pontico è uno dei Padri del deserto che ha maggiormente contribuito allo sviluppo di una via meditativa nella tradizione cristiana. Questo testo ricco e prezioso che ci riporta all’essenza della meditazione che, come fa osservare l’Autore, non è patrimonio esclusivo dell’Oriente o dell’Occidente, ma è una risposta trasversale alla ricerca, propria della natura umana, di strumenti che possano metterci in contatto con il Divino. Nel libro viene ripercorsa la storia della via meditativa nella tradizione cristiana, sottolineandone i punti di contatto con quella orientale. Axel Bayer non si limita, però, solo all’aspetto teorico, ma ci offre molte «indicazioni sulla pratica, sul rilassamento, sulla concentrazione, sul ruolo del maestro, sull’importanza della condivisione e, soprattutto, sulla centralità dell’abbandono. Alex spiega le motivazioni e le difficoltà nell'intraprendere una ricerca spirituale oggi; incoraggia comunque a provarci e a mettersi in cammino».

L’anelito alla meditazione silenziosa è trasversale alle diverse tradizioni religiose, ed Alex esplora il modo in cui questi cammini si illuminano reciprocamente gettando luce anche sul personale cammino spirituale. 

Propone una  pratica yoga e meditativa con condivisione. Intende lo yoga, come un metodo che aiuta il praticante in un processo di svuotamento e di abbandono che porta ad una calma mentale, aperta all’incontro con l’altro, e in questo modo lo yoga diventa un prezioso strumento per approfondire l'esperienza religiosa, la preghiera e la comprensione di noi stessi.  Prendendo spunto dalla ricca tradizione spirituale che proviene dalle religioni orientali, Alex vuole portare avanti il dialogo iniziato dai padri fondatori dell'ashram in India: Jules Monchanin, Henry Le Saux e Bede Griffiths.

Amare il Dio invisibile significa aprire passivamente il cuore davanti a Dio e attendere l’attiva rivelazione di Lui, in modo che nel cuore scenda l’energia dell’amore divino.”  - Pavel Florenskij.

Riferimenti: 

  • https://www.camaldoli.it/yoga-e-meditazione/
  • https://www.youtube.com/watch?v=YfS6Gc_oatk&ab_channel=AxelBayer
  • https://www.youtube.com/watch?v=yI9XchIhcaY&ab_channel=AxelBayer

Risorse per la meditazione

 The Lighthouse  -  Youtube meditations, documentaries and talk: https://www.youtube.com/@thelighthouseworld/featured

App: https://www.thelighthouse.world/downloadapp     

Choose from the many resources offered by the Global Retreat Centre

https://www.globalretreatcentre.org/discover-more/

 

Il canone buddhista

I testi sacri del Buddhismo sono attualmente raccolti in tre canoni: il Canone pāli, il Canone cinese e il Canone tibetano così denominati in base alla lingua degli scritti.



Il Canone pāli (letteralmente “Tre canestri” in sanscrito Tripitaka) è la più antica collezione di testi canonici buddhisti pervenutaci integralmente. Secondo la tradizione della scuola Theravāda il loro contenuto fu fissato in forma orale durante il primo concilio buddhista a Rājagaha subito dopo la morte del Buddha e furono messi per iscritto in Sri Lanka nel I secolo a.C. da parte della comunità del monastero Mahāvihāra, anche se l’edizione del Canone pāli di cui disponiamo oggi risale al V secolo d.C. (quando la versione attribuita al periodo del re Vaṭṭagāmaṇī (30 a.C.) fu rivista dai monaci del Mahāvihāra.).

I Tre Canestri. Questi scritti si possono dividere in tre categorie, i cui fogli dei primi manoscritti, originariamente consistenti in foglie di palma, erano conservati in canestri, donde il nome collettivo (tipiṭaka, pāli, da ti, tre, e piṭaka, cesto o canestro, tripitaka in sanscrito). 

  • Il primo “canestro”, il Vinaya Piṭaka, è la disciplina monastica, contenente le regole dell’ordine e le procedure da seguirsi in caso di infrazione da parte di un monaco, insieme al resoconto delle circostanze che hanno portato alla promulgazione di ciascuna regola;
  • Il secondo “canestro”, il Sutta Piṭaka, contiene resoconti della vita e degli insegnamenti del Buddha. Il Sutta Piṭaka è a sua volta suddiviso nei cinque Nikāya.
  • Il terzo “canestro” è l’Abhidhamma Piṭaka ed è una raccolta di testi che elaborano ulteriormente diversi concetti e tesi della dottrina presentati nel Sutta Pitaka, giungendo ad una loro trattazione filosofico-metafisica.

In genere le raccolte in cui è diviso contengono testi sia antichi e probabilmente testimoni delle autentiche vicende delle prime comunità monastiche e dell’insegnamento del Maestro, che testi più recenti e successivi. Ad esempio, nel Majjhima Nikāya si confronta il sistema sociale castale indiano con quello greco privo di caste, il che porta a datare questo testo a non prima del III secolo. Il Sutta Piṭaka sembra il prodotto di una comunità unita, che non ha ancora vissuto eventi scismatici. Studiosi osservano che il Canone pali potrebbe non riportare direttamente l’autentico insegnamento del Buddha Shakyamuni. Da fonti esterne si può evincere come tutti i cinque Nikāya del Sutta Piṭaka abbiano preso la loro forma attuale prima della composizione del Milinda Pañha, composto nel I secolo d.C. Studi accademici considerano l'Abhidhamma Piṭaka risalente al III secolo a.C.

