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sabato 19 marzo 2022

Lo zen (1) - Alan W. Watts

 In questo testo  Lo zen. Un modo di vita, lavoro e arte in estremo Oriente, Alan Watts illustra che cosa è lo zen, un cammino spirituale che non richiede teorizzazione, dottrina o formalità, ma si basa sulla pratica personale e sull'esperienza diretta della realtà. 

 La concentrazione, l'economia di forza, la mente controllata nell'affrontare gli eventi della vita, sono i punti fondamentali dello zen. Questa filosofia orientale contiene al suo interno la quiete del culto del tè, la vita semplice a contatto con la natura, ma anche la forza quando si esprime nelle arti marziali come lo Ju-Jutsu o il Kenjutsu, che pure hanno una loro calma di fondo. Quest'opera di Alan Watts è stata una delle prime ad introdurre al vero spirito del buddhismo zen, ormai molto diffuso in Occidente e che si è rivelato stimolante non solo per rivivificare il nostro mondo culturale, ma anche per proporre all'individuo un itinerario di trasformazione dei rapporti umani.

 Ci sono poche testi che cercano di esporre in maniera organica gli insegnamenti dello zen. I maestri zen si caratterizzano per esprimere saggezza nel completo disdegno della logica ed i loro insegnamenti sono costellati da storie completemente paradossali. Cercano di andare al di là delle parole per penetrare la vera realtà. Del resto anche il Buddha non descrisse mai l'illuminazione, ma si limitò semplicemente a descrivere la via e purtroppo molti dei suoi fedeli si sono limitati ad osservare il dito, piuttosto che andare verso il luogo che indicava. 

La parola zen in giapponese, deriva dal cinese ch'an, che è la traduzione di dhyana in sanscito che vuol dire meditazione. Ciò vuol dire arrivare ad elevati stati di coscienza, che nello yoga si raggiunge in isolamento, mentre nello zen attraverso un lavoro quotidiano. Quindi la parola zen significa illuminazione, ed include anche la via per raggiungerla. Lo zen fu portato in Cina da Boddhidarma e fu trasmesso in modo diretto, da maestro a discepolo e bisogna precisare che nessun insegnamento del Buddha fu riportato per iscritto fino a 150 anni dopo la sua morte. Il buddhismo Theravada o Hinayama (la via degli antichi) accetta solo la versione Pali conosciuta come Tipitaka (i tre canestri). Mentre il buddhismo Mahayana accetta la versione in sanscrito che è stata più volte elaborata e modificata. Il Mahayana si diversifica in vari modi che vanno dal ritualismo tibetano alla semplicità dello zen giapponese. L'insegnamento buddhista propone all'essere umano il percorso che porta dal dolore al Nirvana, all'estinzione dell'egocentrismo e del dolore, passando per il riconoscimento dell'illusione dell'io, e l'applicazione della compassione (karuna).  L'Hinayana nega l'esistenza di un io, tutti gli esseri umani sono anatta (senza io) e anicca (senza continuità) mentre il Mahayana trova l'io nell'interrelazione delle cose e disegna il concetto di vuoto (sunyata) che è completamente diverso dal nulla.  Nel Mahayana una volta arrivati all'illuminazione ci si trasforma in bodhisattva e si cerca di aiutare gli altri esseri umani ad uscire dal ciclo del samsara (rinascite). Lo zen proclamò che nirvana e samsara sono la stessa cosa, il nirvana è qui e ora in mezzo al samsara.

Bodhidarma, questo vecchio scontroso che portò lo zen in Giappone, era portatore di una saggezza non esprimibile a parole, ed influenzò la cultura giapponese più di qualsiasi altro fattore, C'è una grande affinità tra il taoismo e lo zen in quanto entrambi, non prendono troppo sul serio il mondo oggettivo, e si fanno beffe dell'intelletto e del convenzionalismo. Lao Tzu, il supposto fondatore del taoismo, sembra sia stato contemporaneo del Buddha. Nello zen c'è molta ironia e spesso anche i maestri zen sono ritratti come piccoli uomini, grassi, calvi e piegati su un bastone. E in quelle piccole creature si manifesta la sublime natura-Buddha. I maestri zen non volevano saperne di concetti, perchè pensavano che il concetto creava una barriera con le cose stesse, e pensare alle cose che sono in continuo movimento, è un modo per perderle. Anche in questo si avvicinano al taoismo, il cui motto è "Il Tao che si può definire a parole non è il vero Tao". Dopo la morte di Bodhidarma, segui una serie di cinque patriarchi, l'ultimo dei quali fu Hui Neng, e fu lui a pronunciare Il sutra del sesto patriarca. L'unico sutra pronunciato da un cinese (gli altri sono stati tutti attribuiti al Buddha) in cui viene spiegato, tramite un racconto, di come Hui Neng arrivò a comprendere lo zen. Il metodo proposto fu quello della comprensione improvvisa, anzichè graduale. L'insegnamento dello zen espresso in questi versi:            "Il corpo è simile all'albero del bodhi, e la mente a un limpido specchio; Con cura lo ripuliamo di ora in ora, per timore che sopra vi cada la polvere"  

fu trasformato in questo modo:  "Non c'è nè albero del bodhi, nè un limpido specchio, poichè in realtà tutto è vuoto, su che cosa può cadere la polvere?"

Con il sesto patriarca lo zen raggiunse l'apice della popolarità, e fondeva l'imperturbabile serenità ed austerità del buddhismo con la fluidità, il gusto per l'imperfetto e l'incompleto del taoismo. Intorno al 1270 cominciò a prendere vita in Cina un'altra forma di buddhsimo, il culto di Amitabha (infinita luce), il Buddha che aveva promesso di guidare gli esseri umani al Nirvana. Oggi è la forma più diffusa di buddhismo Mahayana in Cina e Giappone. Nell'estremo Oriente abbiamo due scuole principali chiamate in giapponese Jiriki (potere proprio)  e Tariki  (potere altrui). I seguaci per raggiungere la saggezza contavano rispettivamente sui propri mezzi (lo zen) o sulla misericordia del bodhisattva.

Quando lo zen comincio a perdere consensi in Cina a favore del culto di Amitabha si trasferi in Giappone con Ei-sai nel 1911 e divenne la religione dei samurai (la classe guerriera) ed ebbe un profondo impatto sulla cultura giapponese.

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L'inglese Alan W. Watts (1915-1973), è stato uno dei massimi esperti di teologia e  filosofia orientale, in particolare dello zen buddhista, e di religioni comparate. Ha insegnato alle università di Cambridge, Cornell, e delle Hawaii. Ha scritto diversi libri di filosofia e psicologia della religione.

sabato 4 dicembre 2021

Uomo e società asiatiche

Uomo e società nelle religioni asiatiche, Giuseppe Tucci, Corrado Pensa.  

Per l'uomo la consapevolezza della sua morte ebbe maggior peso della scoperta del fuoco, per sfuggire a questa paura l'uomo ha creato Dio,  Dio diventa così, una proprietà condivisa fra le classi che governano e le caste sacerdotali.

