venerdì 6 agosto 2021

Il razzismo spiegato a mia figlia

Avevo letto questo libretto Il razzismo spiegato a mia figlia scritto da Tahar Ben Jelloun, moltissimi anni fa, mi sono rimesso a leggerlo e trovo il suo messaggio attualissimo ancora oggi, venti anni dopo, e per questo ve lo propongo. --

Molti autori e filosofi, tra cui Spinoza, a cui è attribuita la frase "Qualsiasi essere tende a perseverare nel suo essere", sostengono che idee e comportamenti interiorizzati nel tempo attraverso l'educazione creerebbero una certa impermeabilità al cambiamento, soprattutto nella mentalità degli individui in età adulta.

Per coerenza o pregiudizio si tenderebbe a perseverare nel nostro essere,  a mantenere una certa visione anche di fronte ad evidenze e fatti contrari. E' ciò che si verifica negli episodi di intolleranza  e,oggi, nei diffusi fenomeni di razzismo (1).  Oggi nella società contemporanea caratterizzata dalla globalizzazione, dall'interdipendenza dei mercati e dalla socializzazione anticipatoria (2) prodotta dai media, flussi migratori sempre più consistenti sono in movimento (3).   Le reti di comunicazione, la simultaneità dell'informazione  dovrebbero portare al superamento delle barriere geopolitiche e culturali e alla creazione di realtà sociali sempre più multietniche (4).

Novità che richiedono culture aperte e dialoganti.    La scuola dovrebbe    dare un contributo importante nella creazione di "identità culturali nuove" "transetniche" operando contemporaneamente al cambiamento di chi ospita e  di chi è ospitato. Al contrario, vengono in superficie rigidità, diffidenza, insofferenza.  Per autori come Van Dijk  la spiegazione è data dal fatto che il razzismo è funzionale agli interessi della maggioranza dei gruppi bianchi ed in particolare alle classe dominante (5). Questo autore sottolinea l'importanza    del discorso quotidiano e della comunicazione nel diffondere pregiudizi e stereotipi all'interno di un gruppo.  Eppure cambiare si può.

Il contenuto del libro. 
Lo scrittore marocchino Tahar Ben Jelloun, ha affrontato la drammatica questione in un colloquio con la figlia Merièm che, in una mattina parigina  nel febbraio 1997, mentre si recavano ad una manifestazione contro un progetto di legge sul razzismo, gli ha chiesto: "Dimmi babbo, cos'è il razzismo?"   Tahar Ben Jelloun si vede confrontato con delle domande della figlia di dieci anni, che ancora non capisce perchè le persone manifestano nella piazza e che cosa significano certi slogans.

La curiosità della figlia fa nascere nell'autore l'idea di scrivere un testo che possa spiegare ai bambini il fenomeno del razzismo con il quale la società moderna è confrontata e che è all'origine di discussioni accese. Il libro che ne è nato (pubblicato nel 1998 e passato attraverso quindici diverse stesure)  si rivolge soprattutto ai bambini (di età compresa tra 8 e 14 anni), ed  è stato redatto con la massima chiarezza, semplicità ed oggettività. In modo molto didattico e sotto forma di dialogo, il libro spiega precisamente i differenti aspetti del razzismo, offrendo anche ai bambini la possibilità di capire il senso delle parole che sentono più spesso, di riflettere sul loro comportamento e su quello del loro  ambiente.

Il libro parte dal principio che la lotta contro il razzismo  comincia con l'educazione, l'autore  precisa, comunque, che si possono educare i ragazzi, non gli adulti. Dopo una definizione assai generale del termine razza, la conversazione gira intorno a certe parole chiave come diversità, straniero, pregiudizio, discriminazione, ghetto, colore della pelle.

Poi l'autore passa ad esaminare  problemi molto più recenti come la genetica, o più vecchi come l'antisemitismo,  il genocidio, l'apartheid; si affrontano i temi del  ruolo del razzismo e della xenofobia nella storia, per esempio nel contesto del colonialismo, all'epoca del nazional-socialismo in Germania, durante l'apartheid in Africa del Sud o durante il genocidio nel Ruanda. Importante è anche la parte del dialogo che tratta il rapporto tra razzismo ed ignoranza. Alla fine, la discussione tra padre e figlia verte sulla questione se un razzista può guarire, la risposta dell'autore non è troppo pessimistica: secondo lui , tutto dipende dalla capacità dell'uomo di mettersi in discussione, di prendere coscienza dei suoi errori e di superarli.

L'autore ci invita alla vigilanza, al combattere quotidianamente contro ogni forma di razzismo e al rispetto  per se stesso e per gli altri in una società che offre pochi valori di riferimento.

Conclusioni. Quando si vuole che una idea sia capita anche da un bambino senza che ne vada perso il significato vero, serve un lavoro di traduzione delicatissimo.  Il risultato di Ben Jelloun è molto efficace L'ideologia non regge al confronto delle domande spiazzanti di un bambino che non conosce le varie teorie interpretative (6). Lui semplicemente chiede perchè esiste il razzismo; vuol sentire fatti e non discorsi.  E di estrema incisività è il volume che invita a lavorare sull'educazione dei giovani affinchè la loro naturale predisposizione a familiarizzare con tutti, indipendentemente dal colore della pelle e dalle fedi religiose, sia valorizzata. Accade invece il contrario. Che l'adulto non ascolti quella voce diversa e apparentemente "ingenua" ma la soffochi imponendo il suo stile di vita e i suoi pregiudizi.        

"Non si nasce razzisti, si diventa. C'è una buona e cattiva educazione. Tutto dipende da chi educa, sia nella scuola come a casa".  E' faticoso ascoltare un bambino, eppure costituisce una delle esperienze di dialogo più forti. La lettura delle dinamiche del razzismo fatta da Ben Jelloun è interessante, ma non è il vero pregio del volume. Le sue interpretazioni appartengono a una cultura diffusa. Qualcuno potrà sollevare obiezioni sull'affermazione che il rispetto della persona rientri nel prezioso patrimonio tramandato dalle tre grandi religioni monoteiste: l'ebraismo, il cristianesimo  e l'islamismo. Thorà , Vangelo e Corano  predicano la tolleranza e indicano nell'amore la strada per stabilire una convivenza corretta. Le originalità del libro sono due. 

Innanzitutto, l'affermazione del valore della persona umana: Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza e bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. 

Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che si ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso (7). Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità; e poi l'esperienza pedagogica di padre che prima ascolta poi parla. Non una sovrapposizione, ma una accoglienza. Così nasce la dinamica educativa che porta inevitabilmente a indicazioni pratiche come quella di "cominciare con il dare l'esempio e fare attenzione alle parole che si usano. Sì, le parole sono pericolose (8)". Se ogni faccia è  un miracolo, occorreranno coscienza e volontà per non offenderla e un grande affetto per la libertà di tutti.

Bibliografia.

  • Susi F. ( a cura di ) Come si è stretto il mondo,  Roma, Armando 1999
  • Susi F. ( a cura di ) L'interculturalità possibile, Roma,    Anica, 1995
  • Van Dijk T. Il discorso razzista,   Messina, Rubbettino, 1994
  • Maalouf A., L'identità,   Milano, Bompiani, 1999
  • Taguieff. P.  Il razzismo, Milano, Raffaello Cortina, 1999
  • Firoucci M. La mediazione culturale, Roma, Armando, 2000
  • Zecchini M. e Pompeo F. ( a cura di ) Mass Media e socializzazione nel villaggio interculturale, Roma,  Il    Mondo 3 , 2000
  • Ben Jelloun T. , Il razzismo spiegato a mia figlia, Milano ,Bompiani , 1998

Note:

1<<L'antropologo (Levì Strauss) ....definisce il razzismo come "una precisa dottrina, che può essere riassunta in quattro punti":

  • Uno : esiste una correlazione tra il patrimonio genetico, da una parte, e le attitudini intellettuali e le disposizioni morali dall'altra.
  • Due: questo patrimonio , da cui dipendono tali attitudini e tali disposizioni , è comune a tutti i membri di un certi gruppi umani.
  • Tre: questi raggruppamenti chiamati 'razze' possono essere gerarchizzati in funzione della qualità del loro patrimonio genetico.
  • Quattro: tali differenze autorizzano le cosiddette 'razze' superiori a comandare , sfruttare , ed eventualmente a distruggere, le altre.>> P.A. Taguieff, Il razzismo , Milano, R. Cortina, 1999, pag 46.                                                Queste dottrine razziste sono sprovviste di qualsiasi base scientifica come dichiarato dall'articolo 3 della dichiarazione dell'Unesco sulla razza ed i pregiudizi razziali del 1967. Oggi si sta diffondendo un nuovo razzismo ideologico culturale e differenzialista .

2 << Grazie alla diffusione dei mass-media l'immigrato , ancor prima di partire è socializzato alle pratiche di vita e ai valori della società di accoglienza. Alberoni e Baglioni hanno introdotto tale concetto.....>> F. Susi , Prospettive interculturali , in F.Susi ( a cura di ) Come si è stretto il mondo, Roma, Anicia, 1995, pag 42 .

3 << i flussi migratori internazionali hanno luogo oggi all'interno di un sistema globale fortemente indipendente , in cui si è andato progressivamente perdendo il legame tra crescita economica e aumento dell'occupazione .

