L’interesse per il buddhismo in Italia, in questi ultimi anni, è un fenomeno in continua crescita, che ha attirato
l’attenzione degli studiosi interessati alla comprensione dei processi di cambiamento culturale e ai mutamenti
spirituali che avvengono nella società contemporanea.
Una delle principali motivazioni dell’interesse per il buddhismo in Italia è la crisi della
religiosità tradizionale, che ha portato molte persone a cercare alternative spirituali. In particolare, la
crescente secolarizzazione della società italiana ha portato alla diminuzione dell’influenza della
Chiesa cattolica (Garelli 2020), aprendo la strada alla ricerca di nuove forme di spiritualità e di senso
(Palmisano e Pannofino 2021). In tale contesto, il buddhismo – con i suoi insegnamenti basati sulla
meditazione e sulla ricerca della pace interiore – sembra rispondere a questo bisogno di ricerca
spirituale, fornendo un’alternativa al modello di religiosità tradizionale.
La diffusione del buddhismo in Occidente ha portato
alla trasformazione dell’antica tradizione buddhista in una nuova forma adattata alla cultura
occidentale; un fenomeno che andrebbe di pari passo con l'“orientalizzazione” dell’Occidente.
La crescita costante dell'interesse del buddhismo si osserva soprattutto tra i giovani, gli studenti universitari e i professionisti (Prebish e Baumann 2002).
Un altro fattore che ha contribuito all’interesse per il buddhismo in Italia è la sua filosofia
incentrata sulla tolleranza e sulla non-violenza, comprensione reciproca e solidarietà.
La pratica della meditazione e della
mindfulness sono diventate strumenti sempre più popolari per migliorare la salute mentale e
per sviluppare una maggiore capacità di concentrazione e di equilibrio interiore.
Secondo l’ultimo report statistico annuale sul pluralismo religioso e spirituale in Italia del
CESNUR (2022), quanti manifestano un’identità religiosa diversa dalla cattolica nel nostro Paese sono circa 2.248.000 unità se si prendono in esame i cittadini italiani, e circa 6.239.000 unità se si
aggiungono gli immigrati non cittadini. Quindi il 4,2% degli italiani manifesta un’identità religiosa diversa
dalla cattolica in Italia. Di questi 4,2 % , gli
Ebrei sono 1,6%
Cattolici “di frangia” e dissidenti l' 1,1%,
Ortodossi il 18,5%
Protestanti il 17,1%
Testimoni di Geova (e assimilati) il 18,7%
Mormoni (e assimilati) il 1,2%.
I buddhisti si attestano attorno
alla cifra di 217.000 persone, il 9,7% delle minoranze religiose, fra i cittadini italiani. Questo dato
tiene conto di 100.000 praticanti dell’area concettualmente rappresentata dall’Unione Buddhista
Italiana, 96.000 membri dell’Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai, e 21.000 buddhisti di altre
tradizioni. Se si considerano anche persone che lo praticano pur senza identificarsi – e i buddhisti stranieri residenti in Italia (125.000), nel nostro
Paese ci sono attualmente circa 342.000 praticanti di tradizione buddhista, pari allo 0,6% della
popolazione residente
La presenza buddhista in Italia è figlia della presenza buddhista in Occidente, dove si considerano presenti circa
6.000.000 di occidentali praticanti. Per Martin Baumann (1996) – il praticante percorre tre diverse fasi.
La prima è caratterizzata dall’interesse, puramente teorico, per il buddhismo. In una fase successiva, circoscritta attorno alla fine del secolo XIX, cominciano
a verificarsi in Occidente vere e proprie “conversioni” al buddhismo.. La terza fase del buddhismo occidentale, con la nascita
di vere e proprie comunità, comincia dopo la Prima guerra mondiale. Questi sviluppi preannunciano la quarta fase, che si manifesta anche in Europa dopo la Seconda guerra mondiale ed è caratterizzata
dal contatto sempre più frequente fra maestri orientali, e “buddhisti occidentali”.
Accanto alle componenti tradizionalmente radicate in Occidente – la scuola Theravada e
quella Zen – cominciano a essere conosciute forme di buddhismo giapponese della tradizione di
Nichiren e di quella esoterica Shingon. L’invasione
cinese del Tibet, nel 1950, e la repressione del tentativo di rivolta del 1959, portano a una fuga verso
l’Occidente di numerosi lama tibetani, e fanno del XIV Dalai Lama – Tenzin Gyatso (1935-) – una figura
di grande notorietà internazionale.
