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venerdì 1 novembre 2024

Amare in consapevolezza - Thich Nhat Hanh

 “In Asia per tradizione si tratta il partner con lo stesso rispetto che si riserverebbe a un ospite. E’ così anche per chi sta insieme da tantissimo tempo: l’altro merita sempre il tuo pieno rispetto. Il rispetto è la vera natura del nostro amore”

“Quando impariamo ad amare e comprendere noi stessi, a essere veramente compassionevoli nei nostri confronti, allora sì che possiamo amare e comprendere davvero un’ altra persona!”

“La comprensione è la vera natura dell’amore. Il regalo migliore che puoi fare a una persona è comprenderne la sofferenza. Se non comprendi non puoi amare”

“Quando nutriamo la felicità in noi e le diamo sostegno, in quel momento stiamo alimentando la nostra capacità di amare. Per questo, amare significa imparare l’arte di alimentare la propria felicità”

“Amare non significa possedere l’altra persona o consumare per intero la sua attenzione e il suo amore: amare significa offrire all’altro la gioia e un balsamo per la sua sofferenza. Questa è la capacità che dobbiamo imparare a coltivare”

“Quando sai generare gioia, questa nutre te e anche l’altro; la tua presenza è un’ offerta, come l’aria fresca, come i fiori primaverili o il cielo limpido e azzurro”

“Spiritualità non significa una fede cieca in un insegnamento spirituale: quella spirituale è una pratica che porta sollievo, comunicazione e trasformazione. Tutti hanno bisogno di una dimensione spirituale nella vita; senza una dimensione spirituale, affrontare le difficoltà che incontriamo tutti quotidianamente è una dura sfida”

Dal testo di Thich Nhat Hanh – Amare in consapevolezza.

Vedi breve sintesi del testo:   https://www.google.it/books/edition/Amare_in_consapevolezza/yopwDQAAQBAJ?hl=it&gbpv=1&pg=PT6&printsec=frontcover

La sofferenza nel mondo - Thich Nhat Hanh

Qualcuno mi ha chiesto: "Non sei preoccupato per lo stato del mondo? ”    

Mi sono permesso di respirare e poi ho detto: “La cosa più importante è non permettere che la tua ansia per ciò che accade nel mondo ti riempia il cuore. Se il tuo cuore è pieno di ansia, ti ammalerai e non potrai aiutare. ”

Sì, c'è una sofferenza tremenda in tutto il mondo, ma sapere questo non deve paralizzarci. Se pratichiamo la respirazione consapevole, la camminata consapevole, la seduta consapevole e il lavoro nella consapevolezza, possiamo fare del nostro meglio per aiutare.

Thich Nhat Hanh 


Boir la lune et chevaucher les nuages - Federico Dainin Joko Sensei (1)

Federico Dainin Joko Sensei ha ricevuto lo shiho, la certificazione da cuore a cuore dal suo maestro Pierre Taigu Sensei ed è diventato maestro zen e il 93 patriarca della tradizione Soto.          

L'insegnamento che i  maestri zen offrono spontaneamente durante la meditazione seduta  è un luogo intimo, fragile come un fiore e tagliente come una spada. Non insegnano seguendo i testi ma partendo dalla loro vita. La via dello zen implica un combattimento feroce con il proprio ego e le proprie illusioni. Presuppone l'ascolto del solo vero maestro: la tua esistenza e tutto quello che esprimi.   

Devi amare senza limiti il solo essere con il quale dovrai vivere tutta la vita: te stesso. Ed è come bere la luna o come cavalcare le nuvole.

 Lo zen è il ramo giapponese del buddhismo che accorda una grande importanza alla meditazione seduta silenziosa (che è anche il cuore della pratica buddhista mahayana). In questa filosofia dell'essenziale, della vita al presente (qui e ora), la meditazione è la via privilegiata per trovare l'armonia e conoscersi meglio. I valori dello zen sono la pace interiore, l'amore di sé e del  prossimo, compassione, indulgenza, risveglio... 

Attraverso lo zen si può riuscire a conoscersi, amarsi, a riconciliarsi con la propria storia; Si diventa più compassionevole verso gli altri, come se non eravamo più al centro del mondo. Lo zen ti invita a smettere di cercare di essere felice per cominciare finalmente ad essere. 

La meditazione (zazen) non è che questo: percepire il mistero dell'esistenza, conoscerci per capire il mondo, amarci pienamente per poter amare, accettare la complessità e l'estrema semplicità della vita per poter capire quella degli altri, cessare di avere dei rimpianti e fantasmi, per viverla come siamo capaci di fare, liberarci delle nostre illusioni che sono fonte di sofferenza e ridare al mondo il suo splendore.  Zazen è anche diventare consapevoli della purezza originale che si nasconde in fondo ad ogni essere sensibile.  E' anche fare l'esperienza dell'interessere (termine creato da Thich Nhat Hanh) e che quindi tutti esseri sono correlati.    Segui il soffio, diventa quello che sei!

Durante lo zazen (za significa seduto e zen significa meditazione) il maestro condivide le sue esperienze con i suoi discepoli e questa pratica è chiamata kusen. Questo insegnamento non è preparato, ma sorge dal reale dell'stante e si offre non come un sapere, ma piuttosto come l'esperienza condivisa della Via. Praticare la via del Buddha è dimenticare tutto quello che si crede di sapere su se stessi, fino a dimenticarsi di se stessi, permettere così ad ogni cosa di apportarci un insegnamento. Diventare una pura presenza e prepararsi a ricevere se stessi con amore. Non è facile oggi trovare il tempo per incontrare se stessi e riuscire a fare un gesto d'amore verso se stessi.      

Noi cerchiamo tutti l'amore, lo chiediamo e vogliamo darlo e questa è una cosa nobile. Voler essere amati e sentire il bisogno di amare è giusto. Soltanto che i nostri amori sono spesso maldestri, imperfetti, squilibrati, e si trasformano spesso in inganno e sofferenza.  Perche?   Perchè abbiamo dimenticato che il primo essere verso cui dirigere il nostro amore, la nostra compassione siamo noi stessi. Raramente siamo in grado di prenderci in considerazione e così la nostra esistenza è un abisso vuoto d'amore. Portare uno sguardo d'amore su se stessi, è cominciare ad essere pieni, a essere pienezza. Questo significa accordarsi fiducia, profondamente, senza limiti e indipendentemente di tutto e tutti. Potrai vivere anche con la sconfitta e la sofferenza, e sarai capace di vedere la bellezza anche nelle situazioni più cupe. E in questa bellezza troverai la sorgente della vita.    La tua vita è una tela bianca sulla quale tu decidi in qualsiasi momento di dipengere la felicità o l'insoddisfazione.    Ogni vita la sua felicità, la sua storia e le sue prove.

Importante è sapere se tu hai sufficientemente fiducia per fare in modo che, anche dopo una notte di tristezza e disperazione, tu sei in grado di vivere, restare in piedi e fare quello che è necessario per te, per quelli che ti amano, e per quelli che ti sono vicini. Quello che conta è la luce interiore che è dentro di te anche nelle notti più nere.          La luce della luna è dolce come la luce che brilla in te.

Proteggi la tua mente, mantienila chiara e serena. Non lasciate che qualcosa vi maltratti, vi cambi o vi vincoli.   Sei capace di sopportare la calunnia, il tradimento, restando fedele a quello che sei?

L'individuo dovrebbe lasciarsi andare alla danza della vita, approfittando delle belle esperienze e accettando le brutte. Dobbiamo far si che tutti i tradimenti, le delusioni, le sofferenze che abbiamo vissuto ci aprano all'esterno invece di rinchiuderci nella paura. Importante è non lasciarci condizionare dalle ferite del passato, o dalla paura delle ferite che potrei ricevere. 

Meditare è praticare per percepirci e conoscerci per quello che siamo. Meditare è andare all'incontro con l'essere più prezioso di tutta la tua vita: Te stesso.  Non c'è nessun luogo dove tu non sei. 

Se  sei solo in una stanza oscura con una sola candela, tu vedrai appena intorno a te, ma se altre persone ti raggiungono, ciascuno con la sua candela, allora si riuscirà a illuminare il mondo intero. 

Mi sono liberato del superfluo e mi sono sbarazzato dei miei desideri.  

Nello zazen, seduto, non fai altro che essere presente, e questo senza che la tua vita dipenda dai fenomeni dell'esistenza.  Zazen è apprendere a praticare profondamente con tutto quello che siamo. Non per liberarci da qualcosa, ma per considerare tutto e per accettare quello che siamo fino a che la nostra vita ridiventi uguale alla nostra pratica meditativa.      Rivelarci ci riconcilia con noi stessi.  In zazen cessiamo di dipendere dalle nostre emozioni e dai nostri pensieri, ma li contempliamo. Nel silenzio meditativo tu puoi percepire che tu fai parte di qualcosa di più grande, più vasto. Segui il respiro e contemplati con amore, con benevolenza, resta seduto con tutto quello che tu sei. Libero ad ogni istante. Nella pratica come nella vita. Inspira e espira.    Abbandona il tuo corpo alla posizione; la tua presenza è la vita che risponde alla vita. Sii soltanto questa presenza che non si aspetta niente, che non è altro che apertura, accettazione, disponibilità.

Se apprendi semplicemente a essere, allora la tua vita non dipenderà nè dalla sofferenza, nè dalla gioia, nè dal lavoro, nè dall'amore, nè dall'odio, ecc. Vivi come pratichi, Pienamente, semplicemente. 

Se lasci che la pratica della meditazione zazen, ti unifichi e ti riveli, quando amerai qualcuno, tu amerai veramente. E anche se di fronte a te, non ci sarà l'altrettanto amore che speravi;  importante è aver amato, non di essere stati amati.

Viene al mondo con le mani vuote, se ne va con le mani vuote. Ecco l'essere umano.

Noi cerchiamo senza sosta di vivere la vita, ma non lasciamo mai vivere la vita in noi.

C'è un luogo profondo e intimo in cui si sperimenta la libertà e la bellezza interiore, che non dipende nè dalla vita, nè dalla morte, nè dalla gioia, nè dalla tristezza: la nostra vera natura. Arrivare a questo è arrivare al risveglio, che viene chiamato nirvana, l'illuminazione. 

