martedì 29 agosto 2023

L'anima indistruttibile - Geoffrey Parrinder (parte 1)

"Da ciò che Non è guidami a ciò che é, Dalla tenebra guidami alla luce, Dalla mortalità guidami all'immortalità". dalla Brihad-aranyaka Upanishad.

Questo bel libro L'anima indistruttibile di Geoffrey Parrinder (1910 - 2005), professore di Studio comparato delle religioni nell'università di Londra, è  riuscito a mettere a fuoco le differenze tra le varie filosofie indiane, spesso esposte in modo molto confuso e a volte contradditorio. E' un'eccellente opera divulgativa che spiega in maniera chiara la differenza tra sè, anima, atman, Brahman, ecc. 

I pensatori indiani hanno concentrato i loro studi sulla natura dell'uomo e, fatte pochissime eccezioni, le varie scuole hanno affermato che nell'uomo c'è un sè interiore o anima e che è eterno e indistruttibile. 

La Natura non è prodotta, Lo Spirito non è nè producente nè prodotto. La natura non è prodotta nè si evolve da altro, ma è in un stato di continuo movimento in ciascun ciclo cosmico e produce tutte le creature. Lo spirito al contrario, trascende movimento, casualità, tempo e spazio; non è prodotto da nulla, ma non produce nulla. La natura, pra-kriti, pre-agente non ha principio e fine e nel suo stato di quiete è il non manifesto. Poi si manifesta in 23 produzioni, prima a emergere dalla natura è la mente o coscienza (buddhi), da questo deriva l'ego, centro della personalità, e dall'ego deriva la ragione o intelletto. Questa è la base della filosofia sankhya, quando la natura ha prodotto i 23 elementi (25 se includiamo Natura e Spirito), alla fine li riassorbe, mentre lo spirito sta a guardare inattivo. Il sistema sankhya non fa riferimento a Dio, nè a un essere supremo, nè a dei minori (così come il gianismo e il buddhismo). Non nega Dio, perciò non è formalmente ateo, nè è materialistico, poichè tanto lo Spirito quanto la Natura sono eterni.

Lo yoga, come sistematizzato negli Yoga sutra di Patanjali (2 secolo a.C- 3 secolo d.C), era più interessato allo scopo pratico della salvezza mediante l'attività disciplinata piuttosto che la teoria metafisica e accettava lo schema Natura - Spirito del sankhya. Anche se non c'era un Creatore, lo yoga ritenne necessario introdurre il culto di Dio o del Signore nella ricerca della perfezione.  "Il Signore (Ishvara) è uno speciale tipo di Spirito, non toccato dalla sofferenza, dalle azioni (karma) o dal risultato di azioni o impressioni. In lui è la più alta conoscenza di tutte le cose: Egli fu maestro (guru) degli antichi e non è limitato dal tempo".  Questo signore fu aggiunto come ventiseiesimo alle categorie del sankhya ed era di ausilio alla meditazione e alla concentrazione, sebbene non fosse Dio nel senso più pieno. Il sankhya e lo yoga erano abbastanza critici degli antichi scritti e rituali vedici.  Le nuove teoria asseriscono che queste due filosofie derivino dalla antica religione non-ariana o dravidica (2500 a.C).  I veda la cui radice significa conoscenza, erano raccolte di inni agli dei dei guerrieri e sacerdoti ariani che invasero l'India intorno al 1500 a.C.   La filosofia vedica cominciò realmente col Ved-anta, la fine dei Veda, composto tra  l'800 e il 300 a.C. chiamato Upanishad, 'sessioni private'.  Qui i re, i saggi, i sacerdoti discutevano sulla creazione del mondo, sull'anima, la vita dopo morte, ecc.   Le upanishad dichiarano che in principio c'era l'anima, che era l'essere vero, intelligente e unico, e che dal suo pensiero furono prodotte tutte le creature. "In principio, questo universo non era che l'Essere, unico, senza secondo". Solo nelle upanishad più recenti veniva accennata la filosofia sankhya che viene ripresa e sviluppata nella Bhagavad Gita. La Gita dal secondo capitolo fa riferimento al sankhya come credenza di anime indistruttibili, dice che le qualità naturali agiscono in ogni tipo di attività e tutte le creature derivano dalla Natura che appartiene al Signore, e a lei ritornano dopo un ciclo cosmico.   "Alla mia natura materiale tornano tutti gli esseri, quando un ciclo termina; e quando un ciclo inizia, di nuovo io li emetto". Nelle upanishad il nome Brahman fu applicato all'Essere assoluto, qui nella Gita si parla di Brahman come madre o matrice, in cui il padre, Dio getta il seme. Qui Brahman è come la Natura, ma il Signore è diventato Dio nel senso più completo di attivatore e meta di tutti gli esseri. "Il grande Brahman è la mia matrice, e in lui getto il mio seme, donde proviene ogni essere che lì prende origine". La natura continua a essere eterna, ma l'attivazione dipende interamente da Dio, la cui opera può essere chiamata creazione. In tutte le filosofie indiane, ci sono creazioni e dissoluzioni dell'universo, gli anni degli dei si dividono in quatttro età (yuga). La prima il krita dura 4800 anni, il treta 3600, il dwapara 2400, il kali 1800 anni il peggiore ed è quello in cui viviamo dove predomina il pessimismo, il tramonto delle religioni. 

