giovedì 16 giugno 2022

La Bhagavad Gita e gli Yoga Sutra

Articolo di Marco Sebastiani.    La Bhagavad Gita e gli Yoga Sutra, sono i due pilastri antichi della disciplina dello yoga. Per chi è interessato alla tradizione sono entrambi imprescindibili.


Le due opere hanno tuttavia una serie di differenze. In primo luogo è diversa la forma, la Bhagavad Gita è molto più discorsiva e apparentemente chiara nei contenuti, che seguono una storia ed una narrazione, al contrario dei sutra di Patanjali, che espongono invece sintetici concetti filosofici. Nonostante ciò, i numerosi commenti che sono stati scritti sulla Bhagavad Gita espongono opinioni molto diverse anche sui concetti essenziali. La Gita è nauralmente letta come contenuto allegorico, ed il rapporto tra il suo protagonista, l'arciere Arjuna e il conducente del suo carro da battaglia, il dio Krishna, è identificato come il rapporto tra lo spirito individuale e lo spirito assoluto, riportando il discorso in un ambito molto vicino all'opera di Patanjali. I commentatori dei Vedanta, opera di cui la Gita fa parte, leggono però il rapporto tra il Sé e il Brahman nel testo, in modo completamente influenzato dalla propria visione del mondo: la scuola Advaita Vedanta vede nell'essenza dell'opera il non-dualismo di Atman (anima) e Brahman (spirito universale), mentre le scuole Bhedabheda e Vishishtadvaita vedono Atman e Brahman come allo stesso tempo distinti e non distinti, in una sintesi tra questi due estremi a loro giudizio perfetta, e infine la scuola Dvaita li vede, assecondando la propria visione dualistica, come distinti.
Il rapporto tra spirito individuale e spirito assoluto è, secondo chi scrive,  l'aspetto più interessante ed universale per il praticante di yoga moderno, nucleo centrale che rende quest'opera globale e senza tempo. Seppure la Gita abbia innegabilmente una connotazione più "religiosa" e devozionale rispetto ai sutra di Patanjali, ci pone di fronte ad un'indagine introspettiva e ad un viaggio su di un percorso comune a tutti coloro che si pongono in cammino verso il terreno della spiritualità. L'approccio potrà essere più religioso appunto o più meccanicistico e materialistico, a seconda della formazione e delle idee ultime del lettore, o forse, ancora meglio, ci si potrà abbandonare al testo senza idee preconcette, analizzando solo alla fine come ci abbia arricchito questa meravigliosa lettura.
L'ambientazione della Gita in un campo di battaglia è stata interpretata da sempre come un'allegoria per le lotte etiche e morali, senza tempo, della vita umana.

Bhagavadgītā significa in sanscrito "Canto del Divino", o "Canto del Beato", Bhagavad è infatti uno dei nomi di Visnu o di Krishna, suo ottavo avatar.
Costituisce a sua volta una parte del sesto libro della Mahābhārata, immenso poema epico dell'India antica. La Gita è un'opera, composta di  di circa 700 versi, shloka, in quartine di ottenari, divisa in 18 canti, adhyāya, letture. Essa è parte integrante della narrazione e della trama della Mahābhārata, ma ha, per altri versi, un contenuto tipico e distintivo rispetto a questa, incentrato sui temi apparentemente religiosi del brahaman, lo spirito universale, e del karma, la conseguenza delle azioni proprie ed altrui.

Esistono varie versioni del testo, di cui quella da noi commentata, in 700 versi, è la cosiddetta vulgata, divenuta ormai "canonica", redatta e commentata da  Shankara nell'VIII secolo d.C. Delle altre versioni la più nota è quella cosiddetta kashmira, più lunga di un terzo e con qualche peculiarità.
Tutti i capitoli dell'opera hanno un titolo che fa riferimento allo yoga: Lo yoga della sofferenza, lo yoga della devozione, lo yoga dell'azione, etc. etc. così per tutti e 18 i canti. Si parla infatti del messaggio dell'opera come dello "yoga della Bhagavad Gita", in quanto, semplificando, tutta l'opera, in ogni suo capitolo, descrive l'unione, il ricongiungimento, yoga, tra Arjuna e Krishna, tra lo spirito individuale e lo spirito universale, tra athman, spirito individuale, e brahaman, spirito assoluto, attraverso diversi sentieri.
La Bhagavad Gita ha valore di testo sacro, ed è divenuto, nella storia, tra i testi più prestigiosi, diffusi e amati tra i fedeli dell'Induismo. In tale contesto è il testo sacro per eccellenza delle scuole vishnuite e krishnaite, ma è venerato come testo rivelato anche dagli shivaiti e dai seguaci dei culti shakta.
Lo stato dell’Orissa, che si estende lungo la costa centro-orientale dell’India i templi conserva tracce di cultura jainista, buddista e induista. Di estremo interesse sono i siti Shakta, legati al culto della Shakti o Energia femminile suprema, e tra questi hanno grande importanza i due templi circolari delle 64 Yogini che fanno dell’Odissa un posto unico per incontrare tradizioni nelle quali il culto della’Energia femminile Suprema è ancora vivo.
Per i seguaci di Krishna la Bhagavad Gita proviene direttamente dal Dio e la sua composizione è antica quanto il mondo.
Il testo viene datato nelle sue parti più antiche tra il al 500 AC e il 200 AC e dal punto di vista filologico sono state individuate tre stratificazioni temporali all'interno: la prima, di contenuto "epico", è la più antica; la seconda che riporta insegnamenti propri delle dottrine del Saṃkhya-Yoga (canti 2-5); la terza è la stratificazione "teista" legata al culto di Kṛṣṇa (canti 7-11), la quale trova, nel canto 12, un vero e proprio inno alla bhakti, la devozione verso la divinità.
La Bhagavad Gita presenta una sintesi  di idee sul dharma, la legge universale, sul concetto teistico di bhakti, ovvero la devozione verso lo spirito divino o universale, e sui percorsi yogici verso la moksha, la liberazione dal ciclo delle rinascite grazie alla perfezione spirituale.

La Bhagavad Gita ha sempre affascinato i suoi lettori, sia orientali che occidentali. Il punto che personalmente mi ha sempre lasciato sbalordito è la discreta somiglianza con l'Iliade di Omero:
  - entrambe raccolgono una tradizione orale precedente,    
  - sono scritte all'incirca nello stesso periodo e hanno uno stile elevato,
  - sono in metrica, rispettivamente  ottenario ed esametro [NdR: il metro della Gita non si chiama formalmente ottenario, ma Anushtubh, ed è formato da 32 sillabe. Queste sono però divise in 4 versi di 8 sillabe, per questo motivo è fortemente paragonabile all'ottenario e suona anche in modo molto simile]
  - sono scritte in una lingua che ha molti punti di contatto: alfabeto confrontabile, casi, declinazioni,    coniugazioni, generi, etc. etc., nonchè alcuni termini in comune,
   -  portano avanti un'epica guerresca, di eroismo e di glorificazione della guerra,
   -  creano il mito dell'eroe guerriero
    - narrano una battaglia tra due fazioni opposte,
   -  intervengono prepotentemente eroi umani, eroi semidivini, nonchè gli dei in prima persona,
   -  è molto forte il concetto di fato e di destino,
    - comunicano un insegnamento,
    - hanno un epilogo tragico per entrambi gli schieramenti e per molti eroi giusti,
    - le ambientazioni sono simili: gli accampamenti, le città con mura, i campi di battaglia, etc.
    - le strategie di battaglia sono paragonabili,
   - gli strumenti di guerra sono simili: i carri da battaglia, gli auriga e gli arceri, gli scontri corpo a corpo, vari armamenti.

Si potrebbe sostenere che queste somiglianze rispondano a categorie che soggiacciono all'animo umano in modo universale, senza limiti di tempo e di spazio, ma così non è, in modo molto evidente. Sorprendentemente queste somiglianze non sono casuali, ma entrambe le opere furono scritte da popolazioni discendenti da un'unica tribù, insediata nelle steppe della Russia meridionale, che si spinse e colonizzò direttamente o indirettamente una vastissima area geografica, dall'India all'Europa. Queste sono le genti Ariane, o come si dice più correttamente ai nostri giorni: Indo-Europee, che sappiamo oggi condividere origini comuni, evidenti nelle lingue storiche e contemporanee, che spaziano appunto dal sanscrito al greco antico, alla quasi totalità delle lingue europee e indiane. 
 
La Bhagavad-gita è il dialogo tra Sri Krishna, Dio, Persona Suprema, e Arjuna, suo devoto, suo intimo amico e discepolo. Arjuna rivolge alcune domande a Krishna, che risponde presentandogli la scienza della realizzazione spirituale. Questo dialogo ha luogo durante una grande battaglia tra due opposte fazioni per il predominio sul grande regno indiano. Le due fazioni sono legate da vincoli di parentela nella più classica delle lotte fratricide di potere per il trono. Uno schieramento è virtuoso e mosso da ideali puri, l'altro è mosso dal desiderio di potere personale e da princìpi negativi, seppure tra le sue fila ci siano personaggi benemeriti mossi da ideali di fedeltà e rispetto.

La Bhagavad Gita fa parte della Mahabharata, che fu compilata secondo il mito da Sri Vyasadeva. La Mahabharata è la narrazione storica delle straordinarie imprese del grande re Bharata e dei suoi discendenti fino a giungere ai tre figli del re Vicitravirya: Dhritarastra, Pandu e Vidura. Dhritarastra, come figlio maggiore, avrebbe dovuto ereditare il trono, ma, a causa della sua cecità congenita, il potere toccò al fratello minore Pandu. Pandu ebbe cinque figli, Yudhisthira, Bhima, Arjuna, Nakula e Sahadeva; Dhritarastra ne ebbe cento, di cui il maggiore si chiamava Duryodhana. Dhritarastra non accettò mai la supremazia del giovane fratello e allevò i suoi figli animato dalla determinazione che un giorno essi avrebbero regnato sul mondo al posto dei Pandava, i figli di Pandu. Così Duryodhana e i suoi numerosi fratelli crebbero impregnati delle ambizioni paterne, del suo orgoglio e della sua avidità. Pandu morì prematuramente e i suoi figli furono affidati alle cure di Dhritarastra. Quest’ultimo attentò più volte alla loro vita e a quella della loro madre, Pritha, chiamata anche Kunti. Ma le congiure del cieco Dhritarastra furono sventate grazie soprattutto all' intervento di Vidura, zio dei Pandava, e alla protezione affettuosa di Krishna in persona. I guerrieri e i comandanti dell’epoca, gli ksatriya, osservavano un codice di cavalleria che proibiva loro di rifiutare una sfida al combattimento o al gioco. Abusando di questo codice, Duryodhana ingannò al gioco i cinque fratelli Pandava, sfruttando anche qualche debolezza del loro primogenito Yudhisthira, e riuscì a privarli del regno e perfino della libertà, costringendoli a un esilio di dodici anni. Trascorso questo periodo, i Pandava tornarono alla corte di Duryodhana per chiedergli un territorio su cui regnare, perché secondo il codice ksatriya un guerriero può svolgere soltanto la funzione di proteggere o di governare. I Pandava erano disposti ad accettare anche un solo villaggio, ma Duryodhana li schiacciò con disprezzo: non darà loro neanche la terra sufficiente a piantarvi un filo d’erba. Arjuna e i suoi fratelli, dopo l'ennesimo affronto, non ebbero altra scelta che ricorrere alle armi. Cominciò così una guerra di enormi proporzioni. Tutti i grandi guerrieri della Terra, si riunirono, chi per mettere sul trono Yudhisthira, il maggiore dei Pandava, chi per contrastarlo. Attaccarono battaglia a Kuruksetra, luogo molto noto dell'India del Nord, ad oriente del Punjab.

