venerdì 24 febbraio 2023

L’essenza del Qi gong di Ke Yun Lu

 Dal testo di Ke Yun Lu, L’essence du Qi gong, 2004.

Il testo più antico sul Qi gong è stato scritto 4 o 5 mila anni fa. La popolarità del Qi gong designa inevitabilmente il desiderio dell’uomo di ritrovare l’armonia con la natura in un’epoca dove la vita moderna è piena di contraddizioni e di confusione e dove è difficile trovare un equilibrio. Il Qi gong è la forma più semplice ed efficace per rilassarsi, liberarsi dalle tensioni e riaggiustare l’equilibrio corpo e mente e ritrovare la loro armonia originale con l’universo.

La vera essenza del Qi gong, consiste in qualcosa oltre le forme o esercizi di respirazione, è un’attitudine verso la vita e il nostro sistema energetico.

La pratica del Qi gong è nata dalla filosofia naturale originaria della Cina, il Taoismo. In Cina si trovano delle scuole di Qi gong di origine buddhista, taoista, confucianesimo, medico, marziale, e popolare. Per entrare in contatto con le discipline orientali, zen o altro occorre cambiare il modo di pensare!  Occorre sbarazzarsi di tutto il sapere accumulato”. E' famosa la storia del maestro zen che comincia a versare del tè nella tazza del visitatore fino a debordare. Il presupposto ad accogliere questi insegnamenti è la vacuità, ossia una reale umiltà, che non contiene nessun pregiudizio, né preoccupazione di fronte alla novità. Uno stato di completa ricettività spirituale.
Quando siamo completamente rilassati e privi di qualsiasi desiderio, si diventa ricettivi agli insegnamenti e all’ispirazione. Per arrivare a questo occorrono anni di duro lavoro.
Il Tao Te King è l’opera classica del Qi gong taoista ed ha esercitato una grande influenza sulla cultura cinese. Altre opere classiche del Qi gong sono I Ching e il Huangdi Nei jing, il classico della medicina (scritto nel II secolo A.C.).
La saggezza che è chiamata “natura di Buddha” nei testi buddhisti, esiste in ciascuno di noi.
Il wu shu è direttamente associato ai principi del Qi gong, tra le forme varie, le più conosciute sono il tai chi (taiji) e il tai chi della spada. L’essenza del tai chi non risiede nei movimenti, benché abbiano la loro importanza. E’ legata alla coscienza dello spirito (mente) e al chi (qi o energia). Semplificando, le differenze che intercorrono tra il Qi gong e il Tai chi sono le seguenti:  Il Tai chi è un' arte marziale (chuan, pugilato) che basa essenzialmente la sua pratica sul controllo del qi. il Qi gong è una pratica che usa il qi per fini salutistici.

Lo zen parla di illuminazione che proviene da uno stato di pace della mente, e di lasciar andare tutte le preoccupazioni, che includono anche le restrizioni. Se noi abbandoneremo l’attaccamento, le preoccupazione e le restrizioni e i pesi psicologici conosceremo un momento di illuminazione ed entreremo in uno stato superiore dell’essere.
La pratica di Qi gong elementare comincia generalmente con delle forme. Queste forme sono delle sequenze di movimenti che controllano la circolazione del qi, permettendo ai praticanti di aprire i loro meridiani al fine di poter efficacemente rinforzare il corpo. La senza forma è la via ultima della pratica, e si riferisce soprattutto ad uno stato mentale, uno stato dell’essere. Se voi mantenete uno stato della mente naturale, quella che sia la forma che voi praticate è senza forma. Se possiamo ritornare allo stato naturale dell’essere originale e ritenerlo, si dice che si conosce l’illuminazione, che è lo stato autentico del non agire. E’ uno stato di alto livello di realizzazione del Qi gong, che può sembrare semplice ma è molto difficile a ottenere. Nella pratica spirituale, l o scopo del praticante è raggiunge una totale libertà e la liberazione ultima

Che cosa è l’illuminazione per queste discipline? E’ il ritrovare la consapevolezza del nostro essere originale. Che cosa è l’essere originale? E’ la nostra natura di Buddha, Che cosa è la natura di Buddha? E’ il nostro potere divino. Che cosa è il nostro potere divino? E’ l’illuminazione. 

Siamo ritornati al punto di partenza. Il segreto è che tutti i cammini riportano all’origine, ossia al potere divino che c’è in noi. Se noi possiamo farne esperienza, noi comprenderemo facilmente i segreti del Qi gong. Nella pratica del Qi gong, il più importante obiettivo è di arrivare a conoscere e realizzare la nostra natura divina. E’ un potere formidabile con il quale si possono anche realizzare delle guarigioni miracolose. Quando ritorneremo all’origine, entreremo nello stato più elevato della coscienza.
La via dà la nascita all’unità, che cosa è l’unità, che cosa è il qi? E’ l’inizio, quelli che raggiungono l’unità, raggiungono il Tao, la Verità ultima.

Lo yoga secondo il Maestro Amadio Bianchi

Amadio Bianchi (Swami Suryananda Saraswati) è l'ideatore e fondatore della World Yoga and Ayurveda Community, Presidente del Movimento Mondiale per lo Yoga e l'Ayurveda, della European Yoga Federation; Vicepresidente della International Yog Federation di New Delhi; Membro Fondatore della European Ayurveda Association e della Scuola Internazionale di Yoga e Ayurveda C.Y. Surya; Coordinatore Generale della Confederazione Ufficiale Italiana di Yoga, Ambasciatore della The World Community of Indian Culture and Traditional Disciplines.

Amadio è un grande Maestro di yoga e ayurveda che negli anni è riuscito a creare un ponte culturale fra Oriente ed Occidente. Mobile e instancabile: si sposta tra India, Croazia, Grecia, Francia, Lettonia, Portogallo, Polonia, Slovenia, Spagna, Svizzera, Romania, Argentina, Brasile, Bulgaria, Canada.  Lo hanno voluto nel tempo diverse trasmissioni televisive e radiofoniche quali: TG 2 "Costume e Società", Rai Uno Mattina, Vivere Meglio - Rete 4, "La vita in diretta" - Rai 2, "Monitor Popoli" - Sat 2000, Tg regionale - Rai 3, "Salute e Benessere" - Radio Sole 24, Totem - RTL 102.5, Mediolanum "Le buone notizie" - Mediolanum Channel, ecc.

Ha all'attivo diversi libri: La scienza della vita, Nel respiro il segreto della vita, Ayurveda: una scienza per la salute, La gioia di vivere con lo Yoga e con la YogaTerapia.

Una terza proposta interpretativa, appunto, si ravvisa nella parola “fusione” che per lo yoga rappresenta il livello coscienziale d’esperienza relativamente più avanzato che, di solito, segue la completa realizzazione dell’unione psico-fisica. In questo stadio il soggetto dopo aver preso atto dell’interrelazione dinamica esistente tra sé e ciò che lo circonda, la realizza fortemente anche come sensazione.  Ciò vale a far cadere le ultime resistenze e contrarietà verso aspetti della manifestazione, naturalmente anche verso gli uomini, sentendosi in fusione ed a loro legato da qualcosa di comune. Cambia a questo punto la sua visione del mondo. Le parole amico, nemico o indifferente vengono sostituite da favorevole, sfavorevole o neutrale e, per conseguenza, si presenta in lui una più evidente stabilità emotiva.

Le memorie, soprattutto attraverso la pratica della meditazione, vengono anch’esse riorganizzate e spogliate dall’aspetto emotivo.Il pesante fardello, che in molti casi costituisce il deprimente passato, viene sciolto e spesso si nota lo scomparire dei sensi di colpa. L’individuo può così incamminarsi verso un quarto stadio di realizzazione che lo porterà a cercare la gioia duratura e ciò che sta oltre l’ordinario, ovvero il trascendente. Lungo la via potrebbe sperimentare la suprema quiete, conoscere e riposare nella vera essenza del su essere. Attraverso una continua meditazione sul vero Sé, che è pura coscienza eterna ed al di là del complesso psico-somatico e delle oppressioni mondane, egli potrebbe giungere alla libertà. Nel pieno successo di questa fase il soggetto dovrebbe tornare ad integrarsi, o meglio si reintegrerebbe nella collettività, si pensa privo di resistenze e con una chiarissima visione della realtà.

Per concludere questa parte devo per di più affermare che la scienza dello yoga esige di insegnare un metodo che permetta di conseguire l’unione completa del Sè, cioè della realtà spirituale presente in ognuno di noi con quella universale la cui costituzione sarebbe, secondo una ipotesi dell’antica letteratura, realtà, coscienza, beatitudine (sat-cit-ānanda).  Questa unione sarebbe l’unico vero yoga. Il punto da dove si parte per questa esperienza. Uno stato di coscienza nel quale i mistici si propongono di incontrare e conoscere Dio. Un percorso, forse a ritroso, per mezzo del quale il generato, per così dire, ritornerebbe nel grembo del generante, anzi fondendosi nella stessa natura di quest’ultimo sicuramente perdendo la sua identità individuale

Atha yogānuśāsanam: ora, l'insegnamento dello yoga.  Con queste parole ha inizio il Samādhi Pāda, il primo capitolo inerente gli Yogasūtra, o aforismi dello yoga di Patañjali il quale, attraverso questo scritto, interpreta e si impegna a trasmettere i fondamenti di questa scienza. Prima di lui era stata principalmente tramandata in successione (paramparā), bocca-orecchio, come solitamente “si suol dire”, da guru a śiṣya (da maestro ad allievo). A questo scritto ed al suo autore di datazione incerta (fra il II secolo a.C. ed il IV d.C.) fa oggi riferimento lo yoga considerato classico.