Come già accennato in precedenza, in termini di push and pull factors, i flussi migratori avvengono oggi in un contesto in cui sono diventati prevalenti nei Paesi di origine i fattori espulsivi e si è , invece , parzialmente ridotta la domanda di immigrati da parte dei Paesi di tradizionale destinazione.>> M. Fiorucci , Mediazione culturale , Roma , Armando, 2000, pag 22

4<<Si designa una situazione in cui differenti culture(...) coesistono, sono l'una a fianco dell'altra, in uno stesso tempo e in uno stesso spazio . Si tratta dunque di una nozione che ha una prevalente funzione descrittiva. >>

F. Susi , L'educazione interculturale fra teoria e prassi , in F.Susi ( a cura di ) Interculturalità possibile, Roma, Anicia, 1995, pag 48 <<Si potrà parlare effettivamente parlare di un progetto di costruzione di società multiculturale se si realizzeranno due condizioni di base: -l'uguaglianza formale dei diritti , senza di cui nulla sarà mai possibile ; la non imposizione di modelli e comportamenti a valenza generale validi e, in qualche modo , obbligatori per tutti.>> F. Susi , L'educazione interculturale fra teoria e prassi , in F.Susi ( a cura di ) Interculturalità possibile, Roma, Anicia, 1995, pag 40

5 << intolleranza e razzismo non si spiegano se non in riferimento ad una struttura economico-sociale.>> F. Susi , L'educazione interculturale fra teoria e prassi , in F.Susi ( a cura di ) Interculturalità possibile, Roma, Anicia, 1995, pag 42

6 Si può sostenere l'ipotesi che l'impiego della parola razzismo sia legittimo soltanto per caratterizzare un fenomeno ideologico e sociopolitico apparso in Europa e nelle Americhe in epoca moderna. Ciò significa supporre che il razzismo , nel senso stretto del termine, costituisca un fenomeno occidentale e moderno, dotato di una ceerta complessità. E' questa la visione modernista del razzismo che noi distinguiamo dalla visione antropologica, la quale, invece non gli riconosce un luogo di nascita storica e , in un certo senso , attribuisce il razzismo alla natura umana o alla natura della società>> P.A. Taguieff, Il razzismo , Milano, R. Cortina, 1999, pag 17.  E' a Taguieff che si deve il termine Differenzialismo su cui si basa il neo razzismo ideologico culturale e differenzialista. << Il principio della recente metamorfosi ideologica del razzismo consiste proprio nel fatto che l'argomento dell'ineguaglianza biologica tra le razze è stato sostituito con quello dell'assolutizzazione della differenza tra le culture. >> P.A. Taguieff, Il razzismo , Milano, R. Cortina, 1999, pag 50

7 << Ciascuno di noi dovrebbe essere incoraggiato ad assumere la propria diversità, a concepire la propria identità come somma delle sue diverse appartenenze, invece di confonderla con una sola , eretta ad appartenenza suprema e a strumento di esclusione, talvolta a strumento di guerra. In particolare , tutti coloro la cui cultura originale non coincide con quella della società in cui vivono devono poter assumere senza troppe lacerazioni la doppia appartenenza e mantenere la loro adesione alla cultura d'origine; devono non sentirsi obbligati a dissimularla come una malattia vergognosa e aprirsi parallelamente alla cultura del Paese di accoglienza>> A. Maalouf., L'identità, Bompiani, 1999, pp 175-76.

8 << per la nostra discussione non è tanto importante ciò che la gente effettivamente pensa, ma quanto ciò che dice. E' questa dimensione della riproduzione comunicativa ad essere essenziale per una persuasiva diffusione del consenso etnico >> T. Van Dijk , Il discorso razzista, Messina, Rubbettino,1994, pag 72

Nada Yoga - Lo Yoga del Suono

Lo yoga è uno stile di vita, uno stato di coscienza proteso verso l'unità, l'armonia e l'equilibrio. Nella Bhagavad Gita, infatti, Sri Krishna spiega ad Arjuna: "Lo yoga non è per chi mangia troppo o troppo poco; non è per chi dorme troppo o troppo poco; lo yoga è la condizione di chi è equilibrato nelle attività quotidiane, nel lavoro e nel riposo. Questo yoga distrugge i conflitti ed elimina la sofferenza". Lo yoga, non è solo un insieme di tecniche, ma è l'espressione di un'attitudine interiore di equilibrio, di una consapevolezza che abbraccia l'universo intero nell'armonia. L'orientalista francese e storico delle religioni, Alain Danielou (1907-1994) definisce lo yoga "la scienza della reintegrazione totale". Lo yoga dunque è un'integrazione armoniosa di corpo, mente e spirito. 
 
Il Nada Yoga, lo yoga del suono, è un aspetto dello yoga che utilizza i l suono, i mantra e la musica al fine di raggiungere la meta dello yoga: l'integrazione della personalità, la ri-connessione con il Divino e la realizzazione spirituale. 

Le radici di quella che oggi viene chiamata "musica classica indiana" si ritrovano nel Sama Veda da cui trae origine la scienza del suono, il Nada Yoga,  utilizzato come via di purificazione ed elevazione spirituale. Nel Sama Veda sono raccolti i canti liturgici, gli inni rivolti ai vari aspetti del Divino che si manifesta in infinite forme al fine di divenire accessibile ad ogni persona, secondo i vari livelli di coscienza iniziali e le varie capacità di comprensione. Il Nada Yoga, è uno strumento per ri-educare la mente e il corpo ed ha la funzione trascendente di portare il soggetto oltre le percezioni sensoriali. La musica anticamente serviva per accompagnare un atto sacro, per trasformare in sacro ciò che sacro non era. 

Anche nelle Upanishad, la parte filosofica dei Veda, si trovano molti riferimenti al suono primordiale: OM (AUM). OM è anche detto Nada Brahma, cioè suono creatore. Nella tradizione musicale indiana le melodie (Raga) e i cicli ritmici (Tala) possono provocare svariati tipi di emozioni e reazioni fisiologiche. In India esiste tutto un impianto teorico musicale, codificato da secoli, riguardante l'uso dei suoni, melodie e ritmi collegati a stagioni, orari, stati fisici e psichici e a tutte le circostanze della vita dell'uomo e della Natura, e la pratica musicale è saldamente fissata su questo sistema.

L'ascolto, in India, ha sicuramente un ruolo di primo piano, infatti i Veda sono per definizione Ascolto. Il loro nome tecnico è Shruti che vuol dire: ciò che si ascolta. Il Veda quindi non si legge, lo si apprende ascoltando. Anche le Upanishad, che sono il corpo filosofico dei Veda, sono ciò che si ascolta ai piedi del Maestro. 

Le principali categorie di suono nei Veda:

  • Nada: indica il suono primordiale, il suono nella sua essenza, energia ed emanazione del Brahman, la potenza creatrice che genera l'universo.
  • Shabda: significa genericamente "suono"  udito dai mistici.
  • Dhvani: suono proferito e udibile (in opposizione a suono interiore).
  • Svara: suono specifico delle note musicali. Ciò che risuona. 
  • Shruti: ciò che è stato udito, insegnamento giunto a destinazione. letteratura relativa alla Rivelazione tramandata oralmente da Guru a discepolo.

Tutte le cose create, dai fenomeni più grossolani fino ai fenomeni più sottili, come il pensiero, sono in uno stato di perpetuo movimento e tutto ciò che è in movimento emette delle vibrazioni, quindi dei suoni. Nell'essere umano la voce è il canale attraverso il quale la coscienza si manifesta esteriormente; è l'anello di congiunzione fra la mente e le emozioni di una persona a quelli di un'altra. La voce è il mezzo principale per trasformare i nostri pensieri, suoni, emozioni e sentimenti in forma fisica nel mondo materiale. La voce fa parte della nostra personalità ed è anche un mezzo di identificazione della persona. Capire a fondo la voce e le sue variazioni è molto importante e può aiutare ad avere autocoscienza e comprensione di come si "muovono" le emozioni. L'antica disciplina indiana del Nada Yoga ci aiuta a scoprire chi siamo veramente dal tono della voce e a liberare, con il canto e con la musica, le emozioni represse e portare l'individuo a migliorarsi.

Vemu Mukunda (1929-2000) fisico nucleare e famoso musicista indiano, coniugando i suoi studi scientifici con la tradizione millenaria del suo paese elaborò una lunga indagine sul corpo umano e le sue risposte fisiche e psichiche al suono, arrivando alla conclusione che ogni essere vivente è un suono particolare. Il suo metodo terapeutico utilizzava il suono come fenomeno vibratorio per agire direttamente su specifici punti del corpo e modificare così i vari stati emozionali e psichici. Prima di poter arrivare a questo è necessario purificare la mente riportandola sotto controllo, regolando le percezioni sensoriali e riuscendo ad avere una vita più armoniosa.

Per Mukunda scoprire la "nota personale" di un individuo significava anche andare alla radice della personalità, scoprirne lati oscuri e sorprendenti, e ciò che siamo realmente. Ogni persona parla fondandosi su una determinata frequenza che tende a rimanere costante e cambia solo in presenza di forti emozioni o di agitazione mentale.  Attraverso un'appropriata seduta, si può arrivare ad individuare la nota dominante di un individuo e fare un quadro della personalità. Questi stati emotivi di una persona, si possono collocare con precisione nei chakra, i centri energetici posti idealmente lungo la colonna vertebrale, dal coccige al centro della testa.  Ascendendo dalla tonica inferiore a quella superiore, lungo lo spettro sonoro di un'ottava, si passerà attraverso 22 punti principali di energia emozionale, chiamati Nadi, che corrispondono ad altrettanti punti nel corpo.

L'antico termine sanscrito "Nada" indica che il suono trae origine dall'unione tra l'energia del respiro (na) e quella del calore (da) ed è proprio l'attrito del fiato contro le corde vocali che fa scaturire la voce. Il primo effetto si ha infatti nell'utilizzo di sistemi e tecniche vocali per attivare un'azione del respiro sull'energia vitale, il Prana. Il secondo effetto è quello dell'attivazione dell'elemento calore, che nei Veda è associato alla coscienza (Cit-Agni). Il suono riesce quindi ad evocare tale energia, il calore percepito durante il canto è un indicatore di questa attivazione. 

Il suono udibile,  dovuto ad una vibrazione dell'aria,  nella tradizione indiana viene detto Ahata Nada, e la musica si basa su questo nada. Questo suono è manifestato dalle vibrazioni naturali mediante urto o sfregamento. Il suono non manifesto ed impercettibile ai sensi fisici umani, invece, viene detto Anahata Nada e corrisponde ad una vibrazione che non è prodotta da alcun agente fisico in movimento come avviene invece per i suoni udibili. Il pensiero è anahata e può essere udito o sperimentato mediante la concentrazione sul centro sottile chiamato Anahata Chakra, situato nella regione del cuore. Secondo il pensiero filosofico hindu ci sono quattro livelli o fasi che riguardano l'emissione di questo tipo di suono: 

  • Para è la germinazione del pensiero, la fase iniziale del pensiero.
  • Pasyanthi è la fase successiva alla generazione del pensiero, in una frazione di secondo quel pensiero produce una visione mentale, direttamente o indirettamente collegata ad esso.
  • Madyama è il livello successivo in cui si ha il passaggio ad una forma acustica, un modello sonoro. Il suono è presente nella mente ma non viene ancora emesso, siamo ancora al  livello del suono inespresso "anahata".
  • Vaikari è l'ultima fase in cui, dopo una forte spinta, il suono presente nella mente, viene liberato ed emesso nel mondo esterno divenendo suono udibile "ahata".

