mercoledì 17 maggio 2023

Simone de Beauvoir – La femme rompue

La femme rompue - Una donna spezzata è una raccolta di racconti del 1967 di Simone de Beauvoir.  Simone de Beauvoir (1908-1986) è stata una scrittrice, saggista, filosofa, insegnante e femminista francese, importante esponente dell'esistenzialismo. E' stata legata sentimentalmente a Sartre..

È il racconto omonimo della raccolta e prende la forma del diario di Monique. Monique è una casalinga che ha puntato tutto sulla sua relazione e sul suo ruolo di madre. Le sue figlie l'hanno lasciata da adulte e lei è preoccupata perché il marito (di professione medico) sembra allontanarsi da lei. Improvvisamente scopre che il marito, Maurice, la tradisce con una donna più giovane e che le è stato infedele per otto anni. Seguendo il consiglio dell'amica, cerca di essere comprensiva nei confronti della situazione. Alla fine, cerca di capire la situazione scrivendo il suo diario.

Questo romanzo è la storia di una coppia, del tradimento di Maurice, e dell’impatto sul rapporto di coppia. Il testo riporta le riflessioni di Monique sull’evento durante i suoi dialoghi con le amiche e le due figlie Colette (una ragazza che timida che ha trovato rifugio nel matrimonio) e Lucienne (una ragazza più sicura di se che ha voglia di conoscere il mondo).

Frasi prese dal testo:  Maurice è cambiato, si è fatto divorare dalla sua professione, non legge più, non ascolta musica, non camminiamo più insieme a Parigi o dintorni.  

Quando ci siamo conosciuti eravamo l’uno per l’altro un’assoluta trasparenza. Dopo 20-25 anni di matrimonio si insinua il silenzio, e questo è molto pericoloso. Penso di essermi troppo occupata delle figlie in questi ultimi anni e Maurice si è buttato sul lavoro.

Dimmi perché rientri così tardi? Cosa succede? C’è una donna nella tua vita?

Si!  Chi è? Perché?   Noellie, giovane, brillante, il tipo di avventura che inorgoglisce un uomo.

Perché non me lo hai detto prima?   Tu mi hai detto che saresti morta di dolore…

Lui per un capriccio ha rotto la nostra intesa …

Le mie amiche diconocChe un uomo abbia una relazione dopo 22 anni di matrimonio è normale, Sono io che sarei anormale. Maurice, come la maggior parte degli uomini, è un adolescente non sicuro di lui stesso, Noellie l’ha rassicurato, Ed è evidentemente una storia di pelle: lei è così appetibile.

Maurice mi ha detto che ero adorabile, E’ comico: mi doveva tradire per far resuscitare le notti della nostra gioventù.

Mia figlia Colette ha sposato Jean-Pierre, un uomo che non si ama, è difficile immaginare che possa essere sufficiente a riempire una vita.

Maurice mi chiede di dormire da Noellie, con il pretesto che dal momento che ho accettato questa relazione mi chiede di fargliela vivere correttamente.   Ho finito per cedere, poiché ho adottato una attitudine comprensiva e conciliante, se gli rovino la sua avventura, la imbellirà a distanza, e avrà dei rimpianti,  se gli permetto di viverla correttamente, se ne stancherà presto. Occorre adottare il metodo della pazienza.

Non sono stata vigile, ho pensato che Maurice cominciava a invecchiare, a lavorare con eccesso, che dovevo accomodarmi al suo tiepido avvicinamento. Si è messo a considerarmi più o meno come una sorella.

Maurice: Adesso che ho iniziato questa storia, bisogna che ne esca senza far male a nessuno.

Mi sembra che con la tipica illogicità maschile trasferisce su di me i rimorsi che prova verso di me.

Una mia amica mi ha detto, che dal momento che il marito si occupa con gentilezza di lei e dei figli, gli è assolutamente indifferente se ha delle relazioni con altre donne.

Noellie ha preso tanto spazio nella sua vita che deve battersi con lei per portarmi un weekend in vacanza?   Se si lascia trasportare da lei, le cose sono più gravi di quello che immaginavo.

Ero così fiera della nostra coppia: una coppia modello, noi dimostravamo che un amore può durare senza affievolirsi, Quante volte ho difeso la fedeltà integrale! La nostra coppia esemplare è a pezzi. Resta un marito che tradisce la moglie e una donna sconvolta a cui si mente.

Non lotterò, ma è possibile che Maurice preferisca questa donna? Mi da fastidio che accetti da questa donna tante cose che io giudico inaccettabili. Per la prima volta, ho realizzato che una distanza si è creata tra di noi.

Mente per gestirmi meglio, se vuole gestirmi significa che tiene ancora a me, sarebbe stato peggio se non gli importava più nulla di me.

Parlandoa Maurice: Si è vero che non mi interesso a quello che fai, ma io ti amo e la mia stima va al di là di quello che potresti fare, se tu diventi un grande sapiente, celebre, ecc, questo non mi stupirebbe, tu ne sei capace, ma devo dirti che questo non aggiungerebbe niente ai miei occhi.

Mentre ascoltavo la musica, delle lacrime scendevano, e dei singhiozzi salivano dalla gola, la musica non è più che un alibi. Noi non abbiamo più niente a dirci, ossessionati dalla stessa storia di cui non voleva parlare. Perché piangi?  Perché ti annoi con me, perché non riusciamo più a parlarci, hai eretto delle barriere tra di noi.

Bisogna vedere le cose in faccia. Non si tratta di un’avventura, Divide la sua vita in due e io non ho la parte migliore, Ne ho abbastanza, è arrivata l’ora di dirgli “ O lei o me!” Tu la preferisci per vanità, sacrifichi il nostro amore alla tua vanità.

Gli ho detto che è diventato snob ed arrivista, che non era più l’uomo che ho amato, che una volta aveva un cuore, che si dedicava agli altri, adesso era sterile, egoista, sola la sua carriera lo interessava.

Mi trovo in una impasse. Se Maurice è un bastardo ho gettato la mia vita ad amarlo: ma forse aveva delle ragioni a non sopportarmi più. Allora devo pensare che mi sono comportata male, sono indifendibile  ma senza sapere perché.  Entrambe le due ipotesi sono atroci.

La mia amica mi ha sempre ripetuto che una fedeltà di 20 anni, non era possibile per un uomo. Gli uomini scelgono la via più facile: è più semplice restare con la sua donna e tradirla che avventurarsi in una vita nuova.

La nostra vita sessuale? Non so più quando ha perduto il suo calore, chi dei due si è stancato per primo.  A volte mi ha dato fastidio la sua indifferenza. Ma forse la mia freddezza l’avevo deluso?

Che cosa può dargli Noelli che io non posso dargli? La novità e il suo grazioso corpo?   Non si capiscono mai gli amori degli altri.

Maurice non ha detto niente in questi anni per assicurare alle figlie un ambiente sereno, Adesso che non sono più con noi ha scelto questo periodo per abbandonarmi.

E’ impossibile per me ammettere che mi sono impegnata tutta la vita in un rapporto con un uomo così egoista?  Le storie di rottura raccontate dalle donne sono spesso incomprensibili, il mistero maschile è molto più impenetrabile che il mistero femminile. L’uomo ha più della donna bisogno di cambiamenti , una fedeltà di 14 anni è già molto rara.

Tutti si credono intelligenti, anche le persone che trovo stupide.

La terribile discesa nel fondo della tristezza. Quando siamo tristi, non si ha più voglia di fare nessuna cosa.

Tengo a te, ma tu non mi ami più di amore.  Ci sono così tanti tipi di amore.

L’idea di un’infedeltà ti angosciava, per questo non ho detto niente.  Perché tutto si svolgesse come se non ti tradivo … Era della magia, e nello stesso tempo avevo vergogna..

Se mi avessi prevenuta, mi sarei fatta una vita indipendente …

In ogni modo, tu non mi ami più come prima, tu tieni a me, si, ma non è più l’amore dei nostri venti anni.     A vent’anni amavo l’amore nello stesso tempo che amavo te.

Abbiamo cercato di dare una spiegazione a ciò che stava accadendo, abbiamo parlato, abbiamo dato altri nomi alle cose, Ma la situazione non è cambiata, Il passato è oscuro e l’avvenire incerto. 

Io non voglio perderti, ma non voglio nemmeno rinunciare a Noellie, per il resto sono confuso…

Ho lasciato perdere di discutere, l’importante è che non vuole rinunciare a Noellie.

Adesso cucinare, ascoltare musica, tutto mi sembra vano. L’amore di Maurice dava importanza a ciascun momento della mia vita. Adesso la mia vita è vuota, tutto è vuoto, gli oggetti, gli istanti ed io.

Questa mattina ho avuto un’illuminazione, il mio errore è stato di non capire che il tempo passa. Passava ed ero presa dall’idea di un marito ideale e una sposa ideale. Immaginavo di aver conservato il mio viso e il mio corpo dei trent’anni, Al posto di rianimare la nostra vita sessuale vivevo dei ricordi delle nostre antiche notti. Ho lasciato il mio viso e il mio corpo rovinarsi invece di frequentare una palestra e un istituto di bellezza, ho lasciato la mia intelligenza atrofizzarsi.

Se ho sbagliato l’educazione delle mie figlie, tutta la mia vita è un fallimento. Non posso crederlo.

E’ per pietà che Maurice resta con me? Se è vero dovrei dirgli di andarsene.

Jean Pierre è molto gentile, in adorazione di fronte a Colette,  ma non sai mai di cosa parlargli. Non escono mai, hanno pochi amici. Una vita molto grigia.

Dopo che Maurice è partito in vacanza con Noellie ho scelto di interrarmi nel mia casa, non conosco più il giorno e la notte, quando sto male prendo tranquillante e alcol.  Quale grado di disperazione si può raggiungere, quando si è completamente soli e sequestrati? Ho quarantaquattro anni, non vivrò senza di lui, ma è troppo presto per morire; è ingiusto;  non voglio morire e non posso più vivere. Quando si scende così in basso, non si può che rimontare. Che stupidità!!! Si può sempre scendere più in basso e ancora più in basso, Non c’è fondo.

Il nostro amore era reale, era solido, indistruttibile come la verità. Solamente il tempo passava e io non lo sapevo. C’è stata una erosione del nostro amore  per l’azione delle acque del tempo. Ma allora perché non è cambiato anche l’amore che provo per lui? Vado a prendere le lettere che ci scrivevamo,  Datano di dieci anni fa. Dopo  i ricordi hanno dato un volto alle cose in modo errato. Il nostro amore era finito dieci anni fa.

