giovedì 11 novembre 2021

Il Sé esiste o non esiste?

 L'argomento del sè o di chi sono io è un argomento molto dibattuto in filosofia, i grandi mistici indiani come Nisargadatta Maharaj e Ramana Maharshi i cui libri  "Chi sono io?" , e "Io sono quello"  minano qualsiasi certezza. Anche il buddhismo con il secondo insegnamento di Buddha, il primo è stato quello sulle quattro  nobili verità, tratta l'argomento del  Non-sè.

Per il buddhismo al centro di questo mondo c'è l'illusione dell'esistenza di un 'sé', l'illusione che ci fa credere di esistere come qualcosa di individuato e separato dal tutto. É un po' come se un'onda credesse di esistere separatamente dal mare. Le onde si raccolgono, si infrangono, si rimescolano nel mare e l’acqua stessa che le forma non è mai la stessa.  
Alla base di questa illusione primaria c'è l'ignoranza: uno stato di offuscamento in cui non siamo in grado di percepire la vera realtà delle cose.  Perduti in questo ciclo del samsara, dell'esistenza illusoria, gli esseri si trascinano di vita in vita.   Tutto ciò che esiste è privo di sé, è vacuità (la vacuità ultima dei fenomeni intrinsechi),
Quindi l'unico modo che abbiamo per annullare tutto ciò, è quello di ottenere la comprensione dell'impermanenza e vacuità o 'Emptiness", che è la realtà ultima. Nāgārjuna, asserisce che, poiché nessun fenomeno possiede una natura indipendente, si può dire che tutto ciò che esiste è vuoto. L'esperienza della vacuità è la via che porta al "Risveglio". Perciò, bisogna capire bene l'origine dipendente. 
L'obiettivo del buddhismo è quindi arrivare al  risveglio, alla bodhi, all'illuminazione o liberazione. 'Risveglio' significa superare lo stato della nostra coscienza ordinaria.  La nostra ordinaria percezione del  mondo è  fondamentalmente 'illusione' come è  illusione l'esistenza di un 'sé', come qualcosa di individuato e separato dal tutto.
Il Dhammapada, il 'Cammino del Dharma', uno dei testi fondamentali del buddhismo conferma ciò ai seguenti versi:
 277.  Ogni cosa esistente è impermanente. Comprendendo ciò, vai al di là della sofferenza. Questo è il cammino della purezza.
278. L’esistenza è sofferenza. Comprendendo ciò, vai al di là della sofferenza. Questo è il cammino della purezza.
279. Nessun essere è dotato di un sé.

Bisogna fare un'importante distinzione tra due modi diversi di cercare di capire l'idea del Non-Sé.      Uno è il modo che potremmo chiamare intellettuale, cercando di arrivare ad un'idea sul sè attraverso la ragione.  L'altro è una comprensione esperienziale. Cioè, sedersi e meditare, e alla fine, forse arrivare a percepire la verità della dottrina, vedere la verità del non sé, convincersi che non c'è nessun sé in noi. 

Il buddhismo considera l'essere umano composto di cinque aggregati (skandha): forma, sensazioni, percezioni, formazioni mentali e coscienza. Il termine Anatman (sanscrito) o Anatta (pali) è usato come aggettivo, specificando l'assenza di un sé permanente e immutabile o di un'anima in ciascuno dei costituenti dell'esistenza empirica: i cinque aggregati (skandha)

Il Buddha dice che il sé non è costituito da nessuno dei 5 aggregati.  Il sè non è né coscienza (vijnana), né forma (o immagine materiale, impressione) (rupa), né le nostre sensazioni o sentimenti (vedana), né le nostre percezioni (samina), né la nostra attività mentale, formazioni mentali o emozioni (sankhara) perché tutti i cinque aggregati sono impermanenti.   Se eliminiamo tutti gli aggregati, cosa rimane in un individuo?
E quindi possiamo dedurne che, il Buddha deve aver pensato che il sé abbia una proprietà all'incirca opposta all'impermanenza. Quando noi pensiamo al sé, in un modo comune, sensitivo, pensiamo a qualcosa di solido, una specie di essenza che dura nel tempo. Ma non è quello che i buddhisti  asseriscono.  Il sé potrebbe riguardare il controllo, essere in un certo senso, una sorta di nucleo solido che persiste nel tempo. E ciò manca in tutti gli aggregati. Questo potrebbe significare che c'è anche un controllore all'interno del sé. Ciò che Buddha dice nel sermone, non lo esclude.
La mia posizione è che esiste qualcosa che va al di là dei cinque aggregati, ma non lo chiamerei Sé individuale, è una parte del tutto, un'onda del mare, o l'atman che è la scintilla del Brahman indiano.  Come direbbe Ramana Maharshi "La mente proietta il mondo fuori di sé e lo risolve di nuovo nel Sé. Quando la mente esce dal Sé, appare il mondo. Pertanto, quando il mondo appare, il Sé non appare; e quando il Sé appare, il mondo non appare."   ...      Per arrivare a sperimentare la felicità, il Sè superiore, si dovrebbe conoscere se stessi. Per raggiungere questo obiettivo, il mezzo principale è il sentiero della conoscenza, la ricerca, l'indagine nella forma di "Chi sono io?".     "Non sono il corpo, non sono i cinque organi di senso, non sono i cinque organi di azione, non sono le cinque energie vitali. Non sono nemmeno la mente che pensa, né la memoria. Dopo aver negato tutto questo, rimane solo quella Consapevolezza: Quello sono io. Immortale coscienza".

lunedì 8 novembre 2021

I Chakra - 2

La crescita spirituale è alla base del concetto di chakra. E' fondamentale incanalare l'energia inferiore verso quella superiore. E' importante praticare le tecniche di purificazione e il risveglio dei chakra, attraverso pratiche basilari  come la meditazione mantrica, e visualizzazioni.  Chakra è un termine che significa "centro", "ruota", "diagramma simbolico". Mandala e Yantra, i diagrammi simbolici, usati per la meditazione si riferiscono ai chakra. In questi centri è situata l'energia vitale o prana. Il prana per poter viaggiare in ogni parte dle corpo, si serve di canali energetici chiamati Nadi.  L'energia che si accumula nei sette chakra ci consente di avere un'attività intellettuale, emotiva e spirituale. Aprire un chakra significa attivare il tipo di energia che si può sprigionare dal singolo centro. Nelle tradizioni orientali, il corpo umano è composto da molti livelli di energia, sia fisici che “sottili”, oltre il corpo grossolano abbiamo anche un corpo sottile chiamato “corpo di vajra” (vajrakõya), regolato da flussi di energia sottile distribuiti lungo canali (nadi) e dentro centri energetici (chakra).
Aprire un chakra significa attivare il tipo di energia che si può sprigionare dal singolo centro. La meditazione, le posizioni yoga, i mantra sono le vie attraverso cui un chakra può aprirsi. Esiste anche una tecnica che consiste nel concentrarsi sul singolo chakra e visualizzare il colore associato. Scopriamo, uno per uno, i sette chakra.    Vedi articolo - 1      Vedi articolo - 2

1° chakra, muladhara o “chakra della radice”
Posizione: nella parte inferiore del bacino, tra coccige e pube, e situato sotto l’osso sacro.
Colore: rosso.    Significato: è la stabilità psichica nelle diverse situazioni della vita, la capacità di governare gli istinti; poiché ha solo un polo, tende ad essere un po' più grande degli altri chakra. È il chakra con cui vengono assorbite le energie della Terra. Questo centro, formato da quattro petali è posto al di fuori della colonna vertebrale e a livello fisico corrisponde al plesso pelvico, che si occupa di tutte le nostre escrezioni, compresa l’attività sessuale. Sebbene la Kundalini passi solo attraverso gli altri sei chakra, il Muladhara chakra supporta la Kundalini nel momento del suo risveglio. L'eccessiva attenzione e indulgenza verso il sesso indebolisce questo centro. Il Muladhara chakra risvegliato porta innocenza e saggezza.  In India, la deità con la testa d’elefante, Shri Ganesha, è considerata come l’essenza dell’innocenza e della saggezza. Egli ha il corpo di un bambino, che simboleggia l’innocenza, e la testa di un elefante, che simboleggia umiltà e saggezza.

2° chakra, svadhistana o chakra sacrale
Posizione: metà inferiore del ventre
Colore: arancio.  Significato: è chiamato anche chakra dell’ombelico, è connesso al cibo, alla gioia di vivere, alla sessualità e al corpo. È in relazione all’elemento acqua e al gusto.
Se questo chakra è equilibrato, stabile e vitale favorisce un buon rapporto con il Sé, con il proprio corpo e con la sessualità, con tutte le conseguenze positive sullo sviluppo interiore. Stimola creatività, sicurezza di sé e vitalità. Dal punto di vista fisico aiuta a prevenire i disturbi mestruali, le malattie degli organi sessuali, i dolori ai reni, l’impotenza. Collegato al sangue e alla linfa, il chakra sacrale dà energia a tutte le funzioni corporee ed è essenziale per il benessere generale dell’organismo. Quando il chakra svadhistana è in grave disequilibrio può dar luogo a gelosie, paure, desideri inappagati e ossessivi, impotenza e frigidità.  Meditare sul secondo chakra ci incoraggia a capire noi stessi nella nostra unicità, a sviluppare il nostro potere creativo, la capacità di amare, si acquista la capacità di vedere e comunicare con il mondo astrale.

3° chakra: manipura o “chakra del plesso solare”
Posizione: metà superiore del ventre, due dita circa sotto l’ombelico
Colore: giallo.   Significato: è la capacità di agire energicamente, rappresenta la volontà, l'autostima e l'autonomia personale. In senso spirituale è l'essenza attiva di cui siamo stati dotati. Se questo chakra è attivo si sviluppa la determinazione e la volontà per affermare le proprie scelte rispetto al mondo.  Qui ha la sede la nostra determinazione nel raggiungere un obiettivo.  “Io voglio, io posso” è l’affermazione di questo chakra. Il nome sanscrito Manipura significa “la città della gemma rilucente”.  L’elemento che richiama e che è ad esso collegato è il fuoco il giallo dell’apice di una fiamma, alla cui base c’è il colore rosso del primo chakra, a salire l’arancione del secondo.  Manipura controlla il potere di digerire e trasformare non solo gli elementi concreti come il cibo, ma anche, a livello sottile, la nostra vita. . Questo terzo chakra è rappresentato da un fiore di loto che ha dieci petali gialli in cui sono scritte dieci lettere e a questo chakra sono collegate dieci nadi. Al centro del fiore c’è un triangolo rosso simbolo del fuoco con la sillaba RAM e un ariete, animale messaggero del signore del fuoco o Agni.  È importante per l’accumulo dell'energia cosmica. È importante anche come centro di diffusione, perché è proprio da qui si diramano le migliaia di canali energetici chiamati nadi, che servono a trasportare l’energia cosmica (o prana) ovunque nel corpo energetico e stimola il risveglio dell’energia kundalini.  La vista è l’organo di senso governato da manipura: c’è infatti un diretto collegamento tra fegato e occhi.
Quando non vi è equilibrio, c’è il rischio di nutrire un Ego smisurato, che ci impedisce di far salire l’energia verso il chakra del cuore, tenendoci prigionieri della parte più materiale di noi stessi. Per questo viene anche chiamato il chakra del guerriero spirituale. 