La lotta  durò solo diciotto giorni ma causò, secondo il mito, la morte di 640 milioni di uomini, il che ci fa intuire la portata del conflitto che l'opera vuole descrivere. Il poema descrive non solo come si conoscessero armi psichiche,  brahmastra, più sottili di quelle materiali, ma anche potenti armi convenzionali e altre ancora, che agivano sull’acqua, sull’aria e sul fuoco, tutte con un grande potere distruttivo. Ma, tornando ai primi istanti della battaglia, appena gli eserciti si riuniscono,  Krishna tenta d’intervenire in favore di una soluzione pacifica, ma trova Duryodhana deciso a governare la Terra a suo modo e pronto a disfarsi dei Pandava, la cui esistenza minacciava il suo diritto alla corona. 
I Pandava, puri,  devotie e con alte virtù morali, riconoscono Krishna come Dio, la Persona Suprema; mentre i figli di Dhritarastra, privi di tale virtù, non vedono la Sua natura divina. Krishna infatti si offre di partecipare alla battaglia, seppure in modo neutrale, rispettando i desideri degli schieramenti coinvolti: egli non combatterà di persona, ma ordinerà al Suo esercito di raggiungere il  campo di una fazione, mentre Lui stesso andrà nell’altro, dove agirà come consigliere. 
I Pandava scelgono di avere Krishna dalla loro parte come mentore e Duryodhana vede unirsi alle sue forze militari l’esercito del principe Krishna. 
Krishna diventa così il conduttore del carro del suo caro amico Arjuna e inizia la Bhagavad Gita. 
Gli eserciti sono schierati in ordine di combattimento e Dhritarastra, inquieto, chiede al suo segretario Sañjaya di descrivergli la situazione.

giovedì 9 giugno 2022

La tecnica di meditazione NYM proposta dal maestro yoga Swami Joythimayananda

Per swami Joythimayananda, maestro spirituale e sapiente ayurvedico (E’ il fondatore dell’ashram Joytinat Joytinatswami che si trova a Corinaldo, nelle Marche), la meditazione è uno stato in cui si sperimenta il silenzio, l’assenza di pensieri e in cui l’osservatore scompare. E’ uno stato di inazione in cui non esiste esperienza. Il risultato della meditazione è il samadhi, lo stato di beatitudine in cui si entra nel silenzio profondo e si sperimenta uno stato di estasi. Un abbandono totale in assenza di tempo, spazio, pensieri ed emozioni. Una buona pratica di meditazione porta lentamente ad una profonda trasformazione personale e contribuisce al miglioramento delle capacità di rapportarsi con se stessi, gli altri e il mondo esterno. All'ashram si pratica il Panchanga Yoga, i cinque sentieri dello Yoga: Bakti yoga, Raja yoga, Gnana yoga, Karma yoga, Hatha yoga. 

Oltre che la meditazione raja yoga, che è la via regale dello yoga, swami Joythimayananda propone la tecnica della meditazione NYM, che richiede il controllo della mente attraverso la creatività, la concentrazione e la contemplazione. E' un metodo che permette di ottenere a poco a poco tranquillità e creatività. Dopo aver creato un NYM mandala, che rappresenta se stessi, si porta l'attenzione al centro del mandala e si cerca di percepire la bellezza del mondo che è in noi.  La vita può essere quello che la cultura vedica definisce NYM: N=nam o nome, Y=Yantra o individuo, M=Mantra e Mandala (vibrazione individuale o cosmica).

Per praticare il NYM si utilizzano il proprio nome e la propria data di nascita. Secondo la cultura vedica, infatti, questi dati forniscono indicazioni relative a tutti i cinque elementi dell’individuo: corpo, fisiologia, mente, destino o Karma e anima individuale.

  •     Il nome corrisponde all’energia originale, o Anima.
  •     L’anno di nascita corrisponde all’energia causale, o Karma.
  •     Il mese di nascita corrisponde all’energia sottile, dell’intelletto e dell’ego (la mente).
  •     La data del giorno di nascita corrisponde all’energia funzionale fisiologica, o Kriya.
  •     Il giorno settimanale di nascita corrisponde all’energia solida, o corpo.

La pratica del Nym porta dei benefici su ogni elemento:

  •     Eleva l’energia originale dell’anima (nome), trasformando la vibrazione del proprio nome come un Mantra.
  •     Trasforma l’energia causale o Karma rendendola più leggera.
  •     Trasforma l’energia sottile dell’intelletto e dell’ego (la mente) rendendola chiara e pura.
  •     Trasforma l’energia funzionale (fisiologia) rendendola armonica e bilanciata.
  •     Fortifica e rende più sana l’energia solida (corpo).

La tecnica del NYM è individuale e per affinarsi necessita di svariati anni di pratica, tuttavia ognuno di noi, singolarmente e autonomamente, può allenarsi a sviluppare le sue facoltà intuitive. Per calcolare il nostro NYM personale si eseguono le seguenti operazioni:

  •     Tracciamo su un foglio il semplice disegno di un uomo o di una donna.
  •     Al centro indichiamo il nostro nome in cifre.
  •     A sinistra scriviamo il numero del giorno della data di nascita (fisiologia, Kriya).
  •     A destra scriviamo il numero del mese di nascita (mente).
  •     In alto scriviamo il numero dell’anno di nascita (destino, Karma).
  •     In basso scriviamo il numero del giorno settimanale di nascita.

Riduciamo tutti i numeri a una singola cifra, da 1 a 9, sommando a oltranza le cifre indicate in ogni blocco di numeri. Il risultato di questa composizione di disegno e semplici calcoli è il nostro Nym personale, che possiamo completare con vari colori o forme geometriche e appendere in casa.

Secondo la tecnica del Nym ogni giorno della settimana corrisponde a un numero secondo il criterio seguente:      Domenica = 1      Lunedì = 2       Martedì = 3       Mercoledì = 4       Giovedì = 5
    Venerdì = 6       Sabato = 7
Ogni nome proprio comprende vocali e consonanti. Secondo la tecnica del Nym le lettere si classificano in questo modo:     Vocali = 1       Consonanti = 2.

Esempio: Cesare  nato mercoledì    24/07/1957              Cesare: C=2    E=1    S=2   A=1    R=2    E=1        totale nome proprio   9         Giorno di nascita: 24  = 6   (2+4)  Mese: 7    Anno: 1957  = 1+9+5+7 = 22 = 4  (2+2) 

Dopo aver effettuato i calcoli tracciamo su un foglio il semplice disegno di un uomo o di una donna.

  •     Al centro indichiamo il nostro nome in cifre.    9
  •     A sinistra scriviamo il numero del giorno della data di nascita.   6
  •     A destra scriviamo il numero del mese di nascita.   7
  •     In alto scriviamo il numero dell’anno di nascita.  4
  •     In basso scriviamo il numero del giorno settimanale di nascita.  4
Totale 30.    3+0   = 3          La cifra 3 sarà il nostro punto di riferimento.

Il percorso spirituale - Mauro Bergonzi

Mauro Bergonzi ha insegnato Religioni e Filosofie dell’India e Psicologia Generale all’Università degli Studi di Napoli “L’Orientale” dal 1985 al 2017. E’ membro della International Association for Analytical Psychology (I.A.A.P.) e psicologo analista didatta del Centro Italiano di Psicologia Analitica (C.I.P.A.). Ha pubblicato articoli e saggi sui processi meditativi nel buddhismo, sulla psicologia del misticismo, sul comparatismo filosofico e sull’incontro tra Oriente religioso e Occidente contemporaneo, con particolare riferimento al campo della psicologia transpersonale e agli studi sulla coscienza. A partire dagli anni ’70, ha praticato varie forme di meditazione con uno spirito libero da dogmi e adesioni confessionali, approdando infine ad una prospettiva non-dualista, che da diversi anni trasmette attraverso i suoi incontri di ‘condivisione dell’essere’ (sat-sang).


La meditazione non è un fuggire dalla vita.  Dai percorsi spirituali, dalle pratiche di meditazione e di contemplazione si cercava e si cerca una protezione dal dolore, dalla sofferenza. Comunque i grandi saggi dell’umanità non hanno mai promesso che,  raggiunto un certo livello di saggezza, l'individuo sarebbe stato libero dalla sofferenza. Dal momento che abbiamo un corpo e una mente non possiamo esserne immuni.

Tony Parsons, il teorico del non dualismo, parla della via del ghiaccio, che è la via per costruire una protezione alla sofferenza.  Adottare questa via significa adottare la pratica del testimone, mettersi ai margini della vita, ed osservare tutto, anche la sofferenza in maniera impersonale, ma questa via ci isola dalla vera vita, dalle esperienze della vita. L’altra via opposta, di cui parla Tony Parsons, la via del fuoco, è invece quella dell’intimità della vita, strettamente personale.  Finché non avviene questo matrimonio tra le due vie, il fuoco ha paura del ghiaccio e viceversa, se non avviene questo matrimonio, nell'individuo non ci sarà una vera trasformazione interiore.