Colette: Vista la maniera in cui Papà si comporta con te, dovresti mandarlo al diavolo.

Anche io penso che dovrei dirgli di vivere con Noellie, di essere felice senza di me, ma non ci riesco. C’era un tempo in cui potevo andare al cinema, al teatro da sola. Era perché non ero sola, c’era la sua presenza in me e intorno a me. Adesso quando sono sola, mi dico sono sola e ho paura.

Maurice  pensa che faccio una commedia della disperazione, O almeno non faccio degli sforzi per vivere correttamente la situazione.

Pensa che gli faccio una specie di ricatto sul mio malessere, per terrorizzarlo ed evitare che mi lasci. Forse ha ragione.     Non mi lascerà perché soffre troppo per la pietà che gli faccio???

Lucienne: mamma dopo 15 anni di matrimonio è normale che si cessa di amare la propria donna. Il contrario sarebbe sorprendente!

Io le  rispondo: Ma Ci sono delle persone che si amano tutta la vita.  

Lucienne: Fanno finta. Hai avuto torto a credere che le storie di amore durano. Io l’ho capito, appena comincio ad attaccarmi ad un tipo, ne prendo un altro.

Perché supponi che tuo padre mi abbia lasciato?

Spesso gli uomini a quell’età hanno voglia di cominciare una vita nuova. E si immaginano che sarà nuova per tutta la vita.

Come giudichi tuo padre?  Non si è comportato come un salaud? Non, si è fatto delle illusioni su quella donna, E’ un naif, ma non un salaud.

Pensi che ha il diritto a sacrificarmi?

Evidentemente, è duro per te. Ma perché dovrebbe sacrificarsi lui? Io so bene che non mi sacrificherei per nessuno.

Lucienne mi mette paura, è cattiva, critica, sarcastica, ha il dente avvelenato, io l’ho sempre conosciuta così, ma adesso è con una vera hargne che mette in pezzi le persone che chiama i suoi amici. Si piace a dire loro delle verità sgradevoli. Fa degli sforzi per mostrarmi delle persone, ma in verità vive sola, la cattiveria è la sua difesa, ma contro chi?

Colette ha fatto il matrimonio che doveva fare. Non sognava che all’amore, era fatale che si toque del primo ragazzo che incontrava.

Secondo te, è colpa mia se Colette è così?

Tu  hai un senso molto esagerato delle tue responsabilità, tu sei francese, molto soft come si dice a New York, molto idealista, tu non hai difese, è il tuo solo difetto.

E adesso mi domando, in nome di cosa preferire la via interiore alla vita mondana, la contemplazione alle frivolezze, la devozione all’ambizione? Io non avevo altra possibilità che creare della felicità intorno a me. Non ho reso Maurice felice, e nemmeno le mie figlie sono felici. Allora? Non so più niente. Non solo non so chi sono io, ma neanche come si dovrebbe essere. Il nero e il bianco si confondono, il mondo è un magma ed io non ho più contorni. Come vivere senza credere a niente, nemmeno a se stessi?

Ritorno a casa, immagino una porta chiusa, che non si aprirà se non mi muovo.

Non muoversi, mai. Fermare il tempo e la vita.

Ma io so che mi muoverò, la porta si aprirà lentamente e vedrò che cosa c’è dietro la porta. E’ l’avvenire, La porta dell’avvenire si aprirà, lentamente, implacabilmente. Sono sulla soglia, e non c’è che questa porta e quello che c’è dietro. Ho paura, e non posso chiamare nessuno per aiutarmi. Ho paura.  

Simone de Beauvoir – La femme rompue. L’âge de discrétion.

La femme rompue - Una donna spezzata è una raccolta di racconti del 1967 di Simone de Beauvoir. Dal primo racconto la RAI ha tratto uno sceneggiato, trasmesso nel 1989. Simone de Beauvoirè (1908-1986) stata una scrittrice, saggista, filosofa, insegnante e femminista francese, importante esponente dell'esistenzialismo. E' stata legata sentimentalmente a Sartre.

Ne L'età della discrezione, la protagonista è un'intellettuale di sessant'anni. All'inizio si mostra come una donna sicura di sé e con forti convinzioni. Tuttavia, diventa sempre meno sicura di sé quando incontra difficoltà nella sfera familiare e professionale. Sente di non poter comunicare con il marito come prima e si sente tradita quando il figlio sceglie una strada contraria ai suoi desideri. Anche nella vita professionale sente il fallimento del suo ultimo libro. Quando si avvicina alla vecchiaia, è portata a mettere in discussione la sua vita per il suo futuro di donna anziana.  

Il romanzo parla di una coppia di una certa età che si rapporta con l’inizio della vecchiaia e il cambiamento del loro rapporto, sottoposto all’usura del tempo.  La coppia ha un figlio Philippe, che ha abbandonato gli ideali di un tempo, lei è una scrittrice di successo in crisi di creatività e lui, André, lavora in una rivista, e continua a lavorare sapendo già di aver espresso negli anni passati tutte le sue potenzialità.

 La protagonista si racconta: Quante volte siamo stati seduti a questa piccola tavola davanti a delle tazze di tè caldo? E di nuovo domani, il prossimo anno, i prossimi dieci anni. Abbiamo trenta anni o sessanta?

I capelli di André sono imbiancati, la pelle si è indurita, ma il sorriso della bocca e dei suoi occhi hanno conservato la luce. Malgrado le foto della gioventù, il mio sguardo non gli assegna un’età. Una lunga vita di risate, di lacrime, di collera, di strette, di silenzi, di slanci e sembra che il tempo non è mai passato. L’avvenire si estende all’infinito.

Non potrei vivere senza scrittura. Adolescente, i libri mi hanno salvato dalla disperazione, questo mi ha convinto che la cultura è il più alto valore, e non sono in grado di considerare questa convinzione con occhio critico.

Meno mi riconosco nel mio corpo, più mi sento obbligata ad occuparmene. E’ a mio carico e lo curo con una devozione annoiata, come un vecchio amico un po’ in disgrazia, un po’ diminuito che avrebbe bisogno di me. 

La protagonista comincia  parlare dei primi segnali della crisi di coppia in atto.

E la nostra rottura è ben più definitiva di quello che avevo supposto. Non parteciperò ai suoi lavori, non avremo più gli stessi interessi. Questo legame che crea in una coppia il benessere fisico, io ho tendenza a sottostimarne l’importanza. La sessualità per me non esiste più. Chiamavo serenità questa indifferenza, improvvisamente ho compreso diversamente; è una infermità, è una perdita di senso, mi rende cieca ai bisogni, ai dolori, alle gioie di quelli che la posseggono.

Per me conoscere, scoprire, era una mania, una passione, o anche una specie di nevrosi, senza alcun giustificativo morale, ma non ho mai pensato che tutti dovessero imitarmi. Quando si ama qualcuno, bisogna dargli credito e possibilità di esprimersi.

Philippe (il figlio della protagonista) aveva capito che il negativismo della sinistra non l’avrebbe portato a niente, allora ha deciso di cambiare, voleva essere nella corsa, aver presa sul mondo, agire, costruire.

La mia rabbia contro Philippe mi è famigliare, mi ci riconosco. Ma, con André (il marito), quando raramente, mi metto in collera contro di lui, la rabbia si trasforma in un tornado che mi porta a migliaia di chilometri da lui e mette me stessa in una solitudine nello stesso tempo, bruciante e gelata.

E allora, mi domandavo, Non ci separeremo, solitari, continueremo a vivere a fianco a fianco. Io mi immergerò nei miei dolori e in questa tristezza che non volevo dimenticare.

Le pantofole, la pipa, non mi emozionavano più, non mi evocavano un caro assente, no, adesso non erano altro che il prolungamento di questo straniero che abitava sotto il mio  stesso tetto. Atroce contraddizione della collera nata dall’amore e che uccide l’amore.

La verità è che era cambiato, invecchiato non dava più tanta importanza alle cose.

Nella mia giovinezza, mi hanno talmente dato torto, l’avere ragione mi è costato molto, che adesso mi ripugna mettermi in discussioni e auto-criticarmi.

Lui spesso mi chiedeva: Vuoi continuare a lungo a fare il muso? Ho paura di sì. Hai torto, è sproporzionato per quello che è successo. Comprendo la tua reazione, ma non dimenticarti quello che siamo l’uno per l’altro, spero che non continuerai a portarmi del rancore.

Avevo torto a mettermi in collera per una sciocchezza, sono stata sempre collerica. Bisogna che faccia attenzione,  Ho sorriso debolmente, lui si è avvicinato, mi ha passato un braccio intorno alle mie spalle, mi sono abbracciata a lui, e ho pianto dolcemente. Che rilassamento! E’ così stancante di detestare qualcuno che si ama. Questo temporale era stato troppo breve per poter cambiare qualcosa tra di noi: ma non era il segno che da qualche tempo – quando?  Impercettibilmente qualcosa era cambiata.

Ci erano state dei litigi nella nostra vita, ma per ragioni serie, come ad esempio l’educazione di nostro figlio. Si trattava di veri conflitti che finivano nella violenza, ma velocemente e definitivamente.  Questa volta era stato del fumo senza fuoco, e a causa della sua inconsistenza, dopo due giorni non si era ancora dissipato.  Bisogna dire che tempo addietro, noi avevamo a letto delle riconciliazioni focose, nel desiderio e nel  piacere; ci ritrovavamo in faccia l’uno all’altro nuovi e gioiosi: Ora siamo sprovvisti di questa soluzione.

E’ piacevole avere dietro di sé un lungo passato, dà dello spessore al presente. Siamo d’accordo su diversi punti ma non su questo: io non vedo cosa si perde nell’invecchiare. Si perde la giovinezza, il fuoco che permette di amare e creare. Quando hai perduto questo, hai perduto tutto. Bachelard ha scritto: “i grandi sapienti sono utili alla scienza nella prima metà della loro vita, inutili nella seconda. Mi ritengo un sapiente, quindi quello che posso fare adesso è cercare di non nuocere”.

Durante la giornata sentivo che tutti e due eravamo delusi e lontani l’uno dall’altro, mi sembrava che non riuscissimo più a parlarci, Non sarà vero quello che raccontano sulla non-comunicazione? Come l’avevo portato nella collera, noi eravamo votati alla solitudine e al silenzio?

André aveva voluto liberarsi di me?  Dopo il primo stupore mi sono sentita leggera, la vita a due esige che si decida insieme: a che ora si mangia, cosa vuoi mangiare, ecc,  I progetti si formulano insieme. Nella solitudine, gli atti si compiono senza premeditazione, ed è molto più riposante.