Ogni pensiero ha un'immagine mentale, diretta o indiretta, ma il più delle volte non viene visualizzata. Quando cominciamo a visualizzare l'immagine mentale creata dal pensiero, il nostro pensiero diventa preciso: l'immagine ed il pensiero sono collegati. Una persona equilibrata può controllare e far uscire i suoni (parole) solo quando decide di farlo. L'obiettivo principale delle tecniche del Nada Yoga è  convertire, trasformare le energie negative in positive prima di essere liberate all'esterno, farci comprendere i meccanismi generativi e le cause, consci ed inconsci. Per la cura basta cantare o ascoltare musica da soli, in coppia o in gruppo. Il tutto sotto la guida di persone esperte di Nada Yoga che aiutino, attraverso tecniche di canto e di ascolto, a sbloccare le energie negative convertendole in energie positive. 

Per comprendere lo Yoga del suono, è necessaria una pratica personale attenta e una raffinata sensibilità d'ascolto, non solo uditivo;  bisogna sentire il corpo e sentire come il suono si sposta nel corpo, i punti risonanti, gli ostacoli, le oscillazioni di frequenza e tutte le sfumature che possono schiudersi ad un'attenzione aperta e presente. Lo scopo è di permettere all'energia di trasformarsi secondo il proprio percorso naturale, che passa attraverso tutti gli stati emotivi necessari prima di essere convertita in una pace di ordine più elevato, di natura spirituale.

L'ascolto dunque ha varie profondità che corrispondono all'interesse che ci anima. Quando l'interesse è alto, sicuramente l'ascolto è molto profondo. La preghiera è ascolto, la meditazione è ascolto, più meditiamo in profondità, più ascoltiamo i nostri bisogni veri che sono quelli spirituali, ontologici e un minuto o pochi minuti di questo ascolto possono trasformare la vita e donarci quell'orientamento illuminato che noi cerchiamo da sempre verso la felicità".

Ad ognuno dei sette chakra, situati lungo la colonna vertebrale, corrisponde un tipo di musica. Così se una melodia ci piace significa che quel chakra ha bisogno di quella musica, se invece ci infastidisce vuol dire che ci sono problemi. 

  • Primo Chakra: collegato all'energia vitale. Colore rosso. Governa il plesso sacrale e il coccige. Strumento: tamburo, batteria. Musiche corrispondenti: ritmi tribali. Se ci danno fastidio: non viviamo bene nel nostro corpo.
  • Secondo Chakra: è il chakra della sessualità. Colore arancione. Governa i genitali. Strumento: flauto. E' stimolato da musiche che implicano movimenti del bacino tipo le danze sudamericane, salsa, merenghe, samba. Chi non le ama ha una sessualità repressa, fa fatica a entrare in relazione con l'altro sesso.
  • Terzo Chakra: è il centro della forza di volontà e dell'autoaffermazione. Colore giallo. Organi governati: il plesso solare. Strumento: pianoforte, violino, chitarra. Ritmi corrispondenti: brani solenni di musica classica tipo la "Cavalcata delle Valkirie" di Wagner o la "Quinta sinfonia" di Beethoven, rock dal ritmo incalzante. Chi le rifugge è timido, ha scarsa autostima.
  • Quarto Chakra: è il chakra del cuore e del sentimento. Colore verde. Governa il plesso cardiaco e il timo. Strumento: la voce. Melodie romantiche, sentimentali, da Claudio Baglioni alla New Age passando per Chopin. Per chi desidera soddisfare la propria affettività.
  • Quinto Chakra: è il chakra della gola, della parola, della comunicazione. Colore blu. Organo governato: la tiroide. Strumento: la voce. Lo alimentano le musiche universali di Mozart. Chi non le sopporta ha problemi di comunicazione.
  • Sesto Chakra: corrisponde alla mente, all'intuizione, alla chiaroveggenza. Colore indaco. A livello fisico governa l'ipofisi. Strumento: tanpura, campane tibetane. Lo stimolano musiche da meditazione come canto gregoriano, canto indiano, Bach, free jazz.  
  • Settimo Chakra: o della spiritualità. Colore violetto. Organo governato: l'epifisi. Strumento: arpa. La sua musica è il silenzio. Chi ne ha paura teme di entrare in contatto profondo con se stesso.

Ognuno di noi, secondo Vemu Mukunda, vibra come uno strumento musicale risuonando in base ad una delle 12 possibilità della scala cromatica: le 7 note base più le altre 5 note alterate o diesis. Possono risuonare in un punto qualsiasi delle tre ottave sonore in cui è diviso il corpo umano e cioè nell'ottava bassa, dall'alluce all'ombelico, nell'ottava media, dall'ombelico alle sopracciglia (il terzo occhio) e infine nell'ottava alta, dal terzo occhio al centro del capo (fontanelle). A ciascuna di esse corrisponde un tipo di personalità.

  • Tipo SOL: è la nota cosmica, della spiritualità. Chi appartiene a questa categoria è una persona tranquilla, armoniosa. Il suo compito: indicare la via verso l'infinito.
  • Tipo SOL DIESIS: freddo, cerebrale è diviso tra desiderio di concretezza e la spinta verso l'alto. Il suo compito: mediare tra energie spirituali e terrene.
  • Tipo LA: attivo, dotato di senso pratico e capacità organizzative, ha la stoffa del manager. Il suo compito: trovare lo spirituale nella quotidianità.
  • Tipo LA DIESIS: solitario, ambizioso desidera affermarsi attraverso lo studio e la ricerca. Il suo compito: ricercare per il bene dell'umanità.
  • Tipo SI: egocentrico, bugiardo anche con se stesso, a volte geniale, tende a prevaricare per desiderio di autoaffermazione. Il suo compito: imparare a essere più umile e più sincero con se stesso e con gli altri.
  • Tipo DO: generoso, idealista, compassionevole, armonioso. Il suo compito: ricordare che il Cielo può esistere anche sulla Terra.
  • Tipo DO DIESIS: artista e sognatore, auspica il ritorno a una vita semplice, naturale. Il suo compito: trasferire sul piano del reale i sogni più belli e le aspettative migliori del genere umano.
  • Tipo RE: concreto, stabile, consapevole dei suoi limiti e dei suoi pregi.
  • Il suo compito: riconciliarci con la Terra che abitiamo.
  • Tipo RE DIESIS: dinamico, curioso, ma anche invadente. Il suo compito: seminare il dubbio, smuovere gli immobilismi.
  • Tipo MI: personalità forte, dominatrice fino alla prepotenza. Il suo compito: ridimensionare il suo Ego smisurato.
  • Tipo FA: intuitivo, può essere un sensitivo naturale. Il suo compito: mediare tra il rumore della quotidianità e il silenzio della preghiera e della meditazione.
  • Tipo FA DIESIS: socievole, amante della vita all'aria aperta, creativo in qualunque campo. Il suo compito: creare qualcosa di nuovo per l'umanità.

Questo lavoro di scoperta del proprio strumento interiore ha effetti benefici anche sulla salute. Infatti, facendo vibrare i chakra secondo frequenze particolari, si stimolano gli organi e le funzioni corrispondenti, risvegliandone le energie. 

Il canto carnatico è una musica che ha effetti molto profondi a livello psichico ed emotivo e si basa sulle 72 raga, che sono le scale indiane. I raga (in sanscrito significa colore, tono musicale) sono alla base dei canti sacri legati ai vari momenti della giornata. Ogni giorno accumuliamo energie emozionali sia positive che negative e queste possono creare blocchi emozionali, anche se a livello inconscio, e danno origine a disarmonie mentali e fisiche. Questi blocchi emozionali possono essere sciolti attraverso l'uso di appropriate note musicali chiamate che saranno in grado di armonizzare un determinato chakra e sciogliere le tensioni nella relativa zona. 

I Raga indiani sono suoni universali come lo è la musica, e furono concepiti proprio per cercare di sfruttare tutte le possibili combinazioni di note ed intervalli allo scopo di armonizzare le energie psico-emozionali dell'essere umano. La definizione delle note è fondata su un certo numero di microtoni, cioè di piccolissime particelle dell'ottava, ognuna delle quali è connessa ad una specifica emozione. Questi microtoni sono chiamati "shruti", che significa "ciò che risuona", e il loro numero è stabilito in 22.  Essi formano la scala su cui si posizionano le sette note della gamma per formare i differenti modi o "raga".

Esiste un testo vedico molto antico completamente dedicato alla musica e alla scienza dei suoni, il Gandharva Veda, di cui è giunto fino ai nostri giorni soltanto l'indice, ma le cui conoscenze si ritiene traspaiano dalle pagine di trattati successivi come il Sanghita Ratnakara, un testo del 1200 d.c. attribuito a Sarangadeva, un medico ayurvedico e musicologo alla corte del re Singhana. Nel Gandharva Veda furono riuniti un gran numero di testi che si riferivano alla metafisica e alla fisica del suono, alla semantica e al simbolismo musicale, alla storia e alla teoria della musica, e inoltre ad applicazioni artistiche, magiche e terapeutiche dei fenomeni sonori.

L'articolo è stato preso  dal sito https://www.amadeux.net/sublimen/       Vedi articolo

La Musica Indiana: Cenni di teoria musicale.

 La Musica Indiana: Cenni di teoria musicale.    Articolo scritto dal mio amico Roberto Dati 

La Musica Indiana ha una tradizione millenaria e caratteristiche peculiari e sofisticate che la rendono estremamente affascinante sia ad un ascolto di tipo puramente spirituale, a cui è naturalmente indirizzata, sia a un’analisi musicale tecnico-teorica, obiettivo più complesso perché non è facile da codificare secondo gli schemi occidentali. ..