La scuola logica (Nyaya) insegnava che la fine del mondo verrà per l'azione del Signore (Ishvara), non per crudeltà ma per il desiderio di dare tregua alla sofferenza degli esseri viventi. Quando vorrà fare di nuovo una creazione lo farà per mezzo di una deità creatrice: Brahma

I buddhsiti ritenevano sterile speculare se il mondo fosse eterno o non-eterno, quello che interessava loro è la via della liberazione. Il buddhismo giunse a considerare che non c'era niente di permanente, che le cose erano mutevoli e che non c'era un essere identificabile. 

Dopo molti secoli di polemiche tra differenti filosofie nasce il Vedanta. Deve essere distinta dalle Upanishad, ma è chiamata Vedanta perchè dal nono al tredicesimo secolo, questi maestri basarono il loro insegnamento sulle upanishad (il primo vedanta) e su un'opera chiamata Brahma sutra (chiamato anche Vedanta sutra). Questo testo mette in rilievo il desiderio di conoscere Brahman, l'essere supremo, l'origine di tutto. Il vedanta differiva dal Sankhya in quanto nessuno sosteneva che la Natura esisteva come indipendente dall'Essere divino. Le anime individuali accennate dal Sankhya venivano viste come manifestazioni dell'unica suprema anima o Sè. Molte speculazioni furono fatte sulle parole che chiudono il commento del grande filosofo Ramanuja al Vedanta sutra: "C'è uno spirito supremo la cui natura è assoluta beatitudine e bontà, che è la causa del mantenimento e della dissoluzione del mondo, che è onniscente, ecc.".

pag. 21. Il sankhya tenta di dimostrare l'immortalità dell'anima o spirito (purusha) che deve necessariamente esistere, se la natura è composta ed esiste in funzione, e se c'è qualcosa al di là delle tre qualità della natura. Anzi comincia a pensare che lo spirito non è uno ma molti, come molte sono le anime o monadi separate dell'essere. Ogni anima, in sè completamente immateriale e libera, è accompagnata da un corpo sottile (linga). Lo spirito era chiamato testimone, neutro, inattivo ma il suo legame con il corpo sottile, lo faceva apparire attivo. Anche la Gita propone questa tematica dicendo che il vero sè non agisce, un guerriero non può uccidere e non può essere ucciso. Il rapporto tra natura è spirito è spesso illustrato dalla storiella del cieco che porta sulle spalle lo zoppo e lo zoppo guida i suoi passi per avanzare. La natura è il cieco, perchè non vede, e lo spirito è lo zoppo, perchè non agisce. E' il solo corpo sottile (natura) che trasmigra e lo spirito è immoto e spettatore.