Mauro durante la conferenza spiega : "Mentre seguivo questi percorsi di trasformazione interiore, e ne ero convinto della loro validità, mi rendevo conto che non era una fuga dal mondo, ma un vivere più consapevole. Sotto sotto, c’era l’idea di essere protetto, percorrevo la via del ghiaccio che è più tipicamente maschile. La via del fuoco, con l’intimità della vita non è avvenuta tramite la meditazione, ma quando mi sono dedicato anima e corpo a mia madre, negli ultimi anni della sua vita. Nella situazione dolorosa mi sono dedicato totalmente a lei, e ho chiuso il cerchio della vita, indipendentemente da tutto,  ha avuto un grande effetto trasformativo".
Se si riesce a vivere l'intimità della vita, e nello stesso tempo agire in maniera impersonale e distaccata, queste due modalità messe insieme, produrranno una grande trasformazione.
Occorre cercare di rimuovere le cause della sofferenza, ed  investigare e cambiare il rapporto con la sofferenza. A secondo del modo con cui ci si rapporta con la sofferenza l’evento diventa più o meno sopportabile. Ad esempio, se la prendiamo come una giusta esplicazione del karma, o come una ingiustizia, il livello di angoscia percepito è diverso.
Questo Io, che si rapporta con la sofferenza è veramente come ce lo immaginiamo?  Pensiamo veramente di essere un io separato dal mondo, dalla sofferenza. Esiste veramente un io separato dalla sofferenza e dall’universo ?  

Se noi interroghiamo la mistica e la scienza tutto questo è un po’ dubbio. Noi siamo costituiti da un flusso sempre cangiante, aria, acqua, sostanze nutritive, che mentre ci attraversano diventano l'Io, quindi il confine tra interno ed esterno è molto labile. Un individuo biologico è considerato come un gorgo d’acqua, i gorghi non sono separati dalla corrente, il gorgo non è una parte della corrente, ma è la corrente del fiume come appare in quel punto. 

La sofferenza è anche una questione d’identità. Ad esempio in una malattia degenerativa, si instaura una perdita di memoria e silenzio, la persona non c’è più, e quello che proviamo è simile alla perdita di una persona cara. Non si è più un figlio, una madre, ecc.

Nei percorsi spirituali e meditativi si cerca di arrivare ad uno stato di coscienza privo di memoria definito come silenzio. Anche se non è la stessa cosa, ci dovrebbe comunque far riflettere.
Bisogna tenere sempre presente la domanda « Chi sono io ? » che è il titolo di un libro scritto da Ramana Maharshi, il grande mistico indiano.

Per rispondere a questa domanda dobbiamo andare verso quello che non cambia: Il corpo, i pensieri, e le percezioni cambiano. Quindi, cosa resta ? La memoria e i ricordi sono gli aspetti più legati all’Io;
Per Nisargadatta Maharaj "L’assenza di memoria non è la prova di inesistenza".
La sola cosa di cui sono certo è il fatto che esisto e che sono cosciente, quello che cambia è di che cosa sono cosciente.
La fisica quantistica sta considerando l’ipotesi che la coscienza sia un dato a priori nella costruzione dell’universo. Se il mio esserci ed essere cosciente non è separabile da quello degli altri, ci permette di sentirci un tutt’uno con gli altri e questo può diventare una manifestazione d’amore. Questa risonanza è possibile sentirla se ci liberiamo dalle false idee su "chi siamo noi".
Nella vita ci sono due dimensioni, una orizzontale che non ha fine, di auto miglioramento, di situazioni che si susseguono, e da queste situazioni di vita possiamo sempre imparare qualcosa.
Poi c’è una dimensione verticale che è l'autorealizzazione che è fuori dal tempo.

Ma cosa è la felicità che cerchiamo tutti? Non è il piacere che può  essere più o meno intenso, la felicità è completezza, il vivere in una situazione in cui non ho bisogno d’altro. La felicità o c’è o non c’è, non è misurabile.
La felicità è un nostro diritto di nascita, ma ci sembra di averlo perso. Shankara, che è stato un teologo e filosofo indiano, nonché il fondatore della scuola dell'advaita vedānta racconta una storiella:  "dieci amici decidono di attraversare un fiume a nuoto. Uno di loro comincia a contare, uno-due, ... nove manca qualcuno, poi vedono un passante a cui chiedono di contare e conta: uno_due_nove ... mette una mano sul cuore e conta dieci".
Se si crede di essere incompleti, si soffre, la causa principale della sofferenza è quando ci si convince di essere un io separato dall’universo. Con il pensiero abbiamo separato il tempo in passato, futuro, presente che intuitivamente dura un secondo.  Questo presente ingloba passato, presente e futuro. Ramana Maharshi diceva: « l’unico ostacolo al risveglio è l’idea di non esserlo già».

Quando tiro una linea tra me e il mondo, inizio la battaglia, e devo necessariamente fare qualcosa per dare un senso alla vita. Ma il fare significa confermare questa distinzione tra me e il mondo, tra me e la vita. Invece io sono totalmente immerso nella vita. Questa sensazione non deriva da una comprensione intellettuale. E' qualcosa che accade. Occorre liberarsi dall’illusione che è quella della separazione, e scoprire quindi il Sé originario, che non è il mio piccolo sé.

Se pensiamo che facciamo tutti parte della coscienza cosmica,  anche l'ira diventa perfettamente inutile. Il taoismo per spiegare questo concetto usa la metafora della barca: Un barcaiolo di notte con la nebbia stava scendendo il fiume, quando vede che un lume in lontananza sta scendendo dalla parta opposta e sta per andargli contro, a quel punto comincia a gridare e ad insultare il presunto barcaiolo, poi la barca si avvicina e si accorge che è vuota….. Si era liberata dagli ormeggi…

Altri interventi di Mauro Bergonzi su varie tematiche.

Vesak, la ricorrenza più importante per la comunità buddhista mondiale

La festività del Vesak, la festa del risveglio e della luce è una delle ricorrenze più importante per la comunità buddhista mondiale nel corso della quale si ricorda nascita, illuminazione e morte del Buddha. La celebrazione, corrispondente al Natale buddhista, offre la preziosa opportunità di riflettere su come gli insegnamenti del buddhismo possano aiutare la comunità internazionale a fronteggiare le sfide del presente. 

L'ultima  festività è stata dedicata alla pace in Ucraina e si è tenuta dal 28 al 29 maggio a Torino. in questa occasione la comunità buddhista italiana, attonita davanti al dolore innocente provocato da questo atroce conflitto,  ha lanciato un appello di pace che sarà firmato dai centri presenti sul territorio italiano.  “Di fronte al reale pericolo di una escalation nucleare preghiamo e chiediamo con forza che si fermi subito il conflitto" – ha dichiarato Filippo Scianna, presidente dell’Unione Buddhista Italiana. “Troppi sono i rischi che corre il mondo intero. Con le altre confessioni religiose ribadiamo la richiesta che le armi tacciano e che predomini il dialogo e la pace. Le religioni sono veicoli e strumento di pace e mai possono giustificare violenze e guerra verso gli inermi.

In questa occasione l'Unione Buddhista Italiana (UBI) ha ribadito il convincimento dell'insensatezza dell'uso delle armi nella risoluzione dei conflitti. Il conflitto in Ucraina rappresenta il simbolo dell’insensatezza di qualunque guerra in qualunque luogo del mondo. Un pensiero, quest’ultimo, che risponde ai più intimi valori buddhisti..


Un jour viendra couleur d'orange - Grégoire Delacourt

 Grégoire Delacourt (1960,  - ) è uno tra i più grandi pubblicitari francesi, autore di famosissime campagne, si è messo a scrivere romanzia 50 anni.   Uno slogan dei gilet gialli riportato nel libro: On veut juste une vie juste. Vogliamo soltanto una vita giusta.

Il suo ultimo libro Un jour viendra couleur d'orange è una meraviglia. È un bel romanzo suddiviso in capitoli colorati e un vero invito alla tolleranza. La storia di questo romanzo molto impegnato si svolge tra l'inizio del movimento dei Gilet Gialli e l'incendio di Notre Dame. I temi di attualità si intrecciano con un profondo umanesimo, e l'autore mescola la rabbia dei gilet gialli con i problemi di razzismo.  Questo libro parla della vita e dell'amore, ma soprattutto della fuga come mezzo di sopravvivenza o rifugio in un mondo troppo violento per chi è ai margini.

La trama è la seguente: Djamila, un'adolescente nordafricana vessata dai fratelli è innamorata di Geoffrey (che soffre di disturbi autistici)  il figlio di Pierre, che lavora all'Auchan locale ed è stato un Gilet gialli fin dall'inizio. Louise, la moglie di Pierre, è un'infermiera in un'unità di cure palliative che ama fortemente il suo figlio diverso. E poi c'è un'altra storia d'amore terribile e bellissima. E poi c'è la natura che  ha avuto un ruolo molto importante in questo romanzo.

Djamila fugge dai suoi fratelli,  Geoffrey cerca di superare l'autismo rifugiandosi in se stesso e nel rapporto con Djamila. Pierre, molto arrabbiato per la sua condizione sociale e per la disabilità del figlio, fugge dalla sua realtà facendosi coinvolgere nella lotta dei gilet gialli. Louise fugge accompagnando le persone in stato terminale alla morte. 

Nel libro scopriamo che la fuga non è sempre vigliaccheria, ma spesso, la prova di una sofferenza immensa che si fa fatica ad affrontare e soprattutto il segno di un incredibile desiderio di vita, di sopravvivenza. A volte ci vuole coraggio per riuscire a fuggire, a lottare contro se stessi per non affondare e uscire dalla situazione in cui ci si trova.

Questo testo è un bellissimo valzer di parole e le frasi sono delle vere poesie; Presenta varie storie che formano un insieme  armonioso.

Intervista a Delacourt https://www.youtube.com/watch?v=iFi3OxnY8oA

 Un jour viendra couleur d'orange è un verso di Aragon, preso dal poema "Un giorno, un giorno" in cui denuncia l'avanzata del fascismo in Spagna e l'assassinio di Lorca nel 1937. Nonostante tutto, crede ancora che uomini e donne andranno verso un domani gioiosi e albe color arancio. Credere che il meglio è davanti a noi.  La coppia formata da Geoffroy e Djamila si amano, l'amore è un'enorme speranza in un monde che non è fatto per le persone come loro, per le persone diverse. L'amore e la collera sono delel formidabili speranze. Il vero amore è amare senza aspettarsi niente in cambio. Geoffrey e Djamila incarnano un mondo possibile, incarnano dei sogni d'infanzia che come adulti dobbiamo imparare a gestire.  Saint-Exupery diceva che ogni uomo ha una parte d'infanzia che ha perduto, e questo è un peccato. Bisogna ritrovare questa parte d'infanzia perchè in essa si manifestavano i nostri sogni. Essere adulti è ritrovare i sogni dell'infanzia e realizzarli.

Link: https://www.youtube.com/watch?v=X7GB1_79Wi4

Alcune frasi del libro.