La distinzione della Musica Indiana in indostana, del nord dell’India, e carnatica, del sud dell’India è determinata dalla differente storia delle due aree, con conseguenti sviluppi nello stile e nella nomenclatura, pur avendo le caratteristiche di base comuni.

L’esecuzione della Musica Classica Indiana non si basa su partiture scritte, né su melodie strutturalmente definite tramandate per via orale, ma cornici, tramandate da insegnate ad allievo, entro cui il musicista improvvisa, chiamate raga.

Un raga è un brano musicale nella musica indiana, e la sua esecuzione produce ogni volta risultati diversi che sono il frutto dell’improvvisazione ispirata del musicista che è al contempo compositore estemporaneo e esecutore. Con le dovute distinzioni i raga nella musica indiana possono essere accostati agli ‘standard’ definiti da temi e sequenze armoniche su cui si improvvisa nella musica jazz.

Il materiale grezzo su cui si sviluppa il raga è di tipo melodico e ritmico.

Non è contemplata l’armonia com’è intesa nel sistema occidentale tonale con accordi di più note, le cadenze armoniche, tensione e risoluzione: al massimo è previsto un bordone o drone o basso continuo fondamentale, e questo rende la melodia del raga ancora più libera di svilupparsi a lungo in via monodica in modo aperto.

Il materiale melodico è costruito scegliendo le note da sequenze diatoniche che potremmo definire scale o modi, gli svara, che sono di 7 note, similmente alla scala maggiore e minore e ai modi utilizzati nel sistema musicale occidentale.

Nel sistema indostano sono presenti 10 scale di sette note, in quello carnatico 72, chiamate melakartas, un materiale ricchissimo a cui attingere.

I nomi delle sette note (analogamente alle italiane DO RE MI FA SOL LA SI, oppure in inglese C D E F G A B) nelle due principali tradizioni classiche indiane sono:

  • - la indostana (Hindustani - India settentrionale): Sa Re Ga Ma Pa Dha Ni
  • - la carnatica (Karnàtak - India meridionale):  Sa Ri Ga Ma Pa Dha Ni

L'insieme delle 12 note della scala cromatica, a distanza di un semitono l'una dall'altra, talvolta viene così indicato (a partire da una nota qualunque scelta come nota di partenza):   S-r-R-g-G-m-M-P-d-D-n-N-S'

Ma la musica indiana utilizza intervalli ancora più piccoli del semitono della scala cromatica, gli sruti. Sono previsti 22 sruti all’interno di un’ottava, la cui esatta ampiezza non è ben definita, ma viene realizzata attraverso i glissando e quindi dipende dall’esperienza e dall’istinto dell’artista.

Differentemente dalle consuetudini occidentali, che, sfruttando il principio dell'intonazione assoluta, attribuiscono un nome specifico ad una nota con altezza (frequenza) ben definita, nella cultura musicale indiana le note hanno invece nomi fissi che si adattano all'altezza della nota scelta come riferimento (in occidente questo approccio è simile alla solmisazione relativa o do mobile è un metodo di lettura, nato già intorno all’anno 1000 con Guido D’Arezzo e utilizzato da Kodály come mezzo didattico).

E’ singolare notare che tutte le 10 scale del sistema indostano e le 72 scale del sistema carnatico contengono il quinto grado, il Pa, non alterato, ma sempre all’intervallo di quinta giusta.

Ebbene i raga contengono il numero e la sequenza delle note delle scale (svara) da suonare in partenza, e un insieme di indicazioni che riguardano quale nota debba essere la "fondamentale", quali siano le note di "riposo" o quelle "dissonanti" e le variazioni micro-tonali (sruti) a partire dai gradi della scala. Spesso i raga utilizzano diverse scale, distinte per il moto melodico ascendente e per quello discendente.

Il raga è strutturalmente diviso in due metà: la prima, l’alapa (sorta di preludio o verse) è un’introduzione senza una precisa scansione ritmica, in cui gli schemi melodici prendono forma e il ritmo parte lentamente ed è accelerato. la seconda, il gat (il chorus) in cui si innesca il ciclo ritmico tala basato su metriche spesso complesse e asimmetriche, dove il dialogo tra i musicisti aumenta di intensità e ritmo.

Come nella musica occidentale vengono utilizzati i termini groove, swing, per indicare la personale oscillazione o spinta ritmica, così nella musica indiana una parte importante è la “sensazione” del ritmo che viene chiamata laya.

L’organizzazione del ritmo tala segue formule “additive”, nel senso che sono presenti dei patterns ricorrenti, il cui modulo temporale che si ripete non costituisce una durata da dividere necessariamente in parti uguali (come la battuta nella musica occidentale), ma un gruppo di elementi più lunghi e più corti, come dei segmenti temporali o modi ritmici che si ripresentano ciclicamente. I tala non solo possono essere molto lunghi e si caratterizzano anche per una peculiare suddivisione interna, che vede la somma di raggruppamenti non tutti uguali. La ritmica indiana si fonda sull’uso di un sistema di sillabazione, le cui sequenze verbali (es. Ta ka din – ta ka di na tam) hanno non solo un carattere onomatopeico, ma sono strettamente legate ai frammenti ritmici che rappresentano e hanno il compito di rafforzarne la fluidità e di conferirgli un senso e una struttura.

In conclusione la Musica Classica Indiana e i raga sono una fonte ricchissima di materiale di ispirazione.

Bibliografia:

  • Derek Bailey: L’Improvvisazione, sua natura e pratica in musica, Trad. Francesco Martinelli, Ed. Arcana Editrice
  • Paolo Annessi: Melakartas, 72 modi dell’India del Sud per chitarra, Ed. fingerpicking.net
  • Vincenzo Caporaletti: Introduzione alla teoria delle musiche audiotattili. Un paradigma per il mondo contemporaneo, Aracne Editrice.

venerdì 30 luglio 2021

Lezioni di yoga tenute dal Maestro Amadio Bianchi

Vi segnalo un ciclo di lezioni di yoga tenute dal Maestro Amadio Bianchi, in questo periodo estivo - fino alla fine di agosto, al Parco Terramaini di Cagliari e trasmesse in streaming.  Vi consiglio fortemente di seguirle.

La prima lezione potrete trovarla su Youtube: Vedi link,  per l'ultima lezione svolta in ordine di tempo  Vedi link

Amadio Bianchi è il Fondatore della Comunità Mondiale Yoga e Ayurveda, Presidente del Movimento Mondiale per lo Yoga e l'Ayurveda, della Federazione Europea Yoga   ( https://www.europeanyogafederation.net/ ), della Scuola Internazionale di Yoga e Ayurveda C.Y. Surya, Vice Presidente della International Yog Confederation di New Delhi, membro fondatore della European Ayurveda Association, Consigliere della United Consciousness Global, Membro del Global Council of Hindu Leaders, Coordinatore Nazionale per l'Italia della Hindu Acarya Saba.

Nel gennaio 2014 a Dubai per un'importante conferenza internazionale, è stato insignito del titolo di Ambasciatore dello Yoga e dell'Ayurveda.

Ha operato in Italia, India, Grecia, Francia, Lettonia, Lituania, Slovenia, Spagna, Svizzera, Croazia, Portogallo, Argentina, Romania, Polonia, Brasile, Bulgaria, Germania, U.S.A., Slovacchia ecc. È spesso presente in importanti congressi come relatore.  Ha scritto numerosi libri dedicati allo yoga e alle discipline ayurvediche, sotto sono riportati alcuni titoli:

  • La scienza della vita. Lo yoga e l'ayurveda,
  • Apprendere dal passato, vivere il presente e prepararsi al futuro,
  • Marmani. I 107 gioielli della medicina ayurvedica
  • Salute, famiglia e benessere personale
  • Nel respiro il segreto della vita. Rieducazione alla respirazione
  • Ayurveda. Una scienza per la salute. Diagnosi e terapia alla portata di tutti
  • La gioia di vivere. Con lo yoga e la yogaterapia

martedì 27 luglio 2021

La rete della vita - Fritjof Capra

Vedere anche il testo  Il punto di svolta. Scienza, società e cultura emergente di  Fritjof Capra.

Fritjof Capra fa parte di quel gruppo di scienziati degli anni ’70 che affrontò la fisica su basi nuove, sviluppando un particolare interesse per le spettacolari e contro-intuitive conseguenze della meccanica quantistica.  Nel Tao della fisica sosteneva l’esistenza di un collegamento tra le tesi dei padri fondatori della fisica quantistica e gli assunti di alcune religioni orientali, tra cui soprattutto il taosimo e il buddhismo. Il suo libro divenne una Bibbia nei campus universitari californiani, dove in quegli anni gli studenti sognavano di cambiare il mondo e condividevano le visioni offerte da Capra nel suo libro. Rispetto a quegli anni, lo scrittore è diventato oggi meno radicale, e nel testo La rete della vita propone una rilettura della storia evolutiva dal punto di vista della cooperazione. 


Attraverso i mondi della storia della filosofia, della scienza, della chimica e della biologia,  Capra propone una nuova visione della vita intesa come trama, rete di relazioni in evoluzione a cui tutti gli organismi viventi si collegano, e interpreta la natura e gli esseri viventi come “sistemi viventi” dove il singolo è strettamente interdipendente dai suoi simili e dal sistema tutto. 
L’approccio meccanicistico era caratterizzato dall’importanza data alle parti, mentre la nuova visione ecologica mette in risalto il tutto. L’autore dimostra come i modelli deterministici ereditati da Newton e Cartesio si siano rivelati sempre meno adatti a favorire la comprensione del mondo e degli individui: "è necessaria una nuova visione sistemica della vita che si fondi sulle relazioni e la somma di queste relazioni, che legano le dimensioni della psiche, della biologia, della società e della cultura, e porti alla configurazione più appropriata che è quella della rete".
La trama della vita è composta da reti che si intrecciano con altre reti, la tendenza comune è quella di ordinare questi sistemi all’interno di sistemi più grandi, secondo una struttura gerarchica, ma ci si accorge che in natura non esistono gerarchie, ma solo reti dentro reti.  Il fenomeno della vita per essere compreso deve essere letto in termini di sistema preso nella sua totalità. In sostanza, “la vita non prese il sopravvento del globo con la lotta, ma istituendo interrelazioni”. 