L’editto di Bhāru dell’imperatore Aśoka dimostra come almeno parte dei primi quattro Nikāya abbiano preso una forma definitiva durante il III secolo a.C..   Alcuni testi dei cinque Nikāya possono essere datati prima del II secolo a.C..  Alcuni studi di gran lunga più recenti ritengono però che la versione del canone pāli che ci è giunta per opera della comunità monastica del Mahāvihāra di Anurādhapura, Sri Lanka, sia stato redatto per fornire alla comunità di questo monastero «una base istituzionalizzata per la crescita e lo sviluppo continuo della tradizione Theravāda.

Il Canone buddhista cinese rappresenta la versione del Tripitaka buddhista in cinese in tutte le sue recensioni storiche diffuse e accettate in Cina, Giappone, Corea e Vietnam in epoche diverse. Da questo Canone derivano anche i Canoni buddhisti manciù e tangut.

La versione più antica del Dàzàng Jīng (letteralmente: “Grande tesoro delle scritture”), di cui rimane solo il catalogo delle opere che conteneva, risale al 515 ed era riprodotta su rotoli di carta e di seta. La prima edizione a stampa risale invece al 972 (dinastia Song Settentrionali), quando l’imperatore Tàizǔ decise di avviare l’incisione dell’intero Canone. La prima incisione del Canone su blocchi di legno terminò nel 983, quando oltre 5 000 manoscritti che contenevano 1076 testi furono riprodotti su 130 000 blocchi, l’insieme dei quali costituisce la versione del Canone cinese denominata Kāibǎo.

Questa versione xilografica fu poi portata in Corea dove, nel 1030, fu completata l’opera di una edizione analoga sempre su blocchi di legno (Canone coreano), edizione andata poi perduta a causa delle invasioni dei Mongoli nel XIII secolo.   Dopo l’edizione Kāibǎo ne seguirono delle altre, sempre a blocchi, denominate in base al luogo di realizzazione, spesso dei monasteri.

Anche in Giappone si realizzarono diverse edizioni complete del Canone cinese, prima su blocchi lignei e poi a stampa tra il 1640-1680.  Poi il  Canone di Tokyo XIX sec. ; l’ultima edizione, in 85 volumi di stile occidentale è divenuta lo standard di riferimento nei paesi di antica influenza cinese.

Il Canone tibetano è l’opera che raccoglie i sutra, i tantra e in generale le scritture buddhiste ritenute importanti per la tradizione del Buddhismo Vajrayana in Tibet.  Il canone fu composto dal monaco Butön (Bu ston) (1290 – 1364) ed è diviso in due parti: Kangyur e Tengyur. Nella prima sono raccolte le opere espressione diretta degli insegnamenti dei Buddha o dei Bodhisattva, nella seconda i commenti e gli scritti delle varie scuole e lignaggi del Buddhismo tibetano.
Giacché Butön aveva escluso dal canone gli insegnamenti Nyingmapa questi furono raccolti da Ratna Lingpa (1403 – 1478) in un’opera intitolata Nyngma gyubdun.

Il Canone tibetano fu dato alle stampe in tibetano la prima volta a Pechino nel 1411 e solo nel 1742 in Tibet in 333 volumi.
Lo sforzo cui tendeva il canone fu quello di accettare nel Kangyur i testi di cui si possedesse l’originale sanscrito o pali, cassando i testi di cui esisteva oramai la sola traduzione tibetana o cinese. Così solo pochi sutra del Buddhismo dei Nikaya trovarono posto nel canone rispetto ai sutra del Mahayana. Il Vinaya stesso, il codice di regole monastiche, è quello sanscrito dei Mulasarvastivadin. Dato che ormai l’India era sotto il controllo islamico e tutte le università buddhiste e monasteri erano stati distrutti il canone tibetano rappresenta l’estremo tentativo di salvare la tradizione indiana del Buddhismo.


La pratica dello yoga ha una storia millenaria

Lo Yoga è il più grande dono dell’India al mondo.  – Shri T. Krishnamacharya

Articolo di Susanna Marsiglia.   https://www.meditazionezen.it/la-storia-dello-yoga/

La pratica dello Yoga ha una storia millenaria che risale agli albori della civiltà ed è probabilmente la disciplina orientale che ha maggiormente affascinato l’Occidente negli ultimi decenni. Quest’antichissima pratica, che si concentra sull’armonia tra mente e corpo, racchiude una vera e propria scienza del vivere sano. Non a caso si stima che ad oggi più di 300 milioni di persone in tutto il mondo pratichino lo yoga.

La parola “Yoga” deriva dalla radice sanscrita “Yuj”, che significa “unire” o “unione”. Secondo i suoi antichi testi, praticare yoga porta all’unione della coscienza individuale con la coscienza universale, generando una perfetta armonia tra mente e corpo e tra uomo e natura.

La storia dello yoga, tra origini incerte e tradizioni segrete.   Le vere e proprie origini dello yoga antico sono per lo più avvolte dall’incertezza, a causa dell’iniziale trasmissione orale dei suoi testi sacri e della natura segreta dei suoi insegnamenti. Si ritiene che i primi testi sullo yoga fossero addirittura trascritti su fragili foglie di palma che venivano facilmente danneggiate, distrutte o perse. Numerosi storici e ricercatori sono concordi nel ritenere che questa pratica risalga agli albori della civiltà umana, molto prima della nascita delle religioni e di altri sistemi di credenze.