Per i gianisti (jina significa conquistatore) l'intero universo si poteva dividere in anime viventi (jiva) e non viventi (a-jiva). Il principio di vita era questa anima distinta dal corpo, la principale caratteristica dell'anima, distinta dalla non anima, era la consapevolezza e questa era una valida prova della sua esistenza. I gianisti credevano che l'anima riempisse tutto il corpo e che le anime fossero reperibili in tutta la materia vivente: animali, piante, dei e uomini. Questi esseri trasmigravano in altre vite secondo il risultato delle proprie azioni e alla fine le anime illuminate otterrebbero la liberazione nel Nirvana. Per il Vedanta le anime sono in realtà una sola.  La credenza di questa anima indistruttibile appare spesso nelle Upanishad ed è essenziale nella tesi della Gita. Spesso è raffigurata della misura di un pollice e ha sede nel cuore delle creature. Nella Gita si parla di anima incarnata che prende un nuovo corpo ma si parla anche dell'anima in sè che partecipa o è identica all'essere divino assoluto, Brahman, e questa non può nascere, nè morire. Ammette che questa teoria dell'anima permanente è una teoria sankhya e poi passa a insegnare lo yoga.  La Gita parla del'anima vitale identica al sè racchiuso nel corpo: Una parte di Me, nel mondo della vita, diviene un'anima viva, eternaQuesto Me è Krishna, che è considerato il sommo e unico Dio, l'Essere assoluto, e l'anima vitale è considerata una parte del divino.  Shankara. mille anni più tardi, si domandava come fosse possibile che l'Assoluto, che è indivisibile, avere una parte divisa da sè. Nella Gita si ribadisce che Dio fosse infinito e indivisibile e tuttavia avesse parti di sè nel mondo e assumesse le vesti di un avatar o incarnazioni di un divino.

La filosofia sankhya e i gianisti non credevano in un dio creatore o un essere supremo, sebbene il sankhya yoga aveva accettato l'idea di un essere speciale ma credevano in un'anima indistruttibile e i buddhisti giunsero anche ad attaccare l'idea di un'anima e insegnavano il Non-sè o Non-anima (an-atta), nulla in questo effimero mondo può essere chiamato 'io' o 'sè'.  Questo insegnamento passò nell'induismo attraverso la Gita (nella stesura dei prima capitoli si avverte l'influenza buddhista): "L'uomo che allontana tutti i desideri, così da far cessare eogni passione, e non pensa "io sono questo" o 'questo  è mio', raggiunge la pace".   Un importante e popolare testo Le domande di re Milinda cerca di dare risposte ai problemi spirituali ed è il dialogo tra un sovrano greco e un monaco buddhista di nome Nagasena. E anche qui è riportato che le vite erano concatenate tra loro dal karma. Si sottolinea l'avversione verso la speculazione filosofica e l'importanza data alla religione pratica e alla morale. Nei testi buddhisti antichi, mentre si nega un sè identificabile, si afferma anche l'eterna esistenza dell'essere o stato indescrivibile:  "C'è un Non-nato, non divenuto, non-fatto e non-composto, ... ".

Accanto a queste diverse credenze o negazioni delle anime indistruttibili c'erano poderose dottrine vedantiche sull'anima individuale (atman), l'anima cosmica (Brahman) e la loro unione o identificazione. Ma furono ignorate dai buddhsiti, contraddette dai giainisti, modificate in teismo personale nella Gita. Poi questo panteismo o monismo finì per dominare il pensiero indù

Nei testi indù la parola atman significa tanto l'anima dell'uomo quanto l'anima dell'universo, nei Veda è usato nel senso di soffio vitale, mentre nelle Upanishad la parola atman è usata a proposito dell'uomo e Brahman come spirito universale. Nelle traduzioni molti autori traducono atman con anima.   La credenza dell'anima significa la supremazia dello spirito, ed é ritenuta fondamentale nella spiegazione del mondo.  "In principio l'universo era l'Essere solo, uno, senza secondo .... Allora pensò: possa io diventare molti!"  Gli dei passarono da 3306 a 33, quindi a tre e poi a un dio unico: Brahman, che è chiamato Quello, il Tutto, la totalità dell'esistenza, un Essere immutabile.  L'immutabile realtà che si cela dietro l'effimero mondo visibile era chiamata Brahman e fu considerata identica all'essenza dell'uomo atman. Questa entità fu messa in rapporto con un dio creatore Brahma e con i sacerdoti brahmini.