  • La colera non è sufficiente per cambiare il mondo, non è che rumore. Bisogna ritrovare quello che avevamo in comune, che abbiamo perduto per delle cattive ragioni.
  • La differenza fa paura, dà il sentimento agli altri di essere privati di qualcosa e al posto di nutrirsene, preferiscono distruggerla. Si picchiano gli omosessuali, i neri, gli arabi, i diversi, gli autistici. Si colpisce tutto quello che rischierebbe di rivelare che non siamo poi così straordinari. La paura dell'altro è la paura di essere mediocre.
  • La poesia è qualcosa che non si può spiegare, solo sentire. Soltanto supporre. E' quando non è la testa che parla, ma il cuore, la pelle, la paura, e a volte il desiderio. E' esattamente questo la poesia. La poesia è tutto quello che può cambiare il mondo in bellezza. Anche se è illogico. Ma l'illogicità è anche una forma di logica. I problemi si presentano quando gli uomini smarriscono il senso della poesia e restano sordi ai mormorii del cuore.
  • Ritrovare nell'infanzia la nostra scintilla d'innocenza, le nostre capacità perdute di meravigliarsi, le sole qualità che potevano fare di noi, degli esseri umani. Ma noi abiamo lasciato prendere sopravvento la nostra parte peggiore e il sangue non si è più arrestato di colare.
  • L'avvenire? E' una parola che non ha niente a che vedere con l'amore. Da quando siamo piccoli ci hanno convinti che la miglior rima con amore, era sempre. E' un'immensa stupidaggine. La vera rima d'amore, è ogni giorno.
  • Non bisogna sognare. Qui, le persone sono molto individualisti, Gridano, ma non vogliono problemi, Giusto conservare i loro confort, i loro piccoli vantaggi: Non siamo più nel 1789, non siamo più un popolo. Siamo 65 milioni di popoli. Ci fù allora un lungo silenzio.
  • Mi aveva interrogato sul razzismo. Gli avevo spiegato che è una dottrina insensata qui promuoveuna gerarchia di razze e che nel suo nome, delle persone si arrogavano il diritto di umiliare, colpire, uccidere anche, delle persone che stimavano inferiori a causa del colore della loro pelle, della loro religione, del loro sesso, della loro origine.

Sto bene con te e questo mi è sufficiente.

Altri romanzi di Grégoire Delacourt.   L'ultimo romanzo, scritto durante il confinamento a causa del Covid, è L'enfant réparé. Un tema che tocca particolarmente Delacourt in quanto in un'intervista ha dichiarato di essere stato anche lui un bambino abusato. La cosa terribile è che ad abusare di lui sia stato il suo stesso padre.

  • La donna che non invecchiava più  
  • Danzando sull'orlo dell'abisso
  • Le quattro stagioni dell'estate  
  • On ne voyait que le bonheur
  • La prima cosa che guardo
  • La liste de mes envies. Le cose che non ho 
  • L'Écrivain de la famille

Mahatma Gandhi: Il potere della nonviolenza

Mohandas Karamchand Gandhi (1869-1948) è stato un politico, filosofo ed avvocato indiano e leader del movimento per la libertà e l'indipendenza dell'India, nonché il fondatore della nonviolenza, un metodo di lotta politica che rifiuta ogni atto di violenza.  Gandhi è conosciuto come il Mahatma, la "grande anima", come lo definì il poeta indiano Rabindranath Tagore (premio Nobel per la letteratura nel 1913). In realtà, il suo impegno fu soprattutto religioso, di liberazione personale, nella convinzione che avesse un forte impatto politico. Lo afferma più volte e lo ribadisce nella sua Autobiografia: "La mia devozione alla Verità mi ha portato nel campo della politica". Gandhi non desiderava il potere politico per se stesso e non ha mai ricoperto una posizione ufficiale all'interno del Congresso Nazionale Indiano, eppure ha costantemente esercitato il ruolo di arbitro in questioni politiche.

Nel 1893, Mohandas Karamchand Gandhi, 24 anni, giovane avvocato laureato a Londra, accettò un incarico legale da svolgere a Pretoria, in Sudafrica. Durante il viaggio scoprì che in Sudafrica vigeva l'apartheid. Sperimentarlo di persona fu traumatico per Gandhi e l'umiliazione subita lo rese consapevole,  in modo drammatico, del razzismo.
In Sudafrica imparò ad affrontare i problemi politici dei suoi connazionali. L'essere perseguitato e imprigionato per motivi di coscienza insegnò a Gandhi ad affrontare la punizione con dignità, orgoglio e tenacia e riteneva che andare in prigione per un abuso di potere aumenta il prestigio della causa.  Gandhi rimase in Sudafrica per 21 anni e l'esperienza drammatica che vi fece costituì la sua scuola spirituale. Imparò che la lotta nonviolenta contro l'apartheid era una vera politica e alla fine ottenne notevoli risultati come il riconoscimento di uguali diritti, l'eliminazione di leggi discriminatorie, la validità dei matrimoni religiosi (prima solo quelli cristiani erano riconosciuti validi).

Quando tornò in India nel 1915, trovò un generale malcontento nei confronti del governo britannico. Nel 1919 Gandhi organizzò una vigorosa campagna di disobbedienza civile, con la chiusura di fabbriche, serrate e scioperi contro il Rowlatt Act: una serie di proposte legislative antiterrorismo, norme speciali per prevenire proteste. La partecipazione di massa fu enorme.  A seguito dei disordini che scoppiarono a Amritsar dove furono uccise 4000 persone che manifestavano pacificamente, Gandhi interruppe la campagna di disobbedienza civile.

Gandhi lanciò la sua prima campagna per l'indipendenza nel novembre 1921. La chiamò con un termine innovativo, satyagraha, la forza della verità, sinonimo di resistenza non violenta. Il satyagraha è una forma di mobilitazione sociale ideata da Gandhi basata sulla «resistenza passiva» a cui si aggiungevano elementi derivati dalle tradizioni filosofico-religiose indiane. Il satyagraha consiste infatti nell’«aderire fermamente alla verità», violando pacificamente leggi ritenute a essa contrarie. Ogni partecipante è chiamato a ricercare nell’intimo della propria coscienza la sorgente di tale verità, attingendovi le energie morali necessarie ad accogliere la repressione in modo non violento: la sua azione attualizza così la verità, nella speranza che essa possa «convertire» l’avversario. 

La campagna fu lanciata sulla base di tre obiettivi sociali: l'unità tra indù e musulmani, l'abolizione della casta degli "intoccabili", e l'utilizzo di materie prime locali, con la promozione del khadi, cioè l'invito ad ampio raggio a indossare abiti fatti di stoffa di cotone tessuta personalmente a mano da ogni individuo, per boicottare gli abiti prodotti in Gran Bretagna. Nello stesso tempo Gandhi  ampliò la portata delle sue azioni, sfidando i postulati sacri dell'induismo. Ai suoi occhi, non c'era differenza tra un bramino e gli intoccabili, tra caste superiori e inferiori e si identificava con i maltrattati e i poveri, e si dedicò al loro servizio.
Gandhi invitò il viceré a ripristinare "le libertà di parola, di associazione e di stampa [...] e a rilasciare le persone innocenti che erano state imprigionate", altrimenti sarebbe iniziata la disobbedienza civile. Il rifiuto del Viceré diede il via alle proteste. Alcune furono particolarmente cruente con diverse decine di morti. Appena informato degli incidenti, Gandhi convocò una riunione del Partito del Congresso, e annullò la campagna di disobbedienza civile; si impose cinque giorni di digiuno per espiare la violenza del massacro. In questa occasione fu aspramente criticato in tutta l'India per aver annullato la campagna.

Nel marzo 1922, il Mahatma Gandhi fu arrestato. Era accusato di sedizione a causa di articoli pubblicati nel settimanale, Young India. Nel primo aveva scritto: "L'Impero britannico, costruito sullo sfruttamento sistematico delle razze fisicamente più deboli della terra e su un dispiegamento di forza bruta, non può durare, se esiste un Dio giusto che governa l'universo". Nell'altro articolo proclama apertamente: "Vogliamo rovesciare il governo. Vogliamo costringerlo a sottomettersi alla volontà del popolo".   Durante il processo si dichiarò  "tessitore e contadino", colpevole di aver istigato alla "non collaborazione" con il governo britannico. Asserì che "la non cooperazione violenta non fa che moltiplicare il male,  il ritiro del sostegno al male richiede l'astensione totale dalla violenza".
La condanna a sei anni di carcere avrebbe potuto segnare la fine della lotta che Gandhi aveva sostenuto fino a quel momento per la liberazione dell'India. Invece, ebbe un'altra conseguenza: rafforzò la sua determinazione e la sua reputazione agli occhi degli indiani. 

L'arresto significò il suo riconoscimento da parte del governo britannico come principale leader del movimento per l'indipendenza nazionale.  La semplicità dell'abbigliamento di Gandhi testimoniava un chiaro impegno per l'uguaglianza sociale. Gandhi stesso dedicava mezz'ora al giorno a tessere il tessuto per il proprio abbigliamento. Nel 1928, la Commissione Simon, composta da parlamentari britannici, ebbe il compito di riferire a Londra su una possibile Costituzione per l'India. 

L'obiettivo di Gandhi era quello di sensibilizzare la popolazione contadina e per questo iniziò a visitare sistematicamente alcuni dei 700.000 villaggi.
Propose al Congresso diversi punti come programma da realizzare: la proibizione totale degli alcolici, la riduzione del tasso di cambio rupia-sterlina, l'abbassamento delle tasse sulla terra, l'abolizione della tassa sul sale, la riduzione degli stipendi degli alti funzionari, il ridimensionamento delle spese militari e il rilascio dei prigionieri politici. 

Gandhi organizzò la  "marcia del sale" dal suo luogo di ritiro, Ahmedabad, fino a Dandi: una distanza di circa 380 km, fino alla costa dell'Oceano Indiano, dove tutti avrebbero raccolto il sale per il proprio consumo.  All'inizio di marzo del 1930, Gandhi avvertì il viceré della sua intenzione di iniziare una campagna di disobbedienza civile contro la tassa sul sale. La marcia, iniziata con 80 uomini fidati, fu un trionfo; la folla crebbe di villaggio in villaggio. Nella marcia non mancarono il riposo e la preghiera: fu un vero e proprio pellegrinaggio. Venivano anche citati i testi sacri indù. Arrivati a Dandi, tutti raccoglievano il sale per uso personale.
La reazione del governo fu immediata: Gandhi e altre 50.000 persone furono arrestate e i giornali di tutto il mondo riportarono la notizia.
La popolarità della marcia del sale aveva rivelato che l'India era pronta per l'indipendenza e che la nonviolenza aveva sfidato e vinto il potere dell'Impero britannico. Per il governo di Londra fu un duro colpo, accentuato dalla diplomazia internazionale, ampiamente favorevole all'autodeterminazione dei popoli. Gandhi uscìto di prigione nel gennaio 1931 incontrò il  viceré, Lord Irwin, al termine del colloquio i due firmarono il Patto di Delhi: la disobbedienza civile fu fermata e i poteri speciali in vigore per combatterla cessarono di operare. Inoltre, il governo si impegnò a liberare i prigionieri politici e legittimò la raccolta del sale per uso personale.