Lo yoga non è infatti una religione, bensì una filosofia di vita che coincide con i primi sforzi dell’uomo di vincere le malattie e conquistare la longevità e il benessere. Mentre la religione richiede una fede cieca, lo yoga è una pratica esistenziale, esperienziale e basata su un cammino di vita individuale che può essere sperimentato e modificato da ognuno di noi.

Dove è nato lo yoga?  Sarebbe un’impresa quasi impossibile dividere la storia dello yoga da quella dell’India. La civiltà e le tradizioni del subcontinente indiano sono infatti profondamente connesse con la nascita di questa disciplina, che è parte integrante dell’identità storica e culturale dell’India contemporanea. Anche se discipline simili allo yoga si sono sviluppate in altre parti del mondo, è stato in India che il sistema yogico ha trovato la sua massima espressione. Ed è proprio tra i resti della civiltà della valle dell’Indo (una tra le più culturalmente ricche e sviluppate del mondo antico) che sono stati rinvenuti numerosi sigilli raffiguranti figure di persone in posizioni di yoga, che suggeriscono la presenza dello yoga nell’antica India già dal 3.500 a.C.

Quando è nato lo yoga? La nascita dello yoga come disciplina può essere fatta risalire a oltre 5.000 anni fa, ma alcuni ricercatori ritengono che affondi le sue radici in tempi ben più antichi. Fu Patanjali nel II secolo d.C. a sistematizzare e codificare le pratiche dello yoga esistenti (e fino a quel momento trasmesse solo per via orale) attraverso il suo libro Yoga Sutra. Proprio a quest’opera letteraria si attribuisce la prima trasmissione scritta dei principi dello yoga moderno. La lunga e ricca storia dello yoga può essere suddivisa in quattro periodi principali di concezione, pratica e sviluppo.

Yoga preclassico.  I primi fondamenti dello yoga furono sviluppati dalla civiltà dell’Indo-Sarasvati nell’India settentrionale oltre 5.000 anni fa. La parola yoga è menzionata per la prima volta nei Veda, la più antica raccolta di testi spirituali in sanscrito, risalente al periodo tra il 1500 e il 900 a.C. I Veda contenevano canti, mantra e rituali usati dai brahmani, i sacerdoti della civiltà religiosa vedica (ovvero la cultura filosofica e religiosa degli antichi popoli dell’India nord-occidentale).  I primi rudimenti di yoga furono poi lentamente perfezionati e sviluppati proprio dai Brahmani e dai Rishi (veggenti mistici).  Ogni volume dei Veda contiene quattro parti e una di queste in particolare, le Upanishad, riguarda la meditazione, la filosofia e la spiritualità indù.  Le Upanishad adottarono l’idea del sacrificio rituale dai Veda e la interiorizzarono, insegnando il sacrificio dell’ego attraverso la conoscenza di sé, l’azione (karma yoga) e la saggezza (jnana yoga).

Yoga classico.  Nella fase pre-classica, lo yoga era un miscuglio di varie idee, credenze e tecniche che spesso erano in conflitto e si contraddicevano a vicenda. L’inizio del periodo classico è definito dagli Yoga-Sûtra di Patanjali, la prima presentazione sistematica dello yoga. Redatto nel II secolo d.C., il testo descrive il percorso del Raja Yoga, spesso definito come “yoga classico” o “yoga originario”. Patanjali fu il primo ad organizzare la pratica dello yoga in un “percorso a otto stadi” contenente i passaggi e le fasi per raggiungere Samadhi, ovvero l’illuminazione. Per questo motivo Patanjali è spesso considerato il padre dello yoga e i suoi Yoga-Sûtra influenzano ancora fortemente la maggior parte degli stili di yoga moderno.

Yoga post-classico. Alcuni secoli dopo Patanjali, i maestri di yoga elaborarono un sistema di pratiche con lo scopo di ringiovanire il corpo e prolungare la vita. Rifiutarono gli insegnamenti degli antichi Veda e abbracciarono il corpo fisico come mezzo per raggiungere l’illuminazione. Si sviluppò così il Tantra Yoga, con tecniche radicali per purificare il corpo e la mente, spezzando i nodi che ci legano alla nostra esistenza fisica. L’esplorazione di queste connessioni fisico-spirituali e pratiche incentrate sul corpo portò alla creazione dello stile di yoga maggiormente praticato in Occidente: l’Hatha Yoga.

Yoga moderno e diffusione in Occidente. Tra la fine del 1800 e l’inizio del 1900, i maestri di yoga iniziarono a viaggiare in Occidente attirando attenzioni e seguaci. Al Parlamento delle Religioni Mondiali del 1893 a Chicago il maestro indiano Swami Vivekananda estasiò i partecipanti con le sue lezioni sullo yoga e sull’universalità delle religioni del mondo. Negli anni ’20 e ’30 del XX secolo l’Hatha Yoga fu fortemente promosso in India grazie al lavoro di divulgazione di T. Krishnamacharya, Swami Sivananda e altri maestri che praticavano l’Hatha Yoga. Krishnamacharya aprì la prima scuola di Hatha Yoga a Mysore nel 1924 e nel 1936 Sivananda fondò la Divine Life Society sulle rive del sacro fiume Gange.  Fu proprio Krishnamacharya ad istruire tre studenti che avrebbero poi portato avanti la sua eredità e aumentato la popolarità dell’Hatha Yoga nel mondo: B.K.S. Iyengar, TKV Desikachar e Pattabhi Jois.  Sivananda fu un altro autore prolifico, pubblicando oltre 200 libri sullo yoga e fondando nove ashram e numerosi centri yoga in tutto il mondo.