L'India spoglia Dio di ogni essenzialità, riducendolo, ad Isvara (un Dio personale), il cui potere creativo produce maya. L'assoluto e la maya diventano così due poli indissolubili.  L'India pur pullulando di dei e fedele a crude superstizioni è andata alla ricerca del superamento della morte, ma per questo non ha avuto bisogno di un Dio. I Jaina predicano l'evasione perpetua dal mondo dello spazio-tempo.  L'uomo in India è stato spesso considerato più potente degli dei e la la maledizione di un asceta è considerata più forte della volontà di un dio. I sadhu, gli asceti spezzano l'idolatria, l'India che sembra il paese più religioso al mondo, di fatto stempera Dio in una esaltazione mistica, vanificandolo.

Non sono gli dei che esistono, ma è l'uomo che li crea. Dio è figlio del terrore del nulla o un fallace sollievo alla paura della morte.  Sono pochi quelli che riescono a scoprire questa gelida, ma superba verità: i grandi solitari, gli spiriti eletti, gli “stranieri”, coloro nella cui mente è scoppiata la fulgurazione dell'assurdità del vivere; coloro che non hanno bisogno di nessun sostegno esterno, come la religione, per affrontare e sopportare la tremenda incongruenza dell'esistere.

Ma i sadhu degni di questo nome, hanno superato tuti i vaneggiamenti religiosi e sopprimendo il terrore della morte sanno che ad attenderli resta soltanto un Tutto che è nulla: quel nulla che la credulità umana nasconde sotto la seduzione di paradisi o altro; la vita resta quello che è: breve spanna di tempo tra due esistenze.

 Buddha nega sia l'esistenza di Dio e dell'anima, sia l'esistenza del Sè.  Confucio dice: "Se tu non sai nemmeno che cosa è questa vita, perché pensi a quello che ci sarà al di là di essa?"

Poi ci sono i mistici, Kabir, Caitanya, Ramakrishna, i posseduti da Dio, per loro la fede è una realtà vissuta e posseduta al di fuori e al di qua di ogni discorso logico, una dedizione piena ed assoluta, l'opposizione alle debolezze umane, al compromesso, insomma alla vanità e assurdità del mondo.

Il Buddhismo Theravada - Corrado Pensa

La natura del Bhudda è presente in tutti gli uomini. Secondo il buddhismo Hinayana, l'unica cosa da fare è cercare di estinguere il dolore, lo spegnimento del dolore è la massima conquista proposta all'uomo.  La dottrina è basata anche su forme di ascetismo.  Il buddhismo Mahayana invece è più universalista, secondo i testi, la sete di non essere, è equiparata al disordinato desiderio dei sensi e all'attaccamento della vita.  Per il Buddhismo invece di guardare la realtà ultima, occorre guardare la situazione attuale del singolo individuo. Prima bisogna capire per quali ragioni l'uomo è governato da ignoranza e passione.

Il buddhismo critica sia il ritualismo (della tradizione indiana), sia l'ascetismo (spesso fanatico e insensato). Il Buddha non è visto come un Dio, ma come quell'uomo particolarmente evoluto che ha scoperto l'antico sentiero che conduce al nirvana e che lo ha voluto mostrare agli altri. Dalla dottrina delle quattro verità, (il dolore, la causa, l'estinzione, la via che porta all'estinzione) scaturisce l'impalcatura fondamentale del sistema, cioè l'analisi del condizionamento esistenziale e l'elaborazione dei mezzi di liberazione.

Buddhismo, criticando la speculazione brahmanica, è contro la teoria di un atman personalistico, corporeo, materiale o come principo spirituale permanente.   Mette in guardia anche contro la concezione più evoluta di atman – Brahman. Tale concezione presenta punti di contatto con il nirvana: immortalità, libertà, conoscenza, stato incondizionato e permanente. Il buddhismo però, critica anche questa concezione: perchè è una realtà assoluta data prima, posta all'inizio, da cui poi si può dedurre il cosmo, in tal modo l'antropologia si trasforma in teologia.

Nel Mahayana, invece, si parlerà spesso di un principio luminoso o buddhità come germe di illuminazione presente in tutti gli uomini. Sia il buddhismo che l'induismo hanno introdotto il concetto di karma, l'azione non muore dopo che è compiuta, è produttiva di energia creatrice. Il microcosmo e il macrocosmo sono costituiti da un incessante vibrare di  impulsi o onde, che si succedono senza soluzione di continuità e senza alcun carattere di permanenza. L'esistenza e la vita sono viste come un continuo fluire e un continuo cambiamento, una teoria che ha molte consonanze con la scienza moderna.

Per il buddhismo l'atman è un ostacolo,  l'uomo non deve cercare sollievo a questo senso di impotenza dinanzi al continuo fluire delle cose, mediante una consolante immagine precostituita di stabilità (atman) la quale non sarà che una proiezione illusoria di desiderio di pace e di immobilità. L'atman impedirebbe la ricerca e l'analisi, precludendo all'uomo la presa di coscienza completa della legge che concatena i fenomeni in un flusso incessante, del continuo rinnovarsi dell'energia di base in mille forme mutevoli.

La Meditazione -  Corrado Pensa.

La meditazione è un fenomeno molto complesso da qualunque punto di vista lo si guardi, storico, filosofico, religioso, psicologico, esperenziale-vissuto.  Abbiamo una meditazione antica, moderna, una orientale, una occidentale, una meditazione orientale esportata in occidente. Proporre la categoria globale “meditazione” non è legittimo.  Nel campo della meditazione sono possibili due tipi di ricerca: unificante, o descrittivo discriminante. Questi due tipi di approcci non sono contraddittori.

Sia se leggiamo testi classici sapienzali, sia moderni, l'elemento di partenza è che siamo davanti ad una costante dell'uomo: un disagio esistenziale di fondo che induce l'individuo a ricercare i mezzi capaci di effettuare un cambiamento. Spesso questa ricerca è superficiale, oppure una vernice esotica per nascondere un sostanziale desiderio di conservazione.  Questa ricerca è  collegata a processi di maturazione interiore, ma non è legata ad esiti estatici. Esistono due tipi di meditazione:

  • Evocativa: si basa sull'idea di sollecitare e richiamare emozioni di carattere positivo, ad esempio la Mindfulness.
  • Asciutta: abbiamo un processo di focalizzazione su un supporto singolo (un oggetto, la respirazione, una formula mentale, ecc) come ad esempio la meditazione Zen. C'è una chiusura dell'individuo allo scorrere delle emozioni e dei pensieri. Anche in questo tipo di meditazione, nel dopo meditazione si riscontra una espansione della coscienza e della sensibilità.

Questa espansione è un meccanismo psicologico della de-automazione, infatti ognuno di noi costruisce la realtà più che vederla, escludendo una quantità di materiale. La mente è governata da una gerarchia automatica di valori e condizionamenti.  Il distacco nella meditazione, è il distacco dagli impulsi e interessi consuetudinari e ciò è il pre-requisito di un cambiamento.  Questo distacco, va inteso, come fattore operativo e non come precetto moralistico. l'obiettivo è cercare di trattenere le vibrazioni emotive generate durante l'esercizio meditativo.  La meditazione si iscrive in un quadro ampio costituito anche da studio dei testi, rapporto profondo con il maestro, un esercizio metodico delle virtù.  

Per Neumann il tratto più qualificante di sistemi come lo yoga e il buddhismo è quello di essere imperniati su una tensione creativa bipolare, da un lato il rafforzamento dell'io e dall'altro la progressiva discesa nell'inconscio.  Il mistico creativo ha quindi tutt'altro che una riduzione della tensione.  Il mistico regressivo, invece, spaventato dal confronto con l'ignoto si ritrae dal mondo appagandosi di una luce estatica e remota.   Il punto d'incontro tra queste due figure può essere

l' emblematica figura del boddhisattva, con un piede nelle passioni mondane e un altro nella chiara coscienza nirvanica, senza timore della tensione che incorre tra queste due sfere, mostrando così di preferire una tensione produttiva ad una stasi luminosa.