Affermo che uno ed indivisibile è lo yoga anche se oggi ci appare in tante forme e con tanti nomi. Nel mio primo libro, La scienza della vita - Lo Yoga e l’Āyurveda (SpazioAttivo 2010), scrivevo a pagina 104: "L’errore nasce quando si inizia a pensarsi nel giusto o si crede di tenere l’unica verità in pugno senza tenere conto che l’uomo è impossibilitato per sua natura a liberarsi del soggettivo. Continua in tal modo a frazionare la “Unica Verità” in tante parti offrendola come intero, magari in buona fede, senza rendersi conto di quello che sta facendo. Già nel Ṛgveda, il più antico dei testi a cui l’India fa riferimento, si legge: ekaṃ sat viprā bahudhā vadanti: Esiste una sola verità, ma i saggi la chiamano con nomi diversi.   Anche se, ai tempi nostri, a volte mi pare che la saggezza non sia sempre “di casa”...    Tornando a parlare di yoga classico, Patañjali, con i suoi quattro capitoli:
    1) samādhi Pāda, relativo alla realizzazione trascendentale ed alla Consapevolezza;
    2) sādhana Pāda che tratta la disciplina e la realizzazione pratica;
    3) vibhūti Pāda, inerente il risveglio dei poteri spirituali siddhi;
    4) kaivalya Pāda, sulla realizzazione dell’aggiogamento ascetico;
presenta l’Aṣṭāṅgayoga, yoga dalle “otto membra” o, se vogliamo considerale come un preciso percorso di realizzazione, yoga delle otto fasi o stadi. 
Esse sono:     
---- Yama: le 5 astinenze:
    ahiṃsā: non violenza, prima norma etica, prescrizione che si deve osservare e realizzare per poter proseguire lungo la via della realizzazione;
    satya: veracità, consiste nella coerenza di parole pensieri ed azioni;
    asteya: astensione dal furto, dal prendere cioè ciò che non ci appartiene ma anche sopprimere in sé addirittura il desiderio di tale appropriazione;
    brahmacarya: controllo dell’istintualità, ovvero castità: primo passo dell’itinerario ascetico;
    aparigraha: non avidità, non possesso.
---- Niyama: le 5 osservanze o adempienze
    śauca: pulizia, purezza fisica, mentale e spirituale;
    saṃtoṣa: stato di contentamento, l’accontentarsi;
    tapas: esercizio al sacrificio, il calore dell’ascesi o aspirazione ardente;
    svādhyāya: studio di sé, riflessione e meditazione, lettura delle sacre scritture;
    īśvarapraṇidhāna: abbandono al Signore o al “Superiore”, offrire le proprie azioni o meglio il frutto delle proprie azioni al Signore o al “Superiore.

--- Āsana: termine maschile normalmente tradotto con postura. Deriva dalla radice del verbo sanscrito ās che significa 'sedersi' o 'stare seduti', maggiormente attribuibile, dunque, all’atto della meditazione. Oggi tuttavia ha assunto anche il generico significato di posizione. Ricordo comunque, che nella attuazione della pratica anche dello haṭhayoga, lo yoga del sole (HA) e della luna (ṬHA), considerato nell’epoca attuale l'espressione un po’ più fisica di questa disciplina, non si deve mai dimenticare un essenziale presupposto, come già affermavo nell’introduzione di questo stesso saggio: è yoga quando la parte fisica e la parte non fisica sono entrambe presenti mentre non lo è quando si compiono azioni dove una di queste due parti, in particolare quella non fisica, non sia equamente presente, ed è yoga, inoltre - come asserisce Patañjali - quando si esercita il controllo delle modificazioni della mente emozionale.  Gli āsana sono prevalentemente statici e l’autore degli Yogasūtra afferma che dovrebbero essere sthira-sukha: stabili e confortevoli, riferendosi anche all’attitudine interiore. Ci sono, tuttavia, anche pratiche dinamiche tra le quali eccellono i sūryanamaskāra o saluti al sole.

--- Prāṇāyāma: con questo vocabolo, in generale, nell’ambito dello yoga, si fa riferimento agli esercizi che hanno come obiettivo l’addestramento alla respirazione. Nella cultura hindū però tale termine sanscrito può avere, a volte, un significato più ampio e più profondo.L’interpretazione del vocabolo maggiormente in uso nelle scuole di yoga, tende a suddividere la parola prāṇāyāma in due parti: prāṇā e āyāma ovvero controllo (āyāma) dell’energia vitale (prāṇa). Tale traduzione ben si sposa con gli esercizi di respirazione a cui si riferisce.  Il prāṇāyāma viene proposto negli Yogasūtra di Patañjali al quarto livello dell’Aṣṭāṅgayoga o Rājayoga. Esso, tuttavia, viene menzionato anche nell’Haṭhayogapradīpikā come secondo stadio dello haṭhayoga e nella Gheraṇḍasaṃhitā, dove costituisce il quinto sādhana o pratica. Nella più rigorosa tradizione, viene consigliato di praticarlo ben quattro volte al giorno: all’alba, a mezzogiorno, al tramonto e a mezzanotte. L’orario che personalmente ritengo più idoneo in assoluto, in armonia con il dinacaryā o ritmo naturale della giornata, è quello dell’apice della forza di trasformazione pitta, il doṣa relativo alla combustione e alla metabolizzazione, cioè fra le dieci del mattino e le due del pomeriggio con apogeo a mezzogiorno. Le tre fasi del respiro, pūraka (inspirazione), kumbhaka (sospensione) e recaka (espirazione), devono essere sviluppate nel rispetto - ma questo dovrà valere sempre per ogni pratica dello yoga - in particolare dell’ahiṃsā (non violenza) e anche di tutte le altre indicazioni fornite dagli yama e niyama. Si raccomanda dunque di usare sia moderazione sia dolcezza e di evitare eccessi che potrebbero danneggiare l’apparato respiratorio o il sistema nervoso ad esso strettamente collegato. Soprattutto le pratiche avanzate, poi, devono essere eseguite sotto la guida di un Maestro, o almeno di un esperto, per evitare i rischi che una applicazione da autodidatta può comportare, specialmente per le due fasi di sospensione antarakumbhaka (ritenzione a polmoni pieni) e bāhyakumbhaka (astensione a polmoni vuoti).

--- Pratyāhāra: il quinto gradino dell'Aṣṭāṅgayoga di Patañjali, fa riferimento allo stato di interiorizzazione o astrazione nel quale il soggetto si disidentifica dalle attività sensoriali o, a più alto livello, dall’attività della mente inferiore. La propedeutica è costituita da tecniche che promuovono l’introspezione, dove il praticante sperimenta il distacco dalle impressioni provenienti dall’esterno o da quelle che sono nella sua mente.

--- Dhāraṇā : concentrazione che, in genere, prelude alla meditazione; aggregazione delle facoltà della mente verso un solo punto o oggetto. Questo esercizio facilita la cessazione dell’attività sensoriale. È il primo degli antar-aṅga o stadi, per così dire, più orientati all’esperienza spirituale. Gli ultimi tre aṅga, sono chiamati nel loro insieme anche saṃyama, alludendo alla disciplina della concentrazione della mente.

--- Dhyāna: “meditazione”, ho disposto questa parola fra virgolette poiché mi sembra doveroso, come al solito, precisare che le parole meditare e meditazione sono usate impropriamente se riferite a questo genere di pratiche. Tali termini, infatti, discendono dalla parola latina “mens” e si riferiscono inequivocabilmente al “mentale” ed alla sua attività. Ciò che qui s’intende conseguire con le esperienze interiori è sicuramente volto in altre direzioni: sperimentare il mentale nel tentativo di superarlo e giungere a stadi “sovraordinari” di contemplazione che coincidano con stati di coscienza diversi da quelli comuni, nei quali l’uomo si identifica con il contenuto della sua mente.  Ci tengo a sottolineare una volta in più, che, quando siamo nel mentale, siamo sempre a contatto con ciò che è già avvenuto, anche se prodotto dai sensi pochi istanti prima. Le vie indiane sono impegnate da migliaia di anni nel tentativo di riportare l’uomo nel presente proponendone la sperimentazione nella coscienza. Anche per questo, un termine più adatto per definire tali pratiche potrebbe essere “contemplazione”. E, specialmente nelle tradizioni dell’India, la contemplazione assume una grande importanza al punto da essere considerata determinante, nelle pratiche spirituali, ai fini dell’illuminazione. La pratica considerata più produttiva dalla maggior parte dei maestri è tuttavia quella che sviluppa il vairāgya o distacco. Questa, che promuove la capacità di contemplare il proprio mentale, senza venirne coinvolti, è reputata la via della conoscenza.  Il vairāgya consente, a mano a mano che l’abilità del meditante si fa più raffinata, di affrontare gli strati più profondi del subconscio e dell’inconscio liberandoli per riviverli nuovamente nel conscio. In questo modo, senza coinvolgimento, possiamo conoscere la loro vera natura e origine e liberarci dalle impressioni che li rivestono. Essi torneranno ad essere utili come memoria-esperienza, ma non saranno più in grado di creare disturbo ne impedimento all’esplorazione di ciò che sta oltre il mentale. Trascendere il mentale, porta a conoscere la natura essenziale e reale delle cose, non più rivestite dalle sovrastrutture costruite dall’ego. È questa la via considerata della liberazione e conoscenza.