Una serie di intuizione nascono dalle innumerevoli meditazioni sulla natura dell'universo e dell'uomo: - L'anima nel cuore dell'uomo è Brahman, che è la sua origine e la sua meta. E' interna, immanente e infinitesimale, ed è anche trascendente. - L'anima rimane libera dalle sofferenze del mondo. Nella terra c'è il luminoso, immortale Spirito (purusha) che è l'atman-Brahman. - Le differenze sono dovute solo a nomi e forme.   

pag. 36 Il saggio Uddalaka comunica la figlio la verità interiore: "dove si ode ciò che non si può udire, si percepisce ciò che non si può percepire, e si conosce ciò che non si può conoscere, dietro le modificazioni degli oggetti individuali c'è una singola essenza o essere e, quando questa è conosciuta, ogni altra cosa è conosciuta". "L'intero universo l'ha come sua anima, Ciò è la Realtà. Ciò è l'Anima. E tu stesso lo sei".   E termina con la frase: "Tu sei Quello, quello sei tu (Tat twam asi)".  Questa celebre frase è stata oggetto di infiniti commenti ed è stata presa come sommario della dottrina del Vedanta e perfino dell'induismo. L'essenza dell'uomo è tutt'una con l'essenza dell'universo, è la dottrina della non-dualità (a-dwaita) che è stata chiamata anche monismo (o monismo panteistico)  in quanto asserisce il Sè universale, l'unicità soggiacente,  piuttosto che panteismo dove il divino è tutto e tutto è il divino.

Sebbene Brahman-Atman non sia Dio nel senso personale, è considerato la realtà suprema e conscia. è trascendente e immanente, è mente e spirito, più tardi viene chiamato Sat-Chit-Ananda l'essere supremo, la sapienza più alta, la beatitudine più profonda. L'anima liberata arriva al Nirvana, la sua coscienza limitata diventa la coscienza suprema senza tutte le limitazioni dell'umanità.

Ci sono delle upanishad come la Kheta e Shavetashvatara che introducono l'idea di un teismo e parlano di un Creatore, di un'intelligenza non spiegata da composizioni materiali. Questo Dio supremo finisce per l'identificarsi con Rudra, e nel suo attributo Shiva, che diventera l'oggeto di culto di milioni di indù. Sorprendentemente nella Gita, che è posteriore, viene ignorato Shiva, e presenta Krishna come l'Uno supremo e non manifesto al di sopra di BrahmanLa Gita combina le filosofie sankhya e vedanta ma piegandole al suo chiaro monoteismo. Usa la parola spirito (purusha) presa dai testi vedici e sankhya ma lo trasforma in Spirito altissimo e la Deità suprema  e nel capitolo dieci la dichiara come la più importante di tutte le classi di dei e uomini. Inoltre, non allude mai alla frase "Tu sei quello"; ma parla di Quello, esso è (tat, sat) come Realtà ed Essere, legandoli al dovere pratico e all'eternità.