La rete della vita propone una visione olistica della realtà e della natura simile a quella proposta da James Lovelock nel suo celebre volume Gaia, apparso negli anni ’70 in cui la Terra, “Gaia”, è un grande organismo capace di autoregolarsi con lo scopo di mantenere le condizioni affinché la biosfera, ossia la vita, possa prosperare. Capra scrive che l’evoluzione della vita dai microrganismi fino agli esseri macroscopici, come noi umani, non si è basata solo sulla competizione, ma anche sulla collaborazione altruistica, ed avanza una tesi che finora non ha trovato fondamento negli studi sull’evoluzione. Infatti, la selezione naturale, alla base del motore dell’evoluzione, non si fonda sulla cooperazione ma sulla competizione. 

Il successo dell’essere umano nel suo processo evolutivo, suggerisce Capra, si misura nella sua capacità di fondare comunità e suddividere i compiti tra i diversi membri così da garantire il successo della comunità nel suo insieme.  Stiamo già costruendo una “rete della vita” in cui ciascuno ha il suo ruolo, in una prospettiva di vantaggio per l’umanità nel suo insieme, un “superorganismo” che dovrà trovare infine il suo equilibrio con il resto della biosfera in cui vive. 

Alla maturità 2013 il Ministero dell’istruzione propose, nella scelta “tema libero”, un brano preso da questo testo; Vedi link. Che la cooperazione e la solidarietà tra individui sia la vera forza dell’evoluzione, è tema ancora aperto tra gli studiosi. Però ciò non toglie che la proposta di Fritjof Capra sia un’esortazione per il futuro, soprattutto dei più giovani. 

Cosa è la meditazione - J. Krishnamurti

Cosa è la meditazione?  Jiddu Khishnamurti asserisce che possiamo essere alla ricerca di qualcosa di cui conosciamo;  ma ammonisce "nella meditazione qualsiasi ricerca deve finire"

Gli yogi insegnano a meditare. Tutta l’Asia parla di meditazione, le persone si mettono dieci minuti seduti, si concentrano, fissano un’immagine e meditano, lottano per controllare la mente. 
E' questa la meditazione?
Per iniziare a meditare occorre disciplina per imparare ad osservare cosa avviene interiormenteIn questo processo c'è bisogno di una mente autonoma in grado di prendere coscienza di se stessi, delle proprie illusioni e contraddizioni, ecc. Se si osserva secondo uno schema non c’è auto-conoscenza. 

L'obiettivo è coltivare una mente ferma, tranquilla, attenta, silenziosa per osservare. La mente che osserva non cerca esperienze, osserva soltanto, libera da qualsiasi rumore, assolutamente quieta. Cercare di controllare la mente è una cosa assurda.  Solo il silenzio della mente vi permetterà di ascoltare in completo silenzio.

Quel silenzio della mente NON è possibile se il corpo non è tranquillo. Il corpo deve essere completamente fermo, immobile. Se si riuscirà a fare questo per soli due minuti, in quei due minuti tutto si rivelerà, se si è appreso ad osservare. Il corpo ha una propria intelligenza che la mente e l’intelligenza hanno distrutto indulgendo nel cibo, nel sesso, nelle medicine.


L’illuminazione non arriva tramite un maestro ma dalla comprensione di ciò che siete e di ciò che è in voi. Dovete iniziare questo processo con gioia e felicità senza sperare di raggiungere un risultato. 

Qualche monaco venuto dall’oriente vi ha proposto di fare meditazione e voi lo seguite per avidità. Ogni formula o sistema fa diventare il processo meccanico e ripetitivo. Se praticate diventerete quello che il metodo offre, che non è la verità. Non unitevi a nulla, nessun gruppo, nessuna organizzazione. Vi propongono spesso un Talismano in forma di parole.   

La verità è una cosa vera, il metodo è meccanico. 

Da una parte ci siete voi che praticate e dall’altra il metodo, quindi c’è divisione e conflitto. 

L'osservazione è un apprendere, l'esplorare è un accumulo di conoscenze.  

Perchè volete fare migliaia di esperienze? Perché la vostra vita è miserevole, e volete trasferirvi in un'altra dimensione. Come può una mente simile sperimentare altro che le sue proiezioni ed attività?

Nel processo di meditazione corpo, mente, cervello, e cuore (che si suppone associato all’amore) devono essere in totale armonia.  Krishnamurti esorta ad non intellettualizzare e incontrare quella strana cosa chiamata amore e senza paura. Altrimenti la meditazione diventerà autoipnosi.

Quale è il senso di questa vita, cosa c’è di buono in questo mondo? Tutto questo NON ha alcun senso, ma se nella vita riuscirete ad incontrare quella cosa straordinaria che è l’amore, allora tutto assumerà un senso, diventerete un maestro, una nuvola nel cielo, una foglia che vola nel vento.

Qualsiasi forma di descrizione non è la cosa descritta. Quindi non parlate dell'esperienza della meditazione. Nessuno può nominare ciò che non si può nominare, sia che si tratti del tutto o del nulla.   Chiunque lo descriva, non lo conosce. Chi dice di sapere, non sa.

Concludo con una domanda di J. Krishnamurti:
"L'amore può essere diviso in sacro e profano, umano e divino, o c'è solo l'amore?".

La sintesi dello yoga - Sri Aurobindo

Sri Aurobindo (1872 - 1950) è stato un filosofo e mistico indiano, considerato dai suoi discepoli un avatar, un'incarnazione dell'Assoluto. Poeta, scrittore e maestro di yoga, si distinse anche per il suo impegno politico in favore dell'indipendenza dell'India. Ho visitato la sua tomba, nel cortile interno dell'ashram di Pondicherry (India), un luogo dove si respira un'incredibile atmosfera di pace.  Al suo fianco è sepolta Mére, la sua collaboratrice spirituale che l'aiuto a fondare l'ashram.  Vedi link: Link - 1           Link - 2

La sintesi dello yoga è un testo scritto da Sri Aurobindo dove viene descritto lo yoga integrale, che è un orientamento di tutto l'essere, in ogni sua parte verso il Divino. Ne consegue che nella pratica spirituale, insieme alla devozione (bhakti yoga), devono esserci la conoscenza (jnana yoga) e l'azione (karma yoga).  La mera idea o la ricerca intellettuale di qualcosa di superiore, per quanto intenso possa essere l'interesse che suscita nella mente, rimane inefficace se non viene assunta dal cuore come l'unica cosa desiderabile e dalla volontà quale sola cosa da fare.

La ricerca spirituale mira ad uno stato di conoscenza che ci permette di raggiungere quest'eterno, infinito, assoluto, di entrare in Lui o di conoscerlo per l'immedesimazione. Questo stato di conoscenza che dobbiamo raggiungere è il Nirvana, l'estinzione dell'ego, la sospensione di tutte le attività mentali. Il mezzo è la meditazione.

Il pensiero serve solo ad esplorare il sentiero, Il conduttore del viaggio è la volontà. Solo eliminando la falsità dell'essere che appare come ego, eliminando l'ignoranza possiamo percepire questo assoluto. 

Esiste una conoscenza al di là del nostro intelletto, al di là dell'individuo e dell'universo. Esiste qualcosa di indescrivibile e inafferrabile in cui possiamo dissolverci abolendo la nostra personalità. L'assoluto, il Sé, il Supremo è il nostro più alto e più vero sé, è la Persona da cui siamo usciti nella nostra natura manifesta. Nemmeno la vita, la forza vitale è il vero sé, né la materia. 

Se si scopre il vero sé, si scopre che esso non è questa individualità creata, ma un essere universale nel rapporto con gli altri. Questa suprema esistenza non è condizionata né dall'individuo, né dall'universo. Non è né l'uno, né l'altro. E' neti, neti, né questo, né quello. E' indefinibile, senza attributi, senza relazioni.  L'oggetto dello yoga  e della conoscenza spirituale non può essere che questa eterna realtà, il Brahman.

Dobbiamo raggiungere una più grande coscienza, che la nostra semi-cosciente umanità non possiede, ed è possibile ottenerla solo con un'ascesa spirituale. Una coscienza segreta al di là della mente, nascosta nelle profondità dell'esistenza. La conoscenza che viene dai sensi e dal ragionamento intellettuale è solo una scienza delle apparenze. Infatti il jnana yoga serve solo a sgombrare il sentiero, il giusto modo di pensare diviene efficace solo quando è seguito dall'esperienza, dalla visione e dalla realizzazione. Le porte dell'anima possono aprirsi solo dall'interno all'esterno. L'osservazione di sé e l'auto-analisi sono un'importante ed efficace introduzione all'interiorità vera. 

"Conosci te stesso" è la parola d'ordine della vera conoscenza. La realizzazione consiste in tre successivi movimenti: la visione interiore, la completa esperienza interiore e l'identità con il vero Sé.  

sabato 24 luglio 2021

Prove di dialogo fra scienza e buddhismo - Istituto Mind and Life

Prove di dialogo fra scienza e buddhismo.  di Pier Luigi Lisi   vedi link

Uno degli aspetti più interessanti della diffusione del Buddhismo in Occidente è l’alto numero di scienziati che hanno partecipato ai dialoghi tra scienza e buddhismo. Una misura di questo è data dalle conferenze dell’Istituto Mind and Life, costituito nel 1991 dal presente XIV Dalai Lama, Tenzin Gyatso, il neuroscienziato Francisco Varela e Adam Engle, con lo scopo appunto di promuovere il dialogo tra la tradizione buddhista e il pensiero scientifico moderno.