4° chakra, anahata o “chakra del cuore”
Posizione: zona pettorale del corpo
Colore: verde. Significato: è la capacità di amare emotivamente, provare cioè un sentimento che non parte tanto dalla mente, quanto dal cuore. Occorre ricordare che, nella tradizione yoga, amore e ascolto sono in stretta relazione. Il centro è composto da dodici petali e si trova dietro l’osso dello sterno e corrisponde al  plesso cardiaco. Controlla il respiro regolando il funzionamento di cuore e polmoni. Quando la Kundalini attraversa questo centro, la persona diventa estremamente sicura, moralmente responsabile ed emozionalmente bilanciata. Una persona del genere è benevolente, ama l’umanità disinteressatamente. Nel chakra del Cuore risiede il Sé, lo Spirito, detto Atma in sanscrito. Lo Spirito si manifesta quando il nostro Cuore si apre e a quel punto noi percepiamo la pura gioia dell’esistenza, il senso e lo scopo del nostro posto nella creazione. La qualità del chakra del Cuore è amore puro e incondizionato.

5° chakra, vishuddha o “chakra della gola”
Posizione: nella metà inferiore del collo e a livello delle clavicole
Colore: azzurro. Significato: è la creatività, la comunicazione, la spiccata percezione estetica. Gli artisti sono persone nelle quali il vishuddha è ben sviluppato. In senso spirituale, infatti, rappresenta la connessione con con dimensioni cosmiche.   Il centro d’energia è composto da sedici petali e regola il funzionamento delle orecchie, del naso, della gola, del collo, dei denti, della lingua, delle mani, della gestualità, ecc. Esso è responsabile della comunicazione con gli altri, perché attraverso questi organi noi comunichiamo con le persone. A livello fisico, regola il funzionamento delle ghiandole tiroidee. Il fumo, comportamenti aggressivi e sensi di colpa bloccano questo centro. Quando la Kundalini attraversa questo centro, la persona diventa estremamente sincera, delicata e dolce nella comunicazione, diventa molto diplomatico nel gestire le situazioni, l'ego scompare. Si affronta la vita con leggerezza.

6° chakra, adjnia o “chakra del terzo occhio”
Posizione: grande chakra che si trova al centro della fronte
Colore: indaco.    Significato: è la mente razionale. In senso spirituale è il terzo occhio, come qualità della persona è la fiducia in se stessi. Questo centro dai due petali controlla le ghiandole pituitaria e pineale a livello fisico, manifestandosi nelle due strutture dette ego e super-ego. Dato che questo centro governa i nostri occhi, un impegno visivo esagerato come il computer, la televisione, l’eccessiva lettura, etc. indebolisce questo centro.  L'intellettualizzazione conduce ad un blocco di questo centro e sviluppa la propensione ad esaltare il prioprio Io, ovvero il proprio ego. Quando la Kundalini attraversa questo centro la persona diventa compassionevole, capace di perdonare, arriva a  percepire un meraviglioso senso di pace e sollievo.

7° chakra, sahasrara o “chakra della corona”
Posizione: sopra il cranio
Colore: viola. 
Significato: in senso spirituale è la comunione con il Divino, in senso individuale è l'autorealizzazione. Questo centro dai mille petali è il centro più importante ed è situato nell’area limbica del cervello. I mille petali corrispondono al migliaio di nervi che terminano nell’area limbica e sono sistemati in una struttura a forma di fiore di loto, ogni nervo corrisponde ad un petalo. Quando la Kundalini sale e attraversa questo centro, illumina ogni centro nervoso e la persona  sperimenta la Realizzazione del Sé, l'Unione con l'energia cosmica, con il Divino.  La persona accede ad una nuova dimensione di consapevolezza passando dal relativo all’assoluto. Va oltre il passato, il presente e il futuro in uno stato senza tempo e sperimenta la gioia interiore e la beatitudine del Divino. 

Le sette ghiandole che corrispondono ai sette chakra sono la pineale, la pituitaria, la tiroidea, la para-tiroidea, il timo, il pancreas, le ovaie e i testicoli. La pratica dei chakra stimola queste ghiandole portando il benessere.

Le Nadi

 Nadi è una parola sanscrito che può essere tradotta come  "canale" o "flusso". Si riferisce alla rete di canali attraverso i quali l'energia viaggia attraverso tutto il corpo. Il numero di nadi che si ritiene che il corpo contenga varia a seconda della tradizione, ma tutte le tradizioni confermano che ci sono tre nadi principali che attraversano il midollo spinale e toccano i sette principali centri di energia (chakra).

Nelle tradizioni orientali, come l'Ayurveda, tutti gli esseri viventi funzionano grazie all'energia vitale conosciuta come prana, che circola nel corpo attraverso i percorsi sottili noti come nadi. Il prana può circolare solo quando le nadi sono aperte. Quando questi canali energetici sono bloccati, il prana non può fluire liberamente e la salute fisica e mentale di una persona viene compromessa, e le malattie sono associate a dei blocchi energetici. Uno dei principali obiettivi dell'Hatha yoga è l'equilibrio delle nadi,  le asana, gli esercizi di respirazione (pranayama) e il suono sono tra gli strumenti utilizzati per aiutare a far circolare il prana attraverso le nadi. Uno dei metodi più efficaci per riequilibrare le energie è una forma di pranayama chiamata nadi shodhana, o respirazione alternata delle narici.

I principali canali energetici sono tre: 

  • Il Canale Sinistro (ida nadi);
  • Il Canale Destro (pingala nadi);
  • Il Canale Centrale (sushumna nadi).

Il canale sinistro (ida) corrisponde al nostro passato, alle emozioni, ai desideri ed al nostro attaccamento agli altri. Il canale sinistro  è anche detto canale lunare. La sua terminazione è il superego, che è il deposito di tutti i nostri ricordi, le abitudini e i condizionamenti.  Inizia nel chakra muladhara (radice), scorre verso sinistra e passa nei chakra prima di finire nella narice sinistra. Questa nadi rappresenta l'energia mentale.

Il canale destro (pingala) corrisponde alle nostre azioni, al nostro pianificare e alla nostra attività fisica e mentale. La sua terminazione è l’ego, che ci da l’idea dell’Io, il senso di essere separati dal mondo. Il canale destro è anche chiamato il Canale Solare. Quando la richiesta di energia da questo lato è troppo grande, allora il lato sinistro risulterà indebolito. Inizia nel chakra della radice, ma scorre verso destra, tessendo dentro e fuori dai chakra in un'immagine speculare dell'ida nadi e terminando nella narice destra. 

Il canale centrale è il canale dell’ascesa. E’ il potere che sostiene la nostra evoluzione spirituale e ci guida, consapevolmente o inconsapevolmente. Attraverso il sistema nervoso parasimpatico, di fatto il canale centrale regola tutte le attività involontarie del nostro sistema.  Inizia dal chakra radice, scorre dritto lungo la spina dorsale e attraversa tutti i chakra verso una più alta consapevolezza, fino ad arrivare al Sahasrara (il chakra più in alto).

La Realizzazione del Sé avviene quando la Kundalini viene risvegliata nel sistema sottile, comincia a salire e arriva fino al più elevato dei centri sottili del nostro corpo – il Sahasrara che si trova sulla sommitù della testa ed é la porta he collega l'energia individuale e l'energia cosmica. Si avverte la Kundalini come una brezza fresca emanata sulla sommità della testa e al centro delle mani. Questa esperienza iniziale può essere arricchita e rafforzata attraverso la meditazione quotidiana e la pulizia dei chakra così che la Kundalini possa fluire più agevolmente. Quando meditiamo, la Kundalini comincia a pulire i nostri chakra. I condizionamenti, che sono dannosi per la nostra salute e creano stress e malessere dentro di noi, vengono gradualmente rimossi. Come risultato, noi ci sentiamo più in pace e sereni nella nostra vita quotidiana.

Quando meditiamo, gradualmente diventiamo consapevoli delle vibrazioni sulle nostre mani e nel nostro corpo e cominciamo a percepire calore. Per aumentare la consapevolezza del nostro corpo sottile, e dei punti di energia si può usare  regolarmente la meditazione per almeno 10 o 15 minuti al giorno. La meditazione regolare ci permetterà di essere più rilassato, più sereno ed in pace.  

Esercizi.  Le tecniche riportate di seguito servono per percepire le vibrazioni energetiche. Siediti, ma non in posizione rigida, con le gambe incrociate sul pavimento. Se decidi di sederti su una sedia, metti i piedi un po’ distanziati l’uno dall’altro e senza le scarpe. Poni le tue mani ben aperte, con i palmi verso l’alto, sul grembo. Questa tecnica è molto utile per allenarsi ad andare oltre la nostra mente.   Fa’ un respiro profondo, trattieni il respiro per un paio di secondi e rilascialo. Non avere fretta. Prendi il tuo tempo e ripeti per 7 volte. Nel frattempo, poni la tua attenzione sul respiro. Dopo di ciò, metti la tua mano destra 3-4 centimetri al di sopra della tua testa con il palmo rivolto verso la testa stessa e verifica se percepisci una qualche brezza fresca o calda sul palmo della mano. Cambia la mano e prova a fare lo stesso esercizio con la mano sinistra.   Mantieni la tua attenzione sulla testa e prova a rimanere in questo stato senza pensieri per un paio  di minuti. Potrebbe essere difficile all’inizio, ma sii paziente. Non seguire i tuoi pensieri se arrivano, ma osservali come se fossero davanti ai tuoi occhi e non dentro di te. Dopo un po’ riuscirai a raggiungere questo stato “senza pensieri”. 

Pulizia del canale sinistro.  Mettete la mano destra sul pavimento (o verso terra se state seduti su una sedia) e il palmo sinistro rivolto verso l’alto sul ginocchio. Per un paio di minuti, portate la vostra attenzione sulla mano sinistra e prestate attenzione se sentite fresco o caldo sul palmo. 