I grandi maestri delle scuole vedantiche commentarono la Gita, le Upanishad e il Vedanta sutra, tra questi Shankara (monista , 788-820 circa) cominciò con l'affermare l'esistenza del sè, in quanto tutta la conoscenza deriva dall'auto esperienza; la base dell'esperienza è Brahman, conosciuto come il sè di ciascuno. L'apparenza del mondo è attribuita a maya, potenza illusione, irrealtà (il concetto di maya è appena accennata nelle upanishad). Il mondo esiste mediante maya, ma non è esistenza, è un vuoto, che scomparirà con la piena illuminazione e l'unione dell'anima con Brahman. L'anima si fonde con il divino, realizzando la propria vera natura. L'anima rimane anima individuale finchè non si libera dall'ignoranza e si esprime nella forma "io sono Brahman".  Shankara fu l'espressione completa del monismo e del neo-vedanta rifiutando il dualismo dell'anima e del divino.  Altri maestri come Ramanuja (teista , undicesimo secolo) ritenevano che il mondo e l'anima sono reali, non sono delle illusioni, ma dipendono da Dio e da una unità, dal momento che esistono come corpo di Brahman.  Nelle upanishad si trova scritto: "Colui che risiedendo in tutti gli esseri, pure da tutti gli esseri è diverso, che tutti gli esseri non conoscono, il cui corpo sono tutti gli esseri, che dall'interno regge tutti gli esseri". Questo è l'immortale reggitore, che pur essendo chiamato Anima, non può essere l'anima individuale dell'uomo.  Ramanuja insegnava un Non-dualismo qualificato, la comunione o unione delle anime con Dio, ma non la loro identificazione con lui. Insegnava la credenza di un Dio che potesse essere accettato come Dio personale identificando Brahman con Visnù e dando il via al risveglio della devozione per Visnù. Un altro grande filosofo vedantico fu Madhva (tredicesimo secolo) e proponeva un dualismo (dwaita) di Dio e uomo. Identificava Brahman con Visnù che è immanente nel mondo (reggitore delle anime) e trascendente (reggitore del mondo). l'anima è limitata e soffre a causa del proprio karma, tutte le anime sono differenti e trovano la liberazione in virtù della grazia di Dio. Madhva riconosceva che in molti testi delle upanishad era scritto "Tu sei quello", ma sottolineava anche altri testi parlavano di Dio e dell'anima come separati.   Parallelamente al culto di Visnù si sviluppò il culto di Shiva che è visto come il reggente dell'universo e abitante in tutti gli esseri; il non dualismo o monismo è respinto, e cacciata via l'ignoranza, l'anima ritrova la propria natura, e si ha l'unione con Dio, che non è però identità. C'è una perdita di egoismo e gli uomini abitano in lui.

 

L'anima indistruttibile - Geoffrey Parrinder (parte 2)

"Da ciò che Non è guidami a ciò che é, Dalla tenebra guidami alla luce, Dalla mortalità guidami all'immortalità". dalla Brihad-aranyaka Upanishad.

Questo bel libro L'anima indistruttibile di Geoffrey Parrinder è un'eccellente opera divulgativa che illustra in maniera chiara le varie filosofie indiane e  la differenza tra sè, anima, atman, Brahman.

Le varie teorie di un'anima indistruttibile, dell'eterna natura e di una mente universale o Dio non implicano necessariamente la rinuncia al mondo e alla vita. Per le upanishad il mondo non è irreale, poichè proviene da Brahamn come la ragnatela da un ragno o come le scintille dal fuoco. Alcune più recenti upanishad, tuttavia sottolineano una visione pessimistica del mondo completamente infelice e malvagio, e in quel periodo molti filosofi si soffermano sul dolore e la sofferenza (ai tropici si sviluppano molte più malattie rispetto all'Occidente) che è di tre tipi: il dolore naturale e intrinseco (malattia mentale e insanità mentale), il dolore naturale e estrinseco (dovuto a cause esterne),  e il dolore soprannaturale (dovuto a influenze di dèi e demoni). Per il buddhismo la capacità di superare il desiderio e la lussuria evita gli effetti del dolore grazie a un distacco che porta alla pace. La Gita, invece, insegna forme di yoga che disprezzano l'estremo ascetismo e danno pieno gioco alla vita in un mondo adeguato al proprio ruolo nella società. Il buddhismo è la più pacifica delle religioni e si diffuse in tutta l'Asia nonostante le persecuzioni. La morale buddhista è espressa in cinque precetti (pensil o pancha shila : la compassione, l'onesta, la purezza, la sincerità, la temperanza. Un libricino chiamato il Sentiero della virtù (Dhamma-pada) che molti buddhisti conoscono a memoria, insegna come superare il male col bene, dedicandosi agli altri e rinunciando ai propri piaceri. Anche i giainisti hanno questo aspetto monastico e ascetico che li spinge ad accentuare il distacco dal mondo e dai suoi piaceri, sebbene i loro templi siano tra i più elaborati e belli dell'India e hanno tutti questa epigrafe all'ingresso "La non-violenza è la religione più alta".  Il gianismo ebbe una grande influenza su Gandhi.