--- Samādhi : lo stato dell’estasi. Mi viene da dire che il samādhi di cui si parla non è un vero samādhi. Si può intuire che si tratta di uno stato dell’essere che va al di là della veglia, del sogno e del sonno profondo. Esiste nella meditazione lo stadio iniziale nel quale lo yogin dispone di una concentrazione a carattere soggettivo dove egli non ha ancora chiara coscienza di se stesso; un’altra fase più oggettiva nella quale impara ad avere coscienza in maniera distinta sia di se stesso che dell’oggetto della concentrazione; ed infine la fase più alta, né soggettiva, né oggettiva, corrispondente ad uno stato di coscienza in cui lui stesso e l’oggetto della concentrazione sono la medesima cosa senza distinzione. Quest’ultimo stato di concentrazione-coscienza viene chiamato samādhi. Ed è in questo stato di perfetta trascendenza, non duale ed estatica, che si avrebbe l’opportunità di fare l’esperienza del brahman.   Nella mia personale pratica, che dura ormai da anni, ho beneficiato una sola volta, durante la meditazione, di uno stato estatico. Alla luce di questa mia esperienza, invito gli insegnanti yoga e gli studiosi ad adottare maggiore prudenza nell’esprimersi: con troppa leggerezza si parla di samādhi nelle scuole, cioè di cose di cui non si è fatta reale esperienza. Non ce n’è bisogno di puntare o parlare di estasi. Lo yoga è in grado sia di apportare meravigliosi cambiamenti nella personalità, per così dire psico-somatica, dell’individuo, sia di indurre una vita più consapevole, e direi che ciò è già un grande risultato.

Chi pratica yoga dovrebbe essere una persona equilibrata, ed dovrebbe essere cosciente della complessità del campo che sta esplorando. Talvolta ha l’impressione di trovarsi in una vasta area senza punti di riferimento e in queste condizioni gli risulta difficile affermare principi con certezza. Farlo potrebbe essere già sinonimo di fanatismo frutto di avidyā (non conoscenza, per non dire ignoranza)..

OMM - The One Minute Meditation - di Patrizio Paoletti

«La meditazione ha dei benefici confermati scientificamente». Il libro "OMM - The One Minute Meditation" di Patrizio Paoletti è una guida pratica e facile per conoscere se stessi e vivere felice. Per Paoletti non bisogna sottovalutare il potere racchiuso in un solo minuto. Un minuto per stare meglio.

È insegnante di meditazione riconosciuto nel panorama internazionale e creatore di diverse tecniche di meditazione, oggetto di ricerca psicologica e neurofisiologica, tra cui: “OMM The One Minute Meditation”, e "Quadrato Motor Training" e “OVO Camera di deprivazione sensoriale”, tecniche su cui sono state realizzate diverse pubblicazioni scientifiche. I suoi interessi di ricerca si incentrano sullo sviluppo armonico dell’essere umano, spaziando dall’indagine neuroscientifica sulla coscienza, agli strumenti didattici più efficaci per realizzare i processi di Lifelong Learning e Lifewide Education.

Patrizio Paoletti, coach e filantropo, creatore della fondazione OMM, da quasi 40 anni si occupa di sviluppo personale attraverso diversi programmi di training esperienziale che porta in tutto il mondo, a migliaia di persone. Tutte contraddistinte dallo stesso bisogno: quello di stare bene, conoscersi e migliorare. Perché abbiamo bisogno di meditazione, oggi più che mai? «Si percepisce questo scollamento tra il mondo interiore, le nostre istanze intime e profonde (ad esempio ciò che vorremmo essere e ciò che vorremmo realizzare) e la nostra vita quotidiana fatta di mille momenti di incomprensione con noi stessi innanzitutto, con la nostra insoddisfazione e con gli altri», risponde Paoletti. «Per questo spesso le relazioni tra gli esseri umani sono tese e poco focalizzate. Anche per dare futuro alla nostra specie nasce l’esigenza di migliorare la consapevolezza che abbiamo di noi stessi». Restare in silenzio con il proprio respiro è dunque sufficiente a riavvicinarsi al proprio vero sé: «Per comprendere meglio abbiamo bisogno di un attimo di pausa tra la sollecitazione e la risposta. Questo spazio viene individuato dalle neuroscienze come consapevolezza». E aggiunge: «Per poter sopravvivere la nostra specie farà questo salto evolutivo di imparare ad utilizzare i prefrontali valutativi e non il cervello istintivo - l'amigdala- rispondendo con aggressività a tutto ciò che non comprendiamo».

Paoletti pratica yoga e meditazione e si occupa di neuroscienze facendo centinaia di conferenze all'anno nel mondo», e distingue il metodo OMM da yoga e mindfulness: "Oggi la mindfulness va per la maggiore, io invece preferisco parlare di un aspetto specifico: self-awareness, ovvero autoconsapevolezza. Dobbiamo restare connessi, tenendo presente i tre principi fondamentali per il nostro benessere: l'ascolto di noi stessi, la comprensione di chi siamo e delle nostre aspirazioni, infine la capacità di godere della vita". 

Tante persone si vietano l'opportunità di sentirsi bene». Paoletti è infatti promotore di programmi come la Human Inner Design e la School of Self-Awareness la cui validità è studiata da ricerche che conduce in ambito neuro-scientifico con l’Istituto di Neuroscienza della Fondazione Paoletti in collaborazione con studiosi, Istituti e Università internazionali.
«La meditazione assidua e continuativa ha dei benefici confermati scientificamente da decine di interventi di ricercatori: il primo effetto a lungo termine è che la meditazione sviluppa la creatività. Anche un solo minuto di meditazione permette di modificare il processo respiratorio. Così il respiro rallenta, è più profondo e ossigena meglio il corpo e cervello. Un effetto immediato invece è sul ritmo del battito cardiaco e del processo respiratorio, rilasciando endorfine e benessere: ne consegue che si acquisisce la serenità necessaria a capire meglio la domanda che la vita mi pone e migliorare la capacità di risposta». «Questo attimo in meditazione genera benessere e si riesce a capire cosa è davvero importante».

Nel libro, Paoletti illustra le tre D, che sono i tre passaggi fondamentali da seguire attraverso il percorso di consapevolezza del sé: Distacco dallo stress giornaliero, Distanza dalle molte emozioni distruttive che si vivono quotidianamente e Determinazione a sviluppare un ascolto finalizzato a una successiva realizzazione dei propri desideri più intimi e profondi. Tutto il libro si concentra sui 5 passi concreti della scoperta del stare bene attraverso lo studio e la pratica di piccole azioni, una “track list” che corrisponde alle 5 dita della mano. «È necessario inserire delle piccole novità per modificare le azioni ataviche responsabili della condizione di infelicità in cui ci si trova».
Partecipazione è un’altra parola chiave. «Il tentativo di raggiungere dei risultati non lo vivo come un obbligo ma come una condizione e per essere partecipativo devo essere felice. Viviamo in un mondo pieno di aggressività».

A chi si avvicina alla meditazione e al suo metodo per la prima volta, Paoletti consiglia: «Innanzitutto cominciare con tranquillità. Tutti abbiamo a disposizione un minuto: come una pausa-caffè per riflettere su se stessi una o più volte al giorno, non servono monasteri. È necessario spezzettare questa pratica. Perché non dedicarmi un minuto? Prendere del tempo per sé è una rivoluzione. Dico a me stesso che sono pronto ad accogliermi come sono e a sospendere il giudizio. Quanti di noi sono nemici accaniti di se stessi, e si vergognano?  Bisogna cercare di perdonarsi non in modo passivo, ma propositivo, con la volontà di migliorarsi.  Posso trasformarmi e diventare più consapevole».