Pulizia del canale destro. Portate la mano sinistra sul pavimento (o verso terra se state seduti su una sedia).  Tenete la mano destra sul ginocchio con il palmo rivolto verso l’alto. Per un paio di minuti tenete la vostra attenzione sulla mano destra e prestate attenzione se sentite fresco o caldo sul palmo della mano destra.

I Klesha - Antonio Nuzzo

Articolo sui klesha ripreso da Yoga Journal,  del Maestro Antonio Nuzzo  vedi link: https://www.yogajournal.it/klesha-nodi-della-mente/    .
Lo stress, l’agitazione, il nervosismo, l’ansietà, l’insonnia sono il risultato della goffa abitudine di voler nascondere le nostre debolezze ostentando l’esatto opposto. È necessario scoprire un delicato senso di abbandono alla vita, essere consapevoli dell’incertezza e permettere alla ricerca yoga di visitare quella parte del cuore dove si nasconde l’amore, la tenerezza, l’umiltà, la vulnerabilità, la fiducia, il silenzio.

Coltivare con dedizione quella capacità che permette ad ogni praticante di vivere l’istante con una consapevolezza che non può essere turbata dai preconcetti sul passato o dalle proiezioni sul futuro che il pensiero porta con sé. L’insegnamento e la pratica dello yoga sono un’arte raffinatissima che richiede la conoscenza e lo studio accurato di alcuni testi tradizionali che non devono essere considerati semplici conoscenze intellettuali da sfoggiare nei salotti, ma servire a individuare la modalità giusta per incidere in modo profondo sulla propria pratica quotidiana di yoga e più specificatamente di hatha-yoga. L’introduzione della pratica in Occidente, e in particolare in Italia, è ancora troppo recente e la comunità di yoga non può ancora abbracciare l’immensa dottrina tramandataci dagli antichi Maestri: è come un bambino di pochi mesi che si appresta a camminare.
Inevitabilmente, i suoi primi passi saranno incerti e, presumibilmente, affrettati poiché non si è ancora acquisito equilibrio e stabilità. Così, noi occidentali ci affrettiamo ad apprendere le tecniche fisiche, cercando di esibire movimenti perfetti, come se si trattasse di danza o di ginnastica, per essere giudicati bravi dagli altri, senza aver appreso e applicato l’insegnamento in tutta la sua profondità.

Purifica la mente. Lo yoga innesca un processo di purificazione che non si limita alla semplice pulizia interna ed esterna del corpo attraverso le pratiche fisiche, ma queste assumono il valore di un gesto, di un messaggio simbolico che incita l’individuo a procedere verso una purificazione ben più vasta, verso uno stato di consapevolezza non reattiva, per raggiungere una vera apertura e un fiducioso e totale abbandono alla vita. È importante capire che la pratica di hatha-yoga è solo un’eccellente occasione per imparare con tanta pazienza a osservare, con una coscienza elevata, e comprendere lentamente col tempo, nel rigoroso silenzio della mente, quale testimone, la totalità del processo della vita.
All’inizio del secondo capitolo degli “Yoga Sutra” di Patañjali, dedicato alla sādhanā (pratica), il testo rivela che all’origine dei vortici della mente (le vrtti) ci sono cinque matrici che ne condizionano l’orientamento. Queste matrici si chiamano kleśa  e inducono sofferenza e condizionano le azioni, le scelte di vita e l’orientamento degli stessi processi mentali. Esaminiamole insieme.

Liberati dall’ego. Avidyā è la prima delle cinque afflizioni; è una parola sanscrita composta, che significa condizione interiore di non conoscenza, comunemente tradotta con la parola “ignoranza”. A questo termine non va attribuito il significato che oggi riveste nel linguaggio comune, quello di mancanza d’istruzione, di cultura, o ancora, di mancata acquisizione di una perfetta conoscenza delle supreme e più alte verità filosofiche e religiose. In questo contesto, il termine “ignoranza” indica la diffusa abitudine di non saper collocare gli aspetti prioritari, dal punto di vista della ricerca yoga, rispetto alle priorità derivanti da una visione comune che tende a soddisfare prevalentemente l’ego. Tanto è vero che in sanscrito esiste il termine bhoga, utilizzato dallo stesso Patañjali, che designa esattamente l’azione che ha come priorità quella di soddisfare soltanto il proprio ego, il proprio piacere concreto, materiale, affettivo e psichico.
Con questa affermazione non si vuole indicare che il praticante non dovrà effettuare più nessuna azione che porti al piacere o al proprio vantaggio, ma che dovrà imparare ad attribuire il giusto valore a questo genere di piacere, coltivando parallelamente la priorità assoluta di colui che si sente un vero seguace dello yoga. Applicare questo principio nello hatha-yoga, significa in pratica imparare a individuare, con l’aiuto del proprio istruttore, tutor o maestro, nel procedere della ricerca, tutte le motivazioni che emergeranno in funzione delle varie pratiche sostenute, il vantaggio personale, che sia esso fisico, salutistico o di altro genere. Controllare il livello di interesse che parallelamente si coltiva in funzione della elevata finalità, in modo tale da ridurre il peso di avidyā. Avidyā è rappresentata da Patañjali come un campo dove nascono piante spontanee.   In questo campo vivono gli altri quattro kleśa che rispondono ai nomi di: asmitā, rāga, dvesa, abhinivesha. Essi si espandono, talvolta, al punto tale da sviluppare ossessioni, paure, timori, incertezze, ansie, da un lato, ed effimere gioie, piaceri, soddisfazioni e gratificazioni, dall’altro. Si può imparare a coltivarle in maniera equilibrata e a contenere la loro espansione e la loro crescita. La scelta del modo in cui nutrirle solitamente non è consapevole, ma in chi pratica correttamente lo yoga lo diventa.

La tentazione dell’onnipotenza. Asmitā è uno dei figli di avidyā, il primogenito, è quella matrice che nasce dalla profonda confusione, dal guardare, con la mente condizionata da avidyā, all’io cosciente come a un’identità soprannaturale. Questa credenza porta alla sopravvalutazione di se stessi, all’egocentrismo, all’egoismo, condizione che preclude una visione equilibrata, serena e chiara. Il percorso dello yoga, che si basa sullo sviluppo della consapevolezza e della chiara visione, viene notevolmente inficiato e spesso si entra in un tunnel scuro senza sbocco.

L’illusione del piacere. Rāga e dvesa sono le matrici che fanno emergere le vrtti che affondano le loro profonde e ramificate radici nelle aree più nascoste dell’inconscio, da dove emerge quel desiderio pressante di voler raggiungere a tutti i costi il piacere, la gioia, il divertimento, il benessere, la passione, l’amore e nel contempo di evitare con repulsione, disgusto, ripugnanza tutto ciò che porta dolore, sofferenza, malattia. Ricercare e preferire solo alcuni aspetti della vita e cercare di allontanare illusoriamente gli aspetti che giudichiamo dolorosi e negativi, di cui abbiamo paura e terrore.

L’ultimo ostacolo: la grande paura.  Abhinivesha, l’ultimo dei cinque kleśa, significa letteralmente “gusto che si ha di se stessi”. Potremmo definirlo anche “istinto di conservazione” oppure ancora “testardo attaccamento alla vita” come forza radicata in ogni essere vivente. Abitualmente alla parola abhinivesha si attribuisce il significato più comune: paura della morte.

Abbandonati alla vita.  Da qui si può capire quanto sia inopportuno praticare lo yoga con meccanicità e con false finalità oppure applicare tecniche, anche le più raffinate, con dovizia di particolari tratti dalla fisiologia articolare e dall’anatomia, con informazioni accurate sui benefici e vantaggi, per poterli coltivare nel tempo, come se si volesse, direbbero gli Yogi, sostenere e nutrire i kleśa e le vrtti. Questa potrebbe essere l’ennesima errata strategia messa a punto per distrarre, illudere o velare a noi stessi la paura ed esibire invece l’esatto opposto: il senso di onnipotenza, di forza, di vitalità, di immortalità. Forse tutto ciò rende l’uomo capace di inibire la paura e di vivere eludendola, come se non l’avesse ma, al tempo stesso, lo rende più debole e impreparato, non più nei confronti della paura, ma sicuramente di fronte alla tangibile esperienza della vita.

Al Sutra 2.3 del Secondo Libro Gli Yoga Sutra: Sadhana Pada  – La Via della strategia, Patanjali presenta i cinque Klesha, o afflizioni, indicandoci la necessità del controllo della mente e dei pensieri per poter accedere all’introspezione e all’assorbimento al centro di noi stessi. Ci mostra come il nostro mentale influenzato dai Klesha, le afflizioni, sia condizionato da uno stato di distrazione e ignoranza (Avidyâ).
2.3 –  "Avidya asmita raga dvesa abhinivesah klesah",  -   L’ignoranza, l’egoismo, l’attaccamento, l’odio, e l’eccessivo amore per la vita, sono questi ostacoli che producono dolore. Sono le cinque sofferenze; sono i cinque legami che ci tengono stretti alla vita terrena
  • Avidyâ è il risultato di un accumularsi azioni  che ripetiamo meccanicamente quasi ciecamente per anni, è lo stato d’ignoranza. E’ ciò che ci impedisce di conoscere la realtà poiché preferiamo vederla così come vorremmo che fosse. Ci identifichiamo ai fenomeni impermanenti dell’esistenza, vediamo il tempo che passa, gli esseri e le cose cambiare. vediamo ciò che abbiamo, ciò che perdiamo, ciò che vorremmo. Questo stato, viene chiamato ignoranza, nella filosofia indiana, nasce la mancanza di fiducia in noi stessi, con la conseguenza di generare dolore e identificazioni erronee. Avidyâ è la fonte dell’altro Klesha, Asmitâ.
  • Asmitâ, avendo perduto la fiducia in noi stessi non possiamo fare altro che cercare di proteggerci da ciò nasce il senso di IO, che ci fa confondere l’assoluto che è in noi con il mondo-manifesto. La verità ultima della filosofia indiana è nell’unità nell’UNO, siamo l’UNO, OM, TAT ecc.., i suoi nomi sono multipli. La confusione che ne risulta genera la coscienza, la sensazione di un’esistenza individuale ed autonoma che ci separa dall’assoluto e da origine al senso dell’EGO. C’è di conseguenza dualità tra noi e l’assoluto. Asmitâ, è la fonte di Râga.
  • Râga, l’ego deve alimentarsi per sussistere: il voler possedere, l’avidità, l’attaccamento, il desiderio, il bisogno insaziabile di sicurezza
  • Dvesha è, il rifiuto, il non amore, l’indifferenza agli altri, alla comunicazione alla vita questa sensazione è legata ad una mancanza, ad una frustrazione. Quando non gradiamo, noi rigettiamo, per proteggerci della sofferenza che ne seguirebbe: questo corrisponde al rifiuto di aprirsi a ciò che è, ed a lasciare la presa. Così, l’insoddisfazione diventa permanente.
  • Abhinivesha ad un certo punto ci si può accorgere che queste modalità non conducono in nessun luogo, nasce una frenesia irresistibile di vivere, la paura del divenire, della vecchiaia, della malattia, l’ansietà per la morte, l’attaccamento alla vita, con il suo continuo timore della morte. È la coscienza di sé che rende egoisti. E’ ciò che si nasconde dietro numerose nostre reazioni, come pure dietro a molti meccanismi di stress.  I due klesha  Râga e Dvesha, animano in modo permanente tutti i nostri comportamenti, qualificando le nostre esperienze, secondo la nostra attrazione o la nostra repulsione.