La dottrina sociale indù si trova nel Codice di Manu che riporta tre o quattro aspirazioni umane intorno alle quali furono raggruppati i doveri morali e sociali.  Queste sono: la virtù (o dovere - dharma), il guadagno (artha), il piacere (kama) a cui più tardi si aggiungerà la salvezza (moksha). La virtù comprende i doveri e responsabilità  di casta e degli stadi della vita: dello studente, capofamiglia, anacoreta, e asceta. Il Kama sutra includeva oltre l'arte erotica anche come fare ginnastica, cucinare, cantare, ecc.   La Gita è uno dei manuali più importanti di giusta condotta. Krishna enuncia, prima, la dottrina dell'anima indistruttibile, poi passa parlare del dovere di classe (è dovere di un guerriero combattere).  La Gita critica severamente coloro che pensano che solo attraverso l'ascetismo si possa arrivare alla perfezione. Invita a una sottile forma di distacco e all'azione: "ciascuno è fatto per agire". nessuno è immune da una certa forma di attività, neppure un'asceta. L'azione deve essere però svincolata da ogni speranza di ricompensa. Anche Dio è costantemente all'opera nel mondo altrimenti l'universo si disintegrerebbe. L'azione dell'uomo deve essere completamente disinteressata, distaccata dai risultati, e poi deve subentrare un attaccamento positivo a Dio attraverso la devozione e l'amore (bhakti). L'uomo perfetto nella Gita è quello che non è toccato da collera, desiderio e cupidigia che sono le forze che distruggono la pace; Nel buddhismo queste forze sono simboleggiate dal gallo, serpente e maiale. Dio è lo stesso verso tutti, nessuno gli è odioso o caro, tuttavia coloro che lo amano dimorano in lui e lui in loro.   L'azione deve essere associata alla saggezza (jnana) che non è la conoscenza di cose ordinarie, collezione di fatti, ma la percezione della realtà eterna. L'azione è paragonata a un sacrificio che gli uomini offrono agli dei. Anche il peggiore dei peccatori può attraversare il mare del male con la nave della saggezza e rinascere.  La Gita offre agli uomini  tre vie alla salvezza spirituale: L'azione, la saggezza e l'amore.

 

Una via occidentale allo zen - Christian Humphreys (parte 1)

Christian Humphreys (1901-1983), l'autore del libro, fondò nel 1924 a Londra la Buddist Società, la più vasta organizzazione d'Europa.