Se cominci ad accettarti così come sei, allora fai il primo passo verso il paese della bellezza, della tua grande libertà.

Si viene in questo mondo con le mani vuote, e si partirà un giorno con le mani vuote. Comprendere questo vuoto è il regalo più bello che la Via possa farci. Questo vuoto è la nostra vera natura.  In zazen si sperimenta questo vuoto meraviglioso, questa vasta vacuità.

Apprendi a morire, non della morte ultima, ma della morte che ti aspetta al passare di ogni istante della tua esistenza. E ad ogni istante, rinascere.  Accettando la vita e la morte si diventa pura presenza e si prova un'infinità libertà.

Il Mondo è il momento in cui maestro e discepoli si confrontano apertamente e pubblicamente sugli insegnamenti (del dharma).  Ogni insegnamento viene percepito in maniera unica e diversa da ogni allievo a secondo della esperienza vissuta. Non esiste uan verità assoluta.

Nello zen a poco a poco anche i piccoli gesti del quotidiano eseguiti con grazia e presenza diventano una cerimonia, come nel dojo (luogo deputato per la pratica religiosa).

Quando si vuole qualche cosa si perde tutto, e quando non si vuole niente si possiede il Tutto, allora il mondo intero è nelle tue mani. Se tu non trovi qui la felicità, nella tua vita attuale in questo momento dove ti trovi, Dove speri di trovarla?

giovedì 26 settembre 2024

Storia del Buddhismo - 1

Gli studi sul buddhismo in Occidente sono iniziati a partire dalla seconda metà dell’Ottocento, negli ultimi cinquant’anni sono progressivamente cresciuti gli studi socio-antropologici sul buddhismo. basati su scienze sociali – storia culturale, antropologia, sociologia e teoria sociale.     

L’inizio dell’interesse occidentale per il buddhismo può essere tracciato sul finire del XVI secolo, quando le missioni gesuite di Matteo Ricci (1552-1610) e Francesco Saverio (1506-1552) in Cina e in Giappone cominciarono a portare nel Vecchio Continente le prime informazioni sulle tradizioni e sulle pratiche buddhiste. 
Viene istituita la prima cattedra di sanscrito presso il Collège de France nel 1814, affidata ad Antoine-Léonard Chézy (1773-1832), L'ungherese Sándor Csoma de Kőrös (1784-1842) inizia ad esplorare il Tibet e il danese Rasmus Kristian Rask (1787-1832) Sri Lanka. Eugène Burnouf (1801-1852) fonda la  Société Asiatique parigina nel 1822 e redige l’Essai sur le Pali (1826) e, soprattutto, scrive Introduction à l’Histoire du Bouddhisme Indien (1844), testo con il quale si inaugura più propriamente il campo di quella che venne chiamata buddhologia.     
A partire dalla fine del XVIII secolo, con la fondazione della Asiatic Society of Bengal a opera del filologo britannico William Jones (1746-1794) si inizia a studiare la lingua sanscrita.
Comincia la vasta tradizione di studi filologici che si concentra tanto sulle relazioni storiche e strutturali tra le lingue indo-europee, e inizia la tendenza a romanticizzare la letteratura indiana come farà Arthur Schopenhauer (1788-1860) nella sua elaborazione filosofica.

L’orientalista inglese Rhys Davids fondò la Pali Text Society nel 1881, tra i cui obiettivi rientrava la traduzione dei testi theravada che lo studioso aveva avuto modo di analizzare nello Sri Lanka e la preservazione dei testi scritti su foglie di palma.  

Si costituisce la International Association of Buddhist Studies negli anni 1970, il cui l’indirizzo filologico-linguistico ha permesso un dialogo tra aree geografiche e disciplinari diverse. A titolo di esempio, si pensi all’attenta traduzione inglese del Dhammapada curata da John Carter e Mahinda Palihawadana (2000).
L’Oriente veniva considerato come la culla spirituale dell’umanità che avrebbe potuto rispondere alle grandi questioni esistenziali dell’Occidente razionalista. Come suggerisce Florinda De Simini (2013), lo studio occidentale delle dottrine buddhiste è stato caratterizzato da un “metodo scientifico imperfetto”, vale a dire da una ricerca basata su fonti di seconda mano e su una tendenza a decontestualizzare idee e dottrine disponendole in una diversa cornice ideologica.  

Durante la prima metà del secolo, molti studiosi ritenevano il buddhismo una tradizione il cui corredo simbologico e ascetico attraverserebbe, sostanzialmente inalterato, tutta la storia dell’umanità. In questa prospettiva, si devono almeno ricordare Hinduism and Buddhism (1943) di Ananda Coomaraswamy (1877-1947) e Peaks and Lamas (1940) di Marco Pallis (1895-1989), autori che portarono René Guénon (1886-1951) a rivedere la sua impostazione che vedeva nel buddhismo una deviazione dall’ortodossia tradizionale induista. 

Altri testi importanti da ricordare sono: The Life and Teaching of Naropa di Herbert Guenther (1963) e What the Buddha Taught di Walpola Rahula (1974), il dettagliato A Millenium of Buddhist Logic di Alex Wayman (1999) o The Path to Awakening di Shamar Rinpoche (2009).

Negli anni '70 iniziano studi e ricerche in una prospettiva inter-disciplinare più ampia e più incentrata sulle scienze sociali. Buddhism and Society (Spiro 1970) è il primo testo a utilizzare metodi propri dell’antropologia e della sociologia nello studio del buddhismo Theravada. Nell’anno seguente viene pubblicato Precept and Practice (Gombrich 1971), che esamina la pratica buddhista in Sri Lanka.

Sempre in quell'anno viene pubblicato Buddhism and the Spirit Cults in North - east Thailand (Tambiah 1970). In Living Buddhism (2015), Julia Cassaniti esplora la maniera in cui concetti centrali della dottrina buddhista come impermanenza, non attaccamento e intenzione vengano tradotti nell’agire sociale quotidiano nella Thailandia contemporanea. 

Uno dei testi di riferimento per studiare il buddhismo è Buddhism in the Global Eye (Harding, Hori e Soucy 2020).   Il buddhismo oggi non emerge solo dall’incontro tra Oriente e Occidente ma anche dagli incontri e scambi tra diversi “orienti” e diversi buddhismi. Il sociologo inglese Philip Mellor (1991) sottolinea come in Inghilterra l’adozione di forme religiose buddhiste non comporti una rottura radicale con le strutture e le influenze occidentali.

Le religioni e le filosofie (in particolare quelle orientali) all’interno delle società occidentali, sono progressivamente assoggettate a dinamiche di mercato, consumo e privatizzazione della relazione con il sacro. Una ricerca riflessiva sul buddhismo contemporaneo non può prescindere dallo studio del ruolo e delle influenze del capitalismo nella formazione delle istituzioni e delle rappresentazioni del buddhismo nelle società orientali e occidentali.  Un testo di riferimento di questo filone di ricerca è Buddhism under Capitalism (Payne e Rambelli 2022). 

L’origine del termine Engaged buddhism risale a una pubblicazione del monaco e attivista civile Thich Nhat Hanh (1926-2022) del 1964, anche se Hanh sostiene di avere sviluppato l’idea di buddhismo impegnato già negli anni cinquanta (crea i "Piccoli corpi di pace" inizi anni '60).  Thay propone che le cause della sofferenza non si trovino solo all’interno della mente, ma anche nella società, nell’oppressione politica e nella disuguaglianza sociale. Robert Fuller (2021) definisce Engaged buddhism come una trasformazione personale e sociale che implica anche l'ambiente.
Di particolare importanza all’interno dell’Engaged buddhism così definito è la sua alleanza con l’universo ambientalista ed ecologista (Darlington 2016; Gregory e Samah 2008). I tre pilastri delle diverse concettualizzazioni di Engaged buddhism sono azione, interdipendenza e compassione (Fuller 2021).  La sociologia buddhista, cerca di fornire una comprensione più etica e giusta del mondo sociale” (Marotta 2017).

Il cosiddetto “buddhismo secolare” è un tentativo di ripensare completamente il dharma dalle sue fondamenta per affrontare il mondo contemporaneo. Questa de/ri-costruzione del buddhismo in chiave laica e secolare è utilizzata da Winton Higgins (2012) per descrivere le nuove comunità buddhiste emergenti. Per Batchelor questo “buddhismo 2.0” o “aggiornamento secolare” si discosta da qualsiasi scuola o sistema dottrinale che operi all’interno della visione soteriologica dell’India antica.  Batchelor utilizza il  termine “secolare” nel campo buddhista riferendosi a tre sue dimensioni, le quali si sovrappongono tra loro: (1) nel senso popolare, per indicare ciò che è in contrasto o in opposizione al “religioso”; (2) nel senso etimologico facendo riferimento alle radice latina della parola saeculum, che significa “questa età”, per sottolineare la preoccupazione e la volontà di vivere al meglio il tempo e il mondo presente; e (3) in senso storico-politico, riconoscendo i processi storici occidentali che hanno portato al trasferimento del potere politico dalla Chiesa allo Stato, per indicare il principio di laicità. 
La nuova forma di buddhismo che sta prendendo forma in Occidente non abbandona i testi canonici del buddhismo, ma (nelle sue derive) sostituisce l’ideale soteriologico del nirvana con l’obiettivo secolare della prosperità, del benessere e della realizzazione umana in questo mondo. Questo progetto di riforma del buddhismo va ben oltre i suoi processi di psicologizzazione che stanno sviluppandosi in Occidente, come quelli centrati sulle potenzialità della pratica meditativa che hanno dato vita alla cosiddetta “mindfulness”.
Ci sono molti studi che esaminano, direttamente o più marginalmente, le conversioni al buddhismo nei Paesi occidentali, interrogandosi sulle ragioni del successo di questa religione. 
Ci sono anche delle ricerche più specifiche sul caso del buddhismo italiano. Mathé Thierry (2010) individua similmente tre principali causalità nell’incontro dei convertiti italiani con il buddhismo: (1) il vissuto di una situazione traumatica e la mancanza di risposte nella religione cattolica, ovvero la ricerca di una “religione compensativa” capace di offrire migliori “strumenti” per gestire le emozioni e affrontare problemi personali; (2) l’impossibilità di un contatto intenso con il sacro attraverso le pratiche del cattolicesimo;  un’insoddisfazione quest’ultima che può derivare anche dall'ignoranza dei suoi insegnamenti che vengono ridotti a costrizioni o dogmi; (3) la ricerca spirituale da parte di ex attivisti politici e/o  sindacali che trovano nel buddhismo un impegno sociale ri-orientato verso una nuova religiosità dopo il fallimento delle grandi ideologie del Novecento e del loro progetto di cambiamento sociale. 
Un aspetto importante è la capacità del buddhismo di non avere rapporti conflittuali con  il mondo scientifico, anzi grazie all'interessamento del Dalai Lama che ha creato l'Istituto Mind and Life nel 1991, il buddhismo ha cercato di trovare dei punti di contatto con la scienza.
Altro aspetto importante è il passaggio delle spiritualità da una definizione teologica, a una sociologica quale ricerca di una relazione con il trascendente costruita a partire dal Center for the Study of Global Christianity (Zurlo, Johnson e Crossing 2023).