Gandhi rappresentò il Congresso Nazionale Indiano all'incontro di Londra per discutere i termini dell'indipendenza dell'India, anche se i risultati non furono positivi. Al ritorno, il nuovo viceré, il marchese di Willingdon. iniziò una campagna di repressione, a cui seguirono una catena di proteste in tutto il Paese. Gandhi fu di nuovo arrestato e mentre era ancora in prigione, nel 1932, iniziò lo sciopero della fame per permettere agli intoccabili, le classi più povere potessero essere riconosciute come cittadini.
 I rappresentanti del Congresso e della Lega Musulmana di tutta l'India fecero pressione su Gandhi perchè abbandonasse la nonviolenza. Nel 1934, all'età di 65 anni,  lasciò il Congresso e si ritirò dalla politica, per dedicarsi esclusivamente alla riforma spirituale dell'India e allo sviluppo della vita nei villaggi. "Servire i nostri villaggi significa costruire l'autonomia. Tutto il resto è un sogno vano. Se il villaggio muore, muore anche l'India". Nel programma di Gandhi era inclusa anche l'istruzione, che non doveva comprendere solo l'alfabetizzazione, ma anche le abilità manuali per la vita e il lavoro. 

Nel settembre 1939, la Gran Bretagna dichiarò guerra alla Germania. Il Congresso si dichiarò favorevole alla guerra solo se i britannici avessero concesso all'India la libertà che stava difendendo dal nazismo. Compilato da Nehru, il testo contraddiceva la posizione di Gandhi, che rifiutava qualsiasi coinvolgimento nelle ostilità.  La Gran Bretagna rispose che l'indipendenza dell'India sarebbe stata discussa dopo la guerra. Nel frattempo, il capo della Lega Musulmana, Muhammad Ali Jinnah, pensava alla formazione di uno Stato musulmano.
Nel settembre 1940 Gandhi lanciò una forma di satyagraha individuale contro la guerra:  "Non posso salvare l'integrità degli indiani e la loro libertà se non a condizione di provare benevolenza verso l'intera famiglia umana".

Nel 1942, il governo britannico, preoccupato per l'avanzata del Giappone verso i possedimenti britannici in Asia, chiese la collaborazione degli indiani, che non accettarono e misero in atto una campagna di disobbedienza civile chiamata Quit India.  Gandhi la accompagnò con il mantra: "Libereremo l'India o periremo nella lotta; non vivremo per vedere la perpetuazione della nostra schiavitù".  La risposta del governo di Churchill fu immediata: ci furono violenze e repressioni senza precedenti.  Gandhi e i membri del Congresso furono immediatamente imprigionati.

Dopo quasi due anni di prigionia, Gandhi fu rilasciato nel maggio 1944. Per prima cosa cercò di parlare con il capo della Lega Musulmana, per raggiungere un'intesa in vista dell'indipendenza. Ma gli incontri furono inutili. Jinnah era determinato a creare uno Stato indipendente per i musulmani. Questo aprì la strada alla spartizione dell'India e nacque la "Terra dei puri" (il nome del futuro "Pakistan").

Nel 1945, con la vittoria del Partito Laburista alle elezioni generali in Gran Bretagna, il governo Attlee annunciò un possibile ritiro dall'India e propose un unico Stato federale. A Gandhi il piano non dispiacque e Jinnah, pur essendo molto critico, in un primo momento vi aderì, ma poi ci ripensò. Il viceré affidò quindi a Nehru il compito di formare un governo provvisorio. Quest'ultimo si recò da Jinnah per offrirgli vari ruoli nel governo, ma egli li rifiutò.
Poiché nel 1946-47 l'India settentrionale era sconvolta da violenze e scontri tra indù e mussulmani, che si estendevano dal Punjab al Bihar, il governo britannico propose la divisione dell'India in tre province autonome, collegate a un governo centrale. Sebbene Gandhi fosse contrario, il Congresso e la Lega la accettarono. Lord Mountbatten fu incaricato di attuare il trasferimento dei pieni poteri all'India e fissò la data dell'indipendenza nel 1947. Il Mahatma si mise a viaggiare a piedi per i villaggi, tentando valorosamente un ultimo sforzo per pacificare indù e musulmani. Il 15 agosto 1947 l'India ottenne l'indipendenza, ma senza le due grandi province che formavano il Pakistan orientale e occidentale. Il giorno seguente cominciarono i massacri nati dalle rappresaglie trà indù e mussulmani. Fu la tragica fine del programma che il Mahatma aveva perseguito per tutta la vita. Tuttavia, continuò la sua opera di pacificazione viaggiando attraverso tutta l'India da Calcutta al Punjab. Durante il viaggio si fermò a Delhi e il 30 gennaio 1948, durante la preghiera pubblica fu assassinato con colpi di pistola da un indù estremista.
Il giorno dopo, secondo la tradizione religiosa, il corpo del Mahatma fu cremato: tutta l'India, e forse il mondo intero, si riunì intorno ad esso. Se Gandhi era deluso dal fallimento della nonviolenza, la sua morte rivelò invece che la causa della Verità e della nonviolenza non era stata vana. 
Testi di riferimento:

  • Y. Chadha, Gandhi. Il rivoluzionario disarmato, 2011.
  • J. M. Brown, Gandhi. Prigioniero della speranza, 1995.
  • The great Trial of Mahatma Gandhi & Mr. Shankarlal Banker.
  • M. K. Gandhi, Autobiografia, Milan, Treves, 1931.
  • Teoria e pratica della non-violenza, Turin, Einaudi, 1973.
  • Gandhi, il Mahatma. Il potere della nonviolenza, D. Dalton, 1998.

sabato 4 giugno 2022

Consolazioni. Quelle che riceviamo e quelle che apportiamo - Christophé André

Questo bel libro pubblicato nel 2022 è un vero regalo per le persone in difficoltà, un vero inno alla vita. Ben più che un riconforto passeggero, la consolazione è un modo di vivere in mezzo alla tempesta, ci ricollega al mondo. Christophe Andrè, in questo libro intimo, ci parla della consolazione, delle difficoltà di accettarla e di proporla e del potere delle relazioni umane.  Molto toccante è la descrizione dell'amore fatta da Christophe: "la più grande risorsa esistenziale è l'amore, ricevuto, dato, da ricevere, da dare... o, per dirlo diversamente, le vere fondamenta di tutta la forza di fronte alle prove sono quelle dell'amore e delle consolazioni che porta"..

Le grandi avversità ci rendono più fragili, o più lucidi. In questo secondo caso si approfitta fino in fondo delle occasioni di gioia che ci troviamo a vivere nella quotidianità. L'esperienza di malessere ci ricorda il valore ed il sapore della felicità. Le avversità ci portano in eredità quello che si chiama crescita post-traumatica, una possibilità di maturazione e maggior consapevolezza.  Allora si prendono tutte le gioie che la vita ci offre come occasione di riconforto prezioso e si scopre che è una fortuna di essere in vita. Ossia niente è cambiato intorno a noi, ma internamente ci sentiamo consolati. 

Secondo Barbara Fredrickson, una ricercatrice nel campo della psicologia positiva "L'amore è l'emozione suprema, indispensabile, e dai benefici innumerevoli. Un amore durabile tra due persone non è niente altro che un rinnovo regolare di momenti di risonanza affettiva. Le emozioni non durano, e così l'amore, ma la ripetizione di momenti d'amore nutre le relazioni, le arrricchisce,  le consolida e le rendre gradevoli a vivere".  In questo senso, la consolazione è un atto d'amore, tra i più belli: quello che appartiene al campo della compassione. Ci si avvicina a qualcuno che soffre al posto di allontanarsi, e ci si avvicina in modo affettuoso (sostenendo un collega, manifestando gentilezza ad un vicino, usando parole affettuose con qualcuno).

L'attaccamento a cose o persone, oltre che fonte di soddisfazione, può essere anche fonte di sofferenza. E' bello aggrapparsi a quello che si ama, ma durante la vita, ogni attaccamento è fatto per essere eliminato. E' importante quindi attaccarsi con lucidità e con moderazione. Un attaccamento dolce o lucido significa amare, apprezzare, senza aggrapparsi; occorre assaporare la vita accettando che finirà con la morte...  Per coltivare il non-attaccamento, che è uno dei cardini della filosofia buddhista, occorre un allenamento costante, accettare ogni giorno di prendere le distanze da piccole cose che amiamo, dalle nostre certezze, dalle nostre piccole abitudini. Dobbiamo praticare una vigilanza tranquilla ma esigente verso tutti gli attaccamenti e tutte le nostre certezze. Dobbiamo riuscire a metabolizzare ed accettare che le persone che amiamo possano un giorno allontanarsi e vivere delle esperienze di vita senza di noi, avere altri amici, altri affetti e altri attaccamenti. E' evidente che il non-attaccamento è la sola filosofia di vita possibile. La sofferenza dovrebbe aiutarci a rimettere al centro della nostra vita i legami di affetto e le consolazioni. La vita è una successione di prove, di dolore e di perdite. Ma anche di gioie, di benessere e di grazia. Il modo in cui affrontiamo le prime influenza il modo in cui accogliamo le seconde.

L'ultimo non attaccamento è quello alla vita. Qualcuno ha detto: "Se a 70 anni avete paura della morte vuol dire che avete sprecato la vostra vita",   Non si tratta di essere ossessionati dalla morte, ultima desolazione, ma di apprendere a esistere con l'idea della morte per vivere meglio. La vita è sofferenza e terminerà con la morte. Una volta accettata questa idea, un benessere adulto e resiliente può allora nascere e consolidarsi perchè la vita è fondamentalmente bella. La paura della morte è allontanata, ma non la voglia di approfittare del tempo che resta da vivere, quale che sia la durata. Purtroppo la nostra società vuole cancellare la morte e anche la preparazione alla morte e all'invecchiamento del corpo. La saggezza allora è prendere coscienza che noi stiamo forse per vivere un'ultima volta, fermarsi per approfittarne e assaporare la vita ancora più profondamente, piuttosto che irrigidirsi nell'angoscia del rifiuto.  Come dice Jon-Kabat Zinn: "Se continuate a respirare, vuol dire che nella vostra vita ci sono più cose che vanno bene di quelle che vanno male".

Christophé parla anche della nostalgia, che rappresenta un rifugio consolatorio nel passato. Ma la nostalgia permette anche di nutrirsi del nostro passato rivisitato.  Riporta la frase di Gustave Thibon: "ricordi lontani più presenti di quelli attuali, i più umili dettagli dell'esistenza, vissuti un tempo come insignificanti, prendono un senso misterioso e smisurato, le emozioni lontane raggiungono la sorgente dell'essere, si rivive a fondo quello che si era vissuto solo superficialmente".   