Le tue parole mi uccidono, non mi sono mai domandato se ti stimavo o no, se tu farai delle stupidaggini ti amerei lo stesso. Per te l’amore, bisogna meritarselo. Ho cercato di meritarmelo, ho rinunciato a tanti miei interessi che tu ritenevi dei capricci. Li ho sacrificati per farti piacere. La prima volta che non rinuncio tu ti arrabbi con me.  Mi domandavo come si può riuscire ancora a vivere quando non si spera più niente sa sé stessi.

Guardavo con pietà i vecchi professori con i capelli grigi. E hop! Sono diventata un vecchio professore, e poi la porta del liceo si è richiusa. Durante questi anni le mie classi mi hanno dato l’illusione di non cambiare di età: ad ogni inizio scolastico li ritrovavo ancora giovani, e sposavo questa immobilità. Nell’oceano del tempo, ero una roccia battuta dalle onde sempre nuove e che non si muove e non si deteriora. E improvvisamente la corrente mi porta via, e mi trascinerà fino a alla morte, Non apprendevo più niente che non sapevo già. “Che povertà il deserto del passato” diceva Chateaubriand.

Mi ha mai amato come io lo amavo? All’inizio, penso di sì, o piuttosto la domanda non si poneva, a nessuno dei due, ci intendevamo cosi bene! Ma quando il suo lavoro a cominciato a non soddisfarlo più, si è accorto che il nostro amore  non lo soddisfaceva più? Ne è rimasto deluso?

Penso che mi considera come una invariante, la cui scomparsa lo destabilizzerebbe, ma che non modificherebbe il suo destino, la partita si gioca altrove. Allora anche la mia comprensione, non gli avrebbe apportato molto. Un’altra donna potrebbe dargli qualcosa di più? La barriera tra di noi, chi l’ha costruita?  Lui, io, noi? C’era una possibilità di abbatterla? Ero stanca di interrogarmi. Le parole si decomponevano nella mia testa: amore, intesa, disaccordo, c’erano dei rumori privi di senso. Tuttavia sapevo quanto le ore possono lentamente scorrere nella quotidianità. E io amo ancora troppo la vita perché l’idea della morte possa consolarmi.

Quando l’ho incontrato di nuovo era così gioioso e sembrava più giovane che quando eravamo a Parigi. Non gli ero per niente mancata, era visibile. Per quanto tempo avrebbe gioiosamente fatto a meno di me? Mi ha accolto con gesti affettuosi e sorrisi; Ma noi siamo così abituati a parlarci amichevolmente, che né i gesti, né i sorrisi significano qualcosa. Era veramente contento di rivedermi?

Ho sempre rifiutato di considerare la vita come Fitzgerard. “un processo di degradazione”. Pensavo che il mio rapporto con André sarebbe rimasto lo stesso per sempre, che la mia opera non cesserebbe di arricchirsi, che mio figlio Philippe rassomiglierebbe all’uomo che avrei voluto che fosse. Quello che mi dava soprattutto fastidio era che il rapporto tra me e Andrè stava deteriorandosi.

Quando sono andata a casa di mia suocera, ho visto che nonostante l’età le sue facoltà non sono diminuite, ma che cosa succedeva in fondo a lei stessa? Pensava alla morte? Con rassegnazione o con paura? Non osavo domandarglielo.  Quando avrò 80 anni, non gli assomiglierò. Non mi immaginavo di chiamare libertà la mia solitudine e di approfittare di ogni istante. Vedo che la vita andava poco a poco a riprendersi tutto quello che mi aveva dato, e questo processo era già iniziato. Al mio primo incontro con la morte ho pianto molto, poi ho pianto ogni volta di meno, i miei genitori, mio suocero, mia suocera, gli amici, E’ anche questo invecchiare. Tanti morti dietro di te, rimpianti, dimenticati.

Tradita, abbandonata, si, una ferita troppo vivida perché sopporti di parlarne.  Siamo ricaduti nel silenzio. Si instaurerebbe definitivamente tra di noi? Una coppia che continua perché ha iniziato, senza altre ragioni; era questo che noi stavamo per diventare? Passare ancora 15 anni, 20 anni senza interessi condivisi, senza animosità, ma ciascuno nel suo angolo, ripensando al problema, ruminando sulla sconfitta personale,  e una qualsiasi parola diventa vana?

“E’ un peccato che la vita degli uomini sia così triste”, Il tono di Andrè, con cui aveva pronunciato questa frase mi aveva colpito, non era così indifferente come sembrava,  L’ho guardato, ed ho avuto un tale slancio verso di lui che ho avuto improvvisamente una certezza: non saremo mai due stranieri, uno di questi giorni, domani forse, noi ci ritroveremo poiché già il mio cuore l’aveva ritrovato.

Tu pensi veramente che niente conta, oltre che sopprimere la sofferenza. Perché non mi hai detto che hai questi problemi di salute? 

Ci sono delle cose che teniamo per noi

Forse hai torto, è così che si creano dei malintesi.

Non voglio essere un vecchio rompiscatole, Non volevo assillarti, Vecchio è sufficiente, rompiscatole no,

L’ho preso tra le braccia, l’ho serrato contro di me. Avevo ritrovato Andrè che non avevo mai perso e che mai perderò.

Tutto il giorno davanti

C'è l'anima di Palermo con le sue voci nel film Tutto il giorno davanti di Luciano Manuzzi,  ispirato alla storia di Agnese Ciulla, ex assessore Cittadinanza sociale del Comune di Palermo dal 2012 al 2017 sotto la giunta di Leoluca Orlando.

Agnese Ciulla è una donna siciliana, che mette al centro gli altri facendo l’operatrice sociale, la facilitatrice territoriale, ma durante il suo mandato da assessora la sua esperienza umana e professionale con i migranti minorenni, le è valsa il soprannome «grande madre».  Il regista Manuzzi ha conosciuto Agnese leggendo un’intervista che il quotidiano la Repubblica titolava “Prendo in affido i migranti minorenni sono i miei 480 figli”.

Agnese Ciulla fu molto attiva nell’emergenza sbarchi in quel periodo e mise a punto misure di assistenza come lo strumento del tutoraggio volontario dei minori non accompagnati. In un mondo che si sta chiudendo a riccio, in difesa, Agnese Ciulla, insieme alla città di Palermo, apre le braccia e accoglie. Accoglie minori stranieri non accompagnati che hanno già perso tutto quello che alla loro età potevano perdere. Arrivano sulla banchina del porto. disorientati,  senza documenti, senza bagaglio, senza una prospettiva. Sono vivi e basta. 

Nel film è concentrato tutto – visioni, sbarchi, sedute comunali, incontri istituzionali, Protocollo, Tribunale dei Minori, liti familiari, conflitti con i figli, feste di compleanno – in un solo giorno. Un giorno pieno di turbolenze e di vita nel “bellissimo caos” di Palermo.

Il film si ispira al libro “La Grande Madre”, pubblicato nel 2019, che Agnese Ciulla ha scritto con Alessandra Turrisi per raccontare la sua esperienza umana e civile a fianco dei giovani migranti, le difficoltà, le minacce e i successi e, sullo sfondo, la grande impresa di Palermo, che ha aperto il suo porto in nome di valori universali come l’accoglienza e la condivisione, per diventare la casa di tutta la comunità.  Palermo ha dimostrato di essere «grande madre» e ha provato a trasformare "l’emergenza in progetto”.

Te lo leggo negli occhi - Uno speed dating diverso

Per chi vuole conoscere qualcuno. “Te lo leggo negli occhi” è un evento di speed dating ideato da Libraccio e Ostello Bello. Le regole sono semplici: all’ingresso i partecipanti scrivono il loro nome e il titolo del loro libro preferito su un adesivo. Una volta attaccate addosso, queste saranno le uniche informazioni condivise con gli altri ospiti dell’aperitivo. Così, sarà la lettura a favorire nuovi incontri tra le persone. Una “spalla” cartacea che, senza parlare, racconterà qualcosa di voi.


Nell’epoca della grande diffusione delle app di dating, “Te lo leggo negli occhi” è un’occasione di tornare a incontrarsi nei luoghi fisici.  I libri diventano così dei facilitatori per nuove relazioni. "Presentarsi tramite il proprio libro preferito permette di fare entrare gli altri nel proprio mondo, coinvolgerli”.  Tra gli spunti per iniziare una conversazione con gli altri ospiti ci sarà anche il libro a sorpresa che Libraccio regalerà a ogni partecipante.  Da buoni amici, i libri ci accompagneranno fuori a bere qualcosa e ci aiuteranno a fare nuove conoscenze.

Per il momento il programma prevede due eventi: il 2 maggio a Milano e il 10 maggio a Genova. 

Dal sito  https://www.ilfattoquotidiano.it/2023/04/29/

sabato 13 maggio 2023

Indicazioni per praticare yoga correttamente

Indicazioni per praticare correttamente yoga:

1. Praticare “shavasana” alla fine della lezione. Shavasana, che in sanscrito significa “posizione del cadavere”, è la posizione di rilassamento per eccellenza che dovrebbe chiudere, tutte le lezioni di yoga.  Si tratta di un asana di fondamentale importanza poiché permette al corpo di interiorizzare il lavoro svolto e quindi di assorbire gli effetti della pratica sia a livello fisico che energetico.  E' una delle posizioni più difficili da imparare. Rimanendo immobili per qualche tempo, e mantenendo la mente quieta ed in pieno stato di coscienza, si impara a rilassarsi.

2. Non eseguire le posizioni imitando gli altri. Quando ci si avvicina alla pratica dello yoga, si  “pratica per imitazione”.   Molto spesso però il nostro corpo non possiede lo stesso grado di flessibilità e coordinazione di chi ci sta accanto, o di chi ci guida nella pratica. La reazione istintiva a questa sensazione è quella di sforzarci ben oltre i limiti del nostro corpo, rendendo in questo modo le posizioni dolorose, anziché piacevoli, e correndo il rischio di farci anche del male. Il “vero segreto della pratica” è essere capaci di vivere il momento presente, ascoltando con consapevolezza il respiro e  cercare di interiorizzare.  Non è importante eseguire posizioni a livello avanzato.