Storia del Buddhismo 2

L’interesse per il buddhismo in Italia, in questi ultimi anni, è un fenomeno in continua crescita, che ha attirato l’attenzione degli studiosi interessati alla comprensione dei processi di cambiamento culturale  e ai mutamenti spirituali che avvengono nella società contemporanea.               

Una delle principali motivazioni dell’interesse per il buddhismo in Italia è la crisi della religiosità tradizionale, che ha portato molte persone a cercare alternative spirituali. In particolare, la crescente secolarizzazione della società italiana ha portato alla diminuzione dell’influenza della Chiesa cattolica (Garelli 2020), aprendo la strada alla ricerca di nuove forme di spiritualità e di senso (Palmisano e Pannofino 2021). In tale contesto, il buddhismo – con i suoi insegnamenti basati sulla meditazione e sulla ricerca della pace interiore – sembra rispondere a questo bisogno di ricerca spirituale, fornendo un’alternativa al modello di religiosità tradizionale. 

La diffusione del buddhismo in Occidente ha portato alla trasformazione dell’antica tradizione buddhista in una nuova forma adattata alla cultura occidentale; un fenomeno che andrebbe di pari passo con l'“orientalizzazione” dell’Occidente. La crescita costante dell'interesse  del buddhismo si osserva soprattutto tra i giovani, gli studenti universitari e i professionisti (Prebish e Baumann 2002). Un altro fattore che ha contribuito all’interesse per il buddhismo in Italia è la sua filosofia incentrata sulla tolleranza e sulla non-violenza, comprensione reciproca e solidarietà. La pratica della meditazione e della mindfulness sono diventate strumenti sempre più popolari per migliorare la salute mentale e per sviluppare una maggiore capacità di concentrazione e di equilibrio interiore. 

Secondo l’ultimo report statistico annuale sul pluralismo religioso e spirituale in Italia del CESNUR (2022), quanti manifestano un’identità religiosa diversa dalla cattolica nel nostro Paese sono circa 2.248.000 unità se si prendono in esame i cittadini italiani, e circa 6.239.000 unità se si aggiungono gli immigrati non cittadini. Quindi il 4,2% degli italiani manifesta un’identità religiosa diversa dalla cattolica in Italia. Di questi 4,2 % , gli Ebrei sono 1,6% Cattolici “di frangia” e dissidenti l' 1,1%,  Ortodossi il 18,5% Protestanti il 17,1% Testimoni di Geova (e assimilati) il 18,7% Mormoni (e assimilati) il 1,2%.

I buddhisti si attestano attorno alla cifra di 217.000 persone, il 9,7% delle minoranze religiose, fra i cittadini italiani. Questo dato tiene conto di 100.000 praticanti dell’area concettualmente rappresentata dall’Unione Buddhista Italiana, 96.000 membri dell’Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai, e 21.000 buddhisti di altre tradizioni.  Se si considerano anche persone che lo praticano pur senza identificarsi –  e i buddhisti stranieri residenti in Italia (125.000), nel nostro Paese ci sono attualmente circa 342.000 praticanti di tradizione buddhista, pari allo 0,6% della popolazione residente

La presenza buddhista in Italia è figlia della presenza buddhista in Occidente, dove si considerano presenti circa 6.000.000 di occidentali praticanti. Per Martin Baumann (1996) – il praticante percorre tre diverse fasi. La prima è caratterizzata dall’interesse, puramente teorico, per il buddhismo. In una fase successiva, circoscritta attorno alla fine del secolo XIX, cominciano a verificarsi in Occidente vere e proprie “conversioni” al buddhismo.. La terza fase del buddhismo occidentale, con la nascita di vere e proprie comunità, comincia dopo la Prima guerra mondiale. Questi sviluppi preannunciano la quarta fase, che si manifesta anche in Europa dopo la Seconda guerra mondiale ed è caratterizzata dal contatto sempre più frequente fra maestri orientali, e “buddhisti occidentali”. 

Accanto alle componenti tradizionalmente radicate in Occidente – la scuola Theravada e quella Zen – cominciano a essere conosciute forme di buddhismo giapponese della tradizione di Nichiren e di quella esoterica Shingon. L’invasione cinese del Tibet, nel 1950, e la repressione del tentativo di rivolta del 1959, portano a una fuga verso l’Occidente di numerosi lama tibetani, e fanno del XIV Dalai Lama – Tenzin Gyatso (1935-) – una figura di grande notorietà internazionale. 

Si assiste inoltre a un’esplosione d’interesse per lo Zen negli anni 1960 e 1970 – favorito non da ultimo dagli ambienti della controcultura –, seguito dal grande successo del buddhismo tibetano a partire dagli anni 1980. Questo successo passa anche per la letteratura e il cinema, dal Siddhartha (1922) di Hermann Hesse (1877-1962) al film come Piccolo Buddha (1993, diretto da Bernardo Bertolucci (1941-2018)), Sette anni in Tibet (1997, diretto da Jean-Jacques Annaud) e Kundun (1997, diretto da Martin Scorsese). Questi spunti letterari e cinematografici, insieme con la notorietà del XIV Dalai Lama, hanno sicuramente favorito la diffusione del buddhismo in Italia.  Un italo-americano, Salvatore Ciuffi (“Lokanatha”, 1897-1966), è diventato una figura nota e rispettata in Birmania e in India come monaco itinerante. Occorre anche ricordare la figura del professor Giuseppe Tucci (1894-1984), insigne studioso e divulgatore, sulla base di un interesse personale, del buddhismo tibetano in Italia. 

 Altra importante figura è Chogyal Namkhai Norbu (1938-2018), guida spirituale dal 1980 della Comunità Dzogchen, con sede ad Arcidosso (Grosseto), dopo essere stato per molti anni docente di Lingua e letteratura tibetana e mongola presso l’Istituto Orientale di Napoli. Importante è l'opera di divulgazione dello storico della filosofia buddhista presso l’Università di Padova, Giangiorgio Pasqualotto (2002). 

Negli anni 1960, viene fondata a Firenze dell’Associazione Buddhista Italiana e con la pubblicazione – dal 1967 – della rivista Buddismo Scientifico. Negli anni 1970 e 1980 la presenza buddhista cresce, sia con l’influsso di maestri di scuola Vajrayana profughi dal Tibet, sia con la diffusione dello Zen, che si affianca alla già esistente presenza Theravada. Per vie autonome, arrivano in Italia anche gruppi di tradizione Nichiren. Nel 1981 Vincenzo Piga (1921-1998) fonda la rivista Paramita. Quaderni di Buddhismo per la pratica e per il dialogo.  Nell' aprile 1985 si perviene a Milano alla formale costituzione dell’Unione Buddhista Italiana (UBI) con la partecipazione di 9 centri di diverse tradizioni: saranno già 18 nel 1986 e sono 64 nel 2023  – oltre ad altri 8 in attesa di affiliazione.  I 64 centri buddhisti di tradizione Theravada, Mahayana, Vajrayana e Interbuddhista sono così suddivisi per tradizione d’appartenenza: 37 Vajrayana, 15 Zen, 6 Theravada, 2 Nichiren, 1 Chan, 1 Interbuddhista, 1 Seon, 1 Tendai. 

Esistono molteplici centri buddhisti che hanno gli stessi lignaggi di centri associati all’UBI – e che quindi condividono una medesima visione del buddhismo –, ma che per varie ragioni non hanno fatto richiesta di adesione.  Per una lista aggiornata al 2023 dei centri di pratica, cfr. la pagina Internet https://8xmilleunionebuddhista.it/       e       http://www.buddhism.it/centri 

Nel 2022 l’Assemblea dei centri dell’UBI ha eletto il Consiglio Direttivo per il quinquennio 2022-2027, nominando quali componenti: Filippo Scianna (tradizione Vajrayana), Stefano Davide Bettera (tradizione Theravada), Carlo Tetsugen Serra (tradizione Zen), Elena Seishin Viviani (tradizione Zen), Giovanna Giorgetti (tradizione Vajrayana), Rita Nichele (tradizione Vajrayana) e Aldo Marzano (tradizione Vajrayana). Successivamente, il 30 aprile 2022, il Consiglio Direttivo ha confermato Filippo Scianna – che già rivestiva questo ruolo, dal 2019 – nel ruolo di Presidente dell’UBI e Giovanna Giorgetti ed Elena Seishin Viviani nel ruolo di Vice Presidenti. 

Per norma dello statuto, l’UBI non rappresenta alcun gruppo buddhista particolare, ma sin dalla sua origine si è posta come un’unione di centri e si propone di sostenere e rappresentare l’insieme del movimento buddhista nel rispetto di tutte le tradizioni storiche. Le finalità sono infatti principalmente quelle di riunire e assistere i diversi gruppi buddhisti, contribuire alla diffusione degli insegnamenti e delle pratiche della dottrina buddhista, sviluppare la collaborazione fra le diverse scuole buddhiste, favorire il dialogo con le altre comunità religiose, con i centri d’impegno spirituale e con istituzioni culturali e accademiche su argomenti di interesse comune, coltivare rapporti con l’Unione Buddhista Europea (EBU) – fondata nella sua forma attuale nel 1975, ma attiva fin dagli anni 1930.