Il rilassamento, la quiete mentale, cui porta la meditazione, non è un fine, ma è funzionale al rilassamento da tensioni conflittuali per far spazio a una tensione espansivo-creativa.

In Oriente c'è una certa ipertrofia nel campo della meditazione, in Occidente c'è un'ipertrofia di segno opposto, di senso attivistico, peculiare dell'Occidente. Oriente ed Occidente dovrebbe incontrarsi per una vicendevole correzione.

La Cina – Lanciotti Lionello

Il pensiero filosofico- spirituale in Cina è stato caratterizzato dal Confucianesimo e dal Taosimo.

La Cina è stato una società burocratica dal 221 a.C. al 1912 dove non ci sono state guerre religiose  e non si è verificato il ripudio di concezioni preesistenti. La Cina è stata il paese dei filosofi, e sembrò al '700 europeo il modello politico ideologico da seguire.

Il confucianesimo ha un carattere laico e lega a filo doppio etica e politica, privilegia il culto degli antenati che ha origini antichissime. La grafia era uno strumento di potere.

La dottrina taoista invece respinge globalmente il sistema confuciano. In comune hanno solo il concetto di ordine che nel taoismo è il Tao all'origine di tutte le cose, e nel confucianesimo è l'ordine morale. Le fasi del raggiungimento del Tao sono: il distacco completo dal mondo fenomenico, la rinuncia e  lo stato estatico. Per Maspero: "il taoismo è una dottrina di salvazione individuale che pretendeva di condurre l'adepto all'immortalità".

Il taoismo adotta pratiche igieniche e respiratorie simili allo yoga. Il cinabro è usato come autentica droga dell'immortalità. Nel sud della Cina sono presenti ancora oggi, elementi ricorrenti dello sciamanesimo. Nella Cina esiste un Pantheon sincretista derivante dalla religione popolare. Il Wu wei è un altro importante precetto del taoismo che riguarda la consapevolezza del quando agire e del quando non agire. Wu può essere tradotto come non avere; wei con azione. Il significato letterale è quindi senza azione o meglio non azione. È parte fondamentale della regola wei wu wei. Per la medicina tradizionale cinese, il cibo aiuta a mantenere in equilibrio le forze che regolano la nostra esistenza, lo yin e lo yang e il taoismo ha alla base dell'alimentazione una serie di regole come non mangiare i cinque cereali.

L'idea di peccato arriva in Cina nel secondo secolo d.C quando appaiono i primi testi cinesi che parlano di inferno, dove sarà punito chi è sfuggito alla giustizia terrena. Secondo i taoisti, il peccato accorcia la vita e nei praticanti taoisti era in uso l'autodenuncia pubblica.

Dopo la grande persecuzione del 845 decade la potenza istituzionale del buddhismo.

Il taoista è un individualista, un anarcoide che vive ai margini della società cinese, ma dopo la rivoluzione culturale, la società prenderà il sopravvento sull'uomo.

Per Spinoza "l'uomo guidato dalla ragione è più libero nella società, dove vive secondo una natura comune, che in solitudine, dove comanda solo a se stesso".

Il Giappone – Adolfo Tamburello.

In Giappone non c'è stato lo sviluppo di un'iconografia religiosa, qui prevale l'animismo, ossia quell'insieme culti nel quale viene attribuita qualità divina o soprannaturale a oggetti, luoghi o esseri materiali. Vengone attribuite delle proprietà spirituali a determinate realtà fisiche come sassi, fiumi, montagne, ecc.  La cosmogonia, l'origine del cosmo è quasi completamente trascurata.

In Giappone è presente lo shintoismo, una serie di credenze e culti nati dal connubio di una religiosità di popolazioni agricole con quella di popolazioni di cacciatori e pescatori. Politica e religione sono una cosa sola: nello shintoismo c'è la mitologia dell'ascendenza divina della dinastia regnante. L'incarnazione del sovrano deriva dal buddhismo che seppe legarsi intimamente alla sfera politica.

Nel 767 un decreto permise ai monaci di officiare nei santuari shintoisti e da allora apparvero numerosi templi di culto sincretistico.   La decadenza materiale e spirituale favorì numerosi movimenti riformistici. Tra questi il movimento di Nichiren (1228-1282) che assegnava al Giappone la funzione di salvare il buddhismo e di ripristinare i valori originali trasmessi dal sutra del loto.  Alla base di questa corrente spirituale c'è  la lettura di formule sacre che assicura una costante protezione al fedele che ha anche il  il dovere di convertire tre persone all'anno a questa corrente spirituale.

In questo periodo cominciò a farsi strada lo zen, con i suoi ideali di contemplazione e di meditazione, intese sviluppare una ricerca interiore, non per soddisfare un'ascesi o un anelito dell'animo umano a un divino trascendente, ma per cogliere quanto di universale e di assoluto alberga nell'uomo. Lo zen fu una filosofia religiosa e fu coltivata da coloro che erano orientati verso la propria o altrui elevazione. I maestri zen si astennero dalla pratica religiosa che spesso assumeva le vesti di una magia.

Poi l'idea laica del confucianesimo fu posta a fondamento etico dello stato, i culti religiosi vennero sostituiti dai culti ancestrali e di stato.  Il confucianesimo arriva in Giappone nel VI secolo d.C., insieme al buddhismo, e viene applicato soprattutto alla sfera politica e amministrativa.

Nella Costituzione dei 17 articoli emanata dal principe Shōtoku nel 604 d.C., il primo articolo fa riferimento proprio all’armonia. Il documento stabilisce princìpi confuciani per l’organizzazione della società: importanza della gerarchia, lealtà, obbedienza, decoro rituale, moderazione. La società è organizzata in un sistema gerarchico ben strutturato, ed è facile immaginare l’interesse della classe dominante per alcuni elementi della dottrina confuciana. In verità, però, in questo periodo il confucianesimo è anche in gran parte sinonimo di cultura e si diffonde per il suo legame con l’istruzione.

Lo shintoismo e il buddhismo temperarono il confucianesimo e promossero una serie di culti sincretistici indirizzati ad un'unitaria fede nazionale. La contemplazione e la meditazione furono utilizzate solo per una ricerca interiore.

sabato 11 settembre 2021

Lo zen - Dario Doshin

Dario Doshin Girolami  è un  insegnante zen della tradizione di Shunryu Suzuki Roshi, e il direttore del Centro Zen L’Arco Roma: vedi link:     http://www.romazen.it

Per Dario Dosdhin è fondamentale applicare la Via dello Zen alla vita quotidiana. La pratica deve necessariamente andare a impregnare di sé ogni singola attività e ogni aspetto della vita. Grazie alla meditazione è anche possibile sviluppare abitudini sane, vivere le proprie relazioni alla luce della compassione, aumentare la capacità di incontrare le proprie emozioni e di gestirle in maniera matura e consapevole.