3. Rispettare i momenti di riposo del corpo. Il nostro corpo, così come il nostro stato d’animo e la nostra energia, cambia costantemente in funzione degli eventi della vita, del susseguirsi delle stagioni, del nostro stile di vita e di mille altre ragioni. Per questo motivo è assolutamente naturale che, praticando la stessa sequenza yoga in momenti diversi, cambi il modo in cui ci rapportiamo ad essa, ed i benefici che ne otteniamo. Soprattutto, succede che alle volte riusciamo ad eseguirla seguendo il ritmo e l’intensità nella quale ci viene proposta, altre volte invece no.  Lo yoga dovrebbe lasciarci una sensazione piacevole di rilassamento mentale e di benessere fisico, che si ottiene solo quando si impara a rispettare i momenti di riposo del corpo. Per questo motivo non è assolutamente necessario eseguire tutte le posizioni o le pratiche che l’insegnante ci propone.  

4. Gli accessori possono essere utili durante la pratica. Secondo gli insegnamenti tradizionali, per praticare yoga è sufficiente avere con sé il proprio corpo, e la propria mente. Oggi, comunque, la maggior parte dei centri yoga sono sempre più spesso attrezzati con accessori come blocchi, cinture, cuscini e molti altri supporti utili a favorire la nostra pratica. Il primo stile di yoga che ha iniziato ad utilizzare gli accessori è stato quello fondato dal maestro Iyengar, che ha introdotto l’utilizzo di accessori per permettere a tutti, indipendentemente dal proprio grado di flessibilità o condizione fisica, di eseguire gli asana mantenendo un corretto allineamento del corpo. Gli accessori potrebbero rendere la pratica più consapevole, e costituire un aiuto per progredire in alcune posizioni senza correre il rischio di danneggiare il corpo.

5. Mantenere le asana con consapevolezza. Lo yoga è una disciplina che lavora con il corpo, ma anche con la mente, e che la presenza, l’attenzione e la consapevolezza con la quale si pratica sono altrettanto importanti dell’intensità con la quale si pratica. La pratica dipende dalla stagione dell’anno in cui ci troviamo e dal nostro stato fisico e mentale. Ci sono giorni in cui abbiamo bisogno di energia, allora possiamo optare per sequenze energiche come la ripetizione del Saluto al Sole, altre volte in cui il corpo ha bisogno di essere trattato con dolcezza, e allora è meglio scegliere di praticare sequenze di yoga gentile, o altre volte abbiamo bisogno è di rilassarci profondamente,  in questo caso la prartica perfetta è Yoga Nidra.  C'è a disposizione una grande grande possibilità di scelta circa le sequenze che devono essere adattate alla condizione psicofisica del praticante.

6. Non fare più lezioni di seguito. E' meglio praticare solo una lezione alla volta, piuttosto che più lezioni consecutive… in quanto lo yoga, oltre che a livello fisico, lavora anche a livello energetico. Questo significa che ogni sequenza è studiata specificatamente per raggiungere un obiettivo, e che il corpo ha bisogno di qualche ora di tempo per assorbire gli effetti delle posizioni e della sequenza.
Nella quotidianità è possibile praticare più volte al giorno, l’importante è lasciar trascorrere qualche ora da una pratica all’altra, e l’ideale sarebbe fare una lezione energizzante la mattina ed una lezione rilassante la sera.

7. Dare importanza all'ambiente in cui si pratica. L’ambiente in cui si pratica, il materiale che si utilizza, e l’abbigliamento che si indossa, sono molto importanti. E’ fondamentale infatti praticare in un ambiente pulito e con abbigliamento comodo.

8. Praticare yoga con un respiro consapevole. Lo yoga è una bellissima armonia di corpo, mente, respiro ed energia. Il respiro è il ponte che la mente al corpo, collega la vita alla coscienza. Ogni volta che, durante la pratica, ci distraiamo dobbiamo riportare l'attenzione sul respiro. Nello yoga la respirazione ha un’importanza fondamentale, ed è proprio la consapevolezza della respirazione che fa di questa disciplina una pratica incredibilmente benefica per il corpo, per la mente e per  spirito.  Occorre cercare di portare la consapevolezza sul respiro durante tutta la lezione,  specialmente quando si praticano le posizioni di equilibrio. Il controllo sul respiro durante la pratica ti aiuterà a gestire lo stress, le emozioni ed a calmare la mente irrequieta.

9. Non paragonarsi agli altri. Nessun pratricante è esattamente uguale all’altro, così come ogni corpo ha le proprie esigenze e caratteristiche. La flessibilità non è l’obiettivo dello yoga e nemmeno una prerogativa per poterlo fare… è piuttosto una conseguenza naturale della pratica.

10. Cercare di praticare regolarmente. Lo yoga è efficace soprattutto se lo si pratica tutti i giorni. Tuttavia non  dovrebbe essere una fonte di frustrazioni. E'  importante rispettare sempre i propri limiti, e i propri tempi, e non focalizzarsi eccessivamente sulla pratica di una o più posizioni avanzate. Comunque, l'esecuzione di asana avanzate porta indubbi benefici, alle ghiandole, agli organi interni, alle articolazioni, alle nostre cellule, ecc.  L'esecuzione di alcune asana avanzate, come ad esempio la posizione del corvo, aiutano ad aumentare la fiducia in se stessi.

 
Per trovare le sequenze più adatte al tuo stato psicofisico vedi il sito Yoga n’ Ride.   Vedi i benefici dello yoga al sito: https://yoganride.com/12-benefici-dello-yoga-sul-corpo-e-sulla-mente/

Jetsunma Tenzin Palmo - una delle prime monache occidentali.

Jetsunma Tenzin Palmo (nata nel 1943 - ) è una delle più importanti insegnanti buddhiste occidentali del mondo. Nel 1967, all'età di 24 anni, ricevette l'ordinazione al monastero di Rumtek in Sikkim dal XVI Karmapa, diventando una delle prime monache occidentali. Ha completato dodici anni di intense pratiche meditative, con tre anni di rigoroso ritiro solitario in una grotta nelle montagne innevate di Lahaul, India settentrionale. Il suo maestro Khamtrul Rinpoche le chiese di fondare un convento e, con la benedizione di Sua Santità il Dalai Lama, fondò Dongyu Gatsal Ling in India. Ora viaggia per il mondo insegnando, sostenendo pari diritti e opportunità per le monache buddhiste e raccogliendo fondi per il suo convento. Vicki Mackenzie, che ha scritto Cave in the Snow su di lei, racconta che ciò che ha ispirato la stesura del libro è stato leggere la dichiarazione di Tenzin Palmo a una rivista buddhista: "Ho fatto voto di raggiungere l'Illuminazione nella forma femminile - non importa quante vite ci vorranno".

Intervista fatta da Study Buddhism

    Study Buddhism - Domanda: Sei stata una delle prime donne occidentali ad essere ordinate come monaca buddhista, in un momento in cui il Buddhismo era a malapena conosciuto in occidente, e non c'erano centri di Dharma e quasi nessun insegnante in giro. Sei cresciuta a Londra, quindi come sei entrata in contatto con il Buddhismo e come spieghi la convinzione che hai provato in così giovane età?

Tenzin Palmo:
Fin da bambina, credevo che fossimo intrinsecamente perfetti, e che dovevamo continuare a tornare ancora e ancora finché non avremmo riconosciuto la nostra perfezione innata. La domanda era, naturalmente, che cosa è esattamente la perfezione e come la raggiungiamo? Quando avevo 18 anni lessi un libro e incontrai il Dharma. Ero a metà del libro quando mi rivolsi a mia madre e le dissi: "Sono buddhista", e lei rispose: “Oh, davvero mia cara? Beh, finisci il libro e poi puoi parlarmene”. Mi resi conto di essere sempre stata buddhista, ma non sapevo che esistesse, perché in quei giorni nemmeno la parola "Buddha" era mai stata pronunciata. Questo era negli anni '60, quindi non c'era molto materiale disponibile, nemmeno a Londra.   In seguito mi resi conto di essere più incline alla tradizione tibetana, e quando avevo 20 anni, andai in India. Al mio ventunesimo compleanno, incontrai il mio lama, Khamtrul Rinpoche, e tre settimane dopo presi la mia prima ordinazione da monaca e andai a lavorare con lui.    Poi mi disse di andare a Lahaul, nel nord dell'India, dove rimasi per i successivi 18 anni. Non mi sono mai chiesta se avesse senso spostarsi da Londra a Lahaul. Tutto sembrava una progressione naturale. A Londra mi sentivo nel posto sbagliato e volevo andarmene. Avevo pensato di andare in Australia o in Nuova Zelanda. Non ho niente contro l'Inghilterra, ma sapevo che non dovevo essere lì. Ma non appena incontrai il Dharma, riconobbi che il posto dove dovevo andare era dove c'erano i maestri.    In seguito tornai in India, dopo che mi fu chiesto di fondare un convento, e da allora ho trascorso il mio tempo lì e ho girato il mondo tenendo conferenze sul Dharma.

Domanda: 
Khamtrul Rinpoche è stato il tuo primo insegnante e hai avuto un rapporto molto impegnato e stretto con lui. Come hai scelto Khamtrul Rinpoche, e qual è il tuo consiglio per chi cerca un maestro?

Tenzin Palmo: In India molte persone vengono a parlare da me. La metà di loro mi dice: “Ho un problema, voglio trovare un maestro”. L’altra metà dice: “Ho un problema perché ho un maestro!”. Quindi non è così semplice.    Ci sono tanti maestri molto qualificati in giro, ma questo non significa che ciascun maestro sia adatto per la stessa persona, proprio come le persone non si innamorano della stessa persona. Abbiamo tutti il nostro karma e molti maestri differenti andranno bene per studenti differenti. Ci sono anche certi maestri che non dovrebbero essere dei maestri. Ma la cosa principale qui è che non dovremmo essere troppo ingenui o lasciarci prendere dal carisma. Solo perché qualcuno è molto carismatico, non significa che sia genuinamente qualificato.

Nei testi, e come ci ricorda Sua Santità il Dalai Lama, dovremmo controllare il comportamento della persona non quando è seduta su un grande trono, ma dietro le quinte. Come tratta la gente comune – non i grandi sponsor – ma solo la gente comune che non è di particolare importanza per loro. Ho chiesto al mio lama cosa pensasse di un lama particolarmente controverso che conosceva molto bene, e ha detto che era difficile da dire, e che dovremmo controllare tra 20 anni per vedere come sarebbero diventati i suoi studenti. Se vedete un Sangha buono e armonioso, e se stanno praticando bene e sono brave persone con un buon cuore, allora avete un motivo per avere fiducia.   Quanto a me, sapevo che Khamtrul Rinpoche era il mio lama non appena sentii il suo nome.