Dal 24 settembre 2023 il Presidente dell’EBU è un componente del Consiglio Direttivo dell’UBI, Stefano Davide Bettera. Il 3 gennaio 1991, con un decreto presidenziale successivamente modificato il 15 giugno 1993, l’UBI ottiene il riconoscimento giuridico come ente di culto. Con l'accordo del  4 aprile 2007, unitamente a quello con l’Unione Induista Italiana, lo Stato italiano ha avuto come interlocutore una religione che non proviene dal solco della tradizione ebraico-cristiana. 

L’Intesa dell’Unione Buddhista Italiana con lo Stato si sviluppa su linee guida comuni alle altre già stipulate: l’assistenza spirituale assicurata negli istituti ospedalieri, nelle case di cura e di riposo e negli istituti penitenziari; l’istruzione religiosa; il riconoscimento degli enti; la partecipazione alla ripartizione della quota dell’otto per mille dal gettito IRPEF (in vigore dal 2014); la possibilità di dedurre dal reddito imponibile delle persone fisiche fino a 1.000 euro all’anno per erogazioni liberali a favore dell’UBI. Il riconoscimento della festività del Vesak, fissata convenzionalmente all’ultimo sabato e domenica del mese di maggio di ogni anno. 

 A grandi linee – nel nostro Paese si possono distinguere: (a) praticanti dell’Unione Buddhista Italiana; (b) praticanti buddhisti di altre tradizioni; (c) membri dell’Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai. Per una visione più completa vedi: Enciclopedia delle religioni in Italia, che sembra costituire la raccolta più completa di queste realtà (Introvigne e Zoccatelli 2013). 

Tra il “buddhismo non-UBI” troviamo i discepoli italiani del famoso monaco buddhista Zen, poeta e attivista vietnamita per la pace Thích Nhất Hạnh (1926-2022), che sono raccolti sotto le sigle InterEssere, Community of Mindful Living ed Essere Pace – associazione legalmente costituita in Italia nel 1996 – e i cui gruppi di pratica si radunano in case private in svariate città della penisola. Nel 2023 è sorto presso la Harvard T.H. Chan School of Public Health dell’Università di Harvard il Thich Nhat Hanh Center for Mindfulness in Public Health

Altre presenze sono quella del buddhismo tantrico –, tramite la scuola Shinnyoen  e quella del buddhismo Nichiren, ovvero l’insieme di scuole buddhiste Mahayana giapponesi che fanno riferimento alla figura e agli insegnamenti del monaco buddhista Nichiren (1222-1282), vissuto in Giappone nel secolo XIII. 

Fondata nel 1930 da due educatori giapponesi convertiti al buddhismo Nichiren – Tsunesaburo Makiguchi (1871-1944) e Josei Toda (1900-1958) – come “Società educativa per la creazione di valore”, la Soka Gakkai si riorganizza nel Secondo dopoguerra con un’attitudine particolarmente incentrata sui laici, perseguita dal terzo e attuale presidente, Daisaku Ikeda (1928-). Le prime presenze in Italia risalgono al 1961. Dall’Assemblea Generale dell’Unione Buddhista Europea (EBU) del 2022, svoltasi in Francia, anche la Soka Gakkai, come già l’Unione Buddhista Italiana, è membro ufficiale dell’EBU.  

Per concludere, il crescente interesse per il buddhismo in Italia può essere interpretato come un segno dei cambiamenti culturali e sociali in corso nella società italiana contemporanea. La diffusione del buddhismo in Italia può essere vista come parte di un più ampio evento di “globalizzazione religiosa”, che sta cambiando il volto della religione e della spiritualità in tutto il mondo.

giovedì 19 settembre 2024

Il mese dello yoga alla Biblioteca Laurentina, dal 5 al 25 settembre 2024

Il mese dello yoga a Laurentina.   Dal  5 - 25 settembre 2024 alla Biblioteca Laurentina - Roma
Per info e contatti:  06 454 6070    laurentina@bibliotechediroma.it      

Le lezioni pratiche di yoga sono aperte a tutti. Si consiglia di portare con sé un tappetino.

Lezioni di yoga GRATUITE  e presentazione  libri
Un mese interamente dedicato allo yoga e ai temi ad esso più strettamente correlati a Laurentina con una serie di appuntamenti che ospiteremo in biblioteca dal 29 agosto al 25 settembre e che coinvolgeranno il pubblico sia con lezioni pratiche che con dibattiti e presentazioni di libri. 


Le attività si svolgeranno secondo il seguente calendario:

- giovedì 5 Settembre ore 17:30 lezione di yoga tradizionale.

- giovedì 12 Settembre ore 16:30 lezione di yoga tradizionale.  A seguire, alle ore 17:30,  presentazione del libro "Maria Montessori. Teosofica maestra di Pace" di Roberto Fantini (Efesto, 2020), con   l'intervento dell'autore.
A 150 anni dalla nascita, con 65.000 scuole ispirate al suo metodo presenti in ben 145 Paesi, potrebbe sembrare che di Maria Montessori tutto sia stato indagato...ma la sua complessa personalità continua a presentarci aspetti ancora poco esplorati. In questo libro si è cercato di richiamare l’attenzione su quello che sembra essere il cuore autentico dell’opera filosofico-pedagogica montessoriana: la ricerca di un nuovo modello educativo in vista di una umanità radicalmente liberata dalla tirannia di ogni violenza e, quindi, chiamata ad edificare un mondo di vera Pace..

- sabato 21 Settembre ore 10:00  lezione di yoga tradizionale.  A seguire, alle ore 11:15, presentazione del libro "Lo yoga spiegato a mia figlia. Tutto quello che dovreste sapere per fare yoga consapevolmente" di Cesare Maramici (Efesto, 2023), con l'intervento dell'autore.
Lo yoga è accessibile a tutti...ha il pregio di coinvolgere mente e corpo in ogni singola posizione. Il praticante, dopo aver seguito un insegnamento appropriato, può inserire lo yoga nel programma della sua giornata, nel tessuto della propria esistenza... Per quanto la vita odierna possa essere frenetica, la pratica quotidiana dello yoga offre spazio per una riflessione sui propri valori e obiettivi e sul senso della propria vita, apre una finestra di pace e serenità...

- mercoledì 25 Settembre ore 16:30 lezione di yoga tradizionale.  A seguire, alle ore 17:30, presentazione del libro"Thich Nhat Hanh. Un sentiero tra le stelle" di Roberto Fantini e Cesare Maramici (Efesto, 2024), con l'intervento degli autori.
Il monaco vietnamita Thich Nhat Hanh, uno dei maggiori esponenti del pensiero buddhista contemporaneo, rappresenta uno di quei rari straordinari Maestri di Saggezza capaci di illuminare, con il proprio insegnamento e con il proprio impegno di vita, un’intera epoca, seminando un messaggio di Amore, Gioia e Compassione, rivolto a credenti e non credenti, in vista di un mondo rifondato sui valori della Consapevolezza, del Dialogo, della Nonviolenza e della Pace…

Vedi: https://www.bibliotechediroma.it/opac/news/yoga-tradizionale/34288  

lunedì 26 agosto 2024

Frasi prese dal libro Thich Nhat Hanh, un sentiero tra le stelle

Se una persona non riesce a cambiare se stessa, è difficile che riesca ad aiutare gli altri. Solo comprendendo le nostre sofferenze possiamo comprendere quelle degli altri e aiutarli a soffrire meno. E’ questo che gli educatori dovrebbero insegnare alla nuove generazioni con l’obiettivo di trasformare, quindi, l’ambiente scolastico in una vera “comunità” attraverso delle sessioni di condivisione. 

Lascia andare ciò che non ti serve e sarai felice. Liberati di tutto ciò che è superfluo e ti causa inutili preoccupazioni: questo è uno dei primi passi verso la felicità.  

Siamo chiamati a trasformare il momento presente nel “momento più meraviglioso” e possiamo riuscirci a condizione di imparare a fermare la nostra sciocca corsa verso il futuro e smettendo di torturarci per il passato. 

Se hai problemi con i tuoi amici e parenti, non dare la colpa a loro. Se impari a prenderti cura di loro come di una pianta, farai crescere rapporti sani.  

Non dare la colpa agli altri: se hai capito e dimostri di aver capito, la situazione cambierà”.

Secondo Thich Nhat Hanh, il Buddhismo è in grado di offrirci “l’unico antidoto alla violenza, all’odio e alla rabbia” grazie alla pratica della compassione e della gentilezza amorevole, le quali “non possono nascere così per caso”, ma soltanto in seguito alla pratica del “guardare in profondità”, ovvero con la pratica denominata “dell’espansione del cuore”.  

Dobbiamo ricercare la felicità non nell’ambito del consumo, bensì nell’esercizio della comprensione, della compassione e dell’armonia e imparare a vivere in modo semplice, in maniera da avere più tempo per vivere la nostra vita quotidiana in profondità e libertà.

Il dolore può anche essere inevitabile, ma il fatto di soffrire o meno dipende da noi. Soffrire è una scelta, noi scegliamo se soffrire o meno. Nascita, vecchiaia e malattia sono naturali. È possibile non soffrire a causa loro, ma soltanto se siamo in grado di accettarle come parte della vita

Noi stiamo già morendo, noi moriamo di continuo, come ogni cosa muore e si rinnova di continuo, e, di conseguenza, non ci sono né vera nascita né vera morte. E il morire non è affatto quella cosa terribile che ci rappresentiamo. In realtà, anzi, “è molto piacevole morire: vuol dire anche vivere”.

Thay non parlava mai di morte, ma di continuazione, perché “al posto della nascita e della morte c’è soltanto una continua trasformazione” 

Quando una persona ti fa soffrire è perché soffre profondamente con se stessa. Le cattiverie nei nostri confronti ci fanno male, ma quando le subiamo dovremmo sempre comprendere che solo chi soffre vuol far soffrire gli altri. L’uomo in pace con se stesso non ha alcuna intenzione di creare dolore. 

La meditazione camminata (da praticare non soltanto nei parchi e in luoghi isolati, ma anche nel trambusto delle grandi città, in casa, al lavoro, ecc.) è proposta come una vera forma di “resistenza” nei confronti di un intero sistema di vita collettiva imperniato sul correre frenetico e alienante in vista di innumerevoli obiettivi fuori e lontani da noi.  Come un modo per “recuperare la nostra sovranità su noi stessi, rivendicare la nostra libertà e camminare sulla Terra da persone libere".