Il matrimonio - Kahlil Gibran

Khalil Gibran (1883 - 1931) fu un poeta, filosofo, pittore libanese e considerato nel mondo arabo il genio della sua epoca. La sua fama si diffuse ben presto oltre i confini del Medio e Vicino Oriente: le sue opere furono tradotte in più di venti lingue e i suoi disegni e dipinti furono esposti nelle grandi capitali del mondo. Divenne un mito per i giovani che considerarono le sue opere come breviari mistici. Gibran ha cercato di unire nelle sue opere la civiltà occidentale e quella orientale. Fra le opere più note: Il Profeta (pubblicato nel 1923) e Massime spirituali.

Tratto da “il Profeta” : Il matrimonio

Voi siete nati insieme, e insieme starete per sempre.

Voi sarete insieme quando le bianche ali della morte disperderanno i vostri giorni.

Sì, insieme anche nella tacita memoria di Dio.

Ma vi siano spazi nella vostra unione,  e fate che i celesti venti danzino tra voi.

Amatevi reciprocamente, ma non fate dell'amore un laccio.

Lasciate piuttosto che vi sia un mare in moto tra le sponde delle vostre anime.

Riempa ognuno la coppa dell'altro, ma non bevete da una coppa sola.

Scambiatevi il pane, ma non mangiate dalla stessa pagnotta.

Cantate e danzate e siate gioiosi insieme, ma che ognuno di voi resti solo, così come le corde di un liuto son sole benchè vibrino della stessa musica.

Datevi il cuore, ma l'uno non sia in custodia dell'altro.

Poichè solo la mano della Vita può contenere entrambi i cuori.

E restate uniti, benchè non troppo vicini insieme, poichè le colonne del tempio restano tra loro distanti,

e la quercia e il cipresso non crescono l'una all'ombra dell'altro.

venerdì 5 novembre 2021

Yoga e ginocchia

 Praticare yoga se si hanno problemi alle ginocchia. 

Lo yoga, è una disciplina accessibile a chiunque, a persone di ogni età e di qualsiasi preparazione fisica. Non è necessario essere in forma, sarà poi lo yoga a insegnare a rispettare il proprio corpo, a esserne più consapevoli. Se si hanno problemi fisici però è importante non ignorarli ed occorre prestare attenzione e ascoltare cosa ci suggerisce il corpo.

Ricordiamo brevemente che lo yoga porta con sé numerosi benefici nel tempo per la mente, il corpo e lo spirito. Rimanendo sul piano fisico, anche dopo solo poche lezioni, chi pratica yoga si sente più flessibile, più elastico. Ben presto si rafforza la muscolatura della schiena e si migliora la postura con  riduzione dei dolori muscolari.  Sempre sul piano fisico, lo yoga è considerato una disciplina “amica” del cuore perché abbassa la pressione sanguigna e rallenta i battiti. Alcuni studi mettono in evidenza anche gli effetti antiossidanti e la stimolazione positiva del sistema immunitario.   Si possono praticare anche esercizi contro il mal di schiena. Lo yoga infatti è un alleato per chi soffre di mal di schiena perché “stira” tutti i muscoli e allinea le ossa in maniera tale da migliorare la postura.

L’allenamento all’ascolto del proprio corpo permette di portare ciò che si impara e si sperimenta sul tappetino, anche nella vita di tutti i giorni; ciò comporta che le posizioni corrette apprese durante la pratica diventano sempre più naturali e spontanee. Insomma, si impara a conoscersi e a capire quando è il caso di evitare di fare determinati movimenti. Perché ormai è risaputo che una postura scorretta – e aggiungiamo, inconsapevole – può portare a problemi a diverse parti del corpo, e tra queste le ginocchia sono tra le prime. Spessissimo gli ortopedici diagnosticano come causa di un dolore alle ginocchia proprio una postura scorretta.

Può capitare di avvertire dolore durante la pratica degli asana, soprattutto se ti sei avvicinato allo yoga da poco tempo. Se dovesse capitarti, significa che stai sbagliando qualche movimento o stai chiedendo troppo al tuo corpo. Ricorda sempre che lo yoga, se eseguito correttamente, non deve causare dolore, se non quello lieve e passeggero come  quando non si è abituati a fare attività fisica. A volte basta modificare l’asana, altre volte invece devi fermarti: se una posizione non ti riesce in nessun modo è inutile forzarsi e sforzarsi, è meglio evitarla. Quanto meno ora, non è detto che più avanti, con maggiore esperienza e pratica, tu riesca tranquillamente a eseguirla.

Adattare le posizioni al proprio corpo non è sbagliato, anzi. Ogni corpo è diverso dall’altro, quindi è normale aiutarsi con supporti per rendere gli asana più confortevoli. Si possono usare cuscini, salviette, blocchi e tutto ciò che serve per essere più a proprio agio in quella posizione.

Quando avverti dolori durante gli asana ricordati di:Rispettare il tuo corpo, Fermarti e cambiare atteggiamento, Avvertire i cambiamenti che avvengono nel tuo corpo, Rilassarsi sempre, prima, durante e dopo la seduta di yoga.

  Ma veniamo allo yoga se si hanno problemi alle ginocchia. Lo yoga fa bene alle ginocchia. Infatti, praticando alcune posizioni specifiche, è possibile rinforzare allungare e migliorare la flessibilità di tutti i muscoli che contribuiscono al corretto funzionamento del ginocchio, quali i quadricipiti, lo psoas e i muscoli posteriori della coscia.  Le ginocchia sono sostenute dai quadricipiti, e quando questi non sono elastici, contribuiscono a spostare verso l’alto la rotula, provocando tensione nell’articolazione. La rotula inoltre può muoversi in modo errato anche quando si verifica un disequilibrio tra i muscoli che sostengono il ginocchio: può accadere quindi che la rotula si muova all’esterno della sua sede, causando consumo della cartilagine e dolore.  Lo psoas, invece, è il muscolo flessore dell’anca, che collega il femore con la zona lombare della schiena. Questo muscolo, pur essendo fondamentale per la mobilità del corpo (lo utilizziamo ogni volta che solleviamo la gamba o che ci mettiamo in posizione seduta), spesso è irrigidito: il perché è da ricercare nel tipo di vita che conduce la maggior parte di noi, una quotidianità sedentaria passata alla scrivania. L’irrigidimento, e quindi la mancanza di elasticità, possono causare tensione nella zona lombare, provocando dolore alla schiena e attrito alle ginocchia.

Come abbiamo detto, la pratica degli asana contribuisce a mantenere le articolazioni lubrificate, a incrementare la circolazione sanguigna (incrementando pertanto l’apporto di ossigeno alle ossa, ai muscoli e ai tessuti) a rinforzare e allungare legamenti e muscoli (e in tal caso la rotula rimane nel suo asse, scivola senza sforzo e la cartilagine non viene consumata). Partendo sempre dal presupposto che nello yoga è fondamentale ascoltare il proprio corpo. Una volta assimilato questo concetto e superata la voglia di essere performante a tutti i costi (che poi lo yoga insegna il contrario, ossia a rispettare i propri limiti) bisogna cercare di mettere in pratica qualche accorgimento per evitare di farsi male.

Innanzitutto verifica il tuo allineamento. Nelle posizioni come il guerriero, che prevede di piegare il ginocchio a 90°, controlla che il ginocchio sia sempre allineato con la caviglia e che la rotula sia in linea con il secondo dito del piede. Nelle posizioni in piedi, verifica che i piedi siano ben paralleli.

Altro consiglio: non estendere troppo il ginocchio. Soprattutto nei piegamenti in avanti da seduti, come la posizione della pinza seduta (pashimottanasana), e da in piedi, come la posizione della pinza in piedi (uttanasana), evita di estendere il ginocchio fino ad avvertire tensione nell’articolazione. Un suggerimento è quello di piegare leggermente le ginocchia.

Come già evidenziato, lo yoga non dovrebbe causare dolori. Se li avverti dopo la pratica, significa che  sei particolarmente stanco, oppure hai eseguito posizioni errate. La pratica deve essere sempre graduale, partendo da asana semplici.  Bisogna affidarsi ad un insegnante qualificato, in grado di capire e indirizzare gli allievi, regolare lo sforzo e trovare una variante diversa per ciascun praticante. 

Corso gratuito su buddhismo e psicologia moderna - Robert Wright

Corso gratuito in inglese su Buddhismo e psicologia moderna tenuto da  Robert Wright della Princeton University.   Robert Wright fa parte del Religion Department and the Center for Human Values.

 Il Dalai Lama ha detto che il buddhismo e la scienza sono profondamente compatibili e ha incoraggiato gli studiosi occidentali a esaminare criticamente, sia la pratica meditativa che le idee buddhiste sulla mente umana. Un certo numero di scienziati e filosofi hanno raccolto questa sfida. Ci sono state scansioni cerebrali di meditatori ed esami filosofici delle dottrine buddhiste. Questo corso esaminerà cosa è il buddhismo e la meditazione,  il rapporto tra buddhismo e neuroscienza.

Il corso potete trovarlo su Coursera, vedi https://www.coursera.org/ e bisogna iscriversi per accedere. E' un MOOC (massive open online course; in italiano «corso online aperto e di massa») è un corso pensato per una formazione a distanza che coinvolga un numero elevato di allievi di diverse nazionalità.

Robert Wright è l'autore, di Why Buddhism is True: The Science and Philosophy of Meditation and Enlightenment (2017). Nel 2009 Wright è stato nominato dalla rivista Foreign Policy come uno dei 100 migliori pensatori globali. È caporedattore del sito web Bloggingheads.tv.  