Sessanta secondi che possono essere vissuti o divorati senza rendersene conto, ma che, se veniamo lasciati da soli, con niente altro che il nostro respiro, possono essere lunghissimi. Un periodo di tempo chiave per qualsiasi disciplina di meditazione, yoga o mindfulness: l’unità di misura su cui costruire la propria consapevolezza. Basti pensare a quante cose si possono fare in un minuto o anche meno. È più grande dell’istante necessario per fare accadere qualcosa come: «prendere una decisione, scegliere una strada, sorridere, ringraziare, scusarsi oppure scivolare su una buccia di banana, dire una parola sbagliata, compiere un movimento inadeguato».

Iniziando la pratica OMM potrai restare in silenzio con il tuo respiro per un intero minuto e, grazie a esso, scoprire che puoi vivere un'altra dimensione e imparare a costruire un Nuovo Te Stesso.
Nell’era in cui tutti sono costantemente interconnessi, il grande paradosso è che è sempre più difficile trovare un momento, anche solo un minuto, per stare con noi stessi e chiederci: “Ma chi sono io? Che cosa voglio davvero?”  Se fuggi continuamente da queste domande, fuggi continuamente dalla vita. Il rimuginare sul passato e l’ansia per il futuro occupano così tanto spazio nella nostra mente e così tanto tempo nella nostra vita che perdiamo di vista ciò che conta davvero: il momento presente.
E così, passiamo una vita a perderci la vita che è adesso, qui e ora, in questo preciso istante. Ecco qual è la causa primaria del tuo stress e della tua perenne insoddisfazione.

La soluzione per l'autore è OMM che significa dare più vita ai tuoi giorni. Vivere in modo più consapevole. Vivere appassionatamente. OMM è questo momento, OMM è accogliere te stesso per come sei, OMM è non giudicarti, OMM è perdonarti, OMM è migliorarti, OMM è trasformarti, OMM è sapere che sei qui ora e questa è la cosa più importante.  OMM è una tecnica molto semplice che riprende alcune delle pratiche, idee, metodi e strumenti più complessi e millenari riguardanti lo sviluppo dell’uomo, rendendoli concreti e accessibili a tutti.

La meditazione ti permette di sospendere la risposta automatica che ti fa reagire negativamente a tutto ciò che crea stress e ansia, producendo uno spazio al tuo interno in cui puoi comprendere meglio te stesso, le persone e gli eventi.
Imparando a meditare ottieni un aumento della concentrazione, della produttività e creatività, riduzione di ansia, depressione e rabbia, incremento dell’intelligenza emotiva. Ma la meditazione è veramente straordinaria per tre motivi principali. Praticandola, impari a:

  •     ascoltare te stesso;
  •     capire meglio chi sei e quali sono le tue aspirazioni;
  •     godere pienamente della vita.

Meditare non è chiudere gli occhi. Meditare è aprire gli occhi.” - Patrizio Paoletti

--- La Fondazione Patrizio Paoletti è un Ente di Ricerca No Profit nato ad Assisi nel 2000 per volontà di Patrizio Paoletti e di un gruppo di ricercatori, pedagogisti, psicologi, sociologi, medici e imprenditori. La Fondazione realizza i propri programmi di ricerca ed i progetti pedagogici grazie al sostegno di oltre 100.000 persone per raggiungere un unico scopo: permettere ad ogni persona di entrare in contatto con il proprio immenso potenziale. Da oltre ventanni la Fondazione studia il funzionamento dell'uomo con una ricerca interdisciplinare: neuroscientifica, psicologica, educativa, didattica e sociale."    Indirizzo: Via Nazionale, 230 - Roma, tel: 06 808 2599  sito: https://fondazionepatriziopaoletti.org/

sabato 18 febbraio 2023

Riflessioni sullo yoga

Lo yoga non è un'attività fisica, questa associazione è assolutamente sbagliata! L'hatha yoga può, ovviamente, essere utilizzato anche solo come esercizio fisico, ma questo non è il suo vero vantaggio. Lo yoga può andare molto in profondità e toccare l'anima di un praticante. Se lo yoga è praticato adeguatamente, per un lungo periodo di tempo, il sistema nervoso viene purificato e quindi viene purificata anche la mente. Ci sono così tante diverse pratiche yoga e tutti pensano e dicono di praticarlo nel modo giusto. Come può essere il modo giusto se non produce un qualche cambiamento nelle persone, se non risveglia una qualche energia nei praticanti?  Solo i maestri severi, esigenti, duri insegnano l'intensità della pratica che porta a grandi trasformazioni negli allievi. Questo modo di procedere è ampiamente affermato anche nei testi classici dello yoga. L'accondiscendenza, lo scarso impegno, non sono la via dello yoga tradizionale. Ma forse questo metodo non è facilmente commercializzabile. Spesso i veri maestri trattano male gli allievi per scuoterli dal loro torpore, e questo rientra nella normale relazione di guru-sisya [maestro-discepolo].  Usando tutti i mezzi a sua disposizione, un grande maestro, insegna allo studente come raggiungere il livello di successo che lui stesso ha raggiunto.

Ma lo yoga è anche una relazione, non un movimento di massa. È una relazione uno a uno tra due persone (un maestro e un discepolo) e non un rapporto commerciale. Ciò che sta accadendo in Occidente è un'ampia generalizzazione e trasmissione dell'insegnamento e, purtroppo, i contatti personali sono scarsi. E i praticanti dovrebbero rivalorizzare le relazioni personali.

Il praticante deve lavorare molto duramente e dimostrare qualità di sincerità, onestà e virtù. È responsabilità degli esseri umani muoversi e agire in modo veramente onorevole e, come diceva Patanjali, sviluppare le qualità di gentilezza, compassione, gioia e amore infinito. Quando incarniamo queste quattro qualità, iniziamo ad avvicinarci alla strada per evolvere.

Molte persone hanno perso la fiducia in se stesse, la loro forza e lo yoga fa ri-emergere questi aspetti, li rende nuovamente forti. Il risveglio di questa fiducia interiore nella propria forza è uno dei benfici dello yoga. Attraverso lo studio di sé e l'autocritica, lo yogi sviluppa la propria intelligenza e impara a discernere tra ciò che è reale e ciò che non lo è.  Lo yoga mette in relazione la respirazione e i movimenti fisici. Ogni postura è collegata a una certa sequenza respiratoria. Ciò mantiene aperti i flussi di energia e previene il ristagno di energia nel corpo. Lo yoga purifica il corpo, il sistema nervoso e sviluppa un campo energetico positivo. Gli asana fungono da ponte per unire il corpo con lo spirito e lo spirito con l'anima. Praticare asana e pranayama insegna a controllare il corpo e i sensi, in modo da poter sperimentare la luce interiore, il proprio Sé.

Tutte le nostre differenze e predisposizioni mentali sono limitate dal tempo e dallo spazio, ma quando restiamo al centro del nostro essere, del nostro infinito potenziale, ci svegliamo con una coscienza universale, allargata e non più limitata dalla nostra identificazione. Questa coscienza non ha forma e tuttavia si riflette nel nostro corpo e nella nostra mente come un campo di energia.

Devo confessare, lo yoga è diventato una dipendenza per me, seppure una buona dipendenza. Mi sento male se non faccio la mia pratica o se non medito. Penso che quello che sono oggi lo devo, in buona parte, allo yoga.  Penso che lo yoga risvegli una potente energia nelle persone, un qualcosa di bello che le sostiene dall'interno e ciò permette alla natura umana di rivelarsi. Finché ci sono ardenti ricercatori e praticanti, sono sicuro che la bellezza dello yoga sopravviverà.  

I libri fondamentali per comprendere lo yoga sono: la Baghavad Gita, gli Yoga Sutra di Patanjali, le Upanishad, le varie opere sul Vedanta, il Samkhya,  lo Yoga Karika, lo Yoga Vasishta, lo Yoga Yajnavalkya e i testi classici dello yoga tantrico: Hatha-yoga pradipika, Gheranda samhita e Shiva samhita. 

  • Lo yoga è una delle sei darsana (scuole di pensiero filosofiche) che si contrappongono a quella classica e ortodossa dei Veda (testi sacri) legata a credenze e rituali. Lo yoga si fonda sul testo  Samkhya karika, un testo molto antico, che esordisce con una domanda ben precisa: quali sono le cause della sofferenza umana? Un testo complesso e articolato ma che fornisce un’idea chiara, della causa della sofferenza: la nostra mente e le sue fluttuazioni.

    Secondo questo testo lo yoga può essere la via verso un perfetto equilibrio tra mente e corpo, tra materia e spirito. Lo yoga ha il potere sull’acquietamento della mente. La concentrazione deriva dalla pratica costante e disciplinata. Lo yoga permette, a chi lo pratica in maniera assidua, con disciplina e fervore (tapas), di annullare i vortici mentali, i chitta vritti, i nostri onnipresenti rimuginamenti mentali, che sono la causa, insieme ad altri fattori (secondo la filosofia yoga) della perenne instabilità emotiva umana e quindi della sofferenza.

    Un vero praticante yoga deve prima cambiare il proprio modo di essere, se non vuole che lo yoga resti una mera pratica di stretching. Una volta modificato il nostro modo di porci verso gli altri e verso noi stessi, che sono i primi due concetti dell’ashtanga yoga espressi da Patanjali, allora potremmo realmente comprendere l’essenza della  pratica dello yoga.