“Respirare in piena consapevolezza è un modo miracoloso per liberarci dal rimpianto e dall’ansia, e per entrare in contatto con la vita nel momento presente. Quando seguiamo il respiro ci sentiamo subito a nostro agio, non più dominati da ansia e desideri. Nella respirazione cosciente il respiro si fa più regolare, pace e gioia sorgono, e diventano più stabili a ogni momento.

domenica 7 luglio 2024

I tipi di meditazione

La meditazione è una tecnica antica, legata alla maggior parte dei percorsi spirituali. Ce ne sono di diversi tipi (statica, dinamica, con visualizzazione, ripetendo un mantra o un suono…). 


La meditazione cambia la visione del mondo, agisce su ormoni e neurotrasmettitori: il cervello si trasforma, gli studi hanno dimostrato la neuroplasticità del cervello, alcune parti del cervello si modificano, la corteccia prefrontale tende a ristringersi con l'età; con la meditazione, il processo viene invertito e i meditanti di lungo corso si ritrovano con una neocorteccia più ampia.       
Alcune strutture cerebrali come l’amigdala e le aree del lobo parietale che elaborano i dati sensoriali, si spengono e questo porta a una riduzione della produzione del cortisolo, altrimenti definito come l’ormone dello stress. Altre strutture, invece, come il lobo dell’insula (che è associato alla felicità, alla bontà, alla compassione), il corpo calloso (che connette fra loro gli emisferi destro e sinistro) e l’ippocampo (che gestisce l’autocontrollo emozionale) si accendono, rilasciando altre sostanze. Di fatto, le parti della corteccia prefrontale che mantengono l’attenzione e regolano le emozioni sono attive durante la meditazione, mentre le parti che riguardano la personalità – la paranoia dell’Io – piombano nell’oscurità».

Molti personaggi famosi si sono avvicinate alla meditazione: Madonna, Alanis Morrisette, i Beatles, De Chirico, Mick Jagger, Franco Battiato, Demi Moore e Cristiano Ronaldo.   «L’uomo dalla notte dei tempi è in cerca di risposte sulle ragioni per le quali siamo nati e sulla nostra origine. Entrare in contatto con il divino è un interesse dell’essere umano dai tempi antichi. Meditare di sicuro avvicina al proprio io interiore". 

Esistono diversi tipi di meditazione, vediamone alcuni.   

Meditazione zen.  Forse quella più conosciuta, nel senso che se pensiamo a qualcuno che medita, la maggior parte delle persone lo immaginerebbe così. «La meditazione zen è, tutto sommato, semplice e può essere praticata da tutti. È infatti sufficiente sedersi in una posizione comoda, con la schiena vigile ma non rigida e incrociare le gambe. Si focalizza la mente su questa attività. Quando la mente si distrae, la si riporta gentilmente al conteggio e alla respirazione. Deriva dall’anima più radicale del buddismo e venne presa a ispirazione e a modello dai Samurai e dalla casta dei guerrieri».

Meditazione trascendentale. Questa meditazione era quella praticata dai Beatles: «Consiste nella ripetizione di un mantra per circa 15-20 minuti per due volte al giorno, tenendo gli occhi chiusi. I mantra sono suoni che hanno presa sul nostro inconscio. L’obiettivo di questa meditazione è quello di contrastare i campi elettromagnetici creati dai pensieri al fine di raggiungere pace e armonia. Ha un effetto antistress e non richiede né rituali, né posizioni speciali».

Meditazione buddhista: Samatha e Vipassana. Gli insegnamenti buddhisti precisano che ci sono due vie: quella del rilassamento, samatha (calma mentale) che dovrebbe essere associata ad una visione profonda, vipassanā. Solo grazie alla calma, si può accedere ad uno stato di visione profonda, per entrare in contatto con la vera realtà, senza mediazioni, e dunque comprenderla e accettarla per quello che è. Entrambe  si basano sull’attenzione e sul controllo del respiro. All’inizio la mente osserva la respirazione o i movimenti del corpo, poi essa diviene un tutt’uno con questi. Detta all’occidentale, il punto centrale della meditazione è costituito da tre fasi: la concentrazione, ossia far convergere tutta l’attenzione su un oggetto che di solito è il respiro, poi fare in modo che la mente si calmi e poi  passare all’introspezione. La meditazione buddhista punta sulla contemplazione attraverso la postura e il respiro, ma soprattutto mira a svelare che la mente e la materia sono impermanenti, insoddisfacenti e impersonali».

Meditazione Mindfulness. Traducendo il termine letteralmente, significa “pienezza della mente”. Ma non di pensieri, bensì di consapevolezza del momento presente, del “qui e ora”. «Con questa tipologia di meditazione ci si concentra sul momento presente e si osservano i pensieri, senza giudicarli e piano piano si raggiunge la serenità». Se sopraggiunge un pensiero negativo si osserva senza giudicarlo. Poi si lascia andare.  La mindfulness ha come obiettivo l'ascolto della propria “voce interiore”, per ancorarsi nel qui e ora.

Meditazione Emptiness (o vuoto mentale).   Questa pratica meditativa, è molto semplice e consiste «Nel sedersi, stare tranquilli, svuotarsi da immagini mentali, pensieri ed emozioni, per dimenticare tutto e focalizzarsi sul vuoto e la quiete».

Meditare recitando mantra.  Alcune forme di meditazione prevedono la recitazione di un mantra che può essere un enunciato sacro, un suono primordiale, una sillaba, una parola, un fonema, una frase in sanscrito o in pali. Si ritiene che il mantra possa agire sul subconscio e lavorare sul piano sottile ed energetico. Uno dei mantra più conosciuti è l’Om o Aum, un suono sacro che rappresenta l’essenza della realtà ultima, il cui significato varia di tradizione in tradizione.
Nel buddhismo è molto comune l’uso di mantra come la ripetizione del nome del Buddha o frasi sulla gentilezza amorevole o sull’impermanenza di tutte le cose. Nel Tibet, “Om Mani Padme Hum”, il mantra della compassione (vedi appendice), è il mantra più recitato dai buddhisti, è inciso e dipinto nelle rocce e sulle ruote da preghiera, lo si vede ovunque. I buddhisti credono negli effetti benefici che si producono recitando questo mantra, per alleviare il karma negativo, per accrescere e accumulare meri- ti, per sfuggire alle sofferenze e per consentire il raggiungimento dello stato di illuminazione del Buddha.  

La meditazione hawaiana dell'Ho’oponopono è praticata in zone come Samoa, Tahiti e la Nuova Zelanda, è una pratica di riconciliazione e perdono interiore usata per cancellare le memorie inconsce dei pensieri negativi. «Per questo si pratica come un mantra, recitando velocemente e mentalmente, ma anche oralmente, Ho’oponopono. Se si vuole avere un’efficacia maggiore derivante dal senso e significato delle parole, si può anche sostituire con: mi dispiace, perdonami, ti amo, grazie».

Meditazione camminata. Una leggenda buddhista racconta che il risveglio del Buddha avvenne in una sola notte, ma che, prima di quella meditazione finale che condusse Siddhartha all’illuminazione, l’illuminato camminò per quaranta giorni e in quel cammino preparò corpo, mente e spirito al risultato finale. Camminare in meditazione significa camminare in modo da sapere che stiamo camminando. Diventiamo consapevoli ad ogni passo del contatto dei nostri piedi con il terreno e cominciamo a sincronizzare i nostri passi al ritmo del nostro respiro. Ci liberiamo dalle nostre paure e preoccupazioni e diventiamo presenti al 100% ad ogni passo, acquisiamo una consapevolezza aperta ai nostri cinque sensi, ci apriamo ai suoni che ci circondano, ci accorgiamo del paesaggio, sentiamo l'odore dei fiori, e avvertiamo il miracolo del "camminare sulla terra".
Questa particolare modalità meditativa proposta dal maestro zen Thich Nhat Hanh è nata dalla constatazione che, nella nostra vita quotidiana, siamo prevalentemente dominati dall’”abitudine di correre”: “Ricerchiamo la pace, il successo, l’amore – sempre di corsa – e i nostri passi sono uno dei mezzi con i quali scappiamo dal momento presente".   «Per praticare la meditazione camminata è utile ricordarsi che anche qui, le parole/azioni si trasformano in un mantra. Si parte da fermi con i piedi paralleli; si porta avanti il primo piede e si pensa alla parola “avanzare”, nel momento in cui il piede appoggia la pianta sul suolo si pensa alla parola “toccare”, nella fase di spinta del piede si pensa alla parola “spingere” e quando il piede ha raggiunto l’equilibrio e si sta per alzare l’altro, si pensa alla parola “stare”».  Si deve camminare con attenzione e ad ogni passo occorre concentrare tutta l'attenzione sul gesto ed associarci il respiro.

Meditazione yoga. Oggi la maggior parte delle persone pratica yoga: «tanti però praticano gli asana alla stregua di una semplice attività sportiva o da palestra; invece, in primis, quella dello yoga è una pratica spirituale». La pratica mira ad andare oltre il mentale, per raggiungere stati di coscienza e di contemplazione più elevati e straordinari ed entrare in contatto con la parte più spirituale del nostro essere, con il nostro vero Sé. Viviamo identificandoci con i contenuti della nostra mente, creati soprattutto dalle emozioni; è un'esperienza plasmata dal mentale; si producono immagini distorte che vengono scambiate per realtà, e così ci allontaniamo da una visione oggettiva. Nella meditazione il meditante è solo, i sensi sono totalmente annichiliti e si usa l'unico strumento adatto - la coscienza -, per arrivare (per cercare) di conoscere la realtà che è il nostro Sé. Il Sé è la parte di noi che abbiamo in comune con tutte le manifestazioni, è l'unica realtà; tutto il resto è permanente e non ci appartiene, nulla ci appartiene, ci lasciamo tutto alle spalle quando moriamo. Ce ne andiamo solo con la goccia chiamata Sé. E con questa goccia l'uomo va incontro alla sua parte divina, cerca di entrare in contatto e di conoscere questa parte divina, questo è l'obiettivo della meditazione.  Di meditazione yoga ne esiste più di una (Kundalini, Terzo Occhio, Visiva, Chakra) e tutte hanno come fulcro la respirazione.    Yoga è una meditazione che unisce la pratica fisica a quella spirituale.  