PsicoNeuroEndocrinoImmunologia (PNEI) - le relazioni mente - corpo

"Tutte le sostanze necessarie al mantenimento della vita dell'organismo, al lavoro psichico, alle funzioni superiori della coscienza e alla crescita dei corpi superiori, sono prodotte dall'organismo a partire dal nutrimento che penetra in esso. "L'organismo umano riceve tre tipi di nutrimento:
1° II cibo che mangiamo. 2° L'aria che respiriamo. 3° Le nostre impressioni.
"Non è difficile capire che l'aria è un genere di alimento per l'organismo, ma può apparire difficile, a prima vista, comprendere come le impressioni possano essere un nutrimento.
"Dobbiamo tuttavia ricordarci che con ogni impressione esterna, sia che prenda la forma di suono, di visione, di odore, noi riceviamo dall'esterno una certa quantità di energia, un certo numero di vibrazioni; questa energia che dall'esterno penetra nell'organismo è un nutrimento.
- Georges Ivanovič Gurdjieff (1866-1949).


Nel Sistema cosmologico tutto è energia e vibrazione, maggiore è la frequenza vibratorio e più sottile è la materia, non c’è divisione tra materia e spirito, ma solo un’infinita gradazione di livelli energetici e non c’è posto per l’onnipotenza divina. L’uomo è uno strumento dell’azione divina e può diventare cosciente, libero ed integrato felicemente nella natura. Dopo il superamento della distinzione tra massa e energia nella teoria relativista si arriva ad una sostanziale identità tra mente, energia, e corpo. 

Nel modello relativistico-quantistico la massa non è che una forma di energia, la quantità di energia racchiusa in una particella. Le particelle subatomiche (elettroni, neutrini, fotoni, bosoni) sono viste come pacchetti di energia senza dimensione che, si diffondono all’infinito nello spazio. . Il fisico Bell (1965) dimostrò l’effettiva esistenza di un mondo non localizzato e che le particelle correlate, separate da enormi distanze, comunicano istantaneamente. L'esperimento di Aspect a Parigi nel 1982 confermò tale teoria. Bohm concluse che la realtà che noi tutti conosciamo non esiste; Nonostante il suo apparente carattere solido e materiale, l’universo è un enorme ologramma. Le energie elettromagnetiche e la realtà fisica sono una pura illusione. Le particelle non sono entità individuali ma condensazioni di uno stesso organismo fondamentale. Questo substrato (campo unificato della coscienza) sarebbe il vero e proprio reale. Una realtà al di fuori dello spazio e del tempo.

Nell’ordine implicato non vi è differenza tra mente e materia, mentre nell’ordine esplicato mente e materia si separano. Nel microcosmo l’ordine implicato emerge, nel macrocosmo prevale l’ordine esplicato. Per Bohr la coscienza coincide con l’ordine implicato. Tutte le manifestazioni della vita provengono da una unica fonte di casualità che include ogni atomo dell’universo, un enorme spazio vuoto, contenente un fondo immenso di energia, la materia è un’onda al di sopra di questo fondo. La coscienza è una forma più sottile di materia. La materia è spirito, lo spirito è materia. Alla base dei piani di esistenza: fisico e spirituale c’è un’unica realtà: l’intelligenza onni-pervadente, la vibrazione originaria che plasma tutte le cose. La psiche individuale è parte di un ologramma in cui tutto è interconnesso, e la coscienza non è che un’apertura ad un livello più elevato di questo continuum. La realtà è maya, un'illusione  e corrisponde a ciò che sostengono da millenni le tradizioni esoteriche. Io e il padre siamo uno, un'unità sopra la molteplicità.

L’apparente struttura fisica del corpo non è altro che la proiezione olografica della coscienza.  Da qui  deriva l'importanza dello stato mentale per la nostra salute e ai fini della guarigione. La psicoenergia ha lo scopo di ricercare l’interdipendenza di forze sia microcosmiche che macrocosmiche. PsicoNeuroEndocrinoImmunologia PNEI studia le connessioni tra le strutture biologiche e la componente psico-spirituale. 

E’ la persona a contrarre la malattia, dopo aver creato le condizioni adatte nel suo organismo. La mente influisce sul sistema immunitario, che se agisce efficacemente, ha il compito di distruggere continuamente le cellule cancerogenee. La depressione del sistema immunitario è dovuto principalmente allo stress.  Lo stress si manifesta soprattutto nei momenti di cambiamenti importanti nella nostra vita ed i fattori psichici influenzano notevolmente la nostra salute. Il cancro può esprimere una richiesta di amore o attenzione da parte degli altri, spesso è un messaggio per spingere a persona ammalata a intraprendere dei cambiamenti. Sono soprattutto i sentimenti inespressi a deprimere le nostre reazioni vitali. L’insorgere della malattia è legato alla perdita di significato della vita, accompagnato spesso da un vuoto interiore e da depressione. Spesso la malattia insorge dopo aver perso il proprio lavoro e aver raggiunto l’età della pensione, la morte del coniuge, una separazione o i figli sono andati via di casa. Altre volte ci ammaliamo quando ci sentiamo in trappola di fronte ad una situazione o a un ruolo che non riusciamo ad accettare. In tali casi si crea un vuoto esistenziale che non si riesce ad accettare. La malattia è un ultimo disperato grido di aiuto, una capitolazione di fronte alla vita.

Ricordiamo che siamo in un tutto unico, inseparabile, interconnesso. Color che antepongono i desideri degli altri ai propri, che non fanno richieste alla vita, che cercano di corrispondere diligentemente alle aspettative altrui, che non riescono a difendere la propria dignità personale,  interrompono il flusso dell’energia vitale nel proprio organismo. Magari sorridono esteriormente, si mostrano affabili, ma dentro sono svuotati e celano un distruttività che non può far altro che rivolgersi verso il proprio sé e il proprio corpo. Lo stato depressivo o la triste rassegnazione può non trovare altra via di uscita che la malattia o la morte stessa. La malattia consiste nell’aver perso l’unità all’interno di noi stessi e per guarire occorre un riallineamento della propria vita alla sorgente dell’essere.

 Spesso lo squilibrio è legato a mancanza di amore, l’amore e soprattutto quello spirituale pacifica la mente, i tessuti del corpo e genera l’energia sanante. L’uomo ordinario spesso è incapace di amare. L’amore deve essere un punto di arrivo del nostro percorso.

Il processo evolutivo dalla Vita alla Via - Gurdjieff

Georges Ivanovič Gurdjieff (1866-1949) è stato un filosofo, scrittore, un sufi, un mistico e "maestro di danze" armeno.  Di origini greco-armene, visse a lungo in Turchia e in Francia.

Il Sufismo è un movimento religioso di carattere mistico e ascetico nato nel mondo islamico a partire dall'XI secolo, in prevalenza fra i sunniti – benché comprenda anche confraternite e membri sciiti.

Secondo Gurdjieff la Pratica psicosintetica viene definita “la scala dalla vita alla via”. L’uomo è in balia di forze esterne, sottoposto ad influenze (la vita) che tendono a soffocare gli influssi che provengono dalla sorgente dell’Essere. Il primo gradino della scala è trovare un maestro, quando l’allievo è pronto il maestro arriva. Non è possibile l’ingresso nella via senza un maestro, chiunque è in grado di stimolare l’apprendimento ad un determinato stadio, può essere un maestro o una guida. Questa guida può collocarsi ad uno stadio di coscienza più o meno elevato che corrisponda al livello dell’allievo. Più il maestro è grande, più è difficile seguirlo, e l’allievo troverebbe delle difficoltà insormontabili. Il maestro è indispensabile all’allievo, tanto l’allievo è indispensabile al maestro, il maestro non può progredire senza l’allievo. Senza sintonia tra maestro e allievo l’insegnamento diventa routine ed è male per entrambi. Una volta che ti sei immesso sulla via non puoi più ricadere nella vita ordinaria. Il cercatore sulla via rischia ad ogni passo di perdere l’equilibrio, tra un gradino e l’altro esistono delle barriere che costituiscono punti di non ritorno. 

Come riconoscere il proprio maestro? Se di fronte a lui alterni momenti in cui ti senti disorientato e infastidito ed altri in cui ti senti profondamente appagato è il maestro giusto. Se non provi nulla di tutto ciò, cerca qualcos’altro. Può anche darsi che tu non stia cercando alcun maestro, ma semplicemente un luogo di aggregazione, dove farsi sentire riconosciuto ed accettato. Le persone spesso dimenticano che sono lì per imparare, anzi ci sono una moltitudine di allievi arroganti che pretendono di stabilire il metodo, la frequenza delle lezioni e i sistemi di valutazione.    I veri maestri spirituali non vogliono attrarre persone con le quali sanno che perderebbero solo tempo.   L’allievo deve essere sincero e obbediente, ascoltare con rispetto e attenzione. Il maestro va testato, provocato seriamente, ma una volta fatto questo bisogna lasciarsi andare, non si può rimanere sempre sulla soglia. Se sei in grado di gestirti autonomamente non hai bisogno del maestro, ma sei in grado di farlo? 

Il lavoro in un gruppo è importante per mettere alla prova il nostro ego ed intraprendere uno studio di sé, ed in questo caso i membri del gruppo operano da specchio. Libri, conferenze, seminari servono a preparare il terreno, se gli individui che si definiscono alla “ricerca” non portano avanti questo impegno preliminare non hanno molte possibilità di fare un reale avanzamento. Il gruppo costituisce un’esperienza umana correttiva di eventuali blocchi o traumi psichici e ti fa sentir parte di una unità più vasta. Mentre nei rapporti esclusivi o a due è più difficile mettersi in gioco e in queste dinamiche prevale il narcisismo o l'appoggiarsi all'altro.  E' molto importante, quando si è sul cammino della ricerca conoscersi perchè  a volte, svolgere azioni altruistiche soddisfa gratificazioni puramente egoiche, e si tratta di auto-inganno e ipocrisia.

Spesso per metterci in cammino è necessaria una certa dose di delusione. Spesso si è spinti dal bisogno di considerazione.  La considerazione interiore è una vera e propria schiavitù che nasce dall’estrema importanza che dai all’opinione e al giudizio degli altri. In questo modo l’uomo diventa vulnerabile. Bisogna anche rinunciare al desiderio di conquistarsi un merito nel percorso, perché questo, non fa altro che rendere l’ego ancora più rigido e superbo.

La conoscenza di sé non è qualcosa che si può acquisire attraverso un libro o delle teorie ma nasce dall’esperienza reale dei molti io che tiranneggiano la personalità, è il lucidare lo specchio. Non puoi capire se non hai fatto esperienza. Anche se si fa esperienza non necessariamente si comprende. Chi è allora che diventa illuminato? L’illuminato è colui che fa bene il proprio dovere, rendendosi conto che c’è qualcos’altro oltre l'esperienza ordinaria. L’impegno e la disciplina sono fondamentali nel percorso spirituale, nel Lavoro. La vera disciplina si manifesta in un comportamento che esprime autocontrollo e disciplina interiore. Un obiettivo del percorso spirituale e il raggiungimento di un fondamentale equilibrio secondo le leggi naturali dell’esistenza.