Domanda:    Quando hai iniziato, sei dovuta andare in India per ricevere insegnamenti. Ma al giorno d'oggi, possiamo accedere agli insegnamenti su Internet e persino praticare la meditazione guidata online attraverso vari canali YouTube. Vanno bene solo questi o gli insegnamenti faccia a faccia sono comunque essenziali?

Tenzin Palmo: Internet può essere enormemente utile, proprio come i libri, ma non credo sia tutto quello che è necessario per praticare veramente il Buddhismo. A un certo punto, come con l'apprendimento di qualsiasi abilità, avremo bisogno di istruzioni personali da qualcuno che è più avanzato di noi. Se vogliamo essere musicisti, ballerini o sportivi, possiamo scaricare una certa quantità di materiale online e guardare DVD e leggere libri, ma alla fine abbiamo bisogno di qualcuno che ci valuti e ci dia istruzioni personali. Le due cose vanno insieme. Non abbiamo sempre bisogno di stare seduti ai piedi dell'insegnante, ma di tanto in tanto abbiamo bisogno di qualcuno che possa guardarci e darci una direzione.

Domanda: 
Molte persone si interessano alla pratica buddhista attraverso la mindfulness [presenza mentale], che tu spesso citi come una parte integrale della vita buddhista. Cosa significa la presenza mentale per te e come ci sostiene nella nostra pratica del Dharma?

Tenzin Palmo: Al giorno d’oggi, la mindfulness [presenza mentale] è diventata una parola che racchiude tutto, ma il principio generale di cercare di essere più coscienti e consapevoli nella nostra vita quotidiana è molto importante. Assieme a questo, è utile contemplare alcuni versi dell’addestramento mentale che sono progettati per affrontare e trasformare tutti i problemi che sperimentiamo nella vita. Per tutte le circostanze esterne e le persone scortesi e difficili che incontriamo, invece di arrabbiarci, sconvolgerci, o frustrarci, possiamo prendere tutte queste circostanze e utilizzarle sul sentiero in un modo che effettivamente ci rinvigorisce e ci rafforza, piuttosto che sconfiggerci. È un consiglio molto pratico, ed è per questo che parlo molto di come trasformare la nostra vita quotidiana nella pratica del Dharma, altrimenti è facile sentirsi senza speranza e indifesi.

Che siamo in ritiro o fuori nel mondo, dovremmo cercare di sviluppare la qualità della consapevolezza il più possibile. La distrazione è il problema principale per tutti noi – ciò che il Buddha chiamava la "mente scimmia". Ovunque siamo e qualunque cosa stiamo facendo, o siamo coscienti, o non lo siamo. O siamo consapevoli e presenti, o non lo siamo. Non c'è via di mezzo.  Uno dei migliori consigli che abbia mai ricevuto mi è stato dato dagli yogi del nostro monastero, che consigliavano di osservare la mente tre volte ogni ora. Ci impegniamo a fermarci per un momento e a guardare cosa sta facendo la mente, in quale stato mentale stiamo dimorando. Non lo giudichiamo, lo sappiamo e basta. A poco a poco ci abitueremo sempre di più ad essere consapevoli di ciò che stiamo pensando e a quali sono i nostri vari stati positivi e negativi. Diventeremo sempre più padroni della nostra mente, piuttosto che esserne schiavi.

Domanda:   Hai appena parlato di quando ci sentiamo senza speranza e impotenti, e penso che a volte potremmo sentirci così anche se siamo dei praticanti maturi. Come possiamo nutrire noi stessi quando ci sentiamo bloccati nella nostra pratica del Dharma, senza entusiasmo, oppure quando sentiamo che ci manca l’energia?

Tenzin Palmo: Innanzitutto, è importante alleggerirsi un po’! Ho detto spesso che la settima paramita dovrebbe essere il senso dell’umorismo, così non ci prendiamo troppo sul serio. Abbiamo bisogno di essere sinceri nella nostra pratica, ma allo stesso tempo non possiamo prenderci troppo sul serio.    Qui penso che sia fondamentale riconoscere che siamo così fortunati ad avere questa nascita umana dove possiamo praticare ciò che vogliamo, prendere un libro e non solo leggerlo, ma capirlo davvero. Questo livello di istruzione è molto raro nel corso della storia, quindi non dovremmo darlo per scontato. Dovremmo sviluppare un profondo apprezzamento per tutto ciò che abbiamo e non sprecarlo, altrimenti moriremo con profondi rimpianti.   Per tutto il tempo abbiamo a che fare con la mente e [cerchiamo di capire] come domarla, e come trascendere la nostra mente convenzionale ordinaria. Questo richiede un'enorme quantità di determinazione e perseveranza. Richiede anche un atteggiamento rilassato e spazioso, non teso e stressato. Non è certo una questione di rilassarsi e aspettare che tutto accada. Se non lo facciamo accadere, non succederà!

Inoltre, penso che sia un po' come la tecnologia, devi ricaricare le batterie. Fare ritiri, ottenere insegnamenti personali di volta in volta da maestri che vi ispirano, tutto questo aiuta a ricaricare le nostre batterie. Allora ne siamo ispirati e possiamo integrare quello che abbiamo imparato nella nostra vita quotidiana, che è molto importante.  Infine, il Buddha ha sempre sottolineato l’importanza di avere buoni amici. Viviamo in una società che va in una direzione, quindi è bene avere almeno alcuni amici che condividano gli stessi valori e possano incoraggiarci e aiutarci a ricordare che non siamo soli o particolari, ma che ciò che stiamo facendo è un modo molto valido di vivere. Questo ci incoraggerà a porre il Dharma al centro della nostra vita e non alla periferia, e a usare la nostra vita quotidiana come pratica del Dharma.

Domanda:    Sei conosciuta in tutto il mondo come una pioniera per le donne nel Buddhismo. Prima di tutto, hai fatto voto di raggiungere l'illuminazione nella forma femminile! Inoltre, hai fondato il convento Dongyu Gatsal Ling in India e stai sostenendo l'uguaglianza per le monache. Come vedi i ruoli e le opportunità attuali delle donne nel Buddhismo?

Tenzin Palmo: Tradizionalmente, le donne non avevano un grande ruolo nel Buddhismo. I libri erano tutti scritti da monaci, per altri monaci. Quindi la visione generale del femminile era piuttosto misogina, con le donne che interpretavano il ruolo dell'altro proibito, in attesa di piombare su piccoli monaci innocenti! In quella società, era difficile che le donne diventassero istruite e ottenessero gli insegnamenti più profondi diventando davvero realizzate.

Oggi tutto questo è cambiato molto. Le ragazze vanno a scuola insieme ai ragazzi e stanno diventando molto istruite. Quest'anno ci sarà il primo raccolto di geshema (dottorato in filosofia buddhista), con i certificati presentati da Sua Santità il Dalai Lama. Le monache, più di chiunque altro, stanno realmente facendo pratiche spirituali profonde impegnandosi in ritiri a lungo termine, e in ogni modo stanno riconoscendo il loro potenziale.   Va detto che i principali sostenitori in questo sono stati i monaci, una volta che hanno compreso l’idea che anche le monache potessero studiare. Diventarono i loro insegnanti incoraggiando molto le monache. Ciò a cui si sono opposti è l'idea della piena ordinazione delle monache, che ha avuto un interessante muro di resistenza negli ultimi 30 anni.   A tal proposito, in questo momento abbiamo molte speranze grazie a Sua Santità il Karmapa, che ha detto che sarà fatto. Quindi dobbiamo aspettare e vedere come ha intenzione di farlo, perché tutti staranno a guardare. È importante che sia fatto bene e che lui trovi un modo in cui tutti possano essere d'accordo che si tratta di un'ordinazione valida, perché poi questo aprirà la porta per tutti.

 Domanda:   È bello sapere che le monache stanno facendo progressi. Hai detto in passato che pensi che le monache avranno un ruolo sempre più importante da svolgere nel sostenere il Dharma. Quali sono gli ostacoli principali che devono affrontare?

Tenzin Palmo: Se vai in qualunque convento e gli chiedi quali sia l’ostacolo principale, diranno sempre una bassa autostima e la mancanza di fiducia. Ci vuole tempo. Ma la differenza tra le prime ragazze del Ladakh che diventarono monache e quelle che abbiamo adesso è molto incoraggiante.  Una volta chiesi al primo gruppo di monache che avevamo se credevano che i maschi fossero intrinsecamente più intelligenti delle femmine, e tutte risposero di sì. E io dissi: “No, è solo che hanno avuto più opportunità. Quando avete pari opportunità, entrambi ve la cavate bene. Alcuni maschi sono intelligenti, altri sono stupidi. Alcune femmine sono intelligenti, altre stupide. Siamo tutti esseri umani, nessuno è superiore”. Ora, se dovessi fare la stessa domanda, le ragazze sarebbero perplesse dalla domanda stessa! Quindi abbiamo fatto dei passi avanti. Le nuove monache non sanno che “dovrebbero” essere miti e sottomesse, e così in molti modi credono di poter fare qualsiasi cosa, perché le monache precedenti ce l’hanno fatta. Così non hanno nulla da dubitare.

Domanda:
Molti di noi in occidente lottano anche contro la bassa autostima, l’ansia, e la depressione. Si dice che i paesi occidentali stiano vivendo “un’epidemia di solitudine”. Come può il Buddhismo aiutarci con questi sentimenti? 

Tenzin Palmo: Forse uno dei principali antidoti alla depressione, alla mancanza di autostima, alla solitudine e così via è il riconoscimento che abbiamo davvero la natura di Buddha. Tutti gli altri problemi come la rabbia, la gelosia, le ambizioni, sono semplicemente modelli abituali che abbiamo imparato, ma non sono inerenti a chi siamo. Non siamo umili peccatori, non siamo esseri inutili. Siamo come dei bei gioielli. Ci viene sempre dato il messaggio che il nostro potenziale è così limitato, il che è molto triste. In realtà, il nostro potenziale è infinito. La natura della mente è assolutamente incredibile. Questo è davvero utile perché, anche se uno potrebbe non essere un buddhista impegnato, ci aiuta solo a diventare esseri umani migliori. Conosco molti sacerdoti e suore cattoliche che usano gli insegnamenti buddhisti per diventare cattolici migliori, ed ebrei che li usano per diventare ebrei migliori. Perché no?! Ci porta solo a riconoscere più profondamente la nostra natura originale, che è qualcosa che noi tutti abbiamo.      