Fisici di chiara fama, come Anton Zeilinger, Stephen Chu, David Finkelstein, astrofisici come George Greenstein, neurobiologi come Wolf Singer, Tanja Singer, Richard Davidson, Cliff Saron, Antonio Damasio, filosofi e sociologi come Charles Taylor, Michel Bitbol, Paul Ekman, Patricia Churchland, Alan Wallace, Daniel Goleman, Anne Harrington, Bunker Roy, biologi e genetisti come Eric Lander e Ursula Goodenough, hanno preso parte a questi incontri,  e la lista potrebbe facilmente arricchirsi fino a raggiungere un centinaio di illustri nomi di accademici. 

Inoltre, tali conferenze di dialogo si sono svolte non solo a Dharamasala, in India, la sede in esilio del Dalai Lama, ma nei maggiori centri accademici in USA e Europa, in grandi città come New York, Boston, Zurigo, Vienna, Chicago, e centri accademici tradizionali come il MIT, la Rockfeller University, la Wisconsin University, il Politecnico di Zurigo, diverse università romane.

Il possibile punto di contatto e dialogo tra il mondo della scienza e il buddhismo è reso più facile dall’atteggiamento estremamente aperto del presente Dalai Lama, che ha, notoriamente, un profondo rispetto e interesse personale per la scienza, tanto da dire “La mia fiducia nell’avventurarmi nella scienza è basata nel fatto che credo, che sia la scienza, che il buddhismo perseguano la comprensione della realtà della natura per mezzo di indagine critica. Se l’analisi scientifica arrivasse a dimostrare nel modo più conclusivo che certe affermazioni del buddhismo sono false, allora dovremmo accettare le conclusione della scienza e abbandonare tali affermazioni.

I buddhisti credono nella reincarnazione. Ma supponiamo che la scienza, attraverso una serie di metodi, riesca a dimostrare conclusivamente che la reincarnazione non esiste. Allora dobbiamo accettarlo.

Immaginate se una cosa del genere fosse stata detta da uno dei nostri Papi del passato a proposito dell’anima… Poi però, altrove, il Dalai Lama aggiunge qualcosa di molto acuto che gli permette di mettere le mani avanti: “Tuttavia, bisogna fare una chiara distinzione tra quello che non viene trovato dalla scienza, e quello che invece la scienza dimostra essere non-esistente. Dobbiamo accettare come non-esistente tutto quel che la scienza dimostra essere non esistente; ma quel che la scienza non riesce a trovare, è tutto un altro discorso.”  E aggiunge che un esempio di questo è dato dalla coscienza…

Perchè esiste questo interesse degli scienziati per il Buddhismo? C’è un terreno comune tra scienza e buddhismo? Può l’uno imparare dall’altro, e in che modo?

Il Buddha, nel V secolo a.C., aveva come fine ultimo la liberazione dell’umanità dalla sofferenza e dall’ignoranza. Il cammino proposto dal Buddha per affrancarsi dalla sofferenza, insita nella condizione umana, era un cammino per liberarsi della ignoranza. In tale cammino, nel Dharma, basato sulle quattro “nobili verità" enunciate dal Buddha, si trattava di trovare (con la cosiddetta illuminazione) la natura vera delle cose. Chiaramente, questo è un discorso di prassi filosofica ed etica. Si trattava quindi di un cammino in cui la retta cognizione e il retto comportamento morale sono i cardini principali. Ecco che il cammino del Dharma diventa anche un percorso di filosofia pratica.

La metodologia. Un possibile punto di incontro è dato dal fatto che sia il buddhismo, sia la scienza, hanno come cardine principale la sperimentazione. Questo è ben noto ovviamente nella scienza. Diceva Richard Feynman: “Il principio della scienza, quasi la sua stessa definizione è il seguente: il testo della conoscenza è l’esperimento. L’esperimento è il sole giudice della verità scientifica”.  Ed ecco come il Dalai Lama gli fa eco:  “Quando si pone il problema della validazione della verità di una certa asserzione, il Buddhismo pone la autorità più grande nell’esperienza, poi nella ragione, e per ultimo nelle Scritture”.  Questa non è solo l’idea di un Dalai Lama moderno, ma viene da molto lontano. Vic Mansfield cita il testo di un famoso Sutra (testo sacro), parole quindi ascrivibili secondo la tradizione al Buddha stesso, che recita:  "I monaci e gli studenti devono accettare la mia parola non per rispetto, ma devono analizzarla così’ come un gioielliere analizza l’oro, tagliandolo, fondendolo, incidendolo e strofinandolo”.

In effetti tutti i grandi maestri del Buddhismo insistono molto sul concetto che non si deve credere ciecamente alle scritture, né al proprio guru, ma che ci si deve basare soprattutto in quello che si trova con la sperimentazione personale. C’è la celebre immagine per cui “uccidi il Buddha se lo trovi sul tuo cammino”, che implica, che anche il maestro può essere un impedimento nel percorso che porta alla conoscenza.  

Un primo punto essenziale di differenza è il modo in cui sono sperimentate queste verità. La sperimentazione del buddhista è a livello soggettivo, di esperienza personale, non ha niente a che fare con i criteri di oggettività sperimentale Galileiana, o della inter-soggettività dei principi della scienza moderna. Uno deve convincersi di certe verità lavorando e sperimentando, ma solo su se stesso, magari con l’aiuto di un maestro, ma si tratterà sempre di una conoscenza in prima persona. Esiste un’esperienza mistica a seguito della meditazione? Non c’è modo di dimostrarlo oggettivamente: il maestro ti dirà di perseguire nella meditazione, fino a che tale esperienza profonda non ti arrivi: e se arriva, questa sarà incomunicabile al mondo esterno, nemmeno condivisibile a parole.  Con questo discorso si tocca anche un problema che è venuto recentemente alla ribalta anche nel campo più propriamente scientifico. Che valore si deve attribuire alle esperienze soggettive? Anche perché, secondo la visione della scienza moderna, l’osservatore non può più essere escluso dal risultato degli esperimenti. 

Comunque tra scienza classica e buddhismo c’è una differenza sostanziale: da una parte l’introspezione e la sperimentazione personale e soggettiva, dall’altro invece il discorso dell'oggettività o per lo meno della inter-soggettività. Questo è riassunto bene nella seguente citazione presa dal libro di Mansfield “Così’, si può vedere che, a dispetto delle similitudini riguardo all’autorità, alla ragione, e alla necessità della verificazione empirica con l’esperimento, ci sono differenze significative tra scienza e buddhismo. Questo non può essere una sorpresa, considerando che la scienza è lo studio della natura in tutte le sue forme, mentre il Buddhismo è primariamente rivolto alla eliminazione della sofferenza. Tuttavia, siccome la ragione della sofferenza è la nostra incapacità di comprendere la vera natura della realtà - che include il dominio della scienza - allora possiamo anche aspettarci profonde connessioni tra il Buddhismo e la scienza”.

Forse il punto di contatto più forte tra scienza e Buddhismo è nel concetto buddhista di vacuità . Il concetto di vacuità - è il fondamento della visione buddhista delle cose e della natura. Nella sua essenzialità, questo principio dice che tutte le cose e tutte le persone sono prive di un’esistenza indipendente, prive di una loro realtà intrinseca. Se tu cerchi qualcosa che abbia una propria realtà intrinseca, trovi il vuoto - la vacuità (da non confondere con il nulla). E questo è così perché ogni cosa e ogni persona dipendono da una serie di cause: l’albero dipende dal seme ma anche dal terreno, dalla pioggia, dalla temperatura, dal contadino…; e l’esistenza del contadino dipende dai suoi genitori, dal cibo che ha mangiato, dai suoi fornitori di cibo e di lavoro. Non esiste niente di indipendente, niente che abbia una valenza di realtà intrinseca, ogni cosa dipende invece da una rete multidimensionale di cause. Il concetto di emptiness è quindi anche equivalente alla causalità molteplice, ogni cosa, ogni persona, è il risultato di una catena lunga e complessa di con-cause. Il che anche vuol dire che, quello che è importante non è tanto la esistenza degli oggetti di per sé, ma le relazioni che determinano e definiscono tali oggetti. Ci avviciniamo con questo alla scienza moderna, in particolare alla visione sistemica della vita e della scienza. 

Secondo la visione sistemica, quello che è importante sono le relazioni tra le cose piuttosto che gli oggetti di per se stessi. Per esempio nella visione sistemica della biologia, la vita è un fenomeno d’integrazione, è data dalla rete di relazioni di tutti gli organi tra di loro, poi ogni organo è l’integrazione di tutte le cellule tra di loro, la vita di ogni cellula è data dalla intera rete metabolica, etc. La vita non è dovuta a una cosa, a una reazione, a una molecola: è la rete stessa. E così è per la società, per la natura, per l’ecologia (Vedi gli ultimi testi di Fritjof Capra). 

Si tratta in fondo di una visione non-riduzionista, che accomuna quindi strettamente la scienza moderna con la visione buddhista delle cose. Si deve notare – punto saliente nel Buddhismo - che tutta questa rete di dipendenza reciproca fa si che non ci sia una causa prima - quindi un Dio creatore.

Si deve aggiungere a questo punto un altro concetto importante della filosofia buddhista, il concetto di impermanenza. Tutto quello che nasce è destinato a morire. Non c’è niente che abbia valenza di eternità. E anche nell’impermanenza c’è una catena di causalità. Il concetto di impermanenza è quindi collegato al concetto di vacuità, e la molteplice causalità è la componente principale di entrambe le cose. Mansfield, dedica molte pagine al rapporto tra vacuità e meccanica quantistica. Afferma per esempio che le particelle elementari - elettroni e fotoni per esempio - sono indistinguibili l’uno dall’altro e quindi non possiedono una individualità intrinseca. Importante è il concetto di non-localizzazione  "un fotone non può essere chiamato particella, o onda, se non dopo che l’operatore ha usato un particolare congegno per svelarne appunto la natura, o come particella o come onda". Quindi l’essere onda, o particella, dipende da tutta una serie di con-cause esterne, tra cui l’operatore e il suo strumento di indagine. Non esiste quindi una realtà intrinseca di per sé della luce o dei fotoni.