Si assiste inoltre a un’esplosione d’interesse per lo Zen negli anni 1960 e 1970 – favorito non da ultimo dagli ambienti della controcultura –, seguito dal grande successo
del buddhismo tibetano a partire dagli anni 1980. Questo successo passa anche per la letteratura e il
cinema, dal Siddhartha (1922) di Hermann Hesse (1877-1962) al film come Piccolo Buddha (1993,
diretto da Bernardo Bertolucci (1941-2018)), Sette anni in Tibet (1997, diretto da Jean-Jacques
Annaud) e Kundun (1997, diretto da Martin Scorsese).
Questi spunti letterari e cinematografici, insieme con la notorietà del XIV Dalai Lama, hanno
sicuramente favorito la diffusione del buddhismo in Italia.
Un italo-americano, Salvatore Ciuffi (“Lokanatha”, 1897-1966), è diventato una figura nota e rispettata in
Birmania e in India come monaco itinerante. Occorre anche ricordare la figura del professor Giuseppe Tucci (1894-1984), insigne studioso
e divulgatore, sulla base di un interesse personale, del buddhismo tibetano in Italia.
Altra importante figura è Chogyal Namkhai Norbu (1938-2018),
guida spirituale dal 1980 della Comunità Dzogchen, con sede ad Arcidosso (Grosseto), dopo essere
stato per molti anni docente di Lingua e letteratura tibetana e mongola presso l’Istituto Orientale di
Napoli.
Importante è l'opera di divulgazione dello storico della filosofia buddhista presso
l’Università di Padova, Giangiorgio Pasqualotto (2002).
Negli anni 1960, viene fondata a Firenze dell’Associazione Buddhista
Italiana e con la pubblicazione – dal 1967 – della rivista Buddismo Scientifico. Negli anni 1970 e
1980 la presenza buddhista cresce, sia con l’influsso di maestri di scuola Vajrayana profughi dal Tibet, sia
con la diffusione dello Zen, che si affianca alla già esistente presenza Theravada. Per vie autonome,
arrivano in Italia anche gruppi di tradizione Nichiren. Nel 1981 Vincenzo Piga (1921-1998) fonda la
rivista Paramita. Quaderni di Buddhismo per la pratica e per il dialogo. Nell' aprile 1985 si perviene a
Milano alla formale costituzione dell’Unione Buddhista Italiana (UBI) con la partecipazione di 9
centri di diverse tradizioni: saranno già 18 nel 1986 e sono 64 nel 2023 – oltre ad altri 8 in attesa di
affiliazione. I 64 centri buddhisti di tradizione Theravada, Mahayana, Vajrayana e Interbuddhista sono così suddivisi per tradizione d’appartenenza: 37 Vajrayana, 15 Zen, 6 Theravada, 2
Nichiren, 1 Chan, 1 Interbuddhista, 1 Seon, 1 Tendai.
Esistono molteplici centri buddhisti che hanno gli stessi lignaggi di centri associati
all’UBI – e che quindi condividono una medesima visione del buddhismo –, ma che per varie ragioni
non hanno fatto richiesta di adesione. Per una lista aggiornata al 2023 dei centri di pratica, cfr. la pagina Internet https://8xmilleunionebuddhista.it/ e http://www.buddhism.it/centri
Nel 2022 l’Assemblea dei centri dell’UBI ha eletto il Consiglio Direttivo per il quinquennio
2022-2027, nominando quali componenti: Filippo Scianna (tradizione Vajrayana), Stefano Davide
Bettera (tradizione Theravada), Carlo Tetsugen Serra (tradizione Zen), Elena Seishin Viviani
(tradizione Zen), Giovanna Giorgetti (tradizione Vajrayana), Rita Nichele (tradizione Vajrayana) e
Aldo Marzano (tradizione Vajrayana). Successivamente, il 30 aprile 2022, il Consiglio Direttivo ha
confermato Filippo Scianna – che già rivestiva questo ruolo, dal 2019 – nel ruolo di Presidente
dell’UBI e Giovanna Giorgetti ed Elena Seishin Viviani nel ruolo di Vice Presidenti.