Molte scuole, cosiddette spirituali, sono nate dalla new age, sfruttando l’inquietudine esistenziale dell’uomo contemporaneo per fare soldi, promettono risultati strabilianti senza il minimo sforzo, basta che lasciarsi andare e scoprire la natura divina oppure eliminando i blocchi energetici e ritrovando la spontaneità del vivere. Senza un duro impegno non c'é realizzazione, né spontaneità, né libertà spirituale. La volontà è il segno di un essere che ha un livello di esistenza elevatissimo rispetto all’essere di un uomo ordinario. I rischi in cui incorre una persona elevata spiritualmente, una volta raggiunti determinati obiettivi, è che sviluppi un ego spirituale, un disprezzo, aperto o velato nei confronti dell’uomo ordinario. La disciplina si dice nel Buddhismo è come una zattera che ti permette di attraversare il fiume, una volta raggiunta l’altra sponda la devi abbandonare. Se la tua personalità si è sufficientemente armonizzata, la disciplina non serve più, sei diventato la disciplina.

La disciplina rappresenta uno stadio del Lavoro su di sè, del percorso, che, se non viene al momento opportuno abbandonato, ci invischia in un pantano in cui non c’è movimento, né gioia, né realizzazione. La dieta alimentare, gli esercizi fisici, lo studio accurato, la pratica meditativa si prestano inevitabilmente a costituire una narcisistica autoesaltazione della volontà, cioè dell’ego.

Il maestro spirituale trasmette al discepolo la baraka (il potere spirituale) che lui stesso ha ricevuto dal maestro. Il modo migliore per allenare la volontà è l’attività corporea. Nel lavoro fisico il movimento, la postura, l’espressione emozionale, la percezione del corpo sono uniti in uno sforzo di attenzione e consapevolezza. L'attività corporea è la scuola elementare della volontà, serve come modello per la mente. Il cambiamento nell’atteggiamento psichico porta con sé un cambiamento nel corpo e viceversa i risultati raggiunti con il corpo influenzano il sentimento e la psiche.

Anche l'alimentazione gioca una importanza fondamentale e costituisce un lavoro di consapevolezza di sé. La preparazione del pasto deve essere paragonata ad un'attività sacra. Si deve cucinare con le energie giuste, masticare bene il cibo e respirare profondamente durante la masticazione. Il secondo tipo di nutrimento è la respirazione corretta che genera un adeguato apporto di ossigeno ai tessuti e agli organi. Il terzo tipo di nutrimento sono le impressioni che riceviamo attraverso film, letture, musica, ecc. Questo è il nutrimento più sottile, quello che determina maggiormente il livello d’Essere di un individuo.

Nella fase iniziale il sistema che funziona, poi questo sistema diventa il sistema e viene identificato con la conoscenza, nella fase finale spesso si perde di vista a cosa mirava il sistema e l’obiettivo diventa la perpetuazione del sistema, e non il raggiungimento della conoscenza e della verità.

Il processo evolutivo dalla Vita alla Via consiste nell’acquisizione della disciplina necessaria e un graduale processo di rinuncia alle nostre identificazioni. Meno si è identificati ma non disinteressati, intorno a qualcosa, più si riesce ad imparare dalla situazione. Non bisogna confondere il piano mentale dal piano intellettuale, essere esperti, eruditi, raffinati nelle argomentazioni non significa nulla sul piano spirituale. È necessaria una certa polarizzazione mentale,  espressione per indicare il superamento di un certo livello emotivo e l’acquisizione di un certo distacco psichico. Un altro aspetto importante dell’imparare ad imparare è che il ricercatore deve rinunciare alla propria libertà. L’uomo teme di perdere una parte essenziale di se stesso se rinuncia alle sue opinioni, alle sue scelte, alle sue abitudini, e così via; finché non comprende che in tutto questo di suo c’è ben poco. Senza sacrificio nulla può essere raggiunto, anche se si deve sacrificare solo ciò che immaginiamo di avere e che non possediamo affatto.

Spesso ci mettiamo in relazioni che riflettono sempre gli stessi schemi, relazioni che prima ti entusiasmano, poi conflittuali e sofferte, e spesso si concludono con una rottura. Perché ci riproponiamo lo stesso copione? Che cosa è che ci spinge ad evitare legami intimi, anche se ci sentiamo soli? Non è forse la paura di mettersi in gioco in modo più nuovo e creativo, ed evitare vecchie e nuove ferite? Sembra strano ma è la sofferenza a tenere legato l’uomo ai suoi vecchi schemi di pensiero, agli atteggiamenti autodistruttivi, alla sua incapacità di imparare e amare. Rinunciare alla sofferenza è un impegno ineludibile lungo la Via, più che la rinuncia al desiderio. Il desiderio fa parte della natura umana, la quale reclama giustamente i sui diritti. Basta semplicemente non identificarsi con i bisogni inferiori. I desideri sul piano spirituale non scompaiono, ma non sono più invasivi, non sono più “bisogni”. Anche il ricercatore avanzato prova desideri, come quello di ammirare un tramonto, di gustare un cibo, di fare l’amore, di meditare, ecc.  Questi desideri vengono e vanno, ma la sua vita non è imprigionata da questi desideri. Non facciamo l’errore ascetico secondo il quale i desideri sono sbagliati! Fanno parte della nostra natura umana, perché negarli? Bisogna solo evitare desideri deviati, ossessivi e malsani … che ci fanno perdere la lucidità necessaria.

Il ricercatore deve non essere schiavo della mentalità ordinaria, pur essendo nel mondo. Significa che deve essere nel mondo e non rinunciare ad esso, ad esempio deve cercare di eccellere nel proprio lavoro, di essere un buon padre, ecc.  La spiritualità non deve essere confusa con un’ascesi alla mortificazione. Non c’è nessun bisogno di rinunciare alla carne, alla lettura, ai normali impegni sociali, praticare il celibato. Oggi purtroppo il campo della spiritualità è contaminato da occultisti umili e pronti alla sottomissione, da nevrotici e persone che sentono di dover rinnegare il proprio sviluppo intellettuale, emotivo ed affettivo.

L’apice del percorso spirituale consiste nell’impegno concreto e costruttivo nel mondo attraverso una coscienza rinnovata e tale impegno consente il definitivo ingresso dell’uomo nella Via. Operare nel mondo, assistendo e sostenendo gli altri, dedicarsi allo sviluppo degli altri come un moderno Boddhisattva.

Luoghi di meditazione, di pellegrinaggio, di spiritualità in Italia di Paola Giovetti

 Meditare fa bene: Ma dove e con chi?  Articolo scritto da: Roberto Fantini e pubblicato su Flipnews.org        Conversazioni con Paola Giovetti, autrice di Luoghi di meditazione, di pellegrinaggio, di spiritualità in Italia del 2011.

Concentrati nel cuore. Entra profondamente in esso e vai lontano, il più lontano che puoi. Raccogli tutti i fili sparsi della tua coscienza, riuniscili e immergiti. C’è una fiamma che brucia nelle calme profondità del tuo cuore. E’ il Divino in te, il tuo vero essere. Ascolta la sua voce. Ubbidisci alle sue parole.”  E’ con queste suggestive parole di Sri Aurobindo che Paola Giovetti ha scelto di aprire con indubbia efficacia il suo ultimo bellissimo libro, Luoghi di meditazione, di pellegrinaggio, di spiritualità in Italia (ed.Mediterranee, ottobre 2011).

"Meditare", ci dice la nota scrittrice, “è una grande occasione, una porta aperta verso infinite possibilità e potenzialità. Qualcosa, peraltro, che è alla portata di tutti, giovani e vecchi, colti e meno colti, sani o meno sani che siano. A tutti la meditazione porta benefici, a livello fisico, mentale, spirituale .” E, attraverso le informazioni contenute in questo libro, abbiamo la fortuna di scoprire che in Italia esistono numerosi luoghi dove è possibile ritrovare se stessi, recuperare armonia e cimentarsi in un ben preciso cammino di autorealizzazione. Il lavoro della Giovetti è nato proprio dal desiderio di delineare “una mappa di questi luoghi, suddivisi per tradizione e orientamento: templi, monasteri, santuari che custodiscono antiche memorie, e istituzioni moderne, create appositamente ai giorni nostri per ospitare iniziative religiose e laiche più recenti, o più recentemente approdate in Italia.”

Luoghi, quindi, molto diversi fra loro, in quanto espressioni di esperienze filosofico-religiose culturalmente molto distanti (da molti, ancora oggi, ritenute contrapposte), ma intimamente e sostanzialmente accomunati da un unico intento: “insegnare e meditare – secondo regole e discipline diverse, antiche e moderne, ma tutte tese a mettere il praticante in condizione di ritrovare il proprio centro, calmare la mente, far pace con se stesso, con il prossimo e con il mondo, dare un senso alla propria vita, intraprendere il cammino che conduce al Divino, al Dio che vive nel profondo di ognuno di noi. Con gradualità, a poco a poco, un passo dopo l’altro, un orizzonte dopo l’altro.”

A Paola Giovetti abbiamo voluto rivolgere alcune domande al fine di meglio comprendere la genesi e il significato della sua opera.

Domanda -          La lettura del tuo ultimo libro ci permette di fare, insieme a te, un viaggio particolarissimo sull’intero territorio nazionale, alla scoperta di luoghi destinati al dialogo interiore e alla ricerca spirituale. Si tratta indubbiamente di un’occasione preziosa per scoprire ambienti, personaggi, scuole di pensiero e tecniche meditative, che ci vivono accanto, spesso a pochi passi dalle nostre città e dalle nostre abitazioni.  Credo che anche per te, da tanti anni viaggiatrice inesausta nei territori dello spirito, sia stata un’esperienza ricca di incontri straordinari. Quali ti hanno particolarmente sorpresa e/o coinvolta?

Risposta - La ricerca che mi ha portata a individuare e descrivere nel mio libro numerosi luoghi di meditazione italiani ha costituito una sorpresa anche per me, nel senso che non pensavo che di simili iniziative ne esistessero così tante. Quando cominciai la ricerca conoscevo già alcuni centri, ma poi, cercando, informandomi, passando da un centro all'altro, col passaparola, con l'aiuto di esperti e anche di Internet, ho finito per individuare una grande e insospettata varietà di centri di spiritualità e meditazione degli indirizzi più vari:  cristiani, induisti, buddhisti, musulmani, laici, legati a determinati personaggi, come per esempio Babaji e Krishnamurti  e altro ancora. La vera sorpresa è stata questa: il gran numero di iniziative e di persone impegnate in questo tipo di ricerca, che può essere rivolta al benessere psicofisico (riduzione di ansia e stress, maggior serenità e così via) ma anche alla spiritualità, alla ricerca del Divino in noi.