Una buona parte delle citazioni del libro sono di D.T. Suzuki, uno dei massimi studiosi buddhista. Il buddhismo zen è giunto in Occidente nella forma della scuola Rinzai Zen, che fa largo uso del sistema koan. Lo Zen fu fondato nel sesto secolo dopo Cristo e include la scuola Ch'an della Cina e la scuola Zen del Giappone. Lo Zen verte su una sola cosa: la consapevolezza dell'assoluto nel cuore dell'uomo, una delle facoltà importanti per arrivare a questa consapevolezza è prajna o buddhi,  in Occidente l'intuizione. Lo Zen è il sistema di disciplina morale fondato sul satori, dobbiamo spingere lo sviluppo dell'intelletto fino ai suoi limiti e preparare la mente all'esperienza del satori, alla diretta esperienza della realtà non duale. Al momento giusto si scoprirà che il  nirvana è qui e ora. Si potrà così balzare dall'aria dualistica di questo mondo individualista all'altra riva del nirvana.  
Il Buddha trasmise questo messaggio: "non ho maestro, sono il pienamente illuminato, andrò a Benares a mettere in moto la Ruota della legge, percuoterò il tamburo dell'immortalità nell'oscurità del mondo". Questa è l'affermazione su cui poggia il buddhismo. Ciò significa che: 1- il nirvana deve essere ottenuto qui e ora, 2-  quello che un uomo può fare, tutti lo possono fare, 3- l'immortalità, il Non-Nato, il non creato può essere raggiunto dall'uomo, ed è qui e ora. Nel buddhismo non c'è nessun dogma, nessuna affermazione di salvezza, il praticante deve portare il fardello della libertà spirituale. Dobbiamo partire dall'uomo per arrivare a un principio, al principio del Buddha interiore. "Guarda dentro di te, tu sei il Buddha". 
Questo concetto è ereditato dall'induismo dove ogni uomo è già in un certo senso Brahman, in virtù dell'Atman che è  in ogni mente, la cui luce è un raggio del Non Nato. L'elevato stato di coscienza porta all'illuminazione e alla consapevolezza di tutte le cose come parti di un Tutto inseparabile, non c'è separazione e l'anata (il non sè) è sentito come vero. 
Le due colonne del buddhismo sono la saggezza e la compassione e che le due sono una sola; queste due facoltà  vanno messe al servizio del genere umano. I principi della scuola Thevarada furono sviluppati dal pensiero indiano: l'anata fu trasformato in sunyata, la vacuità;   metta l'amicizia fu trasformata in compassione che è  una sola cosa con la saggezza, il Non nato fu visto come una sola cosa con il nato. Il nirvana è qui nel samsara dove sarà conosciuto. 
Siamo già esseri illuminati, ma inconsapevoli, l'avidità, l'ignoranza ci impedisce di vedere. Il buddhista attraverso la compassione è al servizio del genere umano, e alla fine attraverso l'unicità della prajna (saggezza) e karuna (compassione) trova la 'porta senza porte' che conduce all'ultimo sentiero: scoprire che tutti i Buddha e tutti gli esseri senzienti non sono altro che l'Unica Mente oltre la quale nulla esiste.  
Pag. 26.  Tra tutti i percorsi filosofici o religioni, solo il buddhismo conferisce un'importanza fondamentale alla sofferenza. Il Buddha insegnava il dolore è la fine del dolore. Nell'uomo non esiste nessun principio permanente o anima o sè che sia immortale e immutabile; in ogni uomo c'è la scintilla del Divino o Assoluto che il Buddha chiamò il 'Non nato' non originato, non formato, questo principio o atman non è soltanto suo. 
Quale è la causa di tutta questa infelicità? Nel canone Pali si dice: "è quella brama che genera la nuova rinascita, e legata alla lussuria e all'avidità trova, ora qua, ora là, sempre nuovo piacere. Il desiderio, può  comunque essere indirizzato e trasformato in compassione!. 
D. T. Suzuki sottolinea che l'addestramento buddhista consiste nel trasformare il trisna nel karuna, l'amore egocentrico in universale.  Nel processo di crescita l'individuo diventa antisociale, cattivo, sviluppa desideri che portano a sofferenza e la causa è essenzialmente avida, l'ignoranza. 
La grande eresia della separatezza distoglie dal resto. Non ci son altri, non c'è differenza. La totalità del samsara è tutto ciò  che è in esso e  non rivela altro che l'assoluto. Il samsara agli occhi dell'assoluto è maya. 
Ma come posso liberarmi dell'ego? Come posso io liberarmi di me? 
Sempre Sukuzi ha scritto: "l'illuminazione consiste nel vedere l'ego assoluto come riflesso nell'ego relativo è che agisce attraverso di esso". 
Perché  percorriamo il sentiero? Dovremmo cercare di metterci al servizio del genere umano, è  preferibile manifestare amore che ottenere un rapimento estatico, non è un sacrifico ma solo un'opportunità  di servire. Si devono giudicare gli uomini in base ai loro moventi e all'effetto morale delle loro azioni. 