Dal sito   https://www.vanityfair.it/article/8-tipi-di-meditazione-trova-quella-adatta-a-te

venerdì 28 giugno 2024

La nonviolenza come scelta pratica e non solo etica

Intervista al prof di Filosofia Roberto Fantini sugli insegnamenti del monaco buddhista zen Thich Nhat Hanh -     di Giulia Bertotto.

“Thich Nhat Hahn. Un sentiero tra le stelle” (Edizioni Efesto 2024), questo il titolo del luminoso libro dedicato al monaco buddhista vietnamita, scritto da Roberto Fantini, insegnante di filosofia e attivista volontario di Amnesty International e Cesare Maramici, una lunga esperienza nello yoga e tanti anni di volontariato in Ostia per l’Africa e nella Croce Rossa.

Roberto Fantini:  Il lascito di questo maestro è prezioso, secondo gli autori, perché ha saputo divulgare senza banalizzare i principi dell’antica sapienza buddhista, sviluppando i suoi Cinque Addestramenti alla Consapevolezza derivati dai quattro insegnamenti del Buddha sulle Quattro Nobili verità e sul Nobile Ottuplice Sentiero. Al fulcro del suo insegnamento c’è l’arte di vivere consapevolmente. Non mangiare senza assaporare (per poi diventare ingordi), non consumare la sessualità senza creare un legame, camminare cercando di percepire il terreno e non solo calpestandolo, ascoltare disponendosi davvero a intendere la comunicazione dell’interlocutore, rispettare profondamente ogni forma di vita astenendosi da ogni tipo di violenza, sentire il più possibile ogni momento in uno stato di contemplazione dell’esistente. Solo questo modo di vivere può renderci attenti alle nostre emozioni, capaci di riconoscerle, e così di trasformarle; ma se non pratichiamo questo modo di essere presenti a noi stessi verremo inghiottiti dal rancore e gonfiati dalla presunzione, non potremo mai aspirare ad un’armonia in coppia, in famiglia e nel mondo.
Giulia Bertotto.:  Quindi, tutto bene così? Niente affatto, rivolgeremo ad uno dei due autori poche domande, ma dure e spinose.        

L’intervista a Roberto Fantini.

Giulia Bertotto: Sicuramente, il tema della “consapevolezza” occupa un posto di centrale rilievo all’interno del pensiero di Thich Nhat Hanh. Cosa si intende, esattamente, per “Addestramenti alla consapevolezza”?

Roberto Fantini: Secondo Thich Nhat Hanh, i Cinque Addestramenti alla Consapevolezza, da lui formulati sulla base degli insegnamenti fondamentali del Buddhismo, “possono aiutarci a praticare la consapevolezza in ogni momento della giornata: a proteggere la vita e a praticare la vera felicità, il vero amore, l’ascolto profondo, la parola amorosa e il consumo consapevole.”
Essi ci vengono proposti come punti di riferimento di quella che potremmo considerare una sorta di Etica universale, svincolata da credi confessionali e da ideologie dogmatiche, capace di rinnovare in maniera aperta e costruttiva l’esistenza di chiunque desideri una vita ricca di felicità ed armonia.   Eccoli, in estrema sintesi:

  •     Rispetto per la vita: rifiuto di tutto ciò che può produrre sofferenza; coltivare l’apertura, la non discriminazione, il non attaccamento; rifiuto coerente di violenza e fanatismo.
  •     Vera felicità: praticare la generosità nel pensare, nel parlare e nell’agire; impegno a cercare di ridurre la sofferenza di tutti gli esseri viventi.
  •     Vero amore: impegno a coltivare il senso di responsabilità nell’ambito dei rapporti sentimentali e della propria vita sessuale, praticando i quattro elementi del vero amore (gentilezza amorevole, compassione, gioia e inclusività).
  •     Parola amorevole e ascolto profondo: impegno a parlare in modo veritiero, utilizzando parole che ispirino fiducia, gioia e speranza e ad evitare parole che possano favorire discordia.
  •     Nutrimento e guarigione: coltivare la salute sia fisica che mentale, evitare un consumo disattento e orientando le proprie scelte di consumatore nell’ottica dell’“inter-essere”, cercando di favorire il benessere del corpo e della coscienza, sia a livello individuale che collettivo

Giulia Bertotto:  Una domanda di natura etica.  A pag 28, citate palestinesi e israeliani a proposito dei luoghi di ritiro fondati dal nostro monaco: pochi giorni fa, nel mezzo di un genocidio in corso, dopo 75 anni di prigionia a cielo aperto, l’esercito israeliano ha massacrato civili palestinesi e bruciato donne e bambini in una tendopoli. Alcuni obiettano che la filosofia della non violenza è per privilegiati, adatta per coloro che non vivono in prima persona l’oppressione fisica e psicologica. Si può proporre la non violenza ma non si può biasimare la resistenza armata. Cosa ne pensi?

Roberto Fantini:  Un errore che spesso viene compiuto, anche in sincera buona fede, è quello di ritenere che la via della nonviolenza rappresenti qualcosa di poco efficace e di poco realistico, qualcosa di sicuramente molto nobile, ma scarsamente applicabile in un mondo dove dominano in maniera spietata la forza, e la più disumana “volontà di (pre-)potenza”. La scelta nonviolenta è senza alcun dubbio una scelta ardua, che implica un impegno serissimo quanto radicale mirante ad una vera e propria rivoluzione teoretica ed etica, prima ancora che strategica.  Thich Nhat Hanh è arrivato ad abbracciarla, come unica alternativa possibile alla perversa concatenazione (perennemente autoalimentantesi) della violenza, dopo aver sperimentato in prima persona, nel corso degli anni ’60, gli orrori della guerra nel suo Vietnam.  Alla base di ciò possiamo certamente intravedere il concetto filosofico del karma e il valore supremo dell’etica buddhista rappresentato dalla compassione, ma, soprattutto, la consapevolezza estremamente realistica della necessità di creare un argine efficace alla tirannia dilagante della politica delle bombe, dei massacri e dei fiumi di sangue.
Insomma, certamente una via lunga e difficile che richiede pazienza, perseveranza, autocontrollo ed un’enorme dose di coraggio.

Giulia Bertotto:  Una domanda di natura esistenziale. Una delle grandi imprese teoriche e pratiche di Hanh è stata conciliare l’impegno sociale ed etico con la meditazione e l’ascesi. In un certo senso questo potrebbe risultare contraddittorio, poiché il buddhismo insegna a estinguere il desiderio, a non avere più alcuna volontà, educa alla necessità dell’annullamento dell’io e quindi del distacco da ogni causa terrena, anche la più giusta. Non si tratta di valutare il percorso del nostro monaco, ma di un dilemma esistenziale: si può conciliare azione nel mondo e tentativo di slegarsi da esso?

Roberto Fantini: Credo che il nostro maestro zen risponderebbe che il Sutra dei Quattro Fondamenti della Consapevolezza (Satipatthana Sutta), uno dei testi fondamentali della meditazione buddhista, ci esorta a praticare la consapevolezza in ogni momento e in ogni situazione e che, sulla base di questo insegnamento, il “buddhismo impegnato” nato nel corso degli anni Sessanta ha sospinto monaci e monache a soccorrere i rifugiati, i feriti e gli orfani. Questo nella convinzione che, di fronte alle tragedie della storia, un monaco non può certo starsene rinchiuso a meditare, preoccupandosi esclusivamente della propria liberazione dai legami terreni. Il cuore della meditazione buddhista è rappresentato dalla consapevolezza, ovvero dalla energia mentale che ci aiuta a comprendere cosa accade nell’attimo presente. E se, nell’attimo presente, è in atto un’opera di distruzione di vite umane, il compito del monaco è quello di stare dalla parte di chi soffre, accanto a chi soffre per portare aiuto, sollievo e conforto. Il vero messaggio buddhista, secondo TNH (e anche secondo il sottoscritto), non è certo quello della fuga solitaria dal mondo delle vuote apparenze, ma è, prima di ogni altra cosa, un messaggio di compassione, intesa non semplicemente come stato d’animo benevolente, ma come sorgente luminosa a cui attingere per contrastare tutto ciò che genera dolore, e per proteggere le persone, ma anche gli animali e le piante.

Giulia Bertotto:  Una domanda di natura metafisica.  L’odio è il motore della storia, scriveva il filosofo rumeno Cioran: “è l’odio a far andare le cose avanti quaggiù, a impedire che la storia resti a corto di fiato. Sopprimere l’odio significa privarsi di eventi. Odio ed evento sono sinonimi. Dove c’è l’odio succede qualcosa. La bontà, al contrario, è statica; conserva, arresta, frena ogni dinamismo. La bontà non è complice del tempo; mentre l’odio ne è l’essenza”, molti mistici e filosofi (Empedocle, san Paolo, Freud), che ci piaccia o meno, potrebbero mettere la loro firma su queste affermazioni, che sono di natura ontologica e non morale. Nell’ Eterno vi è infatti solo unità e non il principio della divisione, della dualità, della dialettica, il quale è ontologicamente necessario perché si manifesti l’esistenza. Il male dunque non può essere estinto senza nullificare il mondo e il tempo.

Roberto Fantini: Con tutto il rispetto per la sottile intelligenza di Cioran, non ho alcuna difficoltà ad auspicare un mondo liberato dall’odio, anche se questo dovesse veramente (cosa alquanto improbabile) implicare di dover rinunciare ai cosiddetti “eventi” e rendere “corto” il fiato della storia. Discorsi come il suo mi ricordano un certo nefasto giustificazionismo di matrice hegeliana e un certo interventismo bellicista di primo Novecento. Tesi che hanno partorito, direttamente o indirettamente, fanatismi deliranti dalle conseguenze immensamente dolorose.
Con Thich Nhat Hanh e con gli altri grandi maestri della nonviolenza, da Gandhi a Capitini, tenderei a mettere da parte discorsi di carattere metafisico e, in maniera estremamente pragmatica, mi limiterei a dire che, se è pur innegabile che in noi convivano forze di natura opposta, starà sempre e soltanto a noi decidere come schierarci, con chi allearci, cosa rafforzare, cosa alimentare e cosa no. Il nostro monaco buddhista ci dice che dentro di noi ci sono tanti semi di diversa natura e che è nostro irrinunciabile compito saper discernere quali meritino di essere innaffiati con cura, in modo da poter crescere, germogliare e fruttificare.
“Praticando uno stile di vita consapevole, – dice – sappiamo come innaffiare i semi della gioia e trasformare i semi della sofferenza: a quel punto la comprensione e la gentilezza amorevole possono fiorire in noi.”
Insomma, il male sarà forse impossibile da espellere dal nostro mondo, ma certamente possiamo fare molto per contenerlo ed impedirgli di continuare a seminare odio e conflitto nelle nostre esistenze.

martedì 25 giugno 2024

Riflessioni di THich Nhat Hanh

Thích Nhất Hạnh (1926-2022)  è stato un monaco buddhista, poeta e attivista vietnamita per la pace.    