D -     E con quali esperienze contemplative e autorealizzative ti sei sentita particolarmente in sintonia?

R - Quanto al coinvolgimento personale, devo dire che tutti i centri che ho inserito nel libro (e qui vorrei precisare che ho fatto una scelta molto accurata e ho personalmente visitato tutti i luoghi di cui parlo) mi hanno interessata e coinvolta, indipendentemente dalla loro tradizione, perché dappertutto ho sentito serietà, desiderio autentico di approfondimento e ricerca personale, disponibilità a mettersi in gioco e a confrontarsi con tradizioni e approcci diversi da quelli abituali.

D -  Ancora molti, oggi, sono inclini a ritenere l’esigenza di sperimentare forme di religiosità alternative a quelle più “ufficializzate” come espressione di un disagio socio-esistenziale, come una sorta di smarrimento culturale, nonché manifestazione di un bisogno di mera evasione. Alla fine di questo grande cammino esplorativo, cosa ti sembra che induca maggiormente tante persone a dedicarsi alla ricerca interiore e alla pratica meditativa lungo tanti sentieri differenti?

R - Per quanto ho avuto modo di vedere, non mi è sembrato affatto che le persone che affrontano un cammino di ricerca su vie "alternative" siano mosse da mera curiosità, da noia esistenziale o altre motivazioni di questo genere. Ho sentito invece l'impulso a fare le cose sul serio e il bisogno di affrontare un cammino che conduce alla scoperta di se  stessi. Il tipo di pratica scelta dipende poi da tanti fattori: conoscenze, letture, incontri, tendenze naturali, affinità. Va detto, e desidero sottolinearlo, che in nessuno dei centri che ho visitato e in nessuna delle persone che guidano tali centri ho notato la tendenza a sollecitare conversioni, a distogliere dalla tradizione di appartenenza; piuttosto l'invito a cogliere ciò che di buono può esservi in quella tale tradizione e a farlo proprio. Certamente, c'è chi è diventato, per esempio, buddhista o induista, ma si tratta di scelte personali piuttosto rare.

D -   Hai scritto che “In anni recenti in Italia un numero crescente di cattolici, sacerdoti e laici, si dedica alla pratica della meditazione, traendo ispirazione anche da altre vie, in particolare dallo yoga e dallo Zen, e integrando tali pratiche nella preghiera profonda della nostra tradizione”. Tu parli di “risultati molto incoraggianti”, ma le autorità ecclesiastiche, tradizionalmente sospettose e ostili nei confronti di vie individuali orientate al misticismo e al sincretismo, sempre con il timore di perdere prestigio e potere, come ti sembra che stiano reagendo di fronte a questi interessantissimi (e in buona parte inediti) fenomeni culturali?

R - Gli esempi che ho riferito di pratiche meditative nei monasteri cristiani vengono portati avanti nella piena ufficialità. Tali pratiche prendono a prestito dallo Zen o dallo Yoga soltanto le tecniche, e non mi risulta che ci siano mai state difficoltà di alcun genere, anche perché si tratta di percorsi proposti con molta prudenza e affidati a persone di sperimentata e ben nota serietà ed esperienza. L'impressione che ne ho riportato è stata quindi molto positiva e incoraggiante nell'ottica di una maggiore apertura e di una più approfondita reciproca conoscenza.  In ultima analisi, ho fiducia di aver fatto un lavoro onesto, teso a far conoscere un panorama ancora poco noto e ad aiutare ad orientarsi chi fosse interessato a un percorso di questo tipo.

Apocalisse o Apocatastasi?

 Dal libro del mio amico Roberto Fantini  La menzogna dell'inferno che vi consiglio vivamente di leggere. Un saggio filosofico che spazia da Origene a Giovanni Papini, da Agostino ad Aldo Capitini trattando questo scomodo tema dell'inferno.

Devo ringraziare Roberto che mi ha fatto scoprire Origene, uno dei più grandi Teologi della Chiesa orientale e le affinità della Apocatastasi con il pensiero dell'Advaita Vedanta.

 
Questa è una ennesima dimostrazione che tra le varie filosofie ci sono molti punti in comuni. Ma andiamo per ordine.  Tra le dottrine di Origene, poi ripudiate dalla Chiesa, una delle più notevoli è quella della restaurazione finale (Apocatastasi), cioè del perdono per tutti i peccatori indistintamente. 
 
Le frasi contenute nei due paragrafi seguenti sono prese dal testo di Roberto.

Questa concezione è diametralmente opposta alla posizione di Agostino d'Ippona che dichiara che ci sarà l'eterno supplizi dei dannati, il loro verme non morrà e il loro fuoco non si estinguerà,  tesi a cui fa riferimento la Chiesa Cristiana ufficiale.  Per secoli e secoli, generazioni e generazioni sono state allevate/educate sulla base di questa fermissima e terrificante certezza: che Dio avrebbe punito i peccatori destinandoli alle pene infernali, necessariamente e giustissimamente eterne. Solo recentemente Papa Francesco ha cominciato a mettere in discussione questa tesi mettendo al centro dei suoi discorsi il tema della misericordia. Papa Francesco afferma che la misericordia di Dio sarà sempre più grande di ogni peccato, E la misericordia dura in eterno ed è senza fine.

 La Apocatastasi si basa sulla nozione che Dio è prima di tutto, bontà, e che il Cristo è morto volontariamente per redimere tutti allo stesso modo, peccatori e santi, perchè quelli che hanno smarrito la loro perfezione iniziale possono riacquistarla, sopportando la prova del fuoco che li purificherà, e così tutti alla fine saranno glorificati, e si ricostituirà l'unità originaria voluta da Dio. Origene in questo verso si riaccosta alla nota concezione dell' "eterno ritorno" di tutte le cose.  Tutte le creature razionali, allora, saranno riassorbite nella condizione primordiale di perfetta purezza e di indissolubile armonica unità e "Dio sarà tutto in tutti", cioè tutto in ciascun uomo.  Quindi, allorché tutti avranno raggiunto il più alto grado di perfezione, tutte le differenze saranno annullate. Questo ciclo di separazione, purificazione e apocatastasi si ripeterebbe eternamente.   

Lo stesso dice la filosofia Advaita Vedanta dove l'essere umano possiede un “atman” che indica l' "essenza" o il "soffio vitale", rappresenta la  sostanza immortale, l'anima individuale. Con il concetto di Brahman viene descritta  invece l'Entità Cosmica, l'Anima Universale. Si tratta dell'entità senza tempo dell'universo, la realtà unica nella sua accezione divina. Il Brahman si manifesta ciclicamente, ad ogni ciclo nasce l’Universo (inteso come tutto ciò che esiste, a noi visibile ed invisibile), si evolve, poi si involve ed alla fine si estingue nel Brahman che emanerà un nuovo ciclo.  Quando termina un ciclo tutti i piani dell’esistenza che conosciamo e non conosciamo vengono riassorbiti compreso il mondo divino. Ciò che resta immutabile è solo il Brahman.

Chiesa cattolica e Yoga

 Negli ultimi anni si è vista una crescita esponenziale della pratica dello Yoga, soprattutto nei paesi occidentali. E’ bene, quindi, compiere una riflessione su cosa comporti la pratica di questa disciplina orientale.

 

- Lo yoga è una disciplina spirituale induista, non solo posture ed esercizi. La parola yoga deriva dalla radice sanscrita “yuj” che significa “unione”. L’obbiettivo dello yoga è quello di unire l’io temporale o “jiva” con l’io eterno, o “Brahman”, che non è un dio personale, ma una sostanza impersonale che è tutt’uno con la natura e il cosmo. Il Brahman è una sostanza impersonale e divina che “impregna, avvolge e soggiace in ogni cosa.  Lo yoga  cerca di elevare l’anima al “samadhi”, vale a dire, lo stato in cui il naturale e il divino diventano uno; uomo e dio giungono a essere uno senza alcuna differenza, una sorta di panteismo. Il panteismo è un componente della dottrina del filosofo greco Eraclito, secondo cui il divino è in tutte le cose ed è identico al mondo nella sua interezza.

- Per l’induismo esiste un’unica realtà e tutto il resto è un’illusione; vale a dire, l’universo viene inteso come una energia eterna, divina e spirituale, dove tutti gli esseri che esistono -inclusi gli esseri umani- sono una sua estensione. Lo yoga è il cammino che conduce colui che lo pratica verso questa energia cosmica. Per l’induismo, il bene e il male sono illusori (maya)

-  Non è possibile separare la spiritualità induista dalla pratica dello yoga. Lo yoga non è soltanto un’attività di rilassamento e di stretching, ma è proprio nell’esercizio fisico dove viene riflesso il fine spirituale. Esistono posture (asanas) e esercizi di respirazione (pranayama), che contraddistinguono lo yoga come qualcosa di più di un esercizio, sono “esercizi psicosomatici”; ossia hanno un'influenza  sul corpo e sulla mente. 

- L’origine dello yoga risale ai “Veda” di 5000 anni fa e per molto tempo i suoi principi e le pratiche ascetiche furono trasmessi per via orale. Poi Patanjali compilò e codificò tutta la conoscenza dello yoga negli  Yoga Sutra, il testo più autorevole su questa tematica.

Molti cristiani pongono la domanda sulla possibilità di utilizzare o meno le tecniche dello yoga.

- Il rapporto della Chiesa Cattolica con le filosofie orientali.  viene trattato nella “Lettera ai Vescovi della Chiesa Cattolica su alcuni aspetti della meditazione cristiana” del 1989. La Congregazione per la Dottrina della Fede, pur non condannando espressamente lo Yoga, dichiara che "bisogna essere prudenti con le pratiche dei “metodi orientali” ispirati dall’induismo e dal buddhismo: Queste proposte o altre analoghe di armonizzazione tra meditazione cristiana e tecniche orientali dovranno essere continuamente vagliate". Per la Chiesa cattolica, l’uomo è essenzialmente una creatura di Dio e tale rimane in eterno, cosicché non sarà mai possibile un assorbimento dell’io umano nell’io divino, neanche nei più alti stati di grazia.  Il documento spiega come l’idea che gli esseri umani si riuniscano in una unica “coscienza cosmica divina” sia in contraddizione con l’insegnamento della Chiesa.    “Lo yoga è una pratica utile e benefica per il corpo e per la mente, ma non bisogna confonderla con la spiritualità. […] Lo yoga non è un mezzo per essere in contatto con il divino, sebbene possa contribuire alla salute fisica e mentale. […] deve essere considerato come un esercizio fisico, una posizione atta a concentrarsi o a meditare.