Attraverso lo zen, si può trovare agio nel disagio, concentrandosi sul respiro, poggiando la mente sul respiro, si riesce a calmare la mente ed ottenere una sorta di sollievo. Spesso i pensieri offuscano la realtà, come conseguenza vediamo solo proiezioni, paure, ricordi. Invece occorre vedere la realtà così come è, facendo depositare il pulviscolo dei pensieri (come nella sfera contenente la neve).

Con lo zen possiamo arrivare ad aprirci a tutto ciò che c’è nel momento presente ottenendo una consapevolezza panoramica a 360 gradi, che non è la concentrazione su un solo oggetto. 

Ma se il momento presente non ci piace?  Per la legge dell'impermanenza, il momento presente dura un attimo e se ne va. Di solito, appesantiamo il dolore presente con il dolore passato e futuro. Occorre decongestionare la mente, aprire i sensi alla realtà presente e al respiro. Applicare la consapevolezza, e la pratica della presenza mentale nella quotidianità. Nei monasteri zen, ogni tanto suona una campana, e ogni volta che si sente il suono, si interrompe l'attività e si fanno tre respiri di consapevolezza mentale. Tutte le attività nei monasteri, anche la semplice operazione di pelare le patate, vengono fatte concentrandosi solo su quella azione, con l'idea di tempo e spazio del qui ed ora.

L'Assoluto non si può descrivere, e la realtà non è esprimibile a parole. Lo zen attraverso il koan (è un problema o indovinello che non ammette soluzioni logiche), prova a  mettere in scacco la mente logica discorsiva.  Un discepolo chiese al maestro: “Quale è l’essenza dello zen?” e il maestro rispose: “le scarpe entrando le hai lasciate a destra o a sinistra?”

Uno dei koan più famosi è il seguente; C’è una finestra con le grate, e un toro passa dalla finestra, passa la testa, le corna, il corpo, le zampe, ma non passa la coda.  Nelle pitture zen, spesso è raffigurato il toro che rappresenta la mente, occorre domare e tranquillizzare il toro, e la consapevolezza zen porta a vedere che la coda è il carico karmico, e la storia del toro è un invito a prendersi cura delle parti nascoste di noi stessi e di conseguenza delle nostre azioni. La consapevolezza è un aprirsi totalmente alla nostra personalità, un'accettazione di se stessi, anche agli aspetti umani più oscuri. Non c’è niente di sbagliato in noi, dobbiamo solo portare alla luce l'essenza più luminosa.

La pratica zen crea uno spazio mentale nell’azione, uno spazio di libertà, che permette di reagire al presente in maniera appropriata, compassionevole e amorevole e non con rabbia, avversione. Si possono anche avere progetti futuri, importante non essere sopraffatti da questi. 

Jon Kabat-Zinn è il fondatore della Mindfullness based stress relaxation; questo metodo si basa sulla pratica zen e vipassana. La pratica vipassana è originaria del Sud-Est asiatico e deriva dal buddhismo Therevada. La mindfulness si basa solo sulla meditazione, invece lo zen si basa su tre pilastri: moralità, saggezza e meditazione. La meditazione funziona se è in sinergia con saggezza e moralità.

Nella seduta di meditazione zen, occorre avere gli occhi semi-aperti, abbassati a 45 gradi, mano destra sotto la sinistra entrambe in grembo, pollici uniti per misurare la tensione, se si è troppo tesi i pollici vanno verso l’alto, se ci si rilassa troppo e si sta per addormentarsi i pollici vanno verso il basso, quindi durante la meditazione i pollici devono essere paralleli, poi facciamo dei cicli di respirazione, contiamo cinque inspirazioni ed relative espirazioni e poi ricominciamo il ciclo, ogni volta che sono distratto ricomincio dall'inizio.

 

venerdì 3 settembre 2021

La dottrina zen del vuoto mentale - D.T. Suzuki

Daisetz Teitaro Suzuki (1869-1964) è stato una delle più grandi autorità in materia di buddhismo Zen. D.T. Suzuki con questo testo, La dottrina zen del vuoto mentale (pubblicato nel 1958 e tradotto in italiano nel 1968), di non facile lettura, ha cercato di presentare le varie scuole e sfaccettature dello Zen in modo estremamente approfondito.

I buddhisti Zen hanno sempre messo l'accento sull'importanza della istantaneità. Secondo lo Zen l'uomo dovrebbe riuscire a coltivare in se stesso una presenza di spirito capace di condensare, un'esperienza infinita in un'intuizione immediata. 

Uno dei più grandi maestri Zen fu Hung-jen ed ebbe come allievi Hui-neng e Shen-hsiu che furono i referenti di due scuole zen: quella Meridionale e quella Settentrionale. Due diretti discepoli di Hui-neng furono Ma-tsu e Shih-tou.  La scuola Settentrionale con Shen-hsiu asseriva che tutti gli esseri sono dotati dell'illuminazione, proprio come la natura di uno specchio è quella di illuminare;

Questo corpo è l'albero del Bodhi, La mente è come uno specchio lucente;

Abbi cura di mantenerlo sempre pulito, E non lasciare che la polvere vi si accumuli.

Secondo Shen-hsiu quando le passioni fanno velo, lo specchio è invisibile come se fosse oscurato dalla polvere. Quando, secondo le istruzione dei Maestri, i pensieri erronei vengono soggiogati e annientati, essi cessano di formarsi ed allora la mente è illuminata. Questo spolveramento conduce al metodo quietistico della meditazione ed è ciò che questa scuola raccomandava.

La scuola Meridionale con Hui-neng proponeva invece la dottrina del vuoto o del nulla: “Ab initio nessuna cosa è “. E' l'Essere in sé che viene caratterizzato come vuoto, sereno ed illuminante.

Non vi è albero del Bodhi, Nè sostegno di lucido specchio,

Poichè tutto è vuoto, dove può posarsi la polvere?

Finchè il vedere è qualcosa da vedere, non è quello reale, solo quando il vedere è non vedere, diventa un vedere la propria autonatura che non essendo “nessuna cosa” è il nulla. L'autonatura è la natura del Buddha descritta nel Nirvana Sutra, nei termini del PrajnaParamita è Essenza assoluta (tathata) e Vuoto asssoluto (sunyata). Essenza significa l'Assoluto, qualcosa che non è soggetto alle leggi della relatività e perciò non può essere compreso per mezzo della forma. L'Assoluto è senza forma, Questo incondizionato, senza forma, e di conseguenza irraggiungibile, è il Vuoto (sunyata). Al di là della percezione, al di là della comprensione perchè il Vuoto è dal lato opposto dell'essere e del non essere.

L'irraggiungibilità di tutte le cose è la Realtà stessa, che è la più squisita forma del Tathagata nella sua essenza, un'esperienza vivente nel senso più profondo. Il vedere nell'Autonatura è diventare Buddha.

La Triplice disciplina buddhista è composta da Moralità (sila), Meditazione (dhyana) e Saggezza (prajna) che è il potere di penetrare nella natura del proprio essere, ed è anche la verità così intuita. Tutte e tre sono necessarie ad un buddhista devoto.  Con il passare del tempo si verificò una separazione tra Meditazione e Saggezza.

Il messaggio apportato dalla scuola Meridionale e da Hui-neng è un ritornare all'origine e ribadire che Meditazione è Saggezza e Saggezza è Meditazione, e se non si afferra questa relazione di identità fra i due componenti non vi sarà emancipazione. La purezza del Tathagata è dove non vi è né nascita, né morte. Vedere che tutte le cose sono vuote è praticare la meditazione. Infine non vi è né raggiungimento, né realizzazione, tanto meno stando seduti a meditare.