  • Lo Yoga Vasishta o Yogavāsiṣṭha è un testo di filosofia indiana āstika (il termine significa colui che crede nell'esistenza di un Sé/Anima o Brahman) scritto fra il VI - VII secolo ed il XII secolo. Il testo è scritto sotto forma di dialogo fra Vasishta ed il giovane principe Rāma.  Secondo la classificazione tradizionale, le Scuole filosofiche indiane sono ripartibili in due grandi categorie, rispettivamente note come astika (ortodossa) e nastika (eterodossa).
    In senso moderno questi due termini significano rispettivamente teistico e ateo, mentre nel linguaggio filosofico tradizionale astika indica chi crede nei Veda e anche chi ha fede nella vita dopo la morte; il termine nastika viceversa , designa soprattutto il rifiuto dell’autorità dei Veda.
    Il gruppo astika comprende i sei principali sistemi di pensiero o darshana: Nyaya (logica), Vaisheshika (fisica), Samkhya (filosofia), Yoga (psicologia), Karma Nimansa (ritualistica) e Vedanta (teologia). Il secondo gruppo, quello nastika, comprende i tre sistemi filosofici denominati Carvaka, Bauddha e Jaina. Nella tradizione antico-indiana ogni scienza non viene considerata come una disciplina a sé stante ma strettamente collegata a tutte le altre in un progetto globale, organico ed integrato di apprendimento e di educazione, volto alla crescita dell'essere su tutti i piani antropologici. La psicologia indiana è saldamente connessa alla filosofia indiana, si basa quindi su fondamenta costituite da profonde verità eterne riguardanti la natura della realtà, lo scopo ultimo dell'esistenza umana e i problemi esistenziali che da sempre hanno interessato l'uomo. 

  • Lo Yoga Yajnavalkya è un scritto sotto forma di un dialogo maschio-femmina tra il saggio Yajnavalkya e Gargi. “Lo yoga di Yājñavalkya  ci permette di conoscere il modo in cui lo yoga era vissuto e praticato in India intorno al x°secolo. Il trattato sviluppa tutti gli elementi che Patañjali aveva proposto molti secoli prima;  vi troviamo un’esposizione precisa del prānāyāma in quanto tecnica respiratoria che tiene in considerazione prāna e āpana con l’indicazione anche del celebre ritmo 1.4.2.1 e l’introduzione di un mantra. Altra originalità del testo è che esso esprime in modo perfetto lo spirito brahmanico dell’epoca, in particolare nell’insistere sulla mistica devozionale ed, al contempo introduce in modo elaborato, concetti celebri come quelli di kundalinī, di agni, di chakra e di nādī che verranno poi ripresi, molti secoli più tardi. Yājnavalkaya viene considerato come uno dei più importanti maestri dell’insegnamento vedico sia rispetto a jñāna (la conoscenza) che rispetto a karma  (l’azione).

Sankalpa

Sankalpa è una parola sanscrita che letteralmente significa proposito, desiderio o più specificatamente intenzione, ed è la convinzione di poter realizzare ciò che la mente si propone. Kalpa significa voto o promessa, e dovrebbe essere la regola da seguire sopra qualsiasi altra. San si riferisce alla priorità, con tutto l’impegno possibile. È una pratica molto interessante. Dovete pensare come ad un'idea, che si forma nella mente e prende dimora – e forza – nel cuore.

Una delle pratiche a cui viene più accostato il Sankalpa è lo Yoga Nidra, dato che permette di andare molto in profondità nella psiche, al di là della mente. Ma un Sankalpa è una intenzione, che può essere fatta anche prima di qualsiasi sadhana o all’inizio di qualsiasi pratica yogica, prima della meditazione. Esprimere un sankalpa è avere l'intenzione di trasformare la propria vita fisicamente, mentalmente, emotivamente e spiritualmente. Quando il sankalpa è praticato su una mente calma e rilassata, piantiamo un seme  a livello profondo del nostro essere sapendo che quando sarà il momento giusto sarà realizzato.  Possiamo dire che ci sono due tipi di sankalpa:

  • Il primo è una intenzione fissata nel presente, come ‘Io sono in pace con me stesso,’ o ‘Io sono guarito.’ Questo ci permette di attuare da subito il cambiamento che desideriamo e sostenere la nostra pratica e la nostra vita.
  • Il secondo tipo di sankalpa possiamo intenderlo come il formulare una specifica intenzione o obiettivo, che vogliamo raggiungere entro un lasso di tempo stabilito. Un Sankalpa molto nobile potrebbe essere una intenzione sul cammino spirituale.  Nei veda è sottolineato come siamo noi a creare il nostro mondo tramite la mente.
Il cervello diviso in 7 aree, il numero 7 è molto ricorrente nella natura e nell’Occidente, il corpo cambia cellule ogni 7 anni, 7 sono i chakra o centri energetici, la luce del sole passa attraverso un prisma, e si decompone in 7 colori (l’iride), ecc. Nell'Ayurveda, la medicina tradizionale indiana, ci sono sette punti di pressione chiamati Marma, che significa 'vulnerabile', 'sensibile'.

La prima area del cervello è correlata alla funzione discriminativa, la seconda è l'area della concentrazione, qui e ora, quando attivo troppo questa area vado nel futuro, l’area n’ 3 è l’area creativa, quando è iper funzionante non si ha contatto con la realtà (come gli artisti); l’area n’ 4 rappresenta la coscienza collettiva, l'area n’ 5 rappresenta il nostro contatto con il sub inconscio. L'Illuminazione è il potenziamento di queste aree per portarsi il più vicino possibile alla vera realtà.
Nello yoga ci sono molte pratiche per armonizzare queste parti del cervello e per conciliare l’emisfero destro del cervello (femminile), più incline alla emozionalità, all'emisfero sinistro legato alla razionalità (maschile), e avere così una persona equilibrata. Il cervello è come un prisma che trasforma la coscienza. Con la meditazione e lo yoga l'essere umano si avvicina alla sua vera natura, alla vera realtà  e capirà che vive in una illusione, che niente gli appartiene, nemmeno l’aria.  
Gli esercizi di pranayama  (come anuloma viloma kriya) e la respirazione a narici alternata servono a potenziare e riequilibrare le due aree del cervello, i due emisferi. L'inspirazione è una forma di alimentazione base, l'espirazione è una forma di eliminazione, potreste farlo anche senza usare le dita, in padmasana inspirando con i palmi delle mani aperte. Trattenendo potenzio il cervello, poi espiro dall’altra parte poggiando la mano a terra. Con il pranayama e la respirazione posso indirizzare l’energia dove voglio. 
Inspirate 9, 18, 27 volte mantenete la stessa attenzione in tutte le parti, inspirate energia e positività, con l'espirazione vengono eliminati i problemi relativi alle varie aree.

Perché meditare - Mauro Bergonzi

Appunti presi durante gli incontri di ‘condivisione dell’essere’ (sat-sang) organizzati da Mauro Bergonzi.  Mauro Bergonzi è docente di “Religioni e Filosofie dell’India” presso l’Università degli Studi di Napoli “L’Orientale” e socio ordinario della International Association for Analytical Psychology (I.A.A.P.) e del Centro Italiano di Psicologia Analitica(C.I.P.A.). Ha pubblicato articoli e saggi sui processi meditativi nel buddhismo antico, sulla psicologia del misticismo, sul simbolismo religioso, sull’incontro tra Oriente religioso e Occidente contemporaneo e sul dialogo interculturale fra psicologie sapienziali orientali e psicologia occidentale. .

Quando una persona inizia una pratica di meditazione,  deve sapere quale scopo e quale risultato vuole ottenere. Ad esempio nelle pratiche buddhiste, si vuole arrivare ad una quiete e una visione profonda delle cose. Occorre quindi scegliere una pratica per ottenere risultati specifici e praticare assiduamente. Il primo obiettivo della meditazione è arrivare ad una quieta profonda, all’armonia corpo e mente, al risveglio delle energie. Il secondo obiettivo è quello di arrivare al risveglio o alla liberazione, mettersi sul cammino della felicità stabile, incoraggiati dalle persone che hanno sperimentato questo stato. Quando nasciamo, siamo gettati nella vita, proveniamo dal buio e ci troviamo nella luce, ci sentiamo piccoli, fragili, incompleti, cerchiamo la totalità (Dio, l'assoluto, il vero sé).  Ma se il tutto è tutto, come potrebbe non essere già qua?  Questa ricerca rinforza una visione illusoria, posso dire che non so che cosa è il tutto, ma posso asserire con sicurezza che sta già qua. È come la storia della signora che cerca la collana, la cerca dappertutto, ma non l’ha mai persa, in quanto si trova intorno al suo collo. La ricerca è l’ostacolo per trovare ciò che si sta cercando, in quanto noi ci percepiamo come qualcosa di separato dal tutto. Cerco fino a quando non trovo; nella meditazione cerco fino a quando non collasso, ma se non è già qui, non è quello che cerchiamo.