Quando si è giovani si avevano dei ricordi, all'inizio della vecchiaia si ha un passato. Da giovani si vive in un presente aperto all'avvenire; nell'età adulta si vive in un presente aperto sul passato. Più l'incertezza e l'angoscia del futuro sono forti, più la sicurezza e la certezza del passato sono necessari. Occorre prepararci a lasciare questa vita, e ciò è facilitato se si hanno dei legami gioiosi con il proprio passato. Nella vecchiaia bisogna trovare il semplice piacere di durare, di continuare a vivere. In gioventù questo pensiero è triste e restrittivo, ma quando siamo nella vecchiaia c'è della saggezza dietro quello che sembra una rinuncia, ossia dimunuire le aspettative, man mano che diminuiscono le capacità.

Di fronte ad un evento traumatico, molte persone cambiano favorevolmente la visione del mondo e dell'esistenza assaporando meglio la loro fortuna di essere in vita. Per queste persone i riflessi psicologichi portano a tre tipi di comportamenti: 

  • Riuscire a sopravvivere e a vivere nella quotidianità, ma si è ancora mentalmente nell'avversità.
  • Rimettersi a vivere, sviluppando la resilienza e considerare l'avversità come passata.
  • Vivere meglio, ossia integrare l'avversità nella nostra storia e farla diventare fonte di arricchimento personale.

Per far si che il malessere sia un'esperienza e non un trauma, occcorre disporre di notevoli risorse personali e relazionali.

Spesso nella nostra vita, è la pace concreta, materiale che ci permette di rivolgersi verso la pace spirituale. Lo spirituale passa in primo piano solo quando siamo colpiti dalle avversità, e l'aiuto viene dall'immateriale. Gide dice: "l'esperienza istruisce sicuramente più che i consigli". La persona che ha attraversato l'inferno può guardare senza paura in direzione dell'avvenire: ci vedrà la vita che resta e non la morte che arriverà.  Spesso per scoprire il vero benessere occorre attraversare una prova ed aprirsi alla meraviglia del mondo. Il benessere è fragile e spesso siamo incoscienti della fragilità della condizione umana e della sua bellezza. 

Secondo il principio dell'impermanenza, caro ai buddhisti, tutto si rompe e tutto passa. Gli umani che la vita ha ammaccato, distrutti dalle avversità hanno incollato i loro pezzi, hanno pianto, sono stati consolati. Hanno lavorato per riuscire ad amare di nuovo la vita e gli umani, e poi, poco a poco le loro cicatrici psichiche si sono ricoperte dell'oro della benevolenza, della saggezza; quella saggezza che si incontra spesso nelle persone che hanno attraversato un pezzo d'inferno, e che ne sono uscite con la voglia di amare la vita.

La consolazione, in fondo, è la stessa cosa che la gioia, ma sotto la luce nera del malessere. E' accettare di lasciarsi toccare dalla dolcezza delle cose, la tenerezza degli umani, la bellezza del mondo, allora che siamo nella difficoltà e nell'angoscia e che tutto il benessere sembra inutile, derisorio, a volte offensivo.

Ma "Niente è mai finito. Basta una piccola gioia perchè tutto ricominci".

Consolazioni. Quelle che riceviamo e quelle che apportiamo - Christophé André (2)

Questo bel libro pubblicato nel 2022 è un vero regalo per le persone in difficoltà, un vero inno alla vita. Ben più che un riconforto passeggero, la consolazione è un modo di vivere in mezzo alla tempesta, ci ricollega al mondo. Christophe Andrè, in questo libro intimo, ci parla della consolazione, delle difficoltà di accettarla e di proporla e del potere delle relazioni umane.

La consolazione è un atto di presenza amorevole, anche se a volte è  impotente. Al di là delle dimensioni concrete (parole e gesti) è ugualmente e soprattutto un atto immateriale, una presenza, un'intenzione, una condivisione di umanità. Una differenza con il riconforto è che quest'ultimo si limita ai soli aspetti materiali. Per riconfortare qualcuno, bisogna avere più forza di lui. Nel processo di consolazione occorre  della pazienza e umiltà dai due lati, dal lato del consolato e del consolante. Senza la consolazione, il dolore ci sommergerebbe, con la consolazione, il dolore è sempre là, ma non ci sommerge, si sente che forse possiamo tenere il colpo.
I tre inevitabili della vita sono: la sofferenza, l'invecchiamento e la morte. Questi tre elementi, prima o poi, incroceranno il nostro cammino. Ma nonostanzia l'inevitabile sofferenza possiamo affermare che la vita è bella.
Invecchiare, per Christophe Andrè significa avere ricordi e  rimpianti che avvenire e progetti. La più bella consolazione alla tristezza di invecchiare è il continuare ad essere in vita. Vivere, necessita di microconsolazioni permanenti e a volte preventive come la bellezza e la bontà, che sono dei semplici momenti della nostra esistenza, ma nello stesso tempo essenziali.  La consolazione non mira alla soppressione della pena e del dolore, ma a renderli sopportabili, a fare in modo che non venga soppressa la voglia di vivere. Spesso le persone che entrano in depressione hanno il sentimento di affrontare continuamente delle sequenze di problemi e complicazioni. 
E' più difficile consolare gli inespiegabili stati di spleen, di tristessa, melanconia e umore nero. Anche nello sviluppo gioioso della vita, la tristezza troverà ad un certo momento il suo posto: quando ad esempio, i nostri figli lasceranno casa, finiamo gli studi, cambiamo casa, ecc.
Ho trovato illuminanti e bellissime queste frasi di Christophe André:
"Spesso la perdita delle illusioni è la causa più frequente delle nostre tristezze, allora occorrerà del tempo e tanti sforzi per riprendersi e costruire una nuova filosofia di vita: accettare che le illusioni siano solo delle illusioni, e assaporarle lo stesso perchè in questo modo la vita sarà più bella. 
Nelle avversità, ci si ricorda di una verità ontologica: la nostra solitudine. Nessuno può vivere per noi, e nessuno può soffrire e morire al nostro posto". 

Un bell'amore può riconsolarci in un giorno di tutti gli amori noiosi e dolorosi degli anni passati, e la consolazione è proprio uno delle manifestazioni dell'amore. La consolazione risveglia questa voglia di essere felici, propria a tutti gli esseri. Rimette la persona, che si era isolata nel dolore, in legame con la comunità umana. I ricercatori hanno notato che le persone che si lasciano andare al sorriso, sono quelle che più facilmente riescono a risalire la china, dopo l'avversità.

E' importante anche il nostro sguardo sul mondo: guardare le gioie e le fortune degli altri non come un'ingiustizia, ma come delle prove che la gioia e la fortuna esistono.
Lo scopo dell'essere umano è essere felice, a volte ci si arriva lentamente, con piccoli passi quotidiani. E quando ci si arriva, resta molto da fare: ossia consolare gli altri. La consolazione si appoggia su tre pilastri: la presenza (sono là),  il sostegno affettivo ( ti voglio bene, conta su di me), il sostegno morale (proverò a semplificarti la vita). Soprattutto nel processo di consolazione occorre applicare l'arte del kairos: pronunciare le parole al buon momento.
Andrè Compte-Sponville in un libro dichiara "Non sono mai capace di consolare. Le donne con cui ho vissuto me lo hanno a volte fatto notare, e le capisco. A che serve vivere insieme, se la sofferenza non è diminuità?"
Bisogna comunque ricordare la fragilità della felicità, che come tutto è impermanente, soprattutto se abbiamo nel passato affrontato prove dolorose.  Dobbiamo ben tenere a mente che l'amore è la base della nostra esistenza. 
Ma purtroppo ci sono molte persone inconsolabili che hanno una sola certezza: dopo un traumatismo, il dolore, una perdita irrimediabile che la vita non sarà più come prima.  E le frasi che riassumono questo stato d'animo sono le seguenti: "Sono inconsolabile, ma non l'ho deciso". "Si può restare così, in segreto, inconsolabile alla violenza del mondo, presente o passata".
Lo scrittore svedese Stig Dagerman asseriva: "Non esiste altra consolazione che quella di essere un uomo libero, un individuo inviolabile, un essere sovrano all'interno dei propri limiti", ma si tratta di una libertà teorica, perfetta, assoluta e solitaria: una libertà impossibile da raggiungere. Infatti, Dagerman si suicidò a 31 anni.
La natura è spesso una fonte immensa di riconforto, andare verso la natura quando si è nel dolore e nelle avversità è più di una distrazione, è una forma di consolazione. Nella natura non si esiste più come persona, ma come parte tranquilla e invulnerabile di un grande Tutto. 
Anche l'azione è fonte di riconforto e riorienta la nostra attenzione verso un'occupazione esteriore, nei momenti di grande dolore, l'azione è come un medicinale antalgico, che non risolve niente, ma che alleggerisce il dolore. Tra le azioni le più riconfortanti c'è la marcia, che ci permette di essere attivi in mezzo alla natura creando una forma di riconnessione al movimento della vita.
L'arte è il grande riconforto alla più grande delle nostre angosce, quella di sparire un giorno. La funzione dell'arte è quella di ridarci una speranza, di rendere degna la sofferenza e allargare la nostra visione del mondo.
La lettura ci permette di conoscere senza sforzo una quantità di destini straordinari, di provare delle sensazioni potenti per la mente, di vivere avventure prodigiose e per conseguenza agire senza agire, di formare infine, dei pensieri più belli e profondi dei nostri, provare emozioni e esperienze fittizie, fino a modificare - come dice Paul Valery - favorevolmente le capacità di empatia e di legami sociali.
La lettura può aiutarci a capire ciò che ci sta a cuore, nei libri le cose ci vengono spiegate, mentre nella vita non lo sono. Per questo molte persone preferiscono i libri alla vera vita.
Più del 70% di giovani adulti (tra i 15 e 30 anni) fanno ricorso alla musica per consolarsi.

Il punto in comune tra credere al destino e pensare che certe avversità abbiano un senso, è che nei due casi, ci raccontiamo delle storie. Nell'accettazione del destino si sottolinea che certi avvenimenti non dipendono da noi, quindi è inutile colpevolizzarsi. Nella ricerca di un senso, certi avvenimenti dipendono almeno in parte da noi, dalle nostre scelte e dai nostri comportamenti. La loro manifestazione è come un messaggio che qualcosa non andava, non è un'ingiustizia ma un'informazione.
Una grande massima per stare tranquilli è la seguente: "Accetta quello che non dipende da te, e agisci su quello che dipende da te".
secondo il filosofo Paul Ricoeur: "il nostro rapporto con noi stessi è spesso fondato su una recita, un continuo raccontarsi delle storie, una storia della nostra vita che scriviamo noi stessi, almeno nella nostra testa, mettendo in continuità e in coerenza degli avvenimenti le cui casualità sono multiple o inaccessibili. Ma nella nostra narrazione diamo spazio al destino e al senso".