L'obiettivo essenziale del buddhismo è dare una risposta realistica all'interrogativo di come far fronte alla sofferenza. Fare del partito, della razza, della nazione, o anche della religione ufficiale, altrettanti assoluti, significa erigere barriere di illusione che si frappongono fra l'uomo e il suo "io" e gli impediscono di vedere la realtà nella sua fattualità esistenziale. Le diverse concezioni del mondo, sia religiose che politiche, possono concorrere nell'errore di fornire all'uomo un rifugio e risposte formali stereotipate che sostituiscono il pensiero, la ricerca interiore, l'esperienza e l'amore nella loro genuità. 

L'obiettivo del buddhismo è quindi la creazione di una nuova coscienza, libera di trattare con la vita senza pretesa,  cercando di eliminare dentro di noi le illusioni che ci dividono dagli altri. Solo l'amore può trasformare il mondo, (Thay è un fervido lettore di Camus e di Bonhoeffer).  Per Thay il nirvana non soltanto non è un'evasione dalla vita, ma bisogna cercarlo proprio in mezzo alla vita, alla sofferenza, alla morte. E questa è un'espressione in chiave moderna dell'ideale mahayana del Boddhisattva. 

All'origine della sofferenza c'è l'ignoranza, non riusciamo a comprendere la realtà e la frantumiamo con una serie di pregiudizi. Per capire la realtà si deve riconoscere l'interdipendenza, la precarietà e l'inconsistenza dei fenomeni. In base alla corretta percezione (non interpretazione) si deve poi procedere alla corretta realistica azione. 

Occorre rinnovare radicalmente la concezione empirica buddhista della realtà nel contesto di un impegno per ridurre le diseguaglianza sociali, di una lotta in termini accessibili a coloro che vi partecipano a fondo. Questa formula si applica, non soltanto al buddhsimo, ma a qualsiasi religione che cerchi il suo posto nel mondo d'oggi.  Non si deve credere che il buddhsimo stia predicando una dottrina ingenua e attivistica di rivoluzione con la forza,  in quanto il principio fondamentale del buddhsimo è quello della non violenza. 

Frasi sull'Amicizia

In questo post riporto alcune frasi riguardanti l'amicizia, che mi hanno particolarmente colpito, estrapolate dei libri che ho letto.

"Oggi le relazioni si riducono a semplici connessioni, in un contesto in cui è possibile con pari facilità entrare e uscire, puri contatti senza impegno e responsabilità".  Fabio Guidi

Spesso manchiamo di coerenza nelle nostre relazioni, tanto che finiamo per sviluppare la sindrome "Molte relazioni, nessuna relazione". Avere molte relazioni può sembrare una grande apertura interpersonale, mentre in realtà è una fuga da una vera relazione.

 "Nessuno si interessa più degli altri senza un motivo, e alla fine siamo tutti soli".  Dal film "Toglimi un dubbio" di Carine Tardieu    -         Dal libro L'anomalie - Hervè Le Tellier  


Ormai nessuno ha più tempo per nulla. Neppure di meravigliarsi, inorridirsi, commuoversi, innamorarsi, stare con se stessi. Le scuse per non fermarci e chiederci se questo correre ci rende felici sono migliaia, e se non ci sono, siamo bravissimi a inventarle. Tiziano Terzani

Le relazioni interpersonali sono un momento fondamentale della nostra esistenza. Nessun essere umano può vivere e restare senza amore, senza legami affettivi con gli altri e il mondo.  Essere presenti nelle relazioni è difficile, ma allo stesso tempo nutriente, sia per noi stessi che per gli altri.

Le relazioni sono un potente mezzo di purificazione mentale, e come dice Krishnamurti: "La relazione è un processo di auto-rivelazione, ci rivela a noi stessi".  Dobbiamo scegliere a chi dedicare la nostra attenzione e farlo in profondità.

L'amicizia e l'amore sono una risonanza positiva molto forte con qualcuno, senza attaccamento, nè altra cosa, sono semplicemente un sentimento della nostra umanità comune, e la constatazione di essere felice di stare con questa persona e di essere in relazione con questa persona. Ed è considerata l'emozione suprema perchè è accompagnata da stati mentali positivi che accompagnano come una costellazione questa risonanza positiva con gli altri da cui scaturisce il miglior stato dell'essere umano - Matthieu Ricard.

Spinoza illustrava due percorsi nello sviluppo dell'essere umano: - Il primo cammino consiste nell'andare verso se stessi, è la gioia della liberazione;  - Il secondo consiste ad andare verso gli altri ed essere in armonia con il mondo, e esprimere la gioia della comunione.
Il primo percorso consiste nel diventare pienamente se stessi, con un lavoro di introspezione si elimina ciò che ci è stato imposto dall'esterno e si cerca di sviluppare aspetti che sono stati soffocati. Questo processo di individuazione, come lo definisce Jung, comincia verso i 35 anni, quando abbiamo preso coscienza, confrontandoci con l'esperienza, della nostra vera natura e delle nostre aspirazioni reali. Importante è mantenere i legami con la comunità, la famiglia e avere dei valori. Spinoza direbbe: "osserva quello che ti porta della gioia e quello che ti rende triste".
È impossibile vivere nella gioia se siamo in permanenza dipendenti della critica o del giudizio degli altri.

"Essere capaci di trovare la propria gioia nella gioia dell'altro: ecco il segreto della felicità". - Georges Bernanos.  

Nell'etica a Nicomaque, Aristotele usa la parola philia per descrivere l'amore è l'amicizia. Philia è un amore profondo che unisce sia degli amici che delle coppie, il fondamento di tutte le relazioni umane autentiche: si sceglie una persona per condividere un progetto, o condivisione di scambi, di piaceri e di conoscenze. E' fondata sulla reciprocità, con una persona con la quale ci incoraggiamo mutualmente, ci aiutiamo reciprocamente a svilupparci, a essere pienamente noi stessi.
Philia comporta una dimensione senza la quale nessun amore può essere vero: la gioia di poter essere pienamente se stesso e di aiutare l'altro a essere, anche lui, pienamente se stesso. A volte c'è un amore incondizionato verso l'altro, a volte questo amore è condizionato (genitori che amano i figli se riescono negli studi, il partner che ama il compagno/a se mantiene una certa forma fisica, ecc).  

Aristotele parla di diversi gradi di amicizia, al più alto livello situa l'amicizia che unisce due persone uguali. In questo rapporto i due amici devono arricchirsi reciprocamente senza sfruttarsi. 

La vera amicizia è rara, la sua achimia è complessa e si base sulla simmetria e la complementarietà tra due persone. Spesso è difficile distinguere tra l'amore e l'amicizia. Si parla di amicizia in senso riduttivo o attenuato quando esistono delle affinità, degli interessi comuni, delle possibilità di aiuto reciproco e allora in questo caso, l'amicizia ha una vera funzione sociale.

Frase sull'amicizia: "Gli uomi sono egoisti ed individualisti. Gli amici dovrebbero essere sempre presenti, solidali, confidenti , altruisti, sempre disposti ad ascoltarci, degli angeli!  Tu credi negli angeli?!"

Comunicare l'un l'altro, anche se ci si conosce molto bene, è estremamente difficile. Ci si comprende quando ci si incontra al medesimo livello nel medesimo tempo.    

Non potremo mai stabilire con certezza fino a che punto i nostri rapporti con gli altri siano i risultati dei nostri sentimenti, del nostro amore, del nostro non-amore, del nostro rancore e fino a che punto sono condizionati dal rapporto di forze tra gli individui.   Milan Kundera

Fintanto che le persone sono giovani e la composizione musicale della loro vita è ancora alle prime battute, essi possono scriverla in comune e scambiarsi i temi, ma quando si incontrano in età più matura, la loro composizione musicale è più o meno completa, e ogni parola, ogni oggetto, significano qualcosa di diverso nella composizione di ciascuno. Milan Kundera

Quello che è pericoloso nei rapporti è l'usura e la malinconia della memoria, (dell'infanzia, del non vissuto, ecc.) che possono innestare la necessità di nuovi incontri e di relazioni particolari. Le relazioni particolari sono quelle che nascono quasi inavvertitamente in situazioni particolari, quasi senza intenzione, ma che si trasformano in una sorta di comunione necessaria e naturale, che seleziona e filtra i rapporti con il mondo esterno, che condivide pensieri e atteggiamenti, che sente una unicità della relazione, quasi un possesso. Queste relazioni particolari possono essere rapporti di amicizia, ma anche rapporti di amicizia/amore.

Quando un uomo sa più degli altri diventa solitario. Ma la solitudine non è necessariamente nemica dell’amicizia o dell’amore, poichè nessuno è più sensibile nelle relazioni, di un solitario. C. G. Jung

Se c'è pace nella tua mente, troverai pace con tutti. Se la tua mente è agitata, troverai agitazione ovunque. Quindi prima trova la pace interiore e vedrai questa pace interiore riflessa ovunque. Tu sei questa pace. La pace è come una sorgente che scaturisce dall'interno, non si può ottenerla dal mondo esteriore.

Alla fine quello che importa sono le persone a cui vogliamo bene. Si trova il senso della vita scegliendo dove e come trascorrere  il nostro tempo prezioso. "Quello che si ricorda, sono le persone di cui abbiamo toccato le vite e quelle che hanno cambiato la nostra". Maria Ressa.