Interessante è anche quello che scrive Mansfield a proposito dell’esperimento EPR (Einstein-Podolski-Rosen), sull’entanglement (intreccio) dei due elettroni sparati in direzioni oppose. Il fenomeno può essere interpretato affermando che un elettrone esiste in un particolare stato (per esempio di spin) a causa di una correlazione con un’altra particella, ma che lui stesso non ha un’intrinseca esistenza. L’EPR paper fu concepito come critica alla meccanica quantistica, giudicata incompleta da Einstein. Einstein dice “…..appare essenziale per questa configurazione di oggetti introdotti in fisica, che, in un certo tempo, questi oggetti richiedano una esistenza indipendente l’una dall’altra, una volta che tali oggetti giacciono in parti diverse dello spazio. Senza questa assunzione, che ha un’origine in ogni pensiero comune, il pensiero fisico che ci è familiare non sarebbe possibile…”.

Questo è molto interessante nel nostro contesto, perché rappresenta esattamente l’opposto di quanto affermato nel concetto di vacuità buddista. Giustamente Einstein si basa sul buon senso comune - ma è proprio questa imputazione di separabilità e di indipendenza, prodotti della nostra mente, che il Buddhismo condanna come fonte dell’ignoranza di cui dobbiamo liberarci per arrivare alla verità.

Un altro soggetto scientifico interessante, oltre a quello della meccanica quantistica, è fornito dalla teoria della relatività. Secondo la relatività einsteiniana, cose come il tempo, la massa, la lunghezza, l’energia, non hanno un valore assoluto, ma dipendono dal sistema di riferimento in cui tali grandezze sono misurate. Quindi, usando un linguaggio buddhista, si può dire che non hanno un’esistenza intrinseca, non hanno un’esistenza indipendente. Siamo quindi di nuovo al concetto di vacuità.

Dalla biologia alla coscienza.  Cominciamo con l’origine della vita sulla Terra. Su questo problema, il predicato principale della scienza è che la vita sia sorta dalla materia inanimata, e questo attraverso un lentissimo e spontaneo processo di aumento di struttura molecolare e funzionalità. E’ quindi un processo basato sul principio di continuità, per cui cioè c’è un graduale e omogeneo evolversi della materia, senza che ci sia trascendenza dall’esterno. Tale principio è in armonia con il discorso buddhista di una continuità di cause successive. Tuttavia la scienza moderna vede la vita come una qualità nuova, emergente rispetto alla materia inanimata, e tale salto di qualità non è contemplato dal buddhismo classico. Infatti, nel buddhismo si ha difficoltà ad accettare che a un certo punto dell’evoluzione sia venuto fuori qualcosa che prima non c’era, per esempio la mente, o la coscienza. 

In questa chiave, per quanto riguarda l’evoluzione Darwiniana, si dice che il Dalai Lama e il buddhismo in generale abbiano difficoltà ad accettare il concetto di mutazione random, in quanto questa appare come qualcosa che accade senza una causa. Qualsiasi mutazione, è contingente alla struttura pre-esistente e la sua particolare organizzazione.

Un’interpretazione della evoluzione puo' essere legata al concetto buddhista di karma. Questa è una causalità a livello etico - ed è connessa al concetto di reincarnazione. Le azioni cattive condotte in una vita – dicono i buddhisti - si trasmettono alla vita successiva, di generazione in generazione, così che ognuno di noi rappresenta l’accumulo di tutta una serie di azioni, positive o negative, compiute in tutte le vite precedenti. Con il concetto di karma e di reincarnazione, si toccano gli elementi più ostici del buddhismo, quelli con cui il nostro mondo occidentale scientifico ha più difficoltà. E questi due concetti sono a loro volta fondati – o strettamente correlati - a un altro concetto basilare, quello della coscienza sottile.

Per la nostra scienza esiste una diretta dipendenza tra cervello e coscienza – una specie di relazione diretta tra cervello, mente e coscienza. Ci sono due accezioni principali del temine coscienza nella nostra letteratura presente, che si rifanno alla celebre definizione del filosofo inglese David Chalmers. Secondo Chalmers, c’è il problema facile, e il problema difficile della coscienza, the easy and the hard problem. L’easy problem ha a che fare con gli aspetti cognitivi della coscienza, gli atti volitivi, coscientemente intenzionali, la coscienza di qualcosa (si chiama easy problem non perché sia facile capirne il funzionamento, ma perché almeno si vede una connessione con gli aspetti neuronali, meccanicistici del cervello). Poi c’è invece l’aspetto soggettivo della coscienza, la esperienza personale per esempio della sensazione del colore blu, della gioia, della paura… Questa è appunto l’esperienza individuale, incomunicabile, intima, che corrisponde veramente a un livello diverso di coscienza. E quando si raggiunge tale livello, e se ne ha la percezione, allora si può raggiungere un terzo livello, quello del sapere di sapere, cioè il livello auto-riflessivo della coscienza. E su questa dimensione di esperienza soggettiva della coscienza, l’hard problem, secondo Chalmers, non abbiamo una spiegazione. Non sappiamo neppure perché esista. La maggior parte della scienza neurobiologica vede tutti gli aspetti di coscienza come derivanti, in un modo o nell’altro, dal cervello. In questo senso anche l'hard problem ha una base materiale, ed è una proprietà emergente del cervello. 

Il mondo buddhista, il Dalai Lama in particolare, accetta la nozione che il cervello sia fondamentale per tutta una serie di atti di percezione cognitiva, a livello appunto di un livello più grossolano (gross level); ma poi c’è appunto per i buddhisti la subtle consciousness, che è la base stessa della illuminazione e dei meccanismi di reincarnazione. E appunto, il lato caratteristico è che questo livello di coscienza non ha, per il Dalai Lama, una base materiale.

E’ chiaro che la scienza moderna nella sua forma più tradizionale non può accettare il concetto di karma e di reincarnazione, né quello di una coscienza senza una base materiale - e quindi qui c’è un terreno di non-accordo. Il concetto di karma è correlato al comportamento morale, all’etica in generale, e questo è un punto essenziale del buddhismo, che non si ritrova nella scienza. Per questo, ritorniamo per un momento al concetto di vacuità, per cui tutte le cose, e tutte le persone, hanno un senso solo se viste e comprese in una rete di relazioni. Per il buddhismo, questa rete di relazioni porta al concetto di considerare il prossimo come parte di se stessi, a coltivare quindi sentimenti positivi per aiutare il prossimo nel cammino diretto a liberarsi della sofferenza. Porta a un concetto fondamentale del buddhismo, quello di compassion, il sentimento, coltivato e coltivabile, di empatia per la sofferenza altrui, e il desiderio di aiutare il prossimo nel cammino della liberazione dall'ignoranza e quindi dalla sofferenza.  Ovviamente per la scienza, la visione che gli elettroni siano particelle prive di individualità, etc., non porta necessariamente a una visione etica, a vedere il prossimo e la natura in qualche modo più ricco di moralità. Forse un’eccezione è data dalla visione sistemica della vita a livello della ecologia, dove appunto tale visione diventa coscienza di un rispetto per la natura e per il prossimo, anche per salvaguardare il futuro del nostro Pianeta. 

Riferimenti bibliografici

  • The Dalai Lama, The universe in a single atom. The convergence of Science and Spirituality. 2005.
  • Sidney Piburn, “A Policy of kindness. An Anthology of writings by and about the Dalai Lama”, 1990.
  • Vic Mansfield, "Tibetan Buddhism and modern physics", Templeton Foundation Press, 2008.
  • Richard Feynman, The physics lectures of Feynman on physics, 1989.
  • Pier Luigi Luisi, Mind and Life, Dialogues with the Dalai Lama on the nature of reality, 2006.
  • Fritjof Capra, The Hidden Connections, 2002.
  • Fritjof Capra and Pier Luigi Luisi, The system view of life.
  • Albert Einstein, “Einstein on locality and separability", 1949.
  • Humberto Maturana e Francisco Varela, The tree of knowledge, 1998.
  • David Chalmers, The Conscious Mind, 1996.
  • Michel Bitbol, "Is Consciousness Primary?", 2008.
  • Michel Bitbol and Pier Luigi Luisi, "Science and the Self-Referentiality of Consciousness", 2011.

A casa dello Yogi

 A casa dello yogi, esperienze di yoga nell'ashram italiano di Angelo Fanelli (2017).

In questo libro Angelo, che ho incontrato più volte proprio a Casa Yog (a Perugia, vedi link https://www.casayog.com/ ), descrive il suo incontro con il Maestro Gyanander e riporta le esperienze delle persone che hanno frequentato l'ashram, da quando è stata fondato, il 9 luglio 2005 ad oggi. 
Parla di come Gyanander è arrivato in Italia nel 1986 per il grande meeting organizzato dalla rivista Astra a Riva del Garda (Trento). E descrive l’esperienza del Samadhi di Gyanander a Riva del Garda che è stata documentata anche da Paola Giovetti in “Miracoli e magia”, sulla rivista Astra, novembre 1986. Paola Giovetti è una delle più grandi esperte di spiritualità ed esoterismo in Italia.  Il Samadhi o Turya è lo stato supremo dello Yog durante il quale lo yogi è in grado di sospendere le sue funzioni vitali, condurre la propria mente ad un livello di concentrazione così profondo e totale da sciogliere totalmente la distinzione tra osservatore ed osservato, tra interno ed esterno, tra passato, presente e futuro.  Poi lo stessa esperienza fu condotta in una stanza di ospedale sotto stretto controllo medico, e riportata sempre sulla rivista Astra nel febbraio 1988. Dopo quattro ore gli elettrodi rilevavano la temperatura di Gyanander a 26 gradi, battito cardiaco nullo, capacità di resistenza epidermica aumentata. Sulla base di questi dati vennero formulate quattro ipotesi: Gyanander è morto, ha fermato il cuore, ha staccato gli elettrodi, la macchina non funzionava. Durante l'esperimento Gyanander è rimasto per quattro giorni in quella posizione, quando si è risvegliato era in perfetta forma e solo i valori del sangue e delle urine erano un po’ alterati, e che si sono ristabiliti dopo due giorni.