La meditazione, nei momenti di disperazione, ci offre come rifugio il momento presente. La coscienza resta al centro, e si osservano i pensieri senza identificarsi e senza alimentarli. Distogliendo l'attenzione dalla sofferenza, riusciamo anche a decostruirla parzialmente. La meditazione ci consola e ci apprende a frequentare le nostre sofferenze. In termine neurologico la meditazione disattiva l'area di orientazione e di associazione, una piccola zona situata nel lobo parietale sinistro. Talvolta praticando la meditazione emerge un sentimento di serenità, di completezza, tutto quello di cui abbiamo bisogno è là, alla nostra portata. Sembrerebbe che la meditazione abbia un effetto emoliente sulle nostre difese mentali e le nostre rigidità mentali. I buddhisti comparano la meditazione alla fiamma della candela che scioglie la cera delle nostre certezze.

mercoledì 1 giugno 2022

United Consciousness

 “One Consciousness, One Being”.

150 Million To 1 Billion people Died in the wars since last 3400 years. Out of which 108 million died in 20th century only. We are in the first quarter of twenty first century, setting on the highly inflammable heap of nuclear, biochemical weapons, due to 14 divides of limited identities of race, caste, status, region, gender, color, prosperity, thoughts, class, sex orientation, species, habitat, fanatic nationalism, and orthodoxy of religion. 

We may appear in different names and forms but in essence there is one stream of consciousness that flows across all beings. The time has come that this truth of United Consciousness should take over the Illusion of divides of ignorance, so that our children can breathe in the clear, happy, healthy, equal, clean and peaceful planet. As a step towards this “United Consciousness” is established.

 Sito:  https://unitedconsciousness.in/

Semi di pace

Linda Maggiori - Semi di pace!
La nonviolenza per curare  un mondo minacciato da crisi ecologica, pandemia e guerra
Centro Gandhi edizioni

 
Articolo scritto da Roberto Fantini.  Linda Maggiori, con stile limpidissimo, e libero da velenosità di sorta, senza toni aggressivi o esacerbatamente iperpolemici, ci ha regalato un libro preziosissimo. Un libro che ripercorre gli ultimi orribili anni che siamo stati costretti a vivere, facendosi guidare da un sereno quanto fermo bisogno di verità, di logica e di apertura solidale verso tutte le vittime.

Il suo è un libro che può fare molto bene sia ai vax e filovax, sia ai novax, freevax e antivax:  aiutando i primi a riflettere e a osservare quanto accaduto più in profondità, oltre i veli mediatici delle apparenze e degli inganni, senza pregiudizi, e senza sentirsi obbligati a dolorose abiure o a radicali apostasie; aiutando gli altri ad affrontare il peso umiliante delle vessazioni passate, presenti e future con un animo consapevolmente fiero, con il coraggio di chi desidera non cedere alle minacce e alla prepotente sottrazione di diritti, e con la fiducia incrollabile che, accanto a noi, lontano dagli schermi e dalle ribalte, c’è tanta gente simile a noi, e che siamo in tanti, e che non siamo necessariamente condannati al naufragio.

Il libro di Linda, insomma, è certamente un libro prezioso per capire di più e per capire meglio, ma è soprattutto un libro che, parlandoci con grande ricchezza di tante reali esperienze vissute, ci dimostra, in maniera convintissima e convincente, che è sempre possibile reagire all’oppressione, che è sempre possibile ribellarsi alla rassazione, che è sempre possibile trovare in noi e negli altri la luce e la forza necessarie per dire NO alla violenza, per difendere la propria dignità e per salvare dalla rovina i valori che più ci rendono umani: comprensione, dialogo, rispetto, compassione, solidarietà e affratellante empatia.

sabato 28 maggio 2022

Un viaggio nei bardo del vivere e del morire - Yongey Mingyur Rinpoche

Il libro di Yongey Mingyur Rinpoche (1975 - ) In Love With the World, A Monk's Journey Through the Bardos of Living and Dying (Il monaco errante. Un viaggio nel bardo del vivere e del morire - Fayard Publishing) è un raro e intimo resoconto dell'esperienza di pre-morte di un monaco buddista di fama mondiale e di un'esperienza che ha cambiato la sua vita per sempre.

Una notte d'estate del 2011, all'età di trentasei anni, Yongey Mingyur Rinpoche, rinomato maestro di meditazione, autore e abate, esce di nascosto dal suo monastero di Bodh Gaya e decide, nella massima segretezza, di abbandonare le comodità della sua vita e il prestigio del suo nome. Lascia soltanto una lettera, destinata ai suoi studenti e al suo anziano assistente, Lama Soto. "Quando leggerai questa lettera, avrò già iniziato il lungo ritiro che l'anno scorso avevo annunciato di voler intraprendere. Come forse saprai, sono sempre stato affascinato dall'usanza dei ritiri, fin da quando ero un ragazzino e vivevo alle pendici dell'Himalaya. Anche se non sapevo ancora meditare, spesso scappavo da casa e mi nascondevo in una grotta nelle vicinanze, dove mi sedevo in silenzio e recitavo mentalmente il mantra om mani padme hum. Anche allora sentivo il richiamo dell'amore per le montagne e per la vita austera degli asceti erranti". 

Ha così inizio un vagabondaggio che durerà quattro anni, nei quali Mingyur indosserà i panni del sadhu e si confronterà per la prima volta con il mondo esterno senza godere degli onori riservati a un monaco della sua levatura. 

Attraverso il libro seguiamo questa avventura umana e spirituale attraverso tutti gli stati che il viaggiatore attraversa: il godimento della libertà, ma anche le difficoltà della solitudine estrema e del disagio e del corpo segnato dagli stenti. Scegliendo di sperimentare la più grande indigenza, si ammala gravemente e si avvicina alla morte, ciò gli permetterà di entrare in contatto con i sei bardo, le tappe del viaggio fra la vita e la morte, consentendogli però di riconoscere con sempre maggiore chiarezza la realtà incondizionata. Questo episodio lo mette di fronte alle sue paure, ma soprattutto gli porta una nuova saggezza che trasmette al lettore con franchezza e serenità. Le risposte alle ansie più opprimenti si trovano spesso fuori dalla nostra zona di comfort e cercare la difficoltà per accettarla meglio ci permette di trasformare la nostra paura della morte in gioia di vivere. Solo lasciando andare le false speranze che inducono a desiderare di essere a proprio agio nel corpo e nel mondo si può superare l'insoddisfazione e sostituire il desiderio con l'amore. E, come afferma Mingyur, "quando ami il mondo, anche il mondo ti ama". Per la comprensione però la pratica è fondamentale, e questo libro è un invito a coltivare i semi dell'illuminazione, a rendere fertile il campo della consapevolezza, permettendo ai livelli più profondi della saggezza di fiorire.

Yongey Mingyur Rinpoche è un insegnante di meditazione e maestro tibetano. Ha partecipato alla ricerca scientifica. Un team di scienziati1 dell’Università del Wisconsin-Madison ha seguito e studiato per 14 anni lo sviluppo del cervello di Yongey Mingyur Rinpoche. I ricercatori hanno analizzato il suo cervello per quattro volte, usando la risonanza magnetica strutturale per vedere i cambiamenti nel cervello nel tempo. Lo studio che è stato pubblicato da LiveScience nel 2020, ha rivelato che il cervello di Mingyur Rinpoche sembrava rallentare nel suo invecchiamento. “Il grande passo avanti è che il cervello di questo monaco tibetano, che ha trascorso più di 60.000 ore della sua vita in meditazione formale, invecchia più lentamente del cervello del gruppo di controllo“, ha affermato Richard Davidson. Yongey Mingyur Rinpoche ha scritto due libri di successo e supervisiona la Tergar Meditation Community ( https://tergar.org/), una rete internazionale di centri di meditazione buddista.

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  • The Joy of Living: Unlocking the Secret and Science of Happiness
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Osho - Meditazione (2)

Osho Rajneesh (1931-1990), o semplicemente Osho, è stato un mistico e maestro spirituale indiano, molto conosciuto a livello internazionale e in Occidente.

La meditazione per Osho è uno stato naturale dell'essere, uno stato che è andato perduto e che può essere ritrovato guardando dentro di sé.  Senza meditazione si è destinati a vivere nella tristezza.  Per non soffrire e sentire il vuoto interiore l'occidentale tende a riempire la mente con mille occupazioni. 

Osho asserisce "La mente vuota è l'unica porta verso Dio. Buddha è una mente vuota, Lao Tzu è una mente vuota. Questo mondo appartiene a coloro che vivono momento per momento nell'estasi assoluta; la loro vita è un continuum di festa"..

Per Osho, meditare significa svuotare la mente, fare il vuoto di tutti i pensieri, ricordando che 'Io non sono questi pensieri,’  'Io sono separato,’  'Io sono solo un osservatore.’ Creare una distanza tra i pensieri e la consapevolezza costituisce il cuore del processo di meditazione.  Non li si nutre più, non ci si identifica più con loro.  Progressivamente tutti i pensieri vengono eliminati ed arriva un momento in cui la mente è completamente vuota — e quello è il momento in cui il cuore si apre alla beatitudine e ad una gioia assoluta. In Oriente, la meditazione è definita come un processo di neti-neti. “Io non sono né questo né quello,’ fino ad arrivare ad un momento in cui non c'è più nulla da negare ed il vuoto infinito ti circonda. 

Per Osho – La meditazione non è per i deboli; non è per i codardi; non è per coloro che sono pieni di paura,  È un andare verso un mondo inesplorato. Per questo percorso, non esistono mappe, né linee guida. Il maestro può solo sollecitare la voglia di conoscere, trasmettere una sete di verità. Ma non può proporre un programma. Non può dare una disciplina. Può fornire un'intuizione, un desiderio. Ma poi il praticante deve intraprendere questo viaggio interiore da solo - Nessuno può accompagnarlo. Per moltissime persone, il loro interesse verso la meditazione rimane solo una curiosità intellettuale, Non diventa mai un esperimento. O anche se a volte le persone ci provano, provano con tiepidi sforzi. Purtroppo la meditazione ha bisogno di coraggio e impegno totale.   