La diffusione dello yoga in Occidente proseguì progressivamente fino all’apertura dello studio di yoga di Indra Devi a Hollywood nel 1947, che segnò un punto di svolta per la popolarità della pratica negli Stati Uniti. Da quel momento molti altri insegnanti occidentali e indiani divennero pionieri della disciplina in Nord America e in Europa, rendendo sempre più conosciuto l’Hatha Yoga e guadagnando milioni di seguaci. L’Hatha Yoga conta oggi molte scuole e stili differenti, che enfatizzano aspetti differenti della pratica.

La storia dello yoga secondo la mitologia indiana. Nella tradizione yogica, il dio Shiva è considerato il primo yogi (o Adiyogi) nonché il primo Guru (o Adi Guru).  Si narra che diverse migliaia di anni fa, sulle rive del lago Kantisarovar nell’Himalaya, Shiva riversò la sua profonda conoscenza nei leggendari Saptarishi o “sette saggi”.  I saggi diffusero questa potente scienza yogica in diverse parti del mondo, tra cui l’Asia, il Medio Oriente, il Nord Africa e il Sud America. Agastya, il Saptarishi che viaggiò attraverso il subcontinente indiano, fu il responsabile della diffusione e sviluppo dello yoga indiano che conosciamo oggi. Questa leggenda si rifà agli stretti parallelismi tra le culture antiche di tutto il mondo, dove ritroviamo elementi culturali, filosofici e religiosi molto simili tra loro nonostante la distanza geografica.

I falsi miti sullo yoga in Occidente.
Per molte persone in Occidente la pratica dello yoga è limitata all’Hatha Yoga e alle Asana (posizioni). Questo per via del fatto che i maestri di Hatha Yoga sono stati i maggiori divulgatori della disciplina al di fuori dell’India. Tuttavia, soltanto tre degli Yoga Sutra sono dedicati alle asana. Fondamentalmente, l’Hatha Yoga è un processo preparatorio affinché il corpo possa sostenere livelli di energia più elevati. Il processo inizia con il corpo per poi proseguire con il respiro, la mente e il sé interiore.  

Lo yoga è anche erroneamente inteso come una terapia o un sistema di esercizi per la salute e il fitness. Anche se la salute fisica e mentale sono conseguenze naturali dello yoga, l’obiettivo dello yoga è di più ampia portata. Lo yoga riguarda l’armonizzazione di sé stessi con l’universo. È la tecnologia per allineare la geometria individuale con il cosmico, per raggiungere il più alto livello di percezione e armonia. Diverse usanze sociali e rituali in India, la terra dello Yoga, riflettono l’amore per l’equilibrio ecologico, la tolleranza verso altri sistemi di pensiero e una visione compassionevole verso tutte le creature.
Lo yoga in tutte le sue sfumature e accezioni è considerato una panacea per una vita più ricca e realizzata. Il suo orientamento a una salute globale, sia individuale che sociale, lo rende una pratica accessibile a persone di tutte le religioni, razze e nazionalità.

La storia dello yoga: Tappe chiave.
Yoga preclassico: 4500 – 2500 aC
Yoga classico: 100 a.C. – 500 d.C
Yoga post-classico: 500 – 1300 d.C
Yoga moderno: 1700 d.C. – ora
 

La storia riassunta. 3500 a.C -1500 a.C.: La civiltà della valle dell’Indo viene creata dall’assimilazione di popolazioni indigene dravidiche e indoeuropee originarie della regione del Caucaso che emigrano nell’Asia meridionale e si diffondono nelle fertili pianure settentrionali.
1800-1000 a.C.: Viene redatto il più antico testo dei Veda, Ṛgveda.
600 a.C.: Vengono redatte le prime Upanishad, che contengono alcune interpretazioni mistiche e spirituali dei Veda.
599-527 a.C.: Mahavira fonda il Giainismo e insegna l’osservanza di cinque voti (simili a quelli che saranno poi gli stadi del Raja Yoga).
563-483 a.C.: Siddhartha Gautama (Buddha) raggiunge l’illuminazione e diffonde gli insegnamenti alla base del buddismo che invitano al severo ascetismo.
400-200 a.C.: Il buddismo in India raggiunge la sua massima diffusione.
200 a.C.- 200 d.C.: Lo Yoga Sūtra di Patanjali codifica le pratiche yogiche (rāja), presentandole come un sistema a otto stadi (ashtānga). La tradizione filosofica è legata alla scuola Sankhya.
350- 500: Si sviluppa il Tantra, un insieme di credenze e pratiche di meditazione e rituali che cerca di incanalare l’energia divina del macrocosmo o divinità nel microcosmo umano, per ottenere siddhi (poteri) e moksha (liberazione/libertà).
1450: Viene redatto l’Hatha Yoga Pradipika, un’opera composta da quattro capitoli che includono informazioni su asana, pranayama, hcakra, kundalini, bandha, kriya, śakti, nāḍī e mudrā tra gli altri argomenti.
1650: Viene redatto Gheranda Samhita, uno dei tre testi classici dell’hatha yoga (gli altri due sono l’Hatha Yoga Pradipika e lo Shiva Samhita). È considerato il più enciclopedico dei tre testi classici sull’hatha yoga.
1893: Sv. Vivekananda parla al Parlamento delle religioni del mondo a Chicago, divenendo una figura chiave nell’introduzione delle filosofie indiane del Vedanta e dello Yoga nel mondo occidentale.
1869-1948: Gandhi guida gli indiani ad opporsi alla tassa sul sale imposta dagli inglesi con la Dandi Salt March di 400 km (250 miglia) nel 1930, e in seguito gioca un ruolo chiave nel chiedere agli inglesi di lasciare l’India nel 1942.
1924: Sir John Woodroofe traduce Satcakranirupana (“Il potere del serpente”), che introduce molti concetti dello yoga e del tantrismo in Occidente.
1936: Sivananda fonda la Divine Life Society sulle rive del Gange.
1947: Indra Devi apre il suo studio di yoga a Hollywood, consacrando la diffusione dell’Hatha Yoga in Occidente.