La meditazione ci porta ad un livello più profondo di consapevolezza. Siamo normalmente coinvolti nelle correnti dei nostri pensieri, sentimenti ed emozioni. Grazie alla consapevolezza, possiamo osservare tutto questo senza esserne spazzati via. Questo ci dà accesso a qualcosa di molto più vasto e profondo della nostra solita mente compressa.  Il Buddhismo ci aiuta a superare la nostra mente che continuamente si afferra a un ego, dandoci la possibilità di aprirci a qualcosa di molto più spazioso e genuinamente significativo. Tutti noi possiamo avere accesso a questo. Non è così difficile. Con qualche istruzione e con la pratica, tutti possono farlo.

https://studybuddhism.com/it/punti-essenziali/interviste/intervista-con-jetsunma-tenzin-palmo 

Jacques Vigne - Psichiatra e Swami

Il dottor Jacques Vigne (1956 - )è uno psichiatra francese formatosi a Parigi. Per 15 mesi ha praticato e insegnato psichiatria in Algeria e, dopo la laurea nel 1986, si è recato in India con una borsa di studio quadriennale del governo francese. Ha studiato yoga e filosofia tradizionale indiana per tre anni presso l'Università indù di Benares, quindi ha vissuto per dieci anni quasi ininterrottamente con il suo maestro Swami Vijayananda, un medico francese che ha vissuto in India per 60 anni e che è stato uno dei più stretti discepoli occidentali di Mâ Anandamayî, una delle più famose donne "sagge" del XX secolo. Per i 12 anni successivi, Jacques Vigne ha trascorso circa un terzo del suo tempo in eremitaggio, tornando regolarmente dal suo maestro per continuare l'insegnamento. Dal 2010 è legato a Tenzin Palmo, che da oltre 50 anni è la più anziana occidentale a diventare monaca tibetana e che ha trascorso, tra l'altro, undici anni e mezzo in meditazione in una grotta dell'Himalaya.

Jacques Vigne ha scritto 17 libri, il cui tema principale è la psicologia spirituale e la meditazione. Nei suoi scritti è particolarmente attento a costruire ponti tra Oriente e Occidente, tra psicologia moderna e spiritualità, tra le pratiche sapienziali dell'India e il cristianesimo. Ha scritto due grandi libri di 400 pagine sulla mistica comparata, uno sul Matrimonio interiore, che cerca di tracciare l'unione dei canali ida e pingala dello yoga in altre tradizioni, e l'altro sulla Mistica del silenzio. Uno dei suoi ultimi libri, Secular Meditation Practice, propone una visione della laicità inclusiva e non esclusiva, rispettando i contributi delle religioni, ma allo stesso tempo sostenendo la diffusione della meditazione per tutti, con la sua serie di benefici per la salute fisica e mentale ormai sempre più scientificamente accertati. I suoi viaggi come testimone dello yoga e della meditazione lo hanno portato in diversi Paesi europei, più volte in Libano, due volte in Marocco, una volta in Tunisia e una volta per tre settimane in Cina. Organizza viaggi spirituali in India, Ladakh, Monte Kailash e Tibet.

Sito: https://www.jacquesvigne.org/
Insegna alla Sarva Yoga University https://www.sarvayogauniversity.com/our_team/dr-jacques-vigne/ in questa importante università on line insegnano anche Mauro Bergonzi e Eros Selvanizza.

sabato 6 maggio 2023

Felice è chi sa amare - Hermann Hesse

Hermann Hesse (1877-1962), scrittore e poeta nato in Svizzera, fu insignito del premio Nobel per la letteratura nel 1946. Conobbe Carl G. Jung e questo rapporto col famoso psichiatra e psicanalista svizzero, lo incentivò ad illustrare i turbamenti dell'animo umano con la scrittura, questo fatto gli valse l’appellativo di “scrittore della crisi”.
L’amore rappresentava per Hermann Hesse un’esperienza che andava ben al di là della sfera puramente affettiva: secondo lui, l’amore coinvolgeva gli aspetti più profondi dell’essere umano, era un’esperienza sia sensoriale che spirituale in grado di svelare i segreti del significato della vita.


Dal testo Sull’amore:   (vedi link : https://librariacultura.altervista.org/riflessioni-sullamore-la-splendida-citazione-di-hermann-hesse/ )

Quanto più invecchiavo, quanto più insipide mi parevano le piccole soddisfazioni che la vita mi dava, tanto più chiaramente comprendevo dove andasse cercata la fonte delle gioie della vita. Imparai che essere amati non è niente, mentre amare è tutto, e sempre più mi parve di capire ciò che da valore e piacere alla nostra esistenza non è altro che la nostra capacità di amare e sentire.

Ovunque scorgessi sulla terra qualcosa che si potesse chiamare “felicità," consisteva di sensazioni.
Il denaro non era niente, il potere non era niente.
Si vedevano molti che avevano sia l’uno che l’altro ed erano infelici.
La bellezza non era niente: si vedevano uomini belli e donne belle che erano infelici nonostante la loro bellezza.
Anche la salute non aveva un gran peso; ognuno aveva la salute che si sentiva, c’erano malati pieni di voglia di vivere che fiorivano fino a poco prima della fine e c’erano sani che avvizzivano angosciati per la paura della sofferenza.

Ma la felicità era ovunque una persona avesse forti sentimenti e vivesse per loro, non li scacciasse, non facesse loro violenza, ma li coltivasse e ne traesse godimento.
La bellezza non appagava chi la possedeva, ma chi sapeva amarla e adorarla.

C’erano moltissimi sentimenti, all’apparenza, ma in fondo erano una cosa sola.
Si può dare al sentimento il nome di volontà, o qualsiasi altro.
Io lo chiamo amore.
La felicità è amore, nient’altro.

Felice è chi sa amare.
Amore è ogni moto della nostra anima in cui essa senta se stessa e percepisca la propria vita.
Ma amare e desiderare non è la stessa cosa.
L’amore è desiderio fattosi saggio; l’amore non vuole avere; vuole soltanto amare.
"

venerdì 5 maggio 2023

Se non ora quando? Sull'urgenza del cammino interiore. - Intervento di Corrado Pensa

 Seminario con Corrado Pensa all'A.ME.CO - Roma   22/04/2023

Non bisogna rimandare la pratica. Le tre aree importanti per la pratica sono: l'etica, la saggezza e la meditazione.  L'insegnamento deve mettere al centro l'essere umano e il praticante deve prendere quello che fa più bene con chiarezza di intenti e cercando di cambiare il modo di essere. Lo studio del Dharma va affrontato con umiltà e pazienza.  I tre inquinanti: attaccamento, avversione e confusione impediscono di fare le giuste scelte verso il bene e rendono schiavo il praticante.  Il saggio deve cercare di vivere il momento presente, cosa non facile perchè si tende a rimandare immaginando di avere un tempo senza fine. Si tende a rimandare le cose importanti, i buoni propositi verso i 60 anni, a cui molti non arrivano. La vita è un'occasione unica per vivere nel presente, un momento è unico e irripetibile.  La pratica va fatta con continuità e in modo approfondito attraverso i ritiri; e bisogna nutrire sistematicamente l'abitudine alla meditazione. L'ostacolo alla meditazione è l'errata comprensione della consapevolezza. La consapevolezza non è mai ababstanza, è anche attenzione non giudicante, equanimità, presenza. Anche il Buddha non giudicava mai i suoi discepoli. La consapevolezza è un attimo di luce e la consapevolezza intellettuale non è consapevolezza.

"Chi non disprezza più nessuno, ha realizzato l'amore".  Solo guardando e riguardando posso comprendere ed essere consapevole.  Nel contatto con la vita e gli altri le chiavi per un rapporto sano sono pazienza e fiducia.

Nell'area dell'amore per noi stessi, manifestiamo diffidenza e freddezza continuamente o in modo intermittente.  Invece, occorre calore ed amicizia per se stessi, amore di sè, un amore maturo per se stessi da non confondere con l'egoismo, che è il sentimento opposto. Dobbiamo arrivare ad una sincera e piena accettazione di noi stessi ed esprimere un'autentica umiltà che cresce insieme alla capacità di amarsi.  Umiltà e disistima o disprezzo sono all'opposto.  Usando una gentilezza amorevole dobbiamo avere chiara la consapevolezza del nostro valore ed arrivare al più presto ad amare noi stessi di più. Non dobbiamo farci risucchiare dai pensieri negativi e invece, dobbiamo cercare di arrivare alla pace interiore. Spesso alimentiamo l'amarezza senza accorgercene, perdendo la  consapevolezza del presente, delle stagioni, delle persone positive che ci circondano.   Le porte del cambiamento si aprono proprio quando ci accettiamo così come siamo.  Accettazione significa coraggio e non cieca passività e rassegnazione. Possiamo imparare a non farci risucchiare dal vortice diei pensieri negativi e, piano piano, arrivare a sentirci a casa nella nostra aspirazione alla pace e all'armonia.  Dobbiamo avere fiducia nel bene e cercare la pace nel momento presente che, anche se definito fugace, può avere il sapore dell'eternità.  In questo  modo possiamo entrare con umiltà in un mondo più vero, dove prevale la leggerezza del vivere, riuscendo a non essere di peso a noi stessi e agli altri. L'umiltà è vera quando è profonda, ed è in questo caso è utile per se stessi e per gli altri.  Poco compresa e diffusa è l'umiltà, e le persone umili che si incontrano rimangono impresse nella memoria.  

Il Buddha ha dato un inseganmento davvero molto forte: "Fintanto che c'è attaccamento  al piacere e avversione per lo spiacevole, la liberazione è impossibile".

Mie riflessioni_____   La compassione per il male è la massima espressione della compassione, di questo tipo di compassione ne ho sentito parlare per la prima volta da Thich Nhat Hanh quando parlava dei torturatori, secondo lui era necessario cercare di capire la sofferenza che c'era in loro, per arrivare a fare quello che avevano fatto.

Ci crediamo re tecnologici ma siamo schiavi delle rete

«Ci crediamo re tecnologici ma siamo schiavi delle rete. Dall’arte cristiana ai selfie, il nostro mondo è arrivato alla saturazione... " -  Olivier Rey.

Filosofo e matematico francese, Olivier Rey (1964- ) è uno dei pensatori più interessanti del panorama europeo.  E' nato in una famiglia nella quale Dio era «l’oppio dei popoli» e dopo un lungo percorso è arrivato alla conversione e racconta: «È stato un lungo cammino. Ma resto sempre meravigliato quando penso all’infinita dolcezza con cui Dio ha saputo prendermi».
Dopo aver insegnato matematica per quindici anni, si dedica oggi alla filosofia al CNRS (Centro Nazionale della ricerca Scientifica) di Parigi. Riflette sul posto che la scienza ha nel pensiero moderno.