"Tu sparisci e rimane solo Dio. Un meditante deve essere pronto a morire nella ricerca perché è solo per attraverso la morte del vecchio Io, nasce una nuova vita".   Con la meditazione, se davvero cresci in consapevolezza, nulla può essere perso. La visione arriva perché il praticante ha acquisito un nuovo stato mentale attraverso la meditazione. Con mezzi artificiali come la droga, o con una tecnica falsa, non si cresce. Si possono solo ottenere certe visioni ma senza consapevolezza.

Osho ripeteva – "Se sei troppo impegnato con il tuo intelletto, non troverai il tempo per impegnarti in profondità con il tuo essere totale. La via si può conoscere solo se si partecipa profondamente all'esistenza. La meditazione è qualcosa che accade, è il tuo stesso essere che si rivela nel profondo. Non puoi osservarlo, non ci può essere alcuna conoscenza oggettiva al riguardo".

La mente ordinaria è piena di pensieri, desideri, ambizioni, pregiudizi, Meditare significa pulire lo specchio, e lasciare che i pensieri cadano e scompaiano, percepire i momenti in cui il pensiero cessa e Dio si rivela. E quelli sono i momenti più belli della vita. Una volta che hai assaporato un solo momento di non pensiero, hai fatto un grande salto nella verità; allora le cose diventeranno ogni giorno sempre più facili.  La meditazione è un fuoco che brucia il passato, la religione, la politica, la  nazionalità, la razza, ecc. - Contiene tutto ciò è stato imposto, che è solo un condizionamento ma non il vero essere.  Nel momento in cui il passato brucia, il vero essere per la prima volta emerge e si eleva al di sopra della quotidianità e del peso del presente.

La meditazione ha bisogno di una pazienza infinita; La pazienza, è una delle qualità di cui l'umanità moderna ha completamente perso le tracce. Gli occidentali perdono tempo nello studio, nel lavoro, nei trasporti ma non hanno mai tempo per la meditazione.  La fretta è diventata il loro stile di vita.  In Oriente, c'è la miseria, a volte  le persone vivono in condizioni tremende — ma la cosa fantastica, è che nessuno ha fretta. Non è un caso che la meditazione si sia sviluppata in Oriente, dove le persone sono disponibili ad aspettare.  L'Occidente è stato in grado di ottenere grandi risultati, il controllo attraverso la scienza sulla natura ed il mondo esterno, poi pero' si crea una certa tensione all'interno. 

Solo la meditazione e l'amore non sono viaggi mentali; tutto il resto è un viaggio mentale.  In un profondo momento d'amore o in profonda meditazione, il pensiero si ferma, si va oltre la mente. Allora tutto è beatitudine.   Non bisogna fornire energia ai pensieri. Bisogna diventarne testimoni — indifferenti, distaccati, distanti. Occorre semplicemente osservare i pensieri, e non esserne in alcun modo coinvolto.  Osho diceva _ "Sii solo un osservatore. Chiudi gli occhi e osserva dentro di te — la mente è un traffico di pensieri, pensieri che corrono qua e là. Di tanto in tanto, vedrai che la mente è vuota. In quei rari momenti, i primi scorci di samadhi entreranno in te".  Questo è ciò che lo Zen chiama satori, samadhi o primo stadio di consapevolezza.  Nel secondo stadio del samadhi si riesce a vedere la realtà più chiaramente. Nel terzo stadio si diventa uno con la realtà, perché non c'è più divisione.  Questa fase finale è descritta dalle Upanishad, con “Aham Brahamasmi" — io sono Dio, Io sono il Brahma. I sufi, la dichiarano con la frase, “Ana'l Haq" — Io sono la verità. È nella religione cristiana Gesù dichiara, “Io e il mio Dio siamo uno, Io e mio padre siamo uno.

Pratiche on line con un maestro di yoga indiano - Swami Joythimayananda

Ogni difficoltà è una grande opportunità per crescere.  

Yoga, Pooja, Mantra e Satsang on line con il maestro yoga Swami Joythimayananda in diretta dal suo ashram (Ashram Joytinat) -  di Corinaldo (Marche)  sul canale Youtube https://www.youtube.com/watch?v=238pZ7AABdc     

Se ti interessasse, puoi conoscere un vero maestro indiano e puoi partecipare on line alle pratiche proposte dal maestro Swami Joythimayananda.

Tutti i mercoledì alle ore 19,00 meditazione. Ogni mattina alle ore 7,15 Yogasana. Ogni mattina ore 8,20 pooja, mantra e satsang in diretta con il maestro Swami Joythimayananda.

All'ashram vengono proposti corsi di ayurveda e uno yoga chiamato Panchanga Yoga. Esso si suddivide in Hatha yoga, Raja yoga, Karma yoga, Jnana yoga, Bhakti yoga. Anche se diversi, questi sentieri portano all'unione.  

  • Hatha yoga, la via del controllo, la trasformazione dell'energia verso l'equilibrio attraverso varie posture, respirazione (pranayama)  e purificazione.
  • Raja yoga, lo yoga della meditazione, conosciuto come il "re" dello yoga.
  • Karma yoga, yoga dell'azione e consiste nel servire gli altri con amore e compassione; la via del servizio, la trasformazione dell'azione verso la rinuncia.
  • Jnana (o Gnana) yoga, la via della saggezza e della sapienza, dell'autorealizzazione; è la trasformazione dall'intelletto verso la luminosità.
  • Bhakti yoga, lo yoga della devozione al guru, a Dio, all'umanità; la trasformazione dei sentimenti verso la beatitudine.

All'ashram viene proposta la tecnica della meditazione NYM, che richiede il controllo della mente attraverso la creatività, la concentrazione e la contemplazione. E' un metodo che permette di ottenere a poco a poco tranquillità e creatività. Dopo aver creato un Nym mandala, che rappresenta se stessi, si porta l'attenzione al centro del mandala e si cerca di percepire la belleza del mondo che è in noi.  La vita può essere quello che la cultura vedica definisce Nym: N=nam o nome, Y=Yantra o individuo, M=Mantra e Mandala (vibrazione individuale o cosmica).

L'Ashram Joytinat, si trova in aperta campagna in via ripa 24, a Corinaldo (An)    ashram@joytinat.it   www.joytinat.it  39-3667349825

Per Julian Assange l’estradizione è sempre più vicina.

Estradizione sempre più vicina per Julian Assange. La Corte dei magistrati del Regno Unito dovrà emettere a giorni l'ordine formale di estradizione negli USA nei confronti di Assange. Gli Stati Uniti d'America devono annullare tutte le accuse contro Julian Assange, incluse quelle di spionaggio.

Amnesty International chiede di annullare tutte le accuse subito. Firma l'appello di Amnesty
 

Dopo una serie di pronunce giudiziarie sfavorevoli da parte dei tribunali di Londra, il giornalista australiano Julian Assange rischia di essere estradato negli Usa.  È imminente, infatti, la decisione della ministra dell’Interno britannica Priti Patel sulla richiesta di estradizione presentata da Washington. Se la richiesta verrà accettata, Assange subirà dure condizioni detentive equivalenti a tortura e andrà incontro a un processo per 18 diversi capi d’accusa, con una possibile condanna fino a 175 anni di carcere.

L’estradizione di Assange avrebbe conseguenze devastanti per la libertà di stampa e per l’opinione pubblica, che ha il diritto di sapere cosa fanno i governi in suo nome. Diffondere notizie di pubblico interesse è una pietra angolare della libertà di stampa. Estradare Assange ed esporlo ad accuse di spionaggio per aver pubblicato informazioni riservate rappresenterebbe un pericoloso precedente e costringerebbe i giornalisti di ogni parte del mondo a guardarsi le spalle.

venerdì 20 maggio 2022

L’extraordinaire photographe animalier Vincent Munier

Originario dei Vosgi, Vincent Munier (1976 - )  si è appassionato molto presto alla natura. Scopre la fotografia della fauna selvatica con suo padre, ambientalista della Lorena.

Dopo aver terminato gli studi secondari, ha intrapreso numerosi viaggi che lo hanno portato a viaggiare negli angoli più selvaggi del mondo, per mostrare la bellezza di questi ambienti nei quali la natura non è stata trasformata dall'uomo: come il nord estremo del Canada, la taiga russa e i deserti artici, le vette dell'Himalaya.  Vincent vuole esplorare questi luoghi immergendosi totalmente nell'ambiente, nel modo più discreto possibile, attraverso spedizioni solitarie e autonome alla ricerca di orsi, linci e lupi.  Ha sviluppato una vera e propria teoria della fotografia, ossia essere completamente integrato nella natura e sperimentare ciò che l'animale sta vivendo per creare un'immagine che riveli la sua essenza; in una prospettiva di inesauribile curiosità e profondo rispetto per la fauna selvatica. Le sue immagini provengono quindi da spedizioni spesso molto rischiose e lunghe giornate di attesa, a volte con temperature inferiori ai meno quaranta gradi.

Nel 2013, ha trascorso un mese sull'isola di Ellesmere (Canada), in condizioni di freddo estremo. Un branco di nove lupi bianchi è venuto ad incontrarlo, segnando uno dei momenti salienti della sua carriera di fotografo e regalandogli l'occasione per scattare rare immagini dei "fantasmi della tundra."  Nel 2016 è riuscito a fotografare per la prima volta il leopardo delle nevi sull'altopiano tibetano. 

Vincent ha uno stile che lo ha fatto conoscere in tutto il mondo, una  fotografia unica, ispirata alla tradizione della stampa giapponese e all'arte minimalista.  Per tutto questo, Munier è l'unico fotografo ad aver ricevuto tre volte (nel 2000, 2001 e 2002) il Wildlife Photographer of the Year Award, il più importante premio di fotografia naturalistica del mondo, offerto dal Natural History Museum di Londra e dalla BBC. Le sue fotografie sono state pubblicate in prestigiose riviste internazionali come National Geographic, Terre Sauvage, Image & Nature, Paris Match, Télérama, BBC Wildlife Magazine, ecc..   I suoi lavori sono stati esposti in gallerie d'arte in moltissimi Paesi del mondo.

Affascinato dall'universo dei bei libri, Vincent Munier ha fondato le edizioni Kobalann nel 2010 (www.kobalann.com).

E' anche autore di una dozzina di libri, tra cui La panthère des neiges, Le Ballet des grúas, Tancho, Le Loup, L'Ours, Tibet: Minéral animal, Arctique, Kamchatka o La vie sauvage aux confins du monde, e promotore costante di molteplici iniziative per la difesa della fauna e dei territori vergini del pianeta.

Con Sylvain Tesson ha presentato recentemente il libro "La panthère des neiges" da cui è stato tratto un film. Vedi https://www.youtube.com/watch?v=lUJQRMeYFqM

Introduzione al Blog

Il Blog è nato nel marzo 2021, in tempo di pandemia, per comunicare e condividere le mie letture e i miei interessi.  Nel blog ci sono ci...