Conclusione. Oggigiorno, milioni e milioni di persone in tutto il mondo beneficiano della pratica dello yoga, che è stata preservata e promossa dai grandi maestri dai tempi antichi fino ad oggi. Lo yoga rappresenta uno dei primi tentativi dell’uomo di raggiungere un benessere olistico e, in tutte le sue forme, ci aiuta ancora oggi a ritrovare noi stessi e a raggiungere un’unione universale, profonda e consapevole con l’universo. La storia dello yoga, per molti versi, è anche la storia della coscienza umana.

Fonti. Ministry of External Affairs, India,  Yoga Stats and Facts, History of Yoga, Wikipedia, Yoga History Timeline.

Letture consigliate.  Yoga sutra, Patañjali;    Le radici dello yoga, Mallinson, James;
Yoga e mito. Origine e storia di 64 asana, Devdutt Pattanaik , Matthew Rulli.

La pratica della meditazione ha una storia millenaria

La Storia della Meditazione, dall’antichità ad oggi, articolo di Susanna Marsiglia,            https://www.meditazionezen.it/la-storia-della-meditazione/          

Negli ultimi anni l’attenzione verso la meditazione è cresciuta esponenzialmente, avvicinando sempre più persone ai numerosi benefici di questa pratica. Ciononostante, le sue origini e la sua storia millenaria rimangono ancora un mistero per molti.

Come recita uno degli aforismi più famosi attribuiti al filosofo francese Michel de Montaigne, “la cosa più grande al mondo è sapere come appartenere a sé stessi”. Pensiamo che questa massima riassuma perfettamente il senso e lo scopo della meditazione. Nella società frenetica in cui viviamo oggi è necessario uno sforzo cosciente per prenderci un momento di consapevolezza ed esplorare chi siamo veramente – eppure conoscerci in profondità è da sempre un istinto innato nell’uomo, probabilmente quello da cui ha avuto origine questa pratica.

La parola meditazione deriva da meditatio, un termine latino che significa “riflessione”. Meditando, infatti, possiamo trovare una migliore connessione con il nostro corpo nei momenti quotidiani e creare una maggiore consapevolezza di come le nostre emozioni influenzano il nostro comportamento.

Quando è nata la meditazione?  La risposta a questa domanda è più complessa di quanto potremmo credere. Diverse ricerche, libri e accademie parlano di una “tradizione secolare”, ma l’effettiva origine della meditazione come pratica dipende dalla definizione che vogliamo dare al termine “meditare”.

La meditazione potrebbe essere antica quanto l’umanità stessa, tenendo conto delle potenziali capacità meditative degli uomini di Neanderthal. Diverse scuole di pensiero, però, collocano le radici della pratica nell’ambito di un insieme di tecniche e rituali originari del continente asiatico, arrivato a noi sotto forma di artefatti e scritture.  In India, la meditazione viene citata in alcuni dei più antichi documenti risalenti al 1500 a.C.  La pratica di Dhyāna (o Jhāna) è indicata come allenamento della mente, spesso tradotto come “meditazione”. Molti di questi documenti provengono dalle tradizioni indù della filosofia vedica e discutono varie pratiche di meditazione nell’antica India. Le scritture buddiste indiane e i testi risalenti a poche centinaia di anni prima di Cristo rappresentano ulteriori menzioni della pratica, ma molti sostengono che questi siano alquanto ambigui nei loro riferimenti diretti alla meditazione.
In Cina, le prime forme di meditazione sono citate fin dal III e VI secolo a.C. e collegate al taoista Laozi, un antico filosofo cinese, e ai suoi scritti. Nelle sue opere vengono usati molti dei termini impiegati nei secoli successivi per descrivere le tecniche di meditazione, tra cui:

    - Shou Zhong – tradotto approssimativamente come “guardia di mezzo”.
    - Bao Yi – tradotto approssimativamente come “abbracciare l’uno”.
    - Shou Jing – tradotto approssimativamente come “guardia alla tranquillità”.
    - Bao Pu – tradotto approssimativamente come “abbracciare la semplicità”.

Tuttavia, alcuni sostengono che è difficile stabilire se queste tecniche fossero già ampiamente utilizzate quando il testo è stato scritto, o se fossero termini nuovi ideati appositamente per il testo. La verità è che nessuno sa con assoluta certezza quando la meditazione ebbe origine ufficialmente. Ci sono molteplici riferimenti in diverse culture e religioni – tra cui il giudaismo, l’Islam e il Cristianesimo – a pratiche di tipo meditativo, che sembrano tutti aver contribuito a formare la pratica che oggi conosciamo.