Nel T'an-ching di Hui-neng, la natura del Buddha e l'autonatura sono oggetto continuo di riferimento. Esse significano la stessa cosa e sono originariamente pure, vuote (sunya), non dicotomiche e inconsce. Questo inconscio puro si muove e prajna viene svegliato e con lo svegliarsi del prajna sorge un mondo di dualismi. Tutte queste definizioni hanno il solo scopo di provare a rendere la nostra comprensione intellettiva più facile e chiara. L'autonatura non ha una corrispondente realtà nello spazio e nel tempo. Quest'ultima ha origine nell'autonatura. L'autore la chiama per convenienza Mente con la M maiuscola, e anche Inconscio. In questa autonatura vi è un movimento, un risveglio, e in questo modo l'inconscio diviene conscio di sé (anche se appare una contraddizione). Comunque qualunque cosa sia, abbiamo ora un Inconscio autocosciente o una Mente autoriflettente: così trasformata, L'Autonatura viene chiamata prajna.

L'Autonatura è la natura del Buddha, pura, incontaminata, presente in tutti gli esseri e riportata nel Nirvana sutra di cui sono fervidi credenti tutti i seguaci dello zen fin dal tempo di Boddhidarma. Occorre riconoscerla e liberarsi dall'errore, cioè dalle passioni.

Colui che comprende l'idea della vuotezza di pensiero ha una via perfetta per attraversare il mondo della molteplicità. Colui che comprende l'idea di vuotezza di pensiero vede il regno di tutti i Buddha, colui che comprende l'idea della vuotezza di pensiero raggiunge lo stadio della buddhità.

La cognizione di un oggetto esterno presuppone già la distinzione fra esterno ed interno, fra soggetto e oggetto, tra il percepiente e il percepito. Quando avviene questa separazione, la natura primaria dell'esperienza viene dimenticata e da ciò trae origine una serie infinita di confusioni, intellettuali ed emozionali. Spesso nella quotidianità emergono una serie di domande: Cosa, Perchè, Dove, Come Quando; domande irrilevanti per la fondamentale comprensione della vita.

La meditazione della spolveratura (togliere la polvere dallo specchio) secondo Hui-neng è l'arte di legarsi con una corda creata da noi stessi, una costruzione artificiale che ostacola il cammino verso l'emanciazione. In questo tipo di meditazione non è facile spingersi oltre lo stadio di tranquillità della mente, al massimo essa termina nell'autoconcentrazione e nella temporanea sospensione della coscienza, In questo tipo di meditazione non vi è alcuna conoscenza del sé, nessuna comprensione dell'Autonatura.

La sagezza (prajna) è strettamente collegata al vuoto (sunyata) soprattutto nel buddhismo Mahayana, che è basato essenzialmente sul vuoto e la vacuità. Il concetto del vuoto è presente anche nella filosofia Hinayana, ma questo vuoto non penetra così profondamente la coscienza.

Dhyana e prajna sono uno, non due: dhyana è il corpo di prajna e prajna è l'uso di dhyana, proseguono per mano nella pratica. Il non discriminante prajna è ciò che vi è di più fondamentale nell'umano intelletto ed è con questo che siamo in grado di vedere addentro l'autonatura, che tutti noi possediamo e che è conosciuta come la Natura del Buddha (Questo è il fondamentale insegnamento del buddhismo Zen specie della scuola Rinzai, tanto in Giappone che in Cina).

Le altre due scuole esistenti tutt'oggi sono Soto e Obaku. L'Autonatura è il prajna stesso non discriminante. Il prajna sprizza dall'inconscio e tuttavia non lo lascia mai; rimane inconscio di ciò. L'emancipazione si ha quando l'esterno ed interno diventano completamente diafani e l'uomo conosce da sé che cos'è la sua mente originaria. Quando l'emancipazione è ottenuta è il prajna-samadhi e quando questo è compreso, si è raggiunto uno stato di wu-nien, assenza di pesnsiero, vuoto mentale. Il satori, vedere improvvisamente, o vedere subito, non segue le regole generali della logica, ma avviene quando il ragionamento è stato abbandonato e prajna è contemporaneamente al di sopra e dentro il processo del ragionare.

Secondo Hui-neng ci sono tre concetti alla base del Buddhismo Zen, di cui uno è l'inconscio, gli altri due sono l'informe (essere nella forma eppur distaccati da essa) e il non permanente che è la natura primaria dell'uomo.

I Maestri zen spesso rispondono ai vari quesiti dei discepoli nei modi più imprevedibili ed incongruenti, come tirare calci, bastonare i discepoli, usando percosse, schiaffi, spintoni, urli,ecc. per riportarli in una dimensione fuori dalla logica. su un altro piano della vita.

L'atto del tirare calci è in realtà l'atto di vedere, in quanto entrambi procedono l'autonatura e la riflettono. E' vero che non possiamo fare a meno della logica e della filosofia, perchè anch'esse sono espressioni della vita; ed ignorarle sarebbe solo follia; ma ricordiamoci che vi è un altro piano della vita, dove può entrare soltanto colui che l'ha realmente vissuta. Ed è su questo piano che opera lo Zen. Penetrare quello che viene considerato il mistero dello Zen, è talvolta considerato la cosa più difficile al mondo, ma secondo l'opinione di molti maestri Zen, non è più difficile che prendere una tazza di tè.

Tutti questi mondo Zen possono sembrare semplicemente privi di senso, o volutamente mistificatori, ma il fatto straordinario è che questo culto dell'assurdo ha prosperato per circa millecinquecento anni attirando molte delle migliori menti dell'Estremo Oriente, ed anche dell'Occidente.

Lo Zen esercita ancora oggi, in varie forme, una grande influenza spirituale in Giappone. Gli iniziati, quando riescono ad entrare nello spirito che anima i maestri, vedono che tutto questo Non senso è l'espressione più preziosa dello Zen.

Termini usati nello Zen: wu-hsin (la mente vuota), wu-nien (pensiero vuoto), wu (vuoto), kung (abilità raggiunta in un determinato campo), wang.

venerdì 27 agosto 2021

Note sullo Zen

 Lo Zen è la chiave di volta della cultura orientale, infatti in esso troviamo cristallizzate tutte le filosofie dell'Oriente, è una forma di buddhismo nata dall'incontro tra buddhismo e taoismo. Lo Zen  è vivo soprattutto in Giappone. Il misticismo dell'Estremo Oriente, è diretto, pratico e sorprendentemente semplice. Nello Zen, lo spirito del buddhismo ha rinunciato alla sua struttura altamente metafisica allo scopo di diventare una disciplina pratica di vita. Nello Zen l'esperienza personale è tutto: Siamo noi i nostri maestri, lo Zen ci indica soltanto la via.

La disciplina Zen consiste nel dischiudere l'occhio della mente allo scopo di penetrare nell'autentica regione dell'Essere e venire così in contatto con la nostra vitalità interna attraverso la via diretta. Lo Zen è lo spirito dell'uomo che crede nella sua interiore purezza e bontà ed i suoi caratteri peculiari sono: semplicità dei fatti, naturalezza, capacità di esprimere la vita stessa, originalità con l''obiettivo di acquisire un nuovo punto di vista per scrutare dentro l'essenza delle cose.