Angelo descrive anche l'importanza di praticare yoga per noi occidentali: "Qualsiasi forma di esercizio che prevede l’impiego di qualcosa di più delle semplici dita su una tastiera è un grosso aiuto per sopravvivere nel caos del mondo attuale. Qualsiasi yoga, vannamarchizzato o meno. Un’altra cosa è quando ci poniamo il problema di capire cosa stiamo cercando". 
Soprattutto nella società odierna dove imperano i media e i social network  e dove è prioritario "Partecipare ad eventi sociali, condividere su Facebook, cercare su Internet, localizzarsi e localizzare altri con lo smart-phone, allungare la lista delle amicizie, accumulare "Like", cliccare, cliccare… (...). 
Una gigantesca giostra che gira gira gira e ad ogni giro nasconde sempre di più la stessa domanda: come mai in questa montagna di relazioni non riesce a partorire il singolo topolino di un vero contatto con gli altri? Un contatto vero: come mai non si riesce a coprire la distanza che ci separa dall’incontrarci, dal conoscerci? Selfie dopo Selfie, post dopo post, quello che se ne va è tutto ed ogni cosa. Messaggi, email, sms, WhatApps, faccine, links. Un torrente inarrestabile che non fa che rendere più evidente, se sai guardarci dentro, lo scoramento che pervade un’intera civiltà, la nostra.

Noi occidentali cerchiamo semplicemente a sopravvivere, tentando di soffocare l’angoscia esistenziale in un mare di rumori, divertimenti, impegni e distrazioni di ogni genere per evitare di rimanere soli con noi stessi. Siamo terrorizzati dal vuoto e dal silenzio. Giocando con le emozioni più potenti (rabbia, paura, desiderio, ignoranza ...) possiamo arrivare a procurarci un mare di problemi supplementari e arrivare a danneggiare il nostro corpo o addirittura distruggere se stessi. Finiamo per temere talmente la morte da avere paura di vivere!  Anche le parole diventano spesso delle etichette inutili, ne siamo talmente ricoperti da non accorgerci più di questa spessa coltre che copre la realtà delle cose.

  
Casa Yog è uno spazio protetto dalle assurdità del mondo che accoglie gli esseri umani in cerca del loro silenzio. "Dopo qualche tempo di pratica la fatica principale consiste nell’uscire dall'ashram e addentrarsi nel mondo. Lo Yog ti permette di trovare la personale soluzione ai vari problemi. Una fatica nello Yog è quella di sforzarsi di non guardare il risultato, con lo Yog gli esercizi portano sempre allo stesso punto: al nulla". Parlando della propria esperienza Angelo si racconta: "Nei primi mesi di pratica delle asana, percepivo lo Yog a portata di mano, ad un solo palmo di distanza: potevo quasi toccarlo, tanto era vicino: Dopo sei mesi, avevo coperto quella distanza, ma a quel punto lo Yog si trovava cento metri più avanti. Impiegai un anno a percorrere quei cento metri, e subito mi accorsi che lo Yog era in realtà a dieci chilometri. Dopo anni, con fatica, errori, ingenuità e ripetizioni, sono riuscito a percorrere quei 10 chilometri. Adesso, ho timore ad alzare lo sguardo".
A differenza dello yoga vannamarchizzato che si concentra esclusivamente sull’esercizio fisico, la pratica dello Yog incorpora diverse pratiche che non toccano direttamente il corpo, quanto piuttosto l’equilibrio della mente che hanno come obiettivo di: calmare il flusso incessante di pensieri, preoccupazioni, affanni e raggiungere un livello superiore di armonia, pace, quiete. Oltre l’alfabeto delle asana ci sono i kirtan, i mantra  ossia pratiche che tendono ad agire sull’equilibrio psicofisico.

Lo Yog non è un impegno in agenda, ma un luogo fuori dal mondo. Lo Yog è un riscoprire che l'agire sul corpo, in sintonia con esso, è un modo diretto, semplice ed intuitivo per arrivare al silenzio interiore. L'obiettivo è cercare di fare sempre di meno, diventare più sensibili, meno violenti nel e con il corpo (e, di conseguenza, anche con il prossimo!), più aperti all’ascolto della propria quiete. Yog quindi come unione con il silenzio, lentezza, delicatezza, cautela, rispetto che sono i veri e propri frammenti del DNA dello Yog.  Nello Yog bisogna imparare a gestire le emozioni, gestire meglio il corpo e la mente in una realtà relativa sempre più complicata. Attraverso lo yoga si intuisce come mente/determinazione influeinzino ogni nostra esperienza. L'obiettivo dello Yog è ritrovare il nostro stato naturale, la nostra reale identità che è SAT CIT ANANDA (esistenza, verità coscienza, consapevolezza e beatitudine ).

 Molte persone con sofferenze psichiche o fisiche si avvicinano a Gyanander. Il dolore, per l’essere umano, è come Google, un motore di ricerca. Senza il dolore, in questo mondo l’uomo non cercherebbe nulla. Qualcuno ricerca per intelligenza, ma sono pochi. La maggior parte ricerca per sofferenza: in genere chi si avvicina allo yoga è perché sta male, fisicamente o psichicamente ed ha grandi difficoltà ad ascoltarsi. Pochi iniziano a praticare per cercare un significato diverso della vita. Lo Yog ti aiuta a capire che il dolore è importante, serve per ascoltarti, per sentirti.

Quale è la differenza tra lo yoga vannamarchizzato e lo Yog?

  •  Nel primo caso gli allievi e istruttore sono caratterizzati da differenze minime nel loro livello di esperienza e qualità delle vibrazioni (la differenza è che il primo ha seguito un corso di formazione di un mese in India). L’avere degli allievi consente all'istruttore di trovare la benzina per continuare, lui avanza e gli altri spingono. Un insegnante di yoga per quanto bravo non è un Maestro, e non tutti i maestri sono uguali, o adatti a qualunque persona. Non possiamo affidare il nostro corpo a qualsiasi persona.
  •  Nel secondo caso, quello dello Yog, Maestro e discepoli sono separati da una distanza siderale, Maestro e discepoli cercano di incontrarsi, sperimentando questa distanza che forse un giorno si colmerà. Il Maestro è un costante richiamo a ciò che l’essere umano può diventare. Lo Yog è una speciale vibrazione che si espande nel tempo e nello spazio rendendoli più armonici, sollevando il mondo dal caos.  Purtroppo la parola Maestro non è molto amata dagli occidentali e purtroppo lo Yog, è un contesto in cui la logica abnorme del consumismo non funziona, e se ti va bene non concludi niente di significativo. Per avanzare nello Yog bisogna trovare una buona relazione con un Maestro autentico, basata sulla fiducia.

 Lo stile dì insegnamento di Gyanander è quello di dare solamente delle indicazioni a voce sulle posture da tenere, istruzioni minime, lasciando a ciascuna persona la libertà di muovere il proprio corpo secondo ciò che si sente. Corregge raramente una posizione sbagliata, questa scelta crea un enorme spazio che ciascuno può occupare, non c’è un giusto o sbagliato, ma solo un corretto per te. Il corpo è un dono. Proteggilo. Abbine cura.

Poi Angelo descrive la cerimonia del kirtan che si celebra mensilmente a Casa  Yog: "Quando ho partecipato per la prima volta al kirtan, entrando nella sala ho trovato una trentina di persone sedute che cantavano mantra all’unisono mobilitando una massa di energia impressionante, semplicemente accompagnati dal suono di un semplice tamburo. In una mente razionale il primo pensiero che emerge è la paura, che ripetere in maniera ossessiva questi mantra si rischia di lasciarsi ipnotizzare, questo però ti porta inevitabilmente ai margini dell’esperienza, a starne fuori, e quindi  pur rimanendone affascinato, ad essere spettatore".  Il kirtan, che si basa sul canto di veri mantra, è il momento di liberazione delle emozioni, o d’incontro con un lato nascosto del proprio sé. La modalità tradizionale praticata a Casa Yog è fatta con l’ausilio della cimta (uno strumento musicale che assomiglia alle molle del camino con piccoli piattini metallici) e il pakhawaj (un tamburo orizzontale con due facce contrapposte che si suona sia con la mano destra, che con la sinistra).  Il kirtan è un’estensione di ciò che avviene all’inizio o alla fine di ogni lezione di asana ossia il cantare per tre volte l’AUM ( o OM ) che è il cuore dello Yog, la sillaba sacra.

Poi l'autore sottolinea il Non senso della vita in questo periodo storico: "Per le aziende, le persone l’avidità è eletta a principio regolatore, per mantenere questa curva esponenziale non rimane che concedere al drago il pianeta e le sue risorse".  Sottolinea inoltre, l'ignoranza e la confusione totale che regna in Occidente, mangio pesce e sono vegano, ho già l’iniziazione e il mantar. 

Inoltre, in Occidente c’è la ricerca ossessiva di diplomi e certificazioni invece di ricercare una strada per ottenere la pace e per uscire dal caos. "Oggi il karam di tutto il mondo è peggiorato, aumentano le malattie, l’alimentazione è inquinata…, in questo periodo di kali yuga, dove tutto è inquinato, anche mentalmente, ognuno deve cercare di migliorare se stesso. Lo Yog è una perla preziosa: dire Yog è dire vita perchè può curare il mondo, la società, e, alla fine, ognuno di noi. Ma se siamo noi, la società, il mondo, a vannamarchizzare lo yoga, allora lo Yog non diventa altro che una perla si, ma da sbriciolare sotto i denti e sputare sul marciapiedi".

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Appendice.   

Il Gayatri Mantra noto come Savitri mantra, dedicato a Savitri: il Sole: OM Bhr bhuva svah Tàt savitur vàre(i)yam,  Bhargo devasya dhmahi Dhiyo yo na prachodayt.                                                        La traduzione di Swami Vivekananda è la seguente: “Meditiamo sulla gloria di colui che ha creato questo universo; che Lui possa illuminare le nostre menti".

OM TAT SAT, queste tre parole, designano il Brahman. Il pravana, la sillaba sacra OM è il suono primordiale della creazione, l’eco inesauribile del Brahman, il principio assoluto, TAT si traduce con il pronome dimostrativo quello, il disvelato, SAT è il participio presente del verbo essere ed indica “Ciò che è”.  

Introduzione al Blog

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