Dove è nata la meditazione?  Esattamente come per il “quando”, è altrettanto difficile capire dove la meditazione ha avuto origine. Le prime testimonianze scritte provengono dall’India, più precisamente dalle tradizioni indù del vedismo intorno al 1500 a.C.  
La filosofia vedica è uno dei primi percorsi indiani conosciuti per l’illuminazione spirituale. Altre forme di meditazione sono poi citate intorno al VI e al V secolo a.C. nella Cina taoista e nell’India buddista. Le origini precise sono molto dibattute, soprattutto intorno alla meditazione buddista. Alcuni primi resoconti scritti dei diversi stati di meditazione del buddismo in India si trovano nei sutra del Canone Pāli, che risale al I secolo a.C. Il Canone Pāli è una raccolta di scritture della tradizione buddista Theravada.
Alcune prove hanno anche collegato le pratiche meditative con il giudaismo, che si pensa sia stato ereditato dalle sue tradizioni precedenti. La Torah (i primi cinque libri del Tanakh, la Bibbia ebraica) contiene una descrizione del patriarca Isacco che va a ‘lasuach’ in un campo. Questo termine è generalmente inteso come una forma di meditazione.

Sappiamo chi ha creato la meditazione?   In poche parole, no, non lo sappiamo. Poiché le sue origini precise nello spazio e nel tempo sono abbastanza nebulose, scoprire chi ha ideato questa pratica è altrettanto ambiguo.  Ciò che sappiamo, tuttavia, è che alcune personalità influenti nel corso della storia sono state fondamentali per la diffusione della meditazione. Di seguito abbiamo elencato tre figure chiave, ma ce ne sono molte altre che sono state ugualmente importanti nel divulgare la pratica.
- Il Buddha (India) è conosciuto anche con altri nomi, tra cui Siddhārtha Gautama in sanscrito o Siddhattha Gotama in pali, era un principe che divenne monaco, saggio, filosofo e leader religioso. È proprio sulla base dei suoi insegnamenti che è stato fondato il buddismo. Per questo motivo, potrebbe essere facile supporre che il Buddha abbia creato o inventato la meditazione, ma non è così. I testi del buddismo fanno infatti riferimento a molte pratiche diverse di meditazione e il Buddha stesso ebbe degli insegnanti dai quali apprese la pratica. Sebbene sia stato fondamentale per diffondere il valore della meditazione come pratica, il Buddha non l’ha certamente inventata.
.- Lao-Tze (Cina) è conosciuto anche da Lao-Tzu e Laozi, era un antico filosofo cinese il cui nome è essenzialmente un titolo d’onore che significa “Vecchio Maestro”. A lui si attribuisce il merito di essere l’autore del Tao-Te-Ching, un’opera che esemplifica i suoi pensieri e gli insegnamenti che hanno fondato il sistema filosofico del taoismo, che fa riferimento alle pratiche meditative e all’idea di saggezza nel silenzio. Si specula molto sul fatto che Lao-Tze sia effettivamente esistito come uomo singolo, o che il nome si riferisca a un insieme di individui e filosofi che condividevano le stesse idee.-- - Dosho (Giappone)  era un monaco giapponese che, nel VII secolo, viaggiò in Cina e studiò il buddismo sotto la guida di Hsuan Tsang, un grande maestro dell’epoca. Fu durante questo viaggio che Dosho imparò tutto sui dettami dello Zen.  Al suo ritorno, aprì la sua prima sala di meditazione dedicata alla pratica dello Zazen, una meditazione seduta. Creò una comunità di monaci e studenti con l’obiettivo primario di insegnare questa forma di meditazione in Giappone.

Le radici della meditazione. Anche se oggi la meditazione come pratica è piuttosto comune e diffusa, è bene capire che le origini e le radici della meditazione risalgono a molto tempo fa. Oggi la meditazione continua ad essere adattata alle nostre vite e a mutare. Tornare alle sue radici può aiutare a sviluppare un forte apprezzamento della vastità di questa pratica e per il modo in cui si è sviluppata in diversi luoghi nel corso di diversi momenti storici.

Le più antiche immagini documentate della meditazione provengono dall’India e risalgono al periodo compreso tra il 5000 e il 3500 a.C. I dipinti murali raffigurano persone sedute in posture meditative con gli occhi socchiusi, che si presume siano raccolte in meditazione.   Il più antico testo di meditazione documentato proviene anch’esso dall’India, dalle tradizioni indù, intorno al 1500 a.C. Sebbene i veda abbiano creato testi che descrivono pratiche meditative, è importante sapere che queste erano state tramandate oralmente per secoli.  Accanto alla pratica vedica, le tradizioni indù descrivono anche la pratica yogi di meditare nelle grotte. Si ritiene che molte pratiche moderne di meditazione derivino da questo lignaggio, compreso il movimento dello yoga moderno le cui tecniche si basano prevalentemente sulla pratica dell’Hatha Yoga.

Buddismo in India. La meditazione è spesso strettamente legata al buddismo, anche se l’immagine del Buddha che medita su un loto è arrivata solo molto più tardi, molto tempo dopo l’inizio del buddismo stesso. Nel linguaggio classico del buddismo, la meditazione è chiamata bhāvanā, che significa sviluppo mentale, o dhyāna, che significa calma mentale. 

Le varie tecniche e pratiche della meditazione. Più o meno nello stesso periodo in cui il buddismo si diffondeva, si sviluppavano anche altre tre pratiche, ognuna con il proprio modo di avvicinarsi alla meditazione.