Lo Zen è una disciplina e una esperienza che non dipende da alcuna spiegazione e l'unica autorità accettata proviene da dentro di noi. L'unica via alla realizzazione è sprofondare nell'abisso infinito fino a quando non scompare l'ultima traccia di coscienza su questo o su quello.

Lo Zen è qualcosa di saldamente positivo ed eternamente affermativo ed aspira a porsi al di sopra della logica, a scavalcare la tirannia della logica e vuole che la mente di ognuno di noi sia libera e sgombra. Per questo i Maestri zen cercano di togliere ai discepoli ogni qualsiasi punto di appoggio attraverso i koan, quesiti senza un'apparente soluzione logica. “La funzione del koan è promuovere il dubbio e l'opportunità di spingerlo fino all'estremo, si tratta di un risveglio di un senso interno che ci fa capaci di scrutare dentro il vero ed effettivo andamento delle cose”.  Lo zen utilizza i koan per mettere in scacco matto la mente, le risposte hanno poca energia rispetto alle domande. Il koan è una domanda di vita a cui si risponde con la vita. Si cerca l'intersezione tra la verità relativa e la verità assoluta, ed i koan intercettano questo punto.  Un esempio di koan: Nel sogno siamo in una radura e da ogni direzione arriva una tigre, quale è l’uscita?  Svegliarsi. 

Alla base di questo processo di risoluzione c'è il satori: per satori si intende un modo intuitivo di scrutare le cose, in contrasto con l'apprendimento intellettuale e logico. Il satori è inspiegabile e incomunicabile. Nello Zen il dhyana o zazen, è il sedere a gambe incrociate in stato di quiete e in contemplazione profonda. E questa tecnica è usata come mezzo per trovare la soluzione del koan.

Koan e zazen sono i due cardini dello Zen ”per alimentare, anche nei discepoli meno addestrati, lo sviluppo della coscienza Zen. “Si vuole che il koan sia coltivato in ogni recesso della mente e che mai analisi logica è riuscita a varcare”.

Un altro aspetto importante nello Zen è il valore del lavoro manuale per i monaci dello Zen-do (sala di meditazione). L'idea centrale della vita del monaco non è infatti, di sopprimere, ma di utilizzare nel modo migliore le cose che ci sono state date. La proverbiale operatività dei monaci si esprime nel motto “imparare facendo”. Teoricamente lo Zen ingloba l'intero universo e non è condizionato alla legge dell'antitesi.

Durante i Sesshin, che letteralmente significa “riunione di menti” e che sono periodi di meditazione intensiva, ricorre spesso la seguente frase: “Fino a quando resta nel praticante, un pur piccolo pensiero che qualcuno, sia Dio o il diavolo, conosca e renumeri le sue azioni, non è ancora uno di noi”. 

Lo Zen  permette di riconciliarsi con la realtà presente. La vita e morte sono due aspetti della realtà, la pratica spirituale serve ad aprirsi a questa dimensione. L'obiettivo dello zen è cercare di Vivere con pienezza la vita, riappacificarsi con la realtà circostante.

Da una parte c'è il Samsara, la  realtà fenomenica dove si manifesta il dolore dall'altra parte c'è il Nirvana, la realtà assoluta, dove c'è gioia infinita. Tra le due strade la scelta è nostra. La conoscenza intellettuale non ci aiuta in questa scelta. Senza trasformazione, non è possibile avanzare nella ricerca spirituale. La meditazione è uno strumento molto potente in questo percorso di trasformazione. Noi ragioniamo in modo binario, la meditazione ci apre ad una visione più fluida.  

Come essere felice? Che senso dare alla propria esistenza e trovare la felicità? Come essere in armonia con se stesso e il mondo?  Come vivere con pienezza la vita? Le correnti spirituali e filosofiche, tra cui lo Zen,  cercano di rispondere a queste domande mettendo a punto una serie di metodi. 

Il cuore spirituale del Giappone è Kyoto dove c'è equilibrio tra tradizione e modernità e qui è ancora vivo il buddhismo Zen con le sue espressioni: il Kyodo - la via dell'arco, la cerimonia del tè e la meditazione Za Zen (za = sedersi, zen = meditazione).

Il cuore dello Zen è il meditare sull'essenza dell'essere, cercare di trovare la verità attraverso la propria esperienza di vita, allargare la propria interiorità.  Nel tiro con l'arco si cerca un'osmosi tra corpo e arco per raggiungere il bersaglio.

La cerimonia del tè è una forma di meditazione, una via verso la liberazione dall'agitazione del mentale, e segue un protocollo ben definito riportato in una piccola opera scritta nel XIII secolo. C'è una entrata bassa per accedere alla sala della cerimonia, che ha come significato allegorico di lasciare lo status sociale fuori dalla sala. Quattro principi guidano questa cerimonia: rispetto, armonia, tranquillità, purezza. Si prepara il tè in silenzio, raccogliendo il corpo, la mente e il cuore, con un sentimento di gratitudine verso la persona invitata.   

 Durante lo Za Zen, una forma di meditazione, si porta la coscienza nell'istante presente, interiormente, durante questa pratica, si pone una domanda e si cerca di trovarne la risposta. Ad esempio, come essere utile a qualcuno? come aiutarlo? Di solito, si medita in piena natura e lo scopo della meditazione zen è di legarsi all'universo, fondersi con la natura immaginando di diventare un elemento di tale natura: l'aria, gli alberi, ecc. 

Lo Zen è una via di trasformazione interiore e una ricerca perpetua di saggezza,  una via per fare esperienza del sacro.

Lo zen e i 10 quadri del percorso spirituale

 Le diverse tradizioni spirituali hanno sentito il bisogno di rappresentare l’evoluzione dell’esperienza mistica sotto forma d’un percorso. Ad essere diverse, sono le metafore scelte per farlo, tratte dai vari contesti quotidiani e concreti. La tradizione spirituale zen  utilizza i Dieci Quadri sulla Cattura del Bue (XII sec. d.C.) dove il bue rappresenta la nostra vera natura.

Questi quadri rappresentano la ricerca di un bue da parte del contadino che l’ha smarrito. Il Bue rappresenta la Mente del Buddha e il contadino è il praticante sulla via spirituale. La scelta di un bovino riporta alla culla del Buddhismo, l’India, ove le vacche sono sacre.

Questa curiosa serie di dieci immagini, detta 'i dieci tori Zen', descrive il cammino verso l'illuminazione. Nell'ottavo quadro appare un cerchio vuoto, la gande vacuità. Nell'ultimo quadro c'è l'immagine del protagonista, che raggiunta l'illuminazione, può ritornare a vivere in pace in questa realtà, pieno di saggezza. Infatti, si vede l'omino che ritorna verso la piazza del mercato con un recipiente di vino in mano.  Se c'è una rinuncia cruciale nel cammino verso la liberazione, essa non è la rinuncia al mondo, ma la rinuncia al punto di vista dell'io separato, al sofferente egoismo con cui cerchiamo di realizzare i 'nostri fini. 

I dieci quadri della Cattura del Bue.