Ha scritto un libro su Ivan Illich ed è in procinto di scrivere altri libri sul posto ingombrante che il numero ha preso rispetto alla parola.
Olivier Rey è noto per l’originalità del suo pensiero». Nel saggio Itinéraire de l’égarement (Itinerario dello smarrimento) del 2003 affronta lo smarrimento odierno sul senso della vita. «Non è la scienza che può dare un senso. Il senso non può che riceverlo, dal momento che essa è esplorazione del mondo che Dio ci ha dato, mediante la ragione che ci ha ugualmente dato».

Il mondo in cui viviamo è saturo di immagini e talvolta vive soltanto attraverso di loro. “Il cancro delle immagini è la manifestazione di una potenza religiosa separata dalla religione, una potenza che, quando si rompono gli ormeggi, devasta il mondo”, spiega Olivier Rey in “Gloire et misère de l’image après Jésus-Christ”. Sottolinea come siamo passati da “opere sacre realizzate con arte” destinate alla contemplazione e alla devozione a “opere d’arte a carattere religioso” destinate alla collezione e all’ammirazione, che hanno generato in seguito la proliferazione.

Ci piace o non ci piace, lo troviamo bello o non lo troviamo bello. Possiamo accontentarci di queste semplici emozioni? Bisogna cercare di ridare importanza alla cultura, ai codici, al tipo di sguardo che abbiamo sulle opere del passato europeo, affinché tornino a dirci veramente qualcosa. Per non sentirci sradicati nella nostra terra.    Olivier Rey paragona la proliferazione delle immagini nel Ventesimo secolo all’undicesima piaga d’Egitto e cita il filosofo Günther Anders: “Un tempo, c’erano le immagini nel mondo, oggi c’è il ‘mondo delle immagini’, e più precisamente il mondo come immagine, come muro di immagini che intercetta senza sosta lo sguardo, lo occupa senza interruzioni e ricopre senza interruzioni il mondo”. Le immagini, quando proliferano senza misura come accade oggi, si interpongono tra noi e il mondo, impedendoci, di conseguenza, di vederlo. Per molte persone l’immagine è diventata più reale della realtà stessa.

  • Leurre et malheur du transhumanisme, 2018
  • L’Idolâtrie de la vie, 2020
  • Gloire et misère de l'image après Jésus-Christ, 2020

Il decalogo della manipolazione mediatica - Noam Chomsky

Articolo di  Massimiliano A. Polichetti.

Noam Chomsky (1928 -), linguista, filosofo e teorico della comunicazione statunitense, ha messo appunto un vero e proprio decalogo della manipolazione sociale attraverso i mass media. A seguito di un minuzioso lavoro di studio e di interpretazione di un’immensa mole di documenti, Chomsky è riuscito a smascherare numerosi casi di utilizzo fraudolento delle informazioni, nonché ad evidenziare la piattezza conformistica dei media.
Il meccanismo attraverso cui si attua questo livellamento, è costituito dalla “fissazione delle priorità”: esiste un certo numero di mezzi di informazione che determinano una sorta di struttura prioritaria delle notizie, alla quale i media minori devono più o meno adattarsi a causa della scarsità delle risorse a disposizione. 

Le priorità vengono stabilite da società commerciali a redditività molto alta. L’obiettivo è quello che Chomsky definisce come “la fabbrica del consenso”, ossia un sistema di propaganda estremamente efficace per il controllo e la manipolazione dell’opinione pubblica.
1. La strategia della distrazione: distogliere l’attenzione del pubblico dai problemi importanti e dai cambiamenti decisi dal “potere” con un flusso continuo di informazioni, spesso insignificanti.
2. Creare il problema e poi offrire la soluzione: si crea un problema, una “situazione” che produrrà una determinata reazione nel pubblico, in modo che sia questa la ragione delle misure che si desidera far accettare.
3. La strategia della gradualità: per far accettare una misura inaccettabile, basta applicarla gradualmente, col contagocce, per un po’ di anni consecutivi.
4. La strategia del differire: un altro modo per far accettare una decisione impopolare è quella di presentarla come “dolorosa e necessaria”, guadagnando in quel momento il consenso della gente per una sua applicazione futura.
5. Rivolgersi alla gente adulta come a dei bambini: la maggior parte della pubblicità diretta al grande pubblico usa discorsi, argomenti, personaggi e una intonazione particolarmente infantile, spesso con voce flebile, come se lo spettatore fosse un bambino di pochi anni o un deficiente.
6. Usare l’aspetto emozionale molto più della riflessione: sfruttare l’emotività per provocare un corto circuito dell’analisi razionale e del senso critico.
7. Mantenere la gente nell’ignoranza e nella mediocrità: far si che la gente sia incapace di comprendere le tecniche ed i metodi usati per il suo controllo e il suo asservimento.
8. Stimolare il pubblico ad essere favorevole alla mediocrità: spingere il pubblico a ritenere che sia di moda essere stupidi, volgari e ignoranti.
9. Rafforzare il senso di colpa: far credere all’individuo di essere esclusivamente lui il responsabile delle proprie disgrazie per insufficiente intelligenza, capacità o sforzo. In poche parole, indurre alla non-azione.
10. Conoscere la gente meglio di quanto essa si conosca: il sistema è riuscito a conoscere l’individuo comune molto meglio di quanto egli conosca se stesso. Con la conseguenza di avere un più ampio controllo ed un maggior potere sulla gente, superiore a quello che la gente esercita su se stessa.

Sembra quasi di vedere all’opera Winston Smith, il personaggio principale di 1984 di George Orwell, l’impiegato del Ministero della Verità, che aveva il compito di censurare libri e giornali non in linea con la politica ufficiale, di alterare la storia e di ridurre le possibilità espressive della lingua. La speranza è che si riesca ad evitare la fine di Smith, costretto a sottomettersi al Grande Fratello, il vertice del potere politico, i cui slogan più ricorrenti hanno un suono familiare: “la pace è guerra”, “la libertà è schiavitù”, “l’ignoranza è forza”.

venerdì 28 aprile 2023

Yogatattva Upanishad - La vera natura dello yoga

La vera natura dello Yoga - ( del Prof. Marco Pucciarini)

La Yogatattva Upanishad è senza dubbio una delle più interessanti fra le Upanishad dello yoga, e ciò per due ragioni: da una parte essa espone con grande chiarezza gli otto gradi (anga) dello yoga classico, e dall'altra insiste sui vari benefici che ci si può attendere dall'esercizio di questo yoga (non soltanto lo stato d'indipendenza spirituale - kaivalya - ma anche i numerosi poteri soprannaturali (siddhi), dei quali spesso gli altri testi non dicono molto).

La posizione dottrinale dello yoga, inoltre, è nettamente affermata: fede in un Dio personale (qui Vishnu, definito mahā-yogin), volontà di mondarsi dalle macchie del peccato per poter essere liberato dal samsāra (ciclo delle rinascite), assoluto rifiuto delle Scritture vediche come mezzo di ottenere la liberazione, ecc.
La sequenza adottata può dirsi « cronologica » poiché segue fedelmente lo svolgersi delle otto tappe della via dello yoga (Ashtanga). Gli autori cominciano con lo spiegare come l'anima sia caduta in quella condizione di prigionia che le è propria quaggiù (str. 5-6, 9 sgg.); affermano poi che il Veda non serve a liberarla (6 e 7): vi riesce soltanto lo yoga (14-16), nelle sue varie forme (18 sgg.). Di tutte queste forme, la più elevata è l'Hathayoga (in realtà confuso con il Ashtanga yoga, 24 sgg.). Ci si propone d'indicarne i gradi successivi (24-26).
Gli autori accennano rapidamente alle prime tappe (str. 27-31), ma si soffermano in una esposizione minuta del prānāyama (disciplina della respirazione, 27-41) che culmina nel trattenimento prolungato del soffio inspirato (kumbhaka o ghata): a quel punto compaiono i primi fenomeni soprannaturali (per es., la levitazione), descritti per esteso (53-67).  Seguono alla disciplina del soffio, come di consueto, il pratyāhāra (ritrazione dei sensi) - appena accennato (str. 68) - e la dhārana (fissazione del pensiero su un solo punto) che suscita altri poteri soprannaturali (69-75), fra i quali quello di potersi muovere a piacimento nello spazio cosmico (str. 75). Si insegna però allo yogin a esser tanto saggio da non parlare di tali poteri; è meglio passare per idioti (78) che lasciarsi distogliere dal fine supremo per rispondere alle richieste da cui sarebbe inevitabilmente tempestato colui che confessasse la sua potenza. Si parla poi (85-104) di una « quintuplice fissazione » (str. 84) che consente di rendersi padrone dei cinque elementi, prima che si arrivi al dhyāna (105), meditazione profonda che si confonde quasi con l'Enstasi finale (samādhi), furtivamente menzionata alla strofa 106. Lo yogin è giunto allora alla fine, è liberato (benché sia ancora in vita: jīvan-mukta, str. 107) e fruisce, naturalmente, di poteri affatto straordinari, compreso quello d'identificarsi con Vishnu stesso (110).  L’Upanishad passa a insegnare vari « Sigilli » (mudrā) e «contrazioni » (bandha), molti dei quali di carattere nettamente tantrico (Khecarin, Vajrolī, Amarolī). Tali gesti, più o meno acrobatici, hanno lo scopo di facilitare la meditazione e il trattenimento del soffio. 
Al termine della divagazione, gli autori dell'Upanishad ricominciano (130 sgg.) l'evocazione lirica dello stato del liberato in vita. Questo ci procura suggestive descrizioni del ciclo delle morti e delle rinascite (« colei che fu madre è oggi sposa, e la sposa sarà domani madre a sua volta », str. 132), paragonato a una ruota idraulica con molte cassette (133). Le virtù connesse con la sillaba Om sono enumerate ancora una volta (134 sgg.) e il testo si chiude (da str. 135 alla fine) con un breve accenno alla pace (śānti) di cui fruisce « nel deserto » colui che ha conseguito la condizione d'isolamento spirituale (kaivalya) cui tende la pratica dello yoga.