-Lao Tze e il taoismo in Cina.   Anche se c’è qualche controversia sul fatto che Lao Tze sia esistito come persona singola, si ritiene abbia vissuto intorno al VI secolo a.C. Il taoismo pone l’accento sul fatto di diventare un tutt’uno con il Tao, che significa “vita cosmica” o natura. Le tecniche tradizionali di meditazione taoista includono un’attenzione particolare alla consapevolezza, alla contemplazione e all’uso della visualizzazione.

-Confucio e confucianesimo in Cina.  Confucio era un insegnante, un politico e un filosofo cinese, vissuto nel VI secolo a.C. I suoi insegnamenti e i suoi pensieri si esprimevano attraverso la filosofia oggi nota come confucianesimo e sono ancora oggi molto importanti in Cina. Il confucianesimo pone l’accento sulla crescita personale, sulla moralità e sulla giustizia sociale. La meditazione nel confucianesimo è conosciuta come Jing Zuo, e si concentra sul miglioramento di sé e sulla contemplazione.

-Sufismo. Il sufismo è un’antica tradizione islamica che risale a 1400 anni fa. È una pratica in cui i musulmani cercano di connettersi con Allah (Dio) attraverso la riflessione e la contemplazione di sé stessi e la rinuncia ai beni materiali. Si pensa che attraverso una certa influenza indiana, il sufismo abbia sviluppato la sua particolare pratica di meditazione che include l’attenzione alla respirazione e l’uso dei mantra.

-Ebraismo. Oltre a quelle che si crede siano descrizioni della pratica della meditazione nella Torah, anche il metodo esoterico ebraico e la scuola di pensiero della Cabala includono alcune forme di meditazione. Queste si basano generalmente su un pensiero profondo su temi filosofici e sulla preghiera.

La meditazione in Occidente. La meditazione iniziò ad interessare l’Occidente intorno al 1700, quando alcuni testi di filosofia orientale, contenenti riferimenti a tecniche e pratiche di meditazione, vennero tradotti in diverse lingue europee.  Questi includevano:
-    Le Upanishad vediche – Una raccolta di testi religiosi e filosofici provenienti dall’India, che si suppone siano stati scritti tra l’800 e il 500 a.C.
-    La Bhagavad Gita – Una scrittura sanscrita composta da 700 versi che fanno parte del Mahabharata: un’epopea indù che descrive la vicenda tra il principe Pandava Arjuna e Krishna.
-    I Sutra buddisti – Scritture che si suppone siano gli insegnamenti orali del Buddha.

Nel XVIII secolo la meditazione era considerata solo un argomento di discussione e di interesse da parte di filosofi e intellettuali, tra cui Voltaire e Schopenhauer. Solo nel XX secolo divenne più importante, soprattutto negli Stati Uniti, quando Swami Vivekananda, tenne una presentazione al Parliament of Religions di Chicago. La presentazione creò una nuova ondata di interesse per i modelli orientali di spiritualità in Occidente, e influenzò un certo numero di insegnanti spirituali ad emigrare dall’India negli Stati Uniti, tra cui: Swami Rama,  Paramahansa Yogananda,  Maharishi Mahesh Yogi. Accanto a questi insegnanti, anche i rappresentanti spirituali di diverse scuole di pensiero buddiste cominciarono a migrare in Occidente, compresi gli individui delle scuole di pensiero Zen e Theravada. Da sottolineare il fatto che ogni volta che la meditazione è stata introdotta in un luogo nuovo, è stata inevitabilmente plasmata e mutata dalla cultura individuale di quel luogo.

Meditazione e scienza. Con la sua introduzione in Occidente, la meditazione ha cominciato a diventare più lontana dalle connessioni religiose e dagli insegnamenti delle sue radici e ad essere insegnata in modi più occidentalizzati. Negli anni Sessanta e Settanta, la meditazione è stata ricercata attraverso studi scientifici, rimuovendo ulteriormente i suoi contesti spirituali e incoraggiando la pratica ad essere utilizzata da chiunque, non solo da coloro che cercano una realizzazione spirituale.

Alla fine degli anni ’70, Jon Kabat-Zinn scoprì la meditazione attraverso i suoi studi al MIT e iniziò anche a studiare i potenziali benefici per la salute della pratica meditativa. Nel 1979 introdusse il suo programma MBSR (Mindfulness-Based-Stress-Reduction) e aprì la Clinica per la riduzione dello stress.

In quel periodo, anche la meditazione trascendentale proposta da Maharishi Mahesh Yogi crebbe in popolarità, con molte celebrità che si rivolgevano a questa pratica per aiutarli a far fronte alla fama, compresi i Beatles, anche se molte tecniche di meditazione erano legate prevalentemente alla cultura Hippie e non erano molto diffuse. Solo negli anni Novanta la situazione cominciò a cambiare.

Nel 1993 Deepak Chopra pubblicò il suo libro Ageless Body, Timeless Mind e nel 1996 apparve nel famoso show televisivo americano Oprah, vendendo più di 137.000 copie in un giorno. Mentre sempre più celebrità si facevano avanti per elogiare la pratica della meditazione, cominciarono ad apparire altri libri sul come e perché meditare.