  • I Quadro: Ricerca del Bue. L’uomo volta la schiena al Bue e si trova davanti a un groviglio di strade.
  • II Quadro: Scoperta delle tracce. Grazie ai sutra (raccolte di scritti buddhisti) e agli insegnamenti, si scoprono le “tracce del Bue”, ovvero il modo per ricercare l’illuminazione.
  • III Quadro: Prima apparizione del Bue. Vedere dentro di sé la fonte di tutte le percezioni, ovvero i sensi.
  • IV Quadro: Cattura del Bue. L’uomo raggiunge il Bue (ovvero, la mente) e cerca di domarlo (tenta di non indugiare in pensieri concettuali).
  • V Quadro: Addomesticamento del Bue. Comprendere che anche il pensiero concettuale viene dalla Vera Natura dell’uomo.
  • VI Quadro: Il ritorno a casa sul Bue. Ciò significa che il protagonista ha acquisito equanimità, imperturbabilità e serenità.
  • VII Quadro: Il Bue è dimenticato, resta solo il Sé. Cade la dualità fra l’uomo e la propria mente.
  • VIII Quadro: Oblio del Bue e del Sé. Svaniscono le sensazioni illusorie e le idee di perfezione spirituale. Purificazione dall’orgoglio.
  • IX Quadro: Ritorno alla Fonte. Rimanere dentro se stessi con incrollabile calma.
  • X Quadro: L’entrata nella piazza del mercato con spirito compassionevole. Mischiarsi agli altri uomini, nella vita di tutti i giorni, per essere d’aiuto a loro, senza alcun pregiudizio.

 Nei Dieci Quadri, il rapporto dell'uomo col bue è presentato come una lotta. Al di fuori della metafora, chi avanza nella pratica della meditazione zen, sperimenta la difficoltà della concentrazione, lo scardinamento psicologico e persino il dolore fisico.  Il mistico è colui che sa andare oltre i meri concetti e le idee ricevute, per trovare il modo di percepire – dentro di sé – quell’Assoluto che è assenza di definizioni, dialettica, confini – in altre parole, il Vuoto. L’impossibilità di suddividere questo Vuoto in parti, di sezionarlo con l’intelletto, fa sì che esso non lasci spazio a cose diverse da Sé – e questa è la “pienezza” da raggiungere.

Testi di riferimento:

  • Migi, Le dieci icone del bue, (disponibile on line sul sito di Gianfranco Bertagni: http://www.gianfrancobertagni.it/materiali/zen/migi.pdf );
  • Kapleau, Philip, I tre pilastri dello Zen.

 Come meditare in maniera zen?  

Assumere la posizione del loto o mezzo loto, sedersi su un cuscino (posizione salda e stabile), la mano sinistra poggia sulla destra, i pollici si sfiorano, in posizione mudra - simbolo della concentrazione, se i pollici si allentano si forma la valle, se premono troppo si forma il monte, bisogna quindi mantenere i pollici paralleli al pavimento;  occhi aperti, il mento leggermente rientrato,  la nuca tesa, la schiena è una colonna che spinge la terra verso il basso e il cielo verso l’alto, la postura e il respiro sono le due ali su cui vola la meditazione. 

La postura è vivificata dal respiro;  il respiro è quieto e impercettibile, l'inspiro è un'azione breve e decisa, l’espirazione sottile e prolungata. Questo è un vigoroso richiamo alla presenza. Quando si è immobili è possibile osservarsi, accettarsi e riconoscersi;  in questo modo si è connessi e interconnessi con il resto del cosmo.

giovedì 1 luglio 2021

La storia zen del contadino saggio.

Questa è una tra le storie zen che mi hanno colpito maggiormente. E’ un racconto che ci mostra come le apparenze possono ingannare e di come il bene e il male possono essere solo una temporanea apparenza.  Ecco la storia del contadino saggio.

C’era una volta, in un villaggio cinese, un vecchio contadino che viveva con suo figlio e un cavallo, che era la loro unica fonte di sostentamento. Un giorno, il cavallo scappò lasciando l’uomo senza possibilità di lavorare la terra.
I suoi vicini accorsero da lui per mostrargli la loro solidarietà dicendosi dispiaciuti per l’accaduto.
Lui li ringraziò per la visita, ma domandò loro: “Come fate a sapere se ciò che mi è successo è un bene o un male per me? Chi lo sa!
I vicini, perplessi dall’atteggiamento del vecchio contadino, andarono via.

Una settimana dopo, il cavallo ritornò alla stalla, accompagnato da una grande mandria di cavalli. Giunta la notizia agli abitanti del villaggio, questi tornarono a casa del contadino, congratulandosi con lui per la buona sorte.
Prima avevi solo un cavallo ed ora ne hai molti, è una grande ricchezza. Che fortuna!”, dissero.
Grazie per la visita e per la vostra solidarietà”, rispose lui, ma come fate a sapere che questo è un bene o un male per me?
I vicini, ancora una volta rimasero sconcertati dalla risposta del vecchio contadino e se ne andarono via.

Qualche tempo dopo, il figlio del contadino, nel tentativo di addomesticare uno dei nuovi cavalli arrivati, cadde da cavallo rompendosi una gamba.
I vicini premurosi tornarono a far visita al contadino dimostrandosi molto dispiaciuti per la disgrazia.
L’uomo ringraziò per la visita e l’affetto di tutti e nuovamente domandò: “Come potete sapere se l’accaduto è una disgrazia per me? Aspettiamo e vediamo cosa succederà nel tempo.
Ancora una volta la frase del vecchio contadino lasciò tutti stupefatti e senza parole se ne andarono increduli.

Trascorsero alcuni mesi ed il Giappone dichiarò guerra alla Cina. Il governo inviò i propri emissari in tutto il paese alla ricerca di giovani in buona salute da inviare al fronte in battaglia. Arrivarono al villaggio e reclutarono tutti i giovani, eccetto il figlio del contadino che aveva la gamba rotta.
Nessuno dei ragazzi ritornò vivo. Il figlio del contadino invece guarì e i cavalli furono venduti procurando una buona rendita.

Il saggio contadino passò a visitare i suoi vicini per consolarli ed aiutarli, come loro si erano mostrati solidali con lui in ogni situazione.
Ogni volta che qualcuno di loro si lamentava, il saggio contadino diceva: “Come sai se questo è un male?”. Se qualcuno si rallegrava troppo, gli domandava: “Come sai se questo è un bene?

Gli uomini di quel villaggio capirono allora l’insegnamento del saggio contadino che li esortava a non esaltarsi e a non lasciarsi abbattere dagli eventi, accogliendo sempre ciò che è, consapevoli del fatto che – al di là del bene e del male – tutto potrebbe rivelarsi diverso da come appare.

mercoledì 23 giugno 2021

Il corpo esposto al vento dorato

 Cosa si fa di fronte ai problemi che la vita pone continuamente?

Li si vede, li si accetta, li si riconosce, e ci si rimboccano le maniche per trasformare le cose negative in opportunità di crescita. Del resto in cinese e giapponese l’ideogramma di “problema” è lo stesso di “opportunità”.

Quello che noi incontriamo come problema può essere vissuto e trasformato in opportunità di crescita. È un’occasione d’oro per capire delle cose di noi stessi e della vita. Si tratta di rivolgere lo sguardo dentro di noi e fidarsi di come vadano le cose nella vita.

Spesso vogliamo che vadano in un modo e ci incamminiamo in una direzione che magari è totalmente sbagliata. Spesso si chiudono tante opportunità, fino a che se ne presenta un’altra che in ultima analisi si rivela molto più adatta a noi di quanto inizialmente avessimo ritenuto.