Per norma dello statuto, l’UBI non rappresenta alcun gruppo buddhista particolare, ma sin
dalla sua origine si è posta come un’unione di centri e si propone di sostenere e rappresentare
l’insieme del movimento buddhista nel rispetto di tutte le tradizioni storiche. Le finalità sono infatti
principalmente quelle di riunire e assistere i diversi gruppi buddhisti, contribuire alla diffusione degli
insegnamenti e delle pratiche della dottrina buddhista, sviluppare la collaborazione fra le diverse
scuole buddhiste, favorire il dialogo con le altre comunità religiose, con i centri d’impegno spirituale
e con istituzioni culturali e accademiche su argomenti di interesse comune, coltivare rapporti con
l’Unione Buddhista Europea (EBU) – fondata nella sua forma attuale nel 1975, ma attiva fin dagli
anni 1930.
Dal 24 settembre 2023 il Presidente dell’EBU è un componente del Consiglio Direttivo dell’UBI, Stefano
Davide Bettera.
Il 3 gennaio
1991, con un decreto presidenziale successivamente modificato il 15 giugno 1993, l’UBI ottiene il
riconoscimento giuridico come ente di culto. Con l'accordo del 4 aprile 2007, unitamente
a quello con l’Unione Induista Italiana, lo Stato italiano ha
avuto come interlocutore una religione che non proviene dal solco della tradizione ebraico-cristiana.
L’Intesa dell’Unione Buddhista Italiana con lo Stato si sviluppa su linee guida comuni alle
altre già stipulate: l’assistenza spirituale assicurata negli istituti ospedalieri, nelle case di cura e di
riposo e negli istituti penitenziari; l’istruzione religiosa; il riconoscimento degli enti; la partecipazione
alla ripartizione della quota dell’otto per mille dal gettito IRPEF (in vigore dal 2014); la possibilità
di dedurre dal reddito imponibile delle persone fisiche fino a 1.000 euro all’anno per erogazioni
liberali a favore dell’UBI. Il riconoscimento della festività del Vesak, fissata
convenzionalmente all’ultimo sabato e domenica del mese di maggio di ogni anno.
A grandi linee – nel nostro Paese si possono distinguere: (a)
praticanti dell’Unione Buddhista Italiana; (b) praticanti buddhisti di altre tradizioni; (c) membri
dell’Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai. Per una visione più completa vedi: Enciclopedia delle religioni in Italia,
che sembra costituire la raccolta più completa di queste realtà (Introvigne e Zoccatelli 2013).
Tra il “buddhismo non-UBI” troviamo i discepoli italiani del famoso monaco
buddhista Zen, poeta e attivista vietnamita per la pace Thích Nhất Hạnh (1926-2022), che sono raccolti sotto
le sigle InterEssere, Community of Mindful Living ed Essere Pace – associazione legalmente
costituita in Italia nel 1996 – e i cui gruppi di pratica si radunano in case private in svariate città della
penisola. Nel 2023 è sorto presso la Harvard T.H. Chan School of Public Health dell’Università di Harvard il Thich
Nhat Hanh Center for Mindfulness in Public Health.
Altre presenze sono quella del buddhismo tantrico –, tramite la scuola Shinnyoen e quella del buddhismo Nichiren, ovvero
l’insieme di scuole buddhiste Mahayana giapponesi che fanno riferimento alla figura e agli
insegnamenti del monaco buddhista Nichiren (1222-1282), vissuto in Giappone nel secolo XIII.
Fondata nel 1930 da due educatori giapponesi convertiti al buddhismo Nichiren – Tsunesaburo
Makiguchi (1871-1944) e Josei Toda (1900-1958) – come “Società educativa per la creazione di
valore”, la Soka Gakkai si riorganizza nel Secondo dopoguerra con un’attitudine particolarmente
incentrata sui laici, perseguita dal terzo e attuale presidente, Daisaku Ikeda (1928-). Le prime presenze in Italia risalgono al 1961. Dall’Assemblea Generale
dell’Unione Buddhista Europea (EBU) del 2022, svoltasi in Francia, anche la Soka Gakkai, come già
l’Unione Buddhista Italiana, è membro ufficiale dell’EBU.
Per concludere, il crescente interesse per il buddhismo in Italia può essere interpretato come un segno dei
cambiamenti culturali e sociali in corso nella società italiana contemporanea. La diffusione del buddhismo in Italia
può essere vista come parte di un più ampio evento di “globalizzazione religiosa”, che
sta cambiando il volto della religione e della spiritualità in tutto il mondo.