Le Upanishad dello Yoga -1

Dal sito di Gianfranco Bertagni: http://www.gianfrancobertagni.it/materiali/meditazione/upyoga.pdf
Le Upaniṣad dello Yoga (YU) sono un insieme di testi medievali sincretici estremamente eterogenei, composti in un periodo compreso tra il IX e il XVIII secolo e riuniti per la prima volta sotto questa denominazione dagli studiosi Albrecht Weber e Paul Deussen alla fine dell’Ottocento.
Le 20 (21) Upaniṣad minori classificate sotto l’etichetta di “Upaniṣhad dello Yoga” sono effettivamente accostabili tra loro per una serie di caratteristiche e temi yogici comuni, ma questi necessitano di una cornice storica per essere letti.   Già l’appellativo Upaniṣhad rivela chiaramente il desiderio di mantenersi entro la cornice del Vedānta. -

I contenuti filosofici delle YU sono in linea con la visione non dualista dell’Advaita Vedānta, o  monismo mistico. Si è assistito a una addomesticazione della tradizione haṭha yogica e tantrica messa in atto dall’élite brahmanica a partire dal XVI secolo.
Passando per le Upaniṣhad classiche e la complessa storia dello haṭha yoga, osserveremo l’intrecciarsi e fondersi di pratiche e la nascita, la trasformazione e il declino di alcune delle più importanti tradizioni religiose del sub-continente indiano.  L’unica traduzione completa delle YU è quella redatta in inglese da T.R. Śrīnivāsa Ayyaṇgār (1938).
C’è una continuità espressa dalla denominazione Vedānta con cui sono conosciute le Upaniṣhad in quanto commentari e quindi fine dei Veda. Costituiscono la summa filosofica dei Veda.  Etimologicamente Upaniṣhad significa “connessione”, “omologia”, “equivalenza” e in contesto brahmanico viene a indicare le connessioni esoteriche che sottendono il reale e l’insegnamento segreto.
Nel mondo vedico il sacrificio era la modalità di interazione, il meccanismo mediatore, tra dimensione umana e divina, Col tempo il sacrificio assume sempre maggior valore, fino a diventare (vedi i Brāhmaṇa, Libri Sacerdotali, VIII sec. a.C.) l’atto più importante, la fonte stessa dell’esistente  (è dal sacrificio del Puruṣa che sorge il mondo). Tuttavia non bastava possedere il soma per divenire immortali.
Pur ponendosi in continuità con la tradizione vedica le Upaniṣhad introducono una metafisica non-dualista secondo cui tutti gli esseri partecipano della natura dell’Anima Universale. Secondo questa visione non esisterebbe dunque separazione tra Assoluto e Manifestazione, tra Puruṣa e Prakṛti.  
Teorizzata nei Libri della Foresta e sviluppata nelle Upaniṣad classiche, l’interiorizzazione del sacrificio creò le premesse per lo sviluppo di tutte le tradizioni pratiche successive, tra cui quella nota come haṭha yoga.
Le Upaniṣad hanno dunque una connotazione bivalente. Da un lato rappresentano il vero significato, nascosto ed esoterico, della tradizione vedica e dell’atto rituale che ne costituisce il centro. Dall’altro si sottolinea l’importanza di una conoscenza (e coscienza).
Secondo molti studiosi le Upaniṣhad rappresenterebbero l’espressione testuale di una religiosità kṣatrya antibrahmanica e di una tradizione di ascetismo itinerante, quella śramaṇa, tradizione in cui mossero i loro primi passi Buddhismo, Jainismo e lo stesso Yoga e a cui risalgono concetti chiave trasversali alle tradizioni nate successivamente nel sub-continente indiano quali kārma, mokṣa, māyā. In questo senso rispecchierebbero, come i Libri della Foresta, le esperienze mistiche di saggi-guerrieri esclusi dalla performance del rituale vedico, prerogativa del varna dei brāhmaṇa. Le Upaniṣad classiche sono dunque eredi di tradizioni diverse, ambivalenti e spesso contraddittorie. Nonostante questo furono la base su cui venne fondato il più pervasivo sistema di pensiero indiano fino ad oggi, il Vedānta (Il Vedānta rappresenta in assoluto il darśana dominante dell’Induismo).  
Ciò che si chiama Brahman è lo spazio etereo che sta al di fuori dell’uomo. Lo spazio etereo al di fuori dell’uomo è lo stesso che sta nella cavità del cuore. Esso è il pieno, l’immutabile. Felicità piena, immutabile, acquista colui che così sa. (Chāndogya Upaniṣad 3.12.7-9
Le vie per compiere questo viaggio sono quelle pratiche della meditazione, della rinuncia, della gnosi (jñāna). Attraverso di esse l’anima individuale, l’ātman, immutabile ed imperitura traccia dell’Assoluto dentro di noi, si manifesta.
Una vita condotta nel rispetto del dharma implicava, per il medesimo meccanico principio di causa effetto, una buona rinascita. Le Upaniṣad guardano oltre. Mirano alla liberazione da qualunque forma di rinascita, alla vera immortalità. Si affermano rinuncia e ascetismo.  Il saggio rivolge tutte le sue capacità vitali, sensitive, mentali dall’esterno all’interno, verso il Sé che è l’ātman.
Il corpo umano (inteso olisticamente come complesso corpo-manas-buddhi) diviene la sede stessa del sacrificio, il laboratorio alchemico in cui è possibile superare l’apparente dualità umano-divino, e trasformare l’essere umano in essere divino. La nuova sede del sacrificio, è il corpo umano e nelle Upaniṣad è un universo, abitato dall’ātman e percorso dal prāṇa nelle sue cinque caratterizzazioni, ognuna corrispondente ad una 5 funzione vitale.
Quando [il pensiero] è purificato, risplende allora l’Ātman.”.
La Bṛhadāraṇyaka Upaniṣad (2.1.19) riporta il primo riferimento all’importanza di una rete interna di energia: “Ci sono 72000 vene chiamate hitā. Il cuore, centro da cui si irradia la rete di vene lungo le quali scorrono i fluidi vitali dai cinque colori, è la cavità (guhā) o la grotta nella quale risiede l’ātman.
In questa Upanishad si parla anche della teoria dei quattro stati di coscienza: Il sonno profondo spegne anche la mente e permette di uscire temporaneamente dal manifesto e realizzare l’unione con l’Assoluto: In realtà i primi riferimenti al quarto stato di coscienza sono piuttosto tardi.  L’iniziale identificazione di turiya con la morte si trasforma nel concetto di liberato-in-vita (jīvan-mukti), segnando il passaggio ad una diversa prospettiva: le leggi che regolano la vita e la morte, lo scorrere dei flussi vitali, il riassorbimento del sé nell’Assoluto sono imprescindibili.
Lo strumento principale del saggio è il mantra: egli usa il potere della parola, già teorizzato nei Veda. Il mantra è espressione del Brahman, non uno strumento per invocarlo, ma piuttosto una manifestazione del divino come potere e coscienza. “Il mantra ha infiniti poteri perché è la divinità stessa”. L’ascesa del Sé è resa possibile dalla pratica dei mantra (in particolare del praṇava mantra oṃ) che hanno la qualità di attivare le connessioni tra i soffi vitali e i cinque raggi del sole (l’Assoluto) e rendere possibile la risalita del Sé lungo le canalizzazioni sottili.  Cominciano a comparire i primi termini tecnici fino all’elaborazione del primo sistema yoga a sei limbi. 

In ordine cronologico.
    • Al 8.15 la ChU accenna a ciò che verrà successivamente definito prathyāhāra, dichiarando che il ritiro dei sensi verso il Sé in associazione a regole comportamentali conduce all’uscita dal ciclo delle rinascite e all’unione con l’Assoluto.
    • Māṇḍkūya Upaniṣad – MaU (VIII sec. a.C.) – lunga solo 12 versi, tratta esclusivamente della sillaba OṂ e descrive il collegamento tra essa e i quattro stati di coscienza: le tre componenti del fonema, a, u, m corrispondono rispettivamente allo stato di veglia, sonno, sonno profondo. “L’oṃ senza misura è il Quarto, di là da ogni sviluppo di manifestazione, benefico, non duale. Così la sillaba oṃ è l’ātman. Colui che conosce ciò, immerge l’atmān [manifesto] nell’ātman [supremo]” (1.12)
    • Taittirīya Upaniṣad – TaitU (VI-V sec. a.C.) – compare il termine yoga ātman (2.4.1).
    • Kātha Upaniṣad – Kā hU (V sec. a.C) – compare il termine “adhyātman yoga” per riferirsi ad una pratica il cui fine é la realizzazione del divino (deva) nascosto nel cuore (1.2.12). Si cita anche “il fermo controllo dei sensi che conduce alla ferma attenzione, condizione di equilibrio interiore” (2.3.10–11).
    • Maitrāyaṇiya Upaniṣad – MaitU (II sec. a.C) – primo riferimento a un sistema sestuplice, cinque dei sei elementi preannunciano il sistema a otto lembi di Patañjali. 

Alchimia, tantra e haṭha yoga si combineranno nelle recensioni meridionali con il mantra e tāraka yoga (yoga del suono e della visione) di quelle settentrionali. Il Sāṃkhya, invece, teorizzava l’assoluta separazione tra Spirito e Materia e spiegava il manifesto come il risultato di una progressiva differenziazione della Prakṛti. Al centro della sua teoria era la classificazione (enumerazione) del reale in 25 categorie (tattva), ordinate in cinque classi di cinque. La manifestazione (Prakṛti ) è una catena di legami causali che fluisce dal sottile al grossolano. Questo sistema venne preso in blocco dal Vedānta e ricontestualizzato: il molteplice trae origine da un principio, l'Uno, o da altra realtà prima che esprime da sé il molteplice con assoluta libertà, identica a necessità assoluta. 

Il dualismo sāṃkhyano è riportato nella teoria metafisica esposta negli Yoga Sūtra (III.13-15, III.44) dove si parla di Prāṇa, apāna, udāna, vyāna, samāna. Sostanza e azione non sono separati, ogni termine indica contemporaneamente un soffio vitale e la sua funzione. 

Rendere fedelmente la storia delle Upanishad é opera impossibile: molteplici sono le aree in ombra, numerosissimi i testi che ancora devono passare il vaglio della filologia, molto scarse le fonti consultabili.
Le Upaniṣhad dello Yoga possono essere elencate tra i testi che, a lungo snobbati dall’interesse dei praticanti come degli studiosi di yoga, stanno oggi destando un rinnovato interesse. Come accennato, si tratta di testi ortodossi, redatti in ambiente vedāntino. Una buona parte del contenuto dei testi che costituiscono l’espanso canone meridionale viene estrapolato da opere sanscrite compilate tra XI e XV secolo, opere che descrivono un metodo che pone l’enfasi su una varietà di nuove pratiche fisiche, conosciuto come haṭha yoga. Troviamo il primo riferimento a un metodo chiamato haṭha yoga in un testo sanscrito dell’XI secolo.

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