Il piacere della pace profonda, è uno stato costruito della mente, e quindi prima o poi se ne andrà. Si cerca di stare in questo stato finché dura, ma tutto ciò che nasce muore, non c’è eccezione nella natura, se possiamo raggiungere la liberazione possiamo anche perderla. La meditazione è quindi una caccia al tesoro, come il diamante che viene scoperto in tasca, dopo aver fatto varie tappe ed essere ritornati alla casa di partenza, e constato che durante tutto il percorso era già in nostro possesso.

Tony Parsons, uno dei teorici del non dualismo, racconta la storia del monaco che copiava manoscritti, ad un certo punto ha un dubbio su una frase che trova su un manoscritto, va a cercare l’originale e scopre che la parola celibato era stata sostituita con celebrare, quindi scopre che nella vita non bisogna adottare il celibato ma celebrare la vita. La meditazione è la celebrazione della vita, la vita può essere celebrata in diversi modi: con un atto di amore, con una passeggiata nella natura ecc. La meditazione è la celebrazione della vita, l’esplosione della vita nel silenzio.  L’universo o non ha scopo oppure è una danza e un gioco. La vita non si può evitare, la vita è un dato innegabile e sapere di esserci è un fatto incredibile.

La meditazione è un optional, un ornamento per esaltare la vita, è un modo per coprire la nostra nudità. Durante la pratica spirituale occorre decostruire, togliere, smantellare tutti i meccanismi e condizionamenti che ci fanno soffrire. La contemplazione non porta a niente, la meditazione è uno spazio maggiore alla ricettività, ma non aiuta a decostruire l’io. E’ necessaria l’accettazione, puoi arrivare alla comprensione dell’io come costruzione, ma non hai il potere di mostralo ad altri.


Sito http://www.consapevol-mente.it/mauro-bergonzi/     Bergma@libero.it

 Bibliografia

  •  1) “Mandala buddhista e vista simbolica”, Conoscenza religiosa n.1-2 (1979), pp. 174-193.
  •  2) “Osservazioni su samata e vipassanā nel buddhismo theravāda”, Rivista degli Studi Orientali, vol. LIV, fasc. I-II e III-IV (1980), pp. 143-170 e 327-357.
  •  3) Inchiesta sul nuovo misticismo, Roma-Bari 1980 (ed. Laterza).
  •  4) “Il buddhismo in Occidente”, in H.-Ch. Puech (a cura di), Storia del Buddhismo, Roma-Bari 1984 (ed. Laterza), pp. 305-396.
  •  5) "Riflessioni su buddhismo e Occidente contemporaneo", La Critica Sociologica, n°111-112 (ottobre 1994 - febbraio 1995), pp.85-101.
  •  6) "I tre risvegli del Buddha", Atti della Giornata di Studio: "Psicologia e Meditazione: Consapevolezza, Discriminazione, Ascolto. Tre Vie di Accesso al Transpersonale, Torino 1997, pp.14-22.
  •  7) "Adattamento e istinto spirituale", Studi Junghiani 5/6, vol. 3, n. 1/2 (Gennaio-Dicembre 1997), pp.89-92.
  •  8) "La consapevolezza fra psicologia del profondo e meditazione orientale", In/Formazione. Psicologia, psicoterapia, psichiatria, n° 34-35 (maggio 1998 - marzo 1999), pp.6-27).
  • 9) "L'atteggiamento transpersonale", Studi Junghiani 10, vol. 5. n. 2 (luglio-dicembre 1999), pp.91-110.
  •  10) “Prassi psicoanalitica e prassi meditativa orientale: un confronto interculturale”, in Atti del Convegno: “Crisi del freudismo e prospettive della scienza dell’uomo”, Roma 2000 (Nuove edizioni romane), pp. 25-38.
  •  11) “Riflessioni sulla morte nell’India religiosa”, in Aa.Vv. (a cura di L. Crozzoli Aite), Sarà così lasciare la vita?, Milano 2001 (Ed. Paoline), pp. 215-227.
  •  12) “Il Sé come fattore di salute e guarigione”, Studi Junghiani 13, vol. 7. n. 1 (gennaio-giugno 2001),
  •  13) “La dimensione soteriologica nel pensiero filosofico-religioso indiano”, in AA.VV. (a cura di G. D’Erme), Fedi e culture oltre il Dio di Abramo, Napoli (Ed. Guida), 2003, pp.169-183.
  •  14) “Comparatismi e dialogo interculturale fra filosofia occidentale e pensiero indiano”, in Maria Donzelli (a cura di),Comparatismi e filosofia, Liguori Editore, Napoli 2006, pp. 262-295.
  •  15) “Riflessioni sulla psicologia del misticismo”, in R. Conforti e G. Scalera McClintock (a cura di), La mente e l’estasi, Rubbettino, Soveria Mannelli 2010, pp. 221-297
  •  16) “Psicoanalisi e meditazione orientale. Una prospettiva interculturale”, in Cloe Taddei Ferretti (a cura di), Scienza cognitiva. Un approccio interdisciplinare, Il Pozzo di Giacobbe, Trapani, 2011, pp. 291-331.
  •  17) Il sorriso segreto dell’essere, Milano 2011 (Mondadori).

La meditazione - Mauro Bergonzi

Mauro Bergonzi ha insegnato Religioni e Filosofie dell’India e Psicologia Generale all’Università degli Studi di Napoli “L’Orientale” dal 1985 al 2017. E’ membro della International Association for Analytical Psychology (I.A.A.P.) e del Centro Italiano di Psicologia Analitica (C.I.P.A.). Ha pubblicato articoli e saggi sui processi meditativi nel buddhismo antico, sulla psicologia del misticismo, sul simbolismo religioso, sull’incontro tra Oriente religioso e Occidente contemporaneo e sul dialogo interculturale fra psicologie sapienziali orientali e psicologia occidentale. A partire dagli anni ’70, ha praticato varie forme di meditazione con uno spirito libero da dogmi e adesioni confessionali, approdando infine ad una prospettiva non-dualista, che da diversi anni trasmette attraverso i suoi incontri di ‘condivisione dell’essere’ (sat-sang).  Sito:  http://www.consapevol-mente.it/mauro-bergonzi/

Appunti presi durante gli incontri di ‘condivisione dell’essere’ (sat-sang). 

Bergonzi comincia ad illustrare che cosa è la meditazione usando il seguente racconto: "Un leoncino viene adottato da un contadino e viene usato insieme agli altri asini per trasportare varie cose e come questi si abitua a mangiare erba. Un giorno arriva un possente leone, gli asini scappano, così pure il leoncino, il leone riesce a prendere il leoncino, lo porta al fiume, lo fa specchiare nel fiume e il leoncino scoprendo la sua vera natura ruggisce". La meditazione è proprio questo: il fermarsi a guardare la nostra immagine riflessa e scoprire la nostra vera natura.  La nostra natura non scompare, il nostro vero sé è già lì ed è un punto fisso. Quello che noi vediamo nella quotidianità, quello che crediamo di essere è la molteplicità in movimento.  Spesso nel nostro cammino spirituale cerchiamo un maestro (un possente leone) e non ci accorgiamo che tra noi e il maestro non c’è nessuna differenza, solo una diversa consapevolezza. Se si vive il rapporto con il maestro, come una differenza, abbiamo perso in partenza.

Quello che viviamo nella quotidianità è la molteplicità in movimento, e spesso l’instabilità ci indebolisce, siamo dilaniati da un conflitto diacronico nel tempo tra ciò che siamo e ciò che vorremmo essere con un consumo enorme di energia.  Dietro a colori, suoni, sensazioni e ricordi comunque c’è sempre un io, ma quando provo ad osservare questa costante, che è la nostra visione del mondo, il nostro sé, la sensazione sfugge perché questa costante non si può osservare, in quanto la costante è l’osservatore con il suo sguardo sul mondo. L’osservatore guarda attraverso la coscienza consapevole che la mente del resto non può afferrare.

Con la meditazione si può arrivare ad un momento di silenzio e a rallentare. E quando si rallenta, si rallenta, gli oggetti a poco a poco scompaiono, e si a rriva ad un punto in cui non ci sono più oggetti ed è più facile identificare la coscienza consapevole, manifestare la vera natura (ruggire), e prendere coscienza di essere sempre stati un leone. Poi al risveglio le forme si rimettono in movimento ed è irrilevante ciò che credo di essere. La differenza tra il risvegliato (l’illuminato, il possente leone) e il non risvegliato (il non illuminato, il leoncino) è che il non risvegliato crede che ci sia ancora una differenza tra di loro.  Nella meditazione c’è l’erronea percezione di poter disciplinarsi, di poter gestire il processo del rallentamento; ma non è così, le cose ad un certo punto accadono e non sei più in grado di gestirle, tutto collassa e ti trovi in un’altra dimensione, in un’altra modalità percettiva e la stanza dove stai meditando non è più una stanza.