Gli indiani dicono che  il karma, sia come un imbuto che ci convoglia verso quella che è la migliore direzione possibile per noi. Possiamo anche NON essere convinti che sia la migliore soluzione possibile per noi, ma esiste forse un’alternativa? 

Questa potrebbe essere l’interpretazione del seguente koan. Nello zen i i koan sono delle frasi apparentemente senza senso ma che racchiudono profonde verità.

Un monaco chiese ad un maestro zen “Com’è quando gli alberi ingialliscono e le foglie cadono?

Il maestro zen rispose “Il corpo esposto al vento d’orato”.

Il significato è il seguente: quando sei esposto ad eventi non belli cerca di prendere il meglio e coglierne le opportunità.

martedì 15 giugno 2021

Lo zen a Roma

Dario Doshin Girolami è un insegnante zen della tradizione di Shunryu Suzuki Roshi e responsabile del Centro Zen "L’Arco" di  Roma.   Vedi link: http://www.romazen.it/

Shunryu Suzuki era un monaco e insegnante Zen Sōtō che aiutò a diffondere il buddhismo Zen negli Stati Uniti, ed è conosciuto per aver fondato il primo monastero buddhista Zen fuori dall'Asia.  

Lo Zen è una forma di buddhismo sviluppatosi in Giappone ed è l'incontro tra buddhismo e taoismo. La pratica dello Zen -che letteralmente vuol dire meditazione- è caratterizzata dalla semplicità, dalla sobrietà e dall'essenzialità. Essa dunque mira immediatamente all'obiettivo. Secondo lo Zen infatti non occorre far altro che sedersi per terra a gambe incrociate e focalizzare l'attenzione sulla corretta postura e sulla respirazione. Ciò permette di sviluppare la consapevolezza di se stessi, dello spazio circostante e dell'irripetibile bellezza del momento presente, dimensione dalla quale è possibile avere accesso alla reale pace e armonia in cui tutte le esistenze del cosmo da sempre vivono.

Uno degli obiettivi dello zen è quello di fare pace con la realtà presente e vivere con pienezza la vita. Poi aprirsi alla vera realtà e alla verità sempre presente. Abbiamo di fronte a noi due vie:  il samsara, la realtà fenomenica caratterizzata dal dolore, e il Nirvana la realtà dell'assoluta gioia. Scegliere una delle due strade è una nostra scelta.  Vita e morte sono due aspetti della realtà, la pratica spirituale serve ad aprirsi a questa realtà.

Nello zen si pratica la meditazione senza oggetto.  Noi ragioniamo in modo binario, la meditazione ci apre ad una visione più fluida, senza trasformazione la conoscenza intellettuale non ci aiuta a capire meglio la realtà.  Una delle caratteristiche dello zen è il koan, un modo di mettere in scacco matto la mente. Infatti il koan è una domanda di vita a cui si risponde con la vita. I koan intercettano questo punto di intersezione tra verità relativa e verità assoluta. Un esempio di koan può essere questo: Nel sogno siamo in una radura e da ogni direzione arriva una tigre, Quale è la possibilità di fuga???  La risposta è: Svegliarsi.

Per approfondire i koan e conoscere la differenza tra le scuole zen Soto e Rinzai vedi l'approfondimento: http://www.romazen.it/insegnante/dharma_koan.htm

sabato 17 aprile 2021

Lo zen soto e i koan

Vi propongo di leggere il testo lo Zen soto e i koan di Dario Doshin Girolami.  Dario Doshin Girolami è il responsabile del centro zen "l’Arco" di Roma e l'ho incontrato durante varie conferenze.

L’augurio  è quello di riuscire a trovare il momento presente. Tutto questo mondo è il mio guru, cioè ogni momento della vita è il mio maestro.

Se riusciamo ad abbracciare l’impermanenza, allora vedremo la Vacuità, vedremo la verità e il vero significato del Buddhismo.

Cerchiamo di spiegare alcune parole del titolo del libro: lo Zen è una forma di buddhismo e in questo testo viene proposto lo zen nello spirito di Suzuki Roshi fondatore del San Francisco Zen Center.  Zen vuol dire meditazione.  I koan sono delle metafore che parlano di particolari aspetti della natura essenziale e ci rivelano cosa è la Verità. Il koan si chiarisce al chiarirsi della conoscenza di se stessi.  Un koan zen ha lo scopo di aiutare la persona a superare gli schemi di pensiero ordinari per arrivare quindi ad una comprensione profonda delle cose. 

L'essenza della pratica Zen è essere qui e ora, essere totalmente nel momento presente, completamente calati nella realtà dell’istante. Cogliere nell'istante presente l'istantanea compresenza di uguaglianza e differenza, di unità e molteplicità. Noi siamo una gamma di emozioni, ed ognuno di noi è unico e irripetibile e siamo tutti la natura di Buddha. 

L'educazione Zen consiste nell’accettare l’impermanenza della realtà, altrimenti vivremo in sofferenza. Quando siamo impegnati e sopraffatti dalle nostre attività, dobbiamo scendere in profondità, ricollegarci al momento presente, spazzare la mente da ogni idea di attaccamento e ottenimento, e da ogni idea dualistica.

La consapevolezza dell’interconnessione del tutto col tutto, non potrà che portare a una profonda e compassionevole responsabilità civile e sociale. Lo Zen non si esaurisce affatto nell’estasi contemplativa del momento presente, ma ha la sua naturale espressione nella vita quotidiana, fatta di relazioni ed impegni.   Le persone che praticano lo zen, sono persone anche laiche, che individualmente, ogni giorno si sforzano di portare la saggezza del Buddha nella vita quotidiana, fatta di lavoro, di affetti, di gioie e drammi. E senza abbandonare famiglia e lavoro, cercano se stessi in questo infinito universo. Usano la meditazione per ritrovare la pienezza dell’esistenza, la parte migliore di loro stessi, totalmente calati nella irripetibile bellezza del momento presente.

Noi, esseri umani, siamo fortunati perché abbiamo la natura del Buddha,  fatta di qualità positive, dobbiamo solo ritrovarla. 

In questo libricino sono presentati molti koan per spiegare vari aspetti della vita. Ho trovato particolarmente bello questo koan che spiega come affrontare i problemi che la vita pone continuamente. 

Un monaco va dal maestro zen e chiede "Come è quando gli alberi ingialliscono e le foglie cadono?" e il maestro zen risponde "Il corpo esposto al vento dorato".  

Il significato è il seguente: Non è possibile non esporsi al vento all’impermanenza. Occorre solo capire che è un vento dorato. Occorre accettare le avversità, trovare la bellezza nelle avversità e considerarle come opportunità.  Non è l’evento in se stesso che è doloroso ma sono le aspettative disattese e gli attaccamenti che diventano fonte di dolore. Quello che ci sta accedendo non è altro che  un’opportunità di crescita.

Se abbracciamo l’impermanenza allora scopriamo la vacuità, impariamo e ad essere vulnerabili di fronte all’impermanenza e di conseguenza: accettare la nostra condizione umana, è accettare la vita.

La pratica buddhista zen si divide in samata e vipassana. Ossia riuscire a calmare la mente  per  poi arrivare ad avere una visione profonda. In pratica, si tratta di riconoscere la realtà come dolorosa, impermanente e priva di un io sostanziale.  

Introduzione al Blog

Il Blog è nato nel marzo 2021, in tempo di pandemia, per comunicare e condividere le mie letture e i miei interessi.  Nel blog ci sono ci...