Il monaco zen Thich Nhat Hanh ha inventato la meditazione dell'abbraccio "«Inspirando, so che questa persona cara è viva fra le mie braccia. Espirando, so che mi è tanto preziosa». Se respirate profondamente in questo modo, tenendo fra le braccia la persona a cui volete bene, l'energia della cura, dell'amore e della consapevolezza penetrerà in lei e la nutrirà e la farà rifiorire. 

L'amore di sè, è legittimo e necessario  per poter amare gli altri e essere amati da loro. Questo amore è la parte qualitativa della stima di sè basata sulle proprie capacità, potenzialità e risultati. Quando volete bene a qualcuno, non glielo direte mai abbastanza. Molti hanno il pudore a dire "Ti voglio bene", "Tengo a te", "Ti amo", come se svelassero qualcosa di troppo intimo di loro per essere espresso nella quotidianità.

venerdì 3 maggio 2024

Tipi di meditazione

La meditazione come pratica spirituale è una pratica millenaria, di origini induista - buddhista, cristiana, mussulmana, ebraica. Prima era praticata in ambienti segreti come monasteri, poi a partire dagli anni 60,  la meditazione trascendentale ha cominciato a diffondersi presso il largo pubblico, praticata anche dai Beatles presso l'ashram indiano di Maharishi Mahesh Yogi.


Nel 1975, Thich Nhat Hanh pubblica il libro Il miracolo della presenza mentale. Come ebbe a dire Jon Kabat-Zinn (biologo e scrittore statunitense, professore emerito di medicina, e appassionato di yoga, zen e pratiche meditative), è stato “il primo libro che abbia portato all’attenzione di un ampio pubblico di lettori l’argomento della consapevolezza. Ha aperto nuovi orizzonti nella scena della meditazione della fine degli anni Settanta e dei primi anni Ottanta, portando la pratica fuori dalla sala di meditazione e mostrando in che modo la consapevolezza potesse trovare applicazione nella vita di tutti i giorni”.

Alla fine degli anni '90 Jon-Kabat-Zinn,  facendo riferimento alla meditazione di consapevolezza di Thich Nhat Hanh, introduce un modo di meditare che poteva essere praticato senza convertirsi, senza fare una cerimonia di iniziazione o diventare discepolo di un guru.  Il programma MBSR creato e messo a punto da Jon Kabat-Zinn ha lo scopo di aiutare le persone a ridurre il dolore e lo stress attraverso un percorso strutturato, in cui si uniscono la tecnica mindfulness ad aspetti scientifici e psicoeducativi. Lo stesso ha fatto il psichiatra Christophe André in Francia.

La pratica meditativa continua e intensa trasforma il nostro corpo e la nostra mente, questo è stato dimostrato dagli esperimenti condotti da Matthieu Ricard (un monaco buddhista e grande meditante) e Richard Davidson, uno dei massimi specialisti nelle neuroscienze. Insieme hanno sperimentato e documentato come cambia la struttura del cervello quando siamo in meditazione e in contemplazione. 

 La meditazione regolare modifica la neuroplasticità del cervello, alcune parti del cervello aumentano di volume, si attivano, si restringono, come ad esempio l'amigdala. E' stato scientificamente provato anche l’effetto positivo della meditazione sui telomeri, che sono tappi di protezione alle estremità dei cromosomi che diventano più brevi ad ogni divisione cellulare.

Definizione di meditazione.  

Per i buddhisti:  La parola sanscrita per meditazione, “bhavana”, significa “coltivare” e la parola tibetana “gom” significa “familiarizzare”. Così, in un certo senso, la meditazione si riferisce all’allenamento della mente, coltivando qualità salutari, come la presenza attenta e l’amore altruistico, e in un altro modo si riferisce al diventare più familiare con il funzionamento della nostra mente e, infine, con la vera natura della mente, che è sia consapevole che priva di esistenza intrinseca. Si possono anche distinguere due tipi principali di meditazione: analitica e contemplativa. La prima si usa per esempio quando si de-costruisce la nozione di un “sé” indipendente, unitario e duraturo o quando si medita sull’impermanenza e l’interdipendenza di tutti i fenomeni (interessere di Thay) ; la seconda è quella di riposare nella natura ultima della mente, nell’unione di apparenza e vuoto.
Gli insegnamenti buddhisti e la meditazione buddhista hanno come obiettivo di dimostrare l'impermanenza, il non sé (o l’inconsistenza del sè) e arrivare al nirvana (eliminazione della sofferenza o dukkha). Qualsiasi insegnamento che non rechi questi tre sigilli non può essere considerato un insegnamento buddhista. Nulla ha un'esistenza separata o un sé separato. Ogni cosa deve interagire con tutte le altre.

Nirvana significa estinzione, soprattutto estinzione delle idee - le idee di nascita e morte, esistenza e non esistenza, andare e venire, sé e altro, uno e molti. Tutte queste idee ci fanno soffrire. La meditazione buddhista, (vedi Thich Nhat Hanh) è comunque sempre socialmente impegnata, cerca di ridurre la sofferenza e le diseguaglianze nella società.

Nel buddhismo ci sono due tappe: quella del rilassamento o calma mentale (samatha), attraverso la quale si può accedere ad uno stato di visione profonda (vipassanā),  per entrare così in contatto con la vera realtà, senza mediazioni, e dunque comprenderla e accettarla per quello che è. Entrambe si basano sull’attenzione e sul controllo del respiro. All’inizio la mente osserva la respirazione o i movimenti del corpo, poi  diviene un tutt’uno con questi.

Per la Mindfulness:   La meditazione non è pensare con gli occhi chiusi o schiarirsi le idee. La meditazione è un allenamento per coltivare una visione calma e lucida del mondo e di se stessi. È un allenamento della mente per andare verso questo. La meditazione mindfulness segue un percorso che passa attraverso il momento presente: ci centriamo sulla nostra esperienza del momento, che osserviamo con distacco (respiro, corpo, suoni, pensieri); poi, da questo punto di ancoraggio nel presente e nella realtà, osserviamo il funzionamento della nostra mente, del nostro corpo e la nostra connessione con il mondo.   La mindfulness viene utilizzata negli ospedali per affrontare lo stress, la depressione, per affrontare meglio il dolore. Uno degli obiettivi della Mindfulness è riuscire a stare meglio con se stessi.

I tre punti che spiegano il successo della meditazione di piena coscienza (o mindfulness) sono:   le tecniche sono state laicizzate, (propongono un modo diverso di quello di essere in un monastero, con la relativa visione del mondo filosofica o religiosa);  le tecniche sono state semplificate e codificate, (eliminati gli aspetti esoterici, iniziazione, ecc,);  sono state validate dalla ricerca scientifica con l'obiettivo di integrarle nella nostra società Occidentale.
Cotituiscono una porta di entrata alla meditazione che potrà poi essere approfondita. Oggi, nella società occidentale, la meditazione è stata integrata alle cure mediche, introdotta nelle scuole, nelle carceri, nelle aziende.  La  pratica della meditazione porta ad una stabilizzazione emozionale,  ed ha un impatto favorevole sulla salute.

Per lo Yoga :  La meditazione è, tra l’altro, l’importante opportunità di incontrare la propria realtà non fisica, il proprio Sé, e non è, quello che a volte si pensa, una forma di suggestione. La meditazione porta con sé grandi possibilità di trasformazione ed opera sul piano dell’intuizione, della percezione, della presenza.   Ci permette di entrare in contatto con la nostra parte non fisica e di tornare a vedere che i nostri strumenti non sono solo i sensi, ma anche la coscienza. Ci aiuta a conoscere e quindi imparare a gestire la realtà senziente della nostra costituzione; gestire le molteplici impressioni immagazzinate a vari livelli nel conscio, subconscio e inconscio, durante tutta la nostra esistenza, a volte causa di problemi e instabilità mentale; favorisce, altresì, la salute psicofisica aiutandoci a mantenere un costante contatto con il nostro Sé; ci insegna ad essere spettatori dis-identificati della nostra esistenza e come pratica conseguenza ad essere riflessivi, calmi e positivi.
 Ciò che l’orientale intende conseguire con le sue pratiche interiori è sicuramente volto in altre direzioni: sperimentare il mentale nel tentativo di superarlo e giungere a stadi “sovraordinari” di contemplazione che coincidano con stati di coscienza diversi da quelli comuni, nei quali l’uomo si identifica con il contenuto della sua mente.
"La parola meditare è spesso usata impropriamente; per l'occidentale meditare si riferisce a mens, al mentale e alla sua attività. Invece, per l'orientale, la pratica è rivolta in altre dimensioni, per superare il mentale, per arrivare a stati superiori di coscienza e contemplazione, degli stati di coscienza diversi dal comune per entrare in contatto con la parte più spirituale dell'essere, al nostro vero Sé. L'uomo vive identificato con i contenuti della mente, creati soprattutto dalle emozioni, è un'esperienza ricolorata dal mentale, si producono così immagini distorte scambiate per realtà e ci si allontana dalla visione oggettiva".        Per prima cosa occorre suddividere le meditazione in due tipi: di suggestione e di conoscenza, sono di suggestione la maggior parte delle meditazioni praticate in Occidente e non sono il linea con la meditazione orientale. Queste meditazioni guidate e accompagnate da suoni sono considerate propedeutiche, favoriscono le condizioni, per eventualmente andare oltre e possono aiutare a far sorgere le qualità necessarie per la meditazione di conoscenza. In questa meditazione il meditante è solo, nemmeno con un maestro. I sensi sono totalmente annichiliti, e si utilizza l'unico strumento idoneo che è la coscienza, per andare a conoscere quella realtà che il nostro vero Sè.  Occorre diventare spettatori del corpo, del respiro, delle emozioni,  e acquisire consapevolezza dei pensieri e del contenuto della mente.
Lo yoga è anche cercare un contatto con il Divino, è Isvara (o Ishvara) pranidhana, abbandonarsi al Divino, sentirsi parte di un Tutto, di qualcosa di più grande.  Isvara Pranidhana è l'ultimo dei Niyama descritti da Patanjali e significa abbandono, resa al divino. Si deve riconoscere la nostra parte divina e applicare questo principio nella vita.

Introduzione al Blog

Il Blog è nato nel marzo 2021, in tempo di pandemia, per comunicare e condividere le mie letture e i miei interessi.  Nel Blog ci sono ci...