 Lo scopo della meditazione è quello di trovare un'armonia corpo mente, di coltivare stati di quiete profonda, essere in armonia con la realtà.  Il primo passo nel cammino della meditazione è la meditazione sul respiro o su un punto tra le sopracciglia, ed è basata sulla concentrazione, un focalizzarsi su un oggetto, in questo caso aumenteranno i sintomi di irrequietezza (deglutire, distrarsi, ecc) poi la mente proverà il gusto della quiete. Il passaggio successivo sarà la concentrazione su un oggetto.

Per ottenere uno stato di quiete profonda occorre: 1) essere in una situazione non conflittuale, 2) meditare per un periodo di tempo lungo, 3) vivere in una situazione particolare, 4) essere guidato da un maestro, 5) star bene fisicamente, 6) non preoccuparsi della quotidianità, 7) la mente del meditante, deve cercare la quiete ed evitare distrazioni. L'iniziazione con un guru crea una implicazione emotiva e può essere la situazione ideale. Il risultato non è condizionato dal tipo di pratica,  il tipo di pratica viene scelto in funzione della propria personalità e i propri interessi.

Favoletta Taoista: "Un uomo ricco viveva al Cairo, ereditò una fortuna ma cedette tutti i suoi beni ai suoi amici, e gli restò soltanto una casa con una veranda, una palma e vicino un pozzo. Una notte sogno il volto di un uomo che emergeva dall’acqua con in bocca una moneta che gli diceva “se vuoi trovare un tesoro, devi andare a Isfarn una città distante dal Cairo e lì sotto gli archi della città troverai indicazioni per un tesoro. L’uomo parte arriva la sera stremato e si sistema per la notte a dormire sotto gli archi, dove dormono anche ladri, borseggiatori ecc,  La polizia fa una retata e dopo avergli dato diverse manganellate lo portano in questura. Qui il commissario lo interroga e ascolta divertita la sua storia, e allora gli rivela “anch’io tutte le sere sogno che qualcuno mi indica di andare al Cairo ed in una casa con la veranda troverò un tesoro in un pozzo vicino ad una palma” ma non è che io vado al Cairo per questo….”  L’uomo capisce il messaggio, ritorna al Cairo e dentro il pozzo trova il tesoro.  Il tesoro ce l’abbiamo in casa, ma spesso in certe situazioni dobbiamo fare un viaggio e poi, semplicemente, ti ritrovi a casa con una maggiore consapevolezza. Applicata alla meditazione questa storiella indica che spesso la meditazione è inutile ma in certi casi occorre seguire questo percorso per arrivare all’illuminazione.

La meditazione è un invito per riconoscere la presenza. Quando le idee collassano, in quel momento, in quel NON tempo, tutto sparisce, e la separazione scompare,  e si manifesta l’amore.

La versione non dualista ti obbliga a stare nella vita. Quale è il ruolo della volontà? Esiste il bene o il male?  Nel mondo delle manifestazioni non dualistiche, le onde oscillano da un punto all’altro e così le vibrazioni.  Il linguaggio separa, è fatto di pieni e vuoti, le frasi separano un opposto dall’altro. Caldo freddo, bene male, ci alleniamo con il bene e speriamo di annientare il male. Gli opposti sono tracciati come linee nella nostra mente, quando traccio un angolo concavo su una lavagna mi ritrovo anche l’angolo convesso.

L’esistenza oscilla tra il momento in cui si vive una coscienza cosmica o si vive un io separato. La dualità è l’essenza della falsità, la realtà è un’infinità di differenze ma non c’è separazione tra l’io e il mondo.  La meditazione è un invito alla non dualità, permette di sperimentare che esserci e essere cosciente sono una unica cosa.

Quando la mente è in stato di galleggiamento spensierato, le idee collassano, in quel momento, in quel NON tempo, tutto sparisce, e la separazione scompare, l’io e il mondo diventano una sola cosa, l’io che abbiamo costruito scompare.  Queste esperienze di sperimentazione del Tutto, della non separazione, della non localizzazione avvengono anche nella quotidianità come ad esempio al mare, di fronte ad un tramonto, ad un concerto.  La mente è in stato di galleggiamento spensierato, fuori dal tempo, e in quello stato la coscienza dell’io scompare. La dualità è l’essenza della falsità, nella realtà infinità di differenze non c’è separazione.

Gesù e il Diavolo stavano parlando, quando videro un uomo che si chinava per raccogliere qualcosa, Gesù disse “ha trovato la verità”, Il diavolo rispose “Bene, allora  potrò così organizzare la verità e creare una  nuova religione, dei riti ecc".

Spesso l’ostacolo a questa esperienza è proprio la ricerca di una tecnica e di un metodo. Il suggerimento è quello di Non cercare di razionalizzare, e di vivere la vita con leggerezza ed allegria, come rappresentata da Shiva nataraja la vita è una danza.

Meditazione 2 - Mauro Bergonzi

Appunti presi durante gli incontri di ‘condivisione dell’essere’ (sat-sang) organizzati da Mauro Bergonzi. Mauro Bergonzi è docente di “Religioni e Filosofie dell’India” presso l’Università degli Studi di Napoli “L’Orientale” e socio ordinario della International Association for Analytical Psychology (I.A.A.P.) e del Centro Italiano di Psicologia Analitica(C.I.P.A.). Ha pubblicato articoli e saggi sui processi meditativi nel buddhismo antico, sulla psicologia del misticismo, sul simbolismo religioso, sull’incontro tra Oriente religioso e Occidente contemporaneo e sul dialogo interculturale fra psicologie sapienziali orientali e psicologia occidentale.

La parola meditazione, dal latino meditare, ha origine indoeuropea, significa Man, ossia misurare con il pensiero; meditare in latino è collegato a mentire, la radice Ma significa misurare, madre, maya, metro, matrice.  Il costruttivismo, è un'esperienza costruita dalla nostra mente, il nome è utile, ci dice a cosa serve un oggetto, con la Ma misuriamo la realtà che diventa una matrice (mappa) della realtà che poi viene scambiata per la realtà, La mente mente, la meditazione è la medicina della mente. La meditazione è una tecnica per tornare dallo stato artificiale (mente che mente) allo stato naturale.

Possiamo identificare tre tipi di meditazione:

  • su un oggetto specifico su cui meditare,  la mente è attratta naturalmente da un oggetto, occorre scegliere un oggetto come supporto meditativo, osservare solo quell’oggetto,  può essere anche una candela, una statua, un mantra ripetuto, il mantra funziona in automatico fino a diventare uno sfondo pervasivo della coscienza e porta pace, col tempo si ha una diminuzione del rumore interno, e diventa indistinguibile la mente dall'oggetto. In questo caso  inizia a svilupparsi una quiete, una voglia di rimanere in questa situazione ed  il resto diventa un disturbo. Se si arriva a questo livello si soffre meno, anche se arriva qualcosa a destabilizzare la mente. Il passaggio successivo è il passaggio dalla mente alla non mente, coltivando la quiete della mente, un processo unstressing per scaricare la tensione. Durante la meditazione, lo stress per la prima volta emerge in maniera pura ed è difficile da controllare. 
  • meditazione di consapevolezza aperta; non si sceglie nessun oggetto ma si pone l’attenzione su quello che emerge di volta in volta nel momento presente, è molto difficile perché si deve essere capaci di mollare l’oggetto su cui siamo concentrati per dedicarci ad un altro più preponderante, fino a raggiungere lo stato di quiete profonda mentale. Nella pratica di consapevolezza aperta non c’è preferenza tra mente quieta e mente agitata.  E' un'esperienze di flusso, dove la realtà compare e scompare.Si può comparare questo tipo di tecnica ad un guardiano sulla soglia del cancello della città.
  • esperienze vibrazionali quando si medita sulle energie, lasciando lavorare le energie positive del corpo, è qualcosa di esperienziale che ha degli effetti anche fisici. Un esempio di questo tipo di meditazione è il Tibao. Il Tibao si può fare in piedi, seduti e sdraiati, durante la pratica la mente galleggia, l’energia si muove, si cerca di sintonizzarsi con uno spensierato galleggiamento.

Cosa si vuole ottenere dalla meditazione?  Coltivare la quiete, far interagire mente e corpo, acquisire maggiore energie, sviluppare il silenzio, sviluppare l’attenzione in azione, vivere meglio nel quotidiano, raggiungere uno stato profondo di beatitudine. La meditazione non ci può dare la felicità con la F maiuscola, può ridurre la sofferenza, si possono ottenere dei vantaggi, ma i vantaggi che raggiungeremo li perderemo.  Esempio del lama tibetano che ha creato Pomaya, devastato dal tumore dopo 40 anni di meditazione si sentiva come foglia al vento.

Dovremmo iniziare ad investigare su ciò che non cambia mai attraverso le varie esperienze, e perché quindi preoccuparci di ciò che va e viene?

Si inizia la meditazione per ottenere la pace, il controllo delle energie utilizzando tecniche diverse. Ma occorre sapere che non ci sono tecniche per raggiunge la liberazione, a volte accade. 