La nascita della mindfulness. Proprio come la meditazione, le radici storiche e antiche della mindfulness (letteralmente “consapevolezza”) sono rintracciabili in tutto il mondo e attingono da diverse tradizioni spirituali.  La consapevolezza come forma di meditazione è fatta risalire all’induismo, intorno al 1500 a.C., ed è fortemente connessa con la pratica dello yoga. Lo yoga nelle sue radici più antiche implicava pochissimi riferimenti al movimento o alle posture e poneva una maggiore enfasi sull’immobilità, sull’attenzione alla respirazione e sulla presenza del corpo in quel momento. La consapevolezza in questo contesto è stata ricondotta anche al buddismo e al taoismo, che includono entrambi una forte attenzione alla respirazione e alla consapevolezza di sé.

Molte religioni includono una forma di preghiera o una tecnica di meditazione che vede l’individuo allontanare i propri pensieri dalle ansie quotidiane alla ricerca di una maggiore consapevolezza di sé e di una migliore presenza mentale. Questa forma di meditazione è molto vicina alla pratica e allo scopo della mindfulness, che è semplicemente una tecnica di meditazione il cui focus è la consapevolezza.

La mindfulness oggi,  A Jon Kabat-Zinn si attribuisce spesso il merito di essere stato il fondatore della mindfulness “moderna”, dell’idea e del concetto di consapevolezza che è comunemente diffusa in tutte le culture occidentali, ovvero quella del “qui e ora”. Negli anni ’70 Kabat-Zinn fondò la Clinica per la riduzione dello stress presso la scuola di medicina dell’Università del Massachusetts. Da allora la scuola ha contribuito a formare ed educare più di 18.000 persone ai principi della Mindfulness-Based Stress Reduction (MBSR) – un programma clinicamente testato per aiutare gli individui che soffrono di una serie di condizioni tra cui depressione, ansia, insonnia, dolore cronico e problemi cardiovascolari.

Williams, Teasdale e Seagal
(1995) hanno portato avanti il lavoro di Kabat-Zinn combinando l’MBSR con la Terapia Cognitivo Comportamentale (CBT) per creare il programma di Terapia Cognitiva Basata sulla Memoria (MBCT).  Il programma è clinicamente approvato nel Regno Unito ed è comunemente usato in psicologia clinica per aiutare a trattare individui con una serie di disturbi, tra cui disturbi della personalità, dolore cronico, regolazione delle emozioni e depressione.

La storia della meditazione: tappe chiave.

   5000 a.C. – 3500 a.C.:  La più antica prova documentata della pratica della meditazione è l’arte murale in India.
    1500 a.C. : I Veda, antichi testi religiosi, contengono la più antica menzione scritta della meditazione.
   VI secolo a.C.: Siddhartha Gautama si propone di raggiungere l’illuminazione, apprendendo la meditazione nel processo.
   VI – V secolo a.C.: Si sviluppano altre forme di meditazione nel taoismo cinese e nel buddismo indiano.
   X – XIV secolo d.C.: Si sviluppa l’esicasmo, una tradizione di preghiera contemplativa nella Chiesa ortodossa orientale.
   XI – XII secolo d.C.: Il concetto islamico di Dhikr viene interpretato da varie tecniche di meditazione e diventa uno degli elementi essenziali del sufismo.
  XVIII secolo d.C.: Lo studio del buddismo in Occidente rimane un argomento discusso principalmente tra gli intellettuali.
  1936: Viene pubblicato il primo studio scientifico sulla meditazione.
  Anni ’50: Il movimento Vipassana viene fondato in Birmania.
  Anni ’50: Maharishi Mahesh Yogi promuove la meditazione trascendentale.
 1955: Viene pubblicato il primo studio di ricerca scientifica sulla meditazione che utilizza l’elettroencefalogramma.
    Anni ’60: Swami Rama diventa uno dei primi yogi ad essere studiato dagli scienziati occidentali.
    Anni ’70: Jon Kabat-Zinn inizia a sviluppare un programma di mindfulness per adulti in ambienti clinici. Lo chiama riduzione dello stress basato sulla consapevolezza (MBSR).
    Anni ’70: Herbert Benson mostra l’efficacia della meditazione attraverso la sua ricerca.
    1977: James Funderburk pubblica una prima raccolta di studi scientifici sulla meditazione.
    1979: Jon Kabat-Zinn apre il Center for Mindfulness e insegna la riduzione dello stress basata sulla consapevolezza per trattare le condizioni croniche.
    1981: I primi centri di meditazione Vipassana al di fuori dell’India e del Myanmar vengono istituiti in Massachusetts e in Australia.
    1996: Il Chopra Center for Wellbeing viene fondato da Deepak Chopra e David Simon.
    2000: Viene condotto il primo importante studio clinico di mindfulness su pazienti affetti dal cancro, con risultati che indicano esiti benefici nei programmi di riduzione dello stress basati sulla consapevolezza.

Conclusione.   Dopo aver letto la storia e le origini della meditazione, è inevitabile provare un senso di soggezione per quanto questa pratica sia antica e intrinsecamente legata all’essere umano. Il desiderio di visitare i luoghi pregni di spiritualità in cui ha avuto origine la meditazione è naturale per chi medita regolarmente o è semplicemente affascinato dai principi di questa disciplina.
Al di là di ogni appartenenza religiosa, la meditazione sembra essere un tassello fondamentale dell’umanità. È stata tramandata per secoli, in diverse aree del pianeta, e non dobbiamo sottovalutare quanto possa essere importante praticarla anche per breve tempo ogni giorno. Da secoli, infatti, regala all’uomo innumerevoli benefici e pace mentale.

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