 Nel 2003, il Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso ha pubblicato un documento che descrive lo "Yoga come una delle molte pratiche della New Age e che diventa difficile da conciliare con la dottrina e la spiritualità cristiana”.

Nel 2010 la Catechesi Dialogica” dice che la  Chiesa cattolica nulla rigetta di quanto è vero e santo in queste religioni,  che non si dovranno disprezzare pregiudizialmente in quanto non cristiane. Si potrà, al contrario, cogliere da esse ciò che vi è di utile, a condizione di non perdere mai di vista la concezione cristiana della preghiera, la sua logica e le sue esigenze.

Nel 2011, il decano degli esorcisti italiani, padre Gabriele Amorth, spiegò al Telegraph che «pratiche orientali apparentemente innocue come lo yoga sono subdole e pericolose. Pensi di farle per scopi distensivi ma portano all’induismo. Tutte le religioni orientali sono basate sulla falsa credenza della reincarnazione». 

Quand’era cardinale, Joseph Ratzinger spiegò che pratiche come lo yoga,  lo Zen e altre forme di meditazione trascendentale possono  «degenerare in un culto del corpo che svaluta la preghiera».  E invita i cattolici a stare molto attenti al contesto ideologico in cui lo yoga viene proposto. Senza questa continua cautela da parte del praticante di yoga cattolico, lo yoga potrebbe diventare un elemento distruttivo non solo della fede cristiana, ma anche della verità connessa all'essere umano in quanto tale.

Il vescovo di Avila ha sottolineato che il senso di pace e tranquillità del buddismo o dell’induismo è diverso dalla Pace che offre il Cristo Risorto, o dalla Felicità che si vive nella religione cristiana. Di conseguenza non bisogna confonderne il contenuto semantico. Queste tecniche o vie di spiritualità non appartengono alla mistica cristiana. La mistica cristiana, con le sue diverse scuole  è caratterizzata da un influsso costante dei doni dello Spirito Santo nella vita del cristiano. 

Anche Papa Francesco nel 2015 ribadisce: “Catechesi, yoga e zen sono inutili, bisogna aprirsi allo Spirito Santo" Tutto questo non sarà mai capace di darti la libertà di figlio. Soltanto lo Spirito Santo è capace di scacciare, di rompere questa durezza del cuore e fare un cuore… morbido".

Diversamente, da decenni, i monaci Camaldolesi ospitano gruppi di yoga  nel loro monastero nel Casentino e sono molto aperti e ospitali nei confronti di appartenenti ad altre religioni, come del resto viene richiesto dalla loro regola, formulata dal fondatore San Romualdo. Nel loro ashram in India pratiche come lo yoga, la meditazione, la lettura di testi come la Bhagavad Gita (testo fondamentale della filosofia dello yoga) si fondono armoniosamente con le loro pratiche cristiane.

giovedì 4 novembre 2021

La meditazione - Maestro Gyanander

 Dal libro Yog album del Maestro  Gyanander  Vedi link             Vedi sito

Yogi Gyanander è un grande Maestro indiano venuto in Italia nell'86 per il grande meeting organizzato dalla rivista "Astra" sulle rive del Garda. Si fece seppellire sotto terra, dove rimase per quattro giorni. Era in "samadhi", uno stato di trascendenza e di beatitudine, una condizione in cui vengono sospese tutte le funzioni del corpo, il livello più alto dello Yoga. Fu controllato da telecamere, ne parlarono le tv e tutti i giornali. Poi rientrò in India e dopo due anni tornò in Italia e si stabilì a Perugia dove aveva trovato amici cari, spiega, «avevo capito che c’era chi aveva bisogno di me». E qui da anni insegna lo Yoga.  Ha pubblicato il suo Yoga Album che raccoglie anni di studio e soprattutto di esperienza. E' un testo scritto a mano in italiano e in sanscrito.

Nei capitoli VI , VII, VIII del testo si parla della concentrazione, della meditazione e del samadhi.  

Dharana,  concentrazione
(capitolo VI).   Fissare la mente su un oggetto, è il sesto scalino dell’ashtanga yog, osservare i pensieri, adottare la tecnica del testimone, soffermarsi su ogni figura lo stesso tempo, dall’elemento più grossolano al più sottile, percorso evolutivo verso l’assoluto, visualizzazione dei simboli durante kumbak (la ritenzione del respiro). 

Dhyan, meditazione (capitolo VII).    Dhyan significa un solo pensiero, l’anima individuale si scioglie nel puro eterno spirito assoluto, la meditazione non è una fuga dalla vita e da se stessi, al contrario la comunione con l’io profondo, con gli stati inconsci e profondi e risolvendo i nostri conflitti interiori ci permette di agire in modo più efficace e appagante del mondo,

Nel testo Gheranda Samhita sono riportati tre tipi di meditazione:

  •  sulla forma divina, 
  •  sulla kundalini, 
  •  su forme di luce.  

Nel testo Bakti Sagar sono riportati quattro tipi di meditazione:

  • Una grossolana, sulle varie del corpo, dai piedi alla testa e viceversa,
  • Sui chakar, da muladhara a sahasrara,
  • Più sottile, sul punto tra le sopracciglie,
  • Abbandonando il piano dell’esistenza materiale.

La mente è divisa in sette parti, nello stato ordinario ne funziona una soltanto; le malattie non vengono dall’esterno ma esistono nella mente, quando il seme viene a maturazione si manifesta nel corpo. Per la meditazione occorre:

  • dedicare del tempo in maniera costante, possibilmente la sera,
  • un posto adatto, possibilmente piccolo e bianco, illuminato da una piccola luce, profumato dall'incenso,
  • adottare una tecnica, e ciò dipende dalla personalità del praticante. Ci sono due tipi di meditazione: con forma – Saguna;  senza forma Nirguna.  Le pratiche fisiche sono preliminari a quelle meditative.

La pratica Nirguna, è una pratica sui suoni, quando le nadi (i canali energetici) sono purificate si ode il suono Nad;  per udire il suono Nad nella meditazione occorre chiudere le orecchie con cera di api, tenere la lingua attaccata al palato, fare mula bandha (contrazione muscoli alla base della colonna), le dita delle mani devono essere tenute in chin mudra. La pratica Nirguna (senza forma) utilizza il respiro e il pranayama, durante l'espirazione si pronuncia il japa mantra "Ham", durante l'inspirazione si pronuncia "So".  Occorre rimanere consapevoli delle fasi della respirazione per almeno cinque minuti cercando di visualizzare l’energia, una luce bianca che sale dalla colonna toccando i più importanti ciakar.   Piano piano si deve cercare di allungare il tempo dell’inspirazione e dell’espirazione.  Poi mentalmente fare il percorso inverso a ritroso ripercorrendo le tappe esposte però utilizzando minor tempo ( due minuti).  Cercare di ripetere il mantra "So Ham" anche nella quotidianità.

Pratica Saguna (con forma ) è una forma di meditazione in cui si usano i mantra (il più importante è "Ram", Ra significa sole e Ma luna ). Non c'è  differenza tra i mantra "Ram" e "AUM" (pronunciato OM). Per praticare questa forma di meditazione recitare il mantra "Sita Ram", tenendo la mala (un rosario indiano formato da 108 grani in legno di tulsi) nella mano destra, a livello del cuore o sulle ginocchia  e facendo scorrere i grani. Nella meditazione si usa nella mano destra (anche se si è mancini) passando i grani tra il pollice e il dito medio. Dopo qualche giro completo, socchiudere gli occhi, guardare in basso, sussurrare il mantra; Dopo qualche altro giro, chiudere gli occhi, ripetere il mantra mentalmente.  Aggiungere poi  mula bandha e nabho mudra ossia si ruota la lingua contro il palato molle e shambhavi mudra (sguardo fisso al centro tra le sopracciglia).  Piano piano, occorre aggiungere consapevolezza sul respiro e provare a visualizzare il respiro che sale dalla base della colonna fin sulla sommità della testa e poi scende.

La meditazione Nirguna e Saguna insieme. Ripetendo il mantra "OM" la meditazione assume la qualità Nirguna, Om è il suono primordiale, che può essere percepito quando la mente ha trasceso la polarità del mondo materiale, a quel punto "So Ham" finisce, perché il praticante è entrato in Turya, il quarto stato della mente dove l'individualità svanisce. Facendo la meditazione possono affiorare numerosi pensieri, e questi sono i frutti del Karma ed è  importante restare testimoni. 

Meditazione tramite kirtan. Il kirtan (la ripetizione continua di un mantra) è una  pratica di Nad Yog (yoga del suono) ed aiuta a liberare il lato emozionale della persona, infatti il kirtan è una pratica di meditazione in cui l'individuo cerca di  lasciarsi andare alle emozioni, liberandosi da blocchi mentali ed inibizioni. I Mantra impiegati sono a pag 190 del testo.

Samadhi, (capitolo VIII) il cui significato letterale dal sanscrito è sam equilibrio e dhi intelletto, è lo stato più alto della meditazione in cui la mente perde la sua individualità, il meditante e l’oggetto si fondono l’uno nell’altro.  Senza maestro è impossibile arrivare ad entrare in samadhi e per farlo si possono applicare sei metodi: 

  • - Dhyan
  • - Nad
  • - Rasanad
  • - Lay
  • - Bhakti
  • - Raj

Il samadhi porta alla beatitudine e questa è la perfezione ricercata nello yog. Una volta arrivati al samadhi non rimane nessuna altra pratica da fare.  Per entrare in samadhi è indispensabile:

  •  restare nella posizione  padmasan (seduto a gambe incrociate)  per 3 ore e 48 minuti senza sforzo, 
  • conoscere le tecniche segrete del mula bhanda, (un termine sanscrito che vuol dire letteralmente “sigillo della radice” alla base della colonna. I bandha, infatti, sono contrazioni muscolari per veicolare il prana),  
  • fare khecari mudra,  girare la lingua e introdurla nella cavità interna del cranio, dietro il palato, e fissare lo sguardo nello spazio fra le sopracciglia,
  • fare ritenzione e astensione spontanea del respiro, in sanscrito è kevala kumbhaka,
  • avere le nadi (i canali energetici) purificate, in modo particolare la sushumna nadi, e aver fatto shank praksalan (il difficile nome di shank prakshalan significa “lavaggio della conchiglia”  o dell'intestino),
  • mantenere il contatto con la madre terra.

Quando si giunge in samadhi le azioni (karam) cessano e gli archetipi del subconscio (sanskar) si estinguono e al loro posto resta solo purezza, si resterà in stato di Turiya, in questo stato la persona in samadhi è sveglia per Dio e dorme per il mondo.

Introduzione al Blog

Il Blog è nato nel marzo 2021, in tempo di pandemia, per comunicare e condividere le mie letture e i miei interessi personali.  Nel blog c...