Esistono altri due tipi di meditazione:  sull’oggetto e sul soggetto (ad esempio l'investigazione sul sé nel buddhismo). Secondo Maharishi, si deve indagare sul chi medita (ed è più importante), in quel caso l’attenzione dall’oggetto si orienta sul soggetto, e la  mente ritorna all’interno. Lo stesso avviene nella pratica di meditazione nello Zen, in questo tipo di pratica si deve volgere la luce dell'attenzione all’interno (rotazione a 180 gradi dell’attenzione).

Nisargadattha e Ramakrisna posero spesso la domanda "Chi sono io?"  In questo caso occorre passare dall’attenzione sugli oggetti all'attenzione sull’io sono, il pensiero dell'io sono fa sparire tutti gli altri pensieri. Concentrarsi sul pensiero "io sono" non indica nient’altro che l’esserci (quello che c’è sempre), il foglio dietro le parole, un abisso di meraviglia che può essere assaporato in qualsiasi momento della vita quotidiana.  Dobbiamo lasciare andare l’io sono. Entrare nella nube del non sapere per andare oltre il pensiero e distruggere il pensiero (questo è l'obiettivo degli indiani e dei tibetani ), o non pensare a niente (questo è l'obiettivo dei cinesi). Dobbiamo passare dalla mente distratta alla mente una, poi alla non mente.

La tecnica consiste nel lasciare andare l’oggetto percepito, cercare di percepire il vuoto e poi spostare l’accento su chi percepisce il vuoto. L’investigazione è una pratica ma ci si muove nell’ottica dell’io separato e limitato. Occorre utilizzare dei metodi o tecniche come la meditazione per superare la separazione.

Le pratiche meditative possono muoversi  nella orizzontalità per aiutarci a gestire il dolore (se muore un coniuge, genitore o figlio) imparando qualcosa di nuovo e migliorarsi; questo ci aiuta eliminare tanta sofferenza. Oppure nella verticalità di ciò che siamo, l'apparenza di un io separato è reale come è illusorio che l’io sia veramente separato, la percezione della separazione dell’io separato non altera ciò che lo percepisce. L’io separato che cerca il tutto è un gioco che porta sofferenza.

Un discepolo su un greto del fiume chiede al maestro che siede sull’altra sponda: “come si fa a raggiungere l’altra sponda?” Il maestro rispose “tu sei già sull’altra sponda”.

Io non sono un corpo che cambia, io sono quel quid che non cambia. Se scarto tutto quello che cambia, resta la coscienza di esserci, e l'esserci. Ma la tua coscienza può essere diversa dalla mia? In che cosa è diversa? La differenza può essere nella coscienza del corpo, mente, stato sociale, ecc. La luna che si manifesta in mille riflessi è la stessa luna (vedi la copertina del libro di Bergonzi Il sorriso segreto dell'Essere).

La coscienza di esserci abita tutto, Noi non siamo solo individualità, tu puoi vederti come onda o come mare, l’onda è attività dell’acqua, è mare. Ci sono infinite differenze, ma non reale separazione, il pensiero usato impropriamente crea dualismo, il pensiero viene dalla totalità, e quindi non può portare alla totalità, ci manca la semplicità.

Se io osservo vedo molteplicità in movimento, la costante è l’elemento che non muta, l’osservatore, la coscienza costante e invisibile.  Per percepire il cambiamento c’è bisogno di qualcosa che non cambi, la coscienza che percepisce è vuota e invisibile come lo spazio, quando oggetti molteplici si manifestano la coscienza diventa invisibile. Per definire la coscienza possiamo adottare la metafora dello spazio e del silenzio ( è lo sfondo dove il suono e le cose si manifestano). Quando non ci sono più oggetti è più facile percepire la coscienza (l'io sono).

La vera spiritualità è una forma radicale di democrazia. Ci sforziamo di diventare leoni e cerchiamo il "chi sono io". Ma se scartiamo tutto quello che cambia (corpo, sesso, nazionalità, età), si sgretola l'identità. Ad un certo punto il pensiero deve dire "non so", a quel punto tutto evapora, anche il tempo, resta solo esistenza e coscienza, il pensiero si abbandona, si lascia il filosofo e si scende al cuore e nasce il mistico. La coscienza è lo spazio dove tutto finisce, non si muove niente, non è nel tempo. La coscienza è il non esserci. Per Kant inseriamo le cose in griglie conoscitive di tempo e spazio. La coscienza accetta tutto senza alterarlo. Il libero arbitrio presuppone un io separato dagli altri.

Sei sicuro che esisti evidenza dell’esserci nasce il pensiero, il tempo appare all’interno dell’esperienza, la presenza è qui, e l’io separato va e viene.

L'attività del percepire è caratterizzata da esperienze che appaiono e scompaiono, Per percepire il movimento esterno ci vuole qualcosa che sta fuori. Non c’è una sola percezione che può apparire separatamente dalla coscienza. Quindi coscienza ed esperienza sono la stessa cosa. Io sono il mondo.

La coscienza è uno spazio senziente, una vivida presenza, la coscienza del dormiente crea il sogno, questa coscienza di qualcosa sparisce ogni notte nel sonno profondo. La coscienza se ne va con la morte. Coscienza in sé, è un fatto puro e semplice di essere cosciente. Per Nisargadatta, l'assenza di memoria non è prova di inesistenza. La coscienza è una funzione del cervello? Ma io chi sono in realtà? Il cervello non è la sola somma di neuroni, Da quando ero bambino ad oggi, c’ero e ci sono. Il mio essere cosciente in che cosa mi differenzia da un altro? Esperienze e le emozioni sono diverse ma non la coscienza. C’è una sola coscienza o molte coscienze?

Un sistema auto osservante è costretto a dividersi in due parti: in osservatore e osservato e quindi l’osservazione non sarà mai completa.  La coscienza è invisibile a se stessa, ma è l’unica cosa certa, coscienza e consapevolezza sono sinonimi. L'attenzione è invece diversa dalla coscienza. Per dare attenzione a qualcosa (per avere la coscienza di qualcosa) devi lasciare andare tutto il resto, il resto è sfondo. L’attenzione può esserci solo con la coscienza, la coscienza non puoi espanderla perché è già lì.

Il Monismo è un sistema filosofico, un modo di descrivere la realtà ed afferma l’uno e nega la molteplicità. Nel Non dualismo si afferma che esiste qualcosa che abbraccia tutto, l’uno e i molti, appaiono infinite differenze ma nessuna separazione. Bergonzi aderisce ad un Non dualismo radicale (ma non possiamo definirlo una filosofia). 

Con il pensiero non è possibile descrivere questa meraviglia, non è possibile rappresentare l’infinito, che è caratterizzato dalla famosa frase "Neti, Neti", non è nè questo, nè quello.

Sei sicuro di esserci? Si, quindi ho una consapevolezza concettuale. Se prima non ci sono io niente appare. Essere ed essere cosciente sono la stessa cosa, sono parti di uno stesso io, puoi essere cosciente dell’io sono, del pensiero che io sono. La coscienza è però universale. Absoluto, sciolto da tutto, il sé comprende l’io, il sé comprende il tutto, c’è una sospensione dell’io, il sé è irraggiungibile dall’io, le cose accadono anche senza l’io. Esperienza e realtà sono la stessa cosa?  E' indimostrabile che ci sia un’unica coscienza, quando dormi il mondo non c’è più ma per un altro esiste.

La coscienza è il cervello? E’ una funzione del cervello? La coscienza in sé non è possibile studiarla, è possibile studiare i contenuti della coscienza. La coscienza è un’emergenza del cervello, la coscienza è creata dal cervello, ma così si crea un loop epistemologico. Shrodering  pone le seguenti domande: Come è possibile che migliaia di cellule diano vita ad una sola coscienza?

La vita è corta, se non ha senso e significato che viviamo a fare? Allora cerchiamo delle risposte, le cerchiamo rivolgendoci alla mente, al pensiero. La mente per dare un senso alla vita ci racconta delle storie. Ogni storia ha un protagonista, ci dimentichiamo che le abbiamo inventate, è meglio una brutta storia che l’assenza di storie. Anche l’illuminazione è una storia, e l’illuminazione non può essere definitiva, tutto ciò che possiamo raggiungere poi muore, si perde. Questo è vero ma c’è un’unica eccezione: la liberazione (ci si convince che questa storia non andrà via).

Avidya significa non vedere, non vedere la nostra connessione con il tutto, il senso di qualcosa che è proiettato in qualcosa di più grande, l’universo.  Il movimento dell’universo è simile ad una danza ed un movimento senza finalità.

Solo coloro che hanno tempo per la sapienza dispongono del loro tempo. La solitudine è per lo spirito ciò che il cibo è per il corpo. Frequenta quelli che potranno renderti migliore, accogli quelli che tu potrai rendere migliori. Insegnando gli uomini imparano.   

Introduzione al Blog

Il Blog è nato nel marzo 2021, in tempo di pandemia, per comunicare e condividere le mie letture e i miei interessi.  Nel Blog ci sono ci...