Per quanto riguarda il Sè, la scuola Theravada afferma che non esiste nessun sè di alcun tipo, ma Suzuki sottolinea che la negazione dell'atman si riferisce all'ego relativo e non all'ego assoluto, ossia l'ego dopo l'esperienza dell'illuminazione. Il sentiero dovrebbe essere percorso fin dal principio con una mente che si risveglia alla saggezza e un cuore che si risveglia alla compassione, infatti i due sono uno solo. La scuola della giusta azione sul sentiero è la vita quotidiana. 
Hui-neng il fondatore della scuola Zen dice: coloro che desiderano allenarsi spiritualmente possono farlo in casa, e superfluo vivere nei monasteri. R.B. Blyth dice: 'la perfezione significa non azioni perfette in un mondo perfetto, ma azione appropriata in un mondo imperfetto'. In verità nessuna azione ci lega, ma solo il nostro atteggiamento verso di essa. 
In The root and the flower, l'autore A. L. Myers faceva dire ad un vecchio maestro: "nessun uomo può  dare ai suoi simili maggior beneficio che con la forza del proprio esempio". Prima di meditare dovremmo essere in grado di controllare noi stessi, e questi metodi possono portare a qualche esperienza al di là di tutta la dualità, dell'assoluto, che il Buddha chiamò il Non nato
Esperienza indimenticabile ma incomunicabile. Tutto è nella mente: il percorso,  il pellegrino e la metà. Nulla è tranne la mente del Buddha
E la metà? Silenzio, e un dito indica la Via. Lo scopo del buddhismo è la liberazione dalla rinascita, dall'attaccamento, a cui ci lega il desiderio fino a che è minimamente 'egoistico'. Il discepolo viene allenato a ricordare le proprie vite precedenti. L'uomo non può sfuggire alle sue azioni malvagie, perciò tutto ritorna all'an-atta, il falso sè che costruisce la casa dell'illusione. 
Il Buddha  proponeva la dottrina del nessun Sè e l'impermanenza dell'individuazione e l'altruismo. Mrs Rhys Davids, una delle prime studiose di Pali dice: "l'uomo vero e proprio, sè, spirito, anima, purusa, non è reale". Il primo buddhismo propose una dottrina della rinascita in una forma ben definita. Il sostenere o negare un Sè non conduceva alla pace della mente. Nei cinque skanda (i cinque aggregati sono: forma, rūpa; sensazione, vedanā; percezione, saññā; formazioni karmiche, saṅkhāra; coscienza, viññāna) che sono gli elementi costituenti la personalità, non si può trovare alcun Sè permanente, il resto è silenzio, infatti nulla di utile si può dire del Non Nato, di cui l'Atta è un riflesso. 
Nel canone Pali viene indicato un sè minore e un sè maggiore chiaramente distinti, e il più grande sè è descritto come abitatore dell'incommensurabile. Il sè è signore del sè, e il sè è destinazione del sè.  Il Sè che è in te, sa ciò che è vero e ciò che è falso. 
I primi monaci attaccarono il concetto di atman (degradato ai tempi del Buddha fino a una cosa della dimensione di un pollice, nel cuore umano), si spinsero troppo oltre dichiarando "nessun se, nessun sè" che poi prese piede.  Secondo il Buddha i praticanti dovrebbero dirigersi verso il Più finché non si affrancano dall'attaccamento alla Ruota della rinascita nella conscia consapevolezza dell'immutabile. Allora cosa rinasce? Secondo l'autore potrebbe essere un continuum separato di impulso karma oppure un raggio della luce del Non Nato, Quello che rinasce non è immutabile e quindi non rinasce certo l'anima immortale.  L'uomo è un mero groviglio di skanda, nuovo di momento in momento, di nascita in nascita, (che possiamo chiamare carattere) finché non è disperso con l'estinzione del desiderio. Ma finché ciò non accade l'individuo è un essere con un passato definito che può ricordare grazie a un appropriato allenamento. E' l'individuo che deve compiere lo sforzo, il Buddha indica solo la via. 
La dottrina Anatta non è di alcun impedimento alla dottrina della rinascita. Il Buddha ha insegnato che due sono i sè, Atta e Non-Atta ( il Sè è il signore del sè) ed entrambi sono le manifestazioni, come ogni altra cosa, del Non Nato, Non originato, Non formato, il Parabrahman dell'induismo, lo spirito di San Paolo.  
Il Mahayana non si è mai curato della noiosa questione della scelta tra rinascita e anatta, mentre il Theravada ha molto insistito sul concetto del nessun sè, nessun sè. L'autore preferisce la libertà e la gioia del processo universale, la sua unità vivente con il Non nato da cui proviene.
Il Sè è, e nulla è non sè in essenza e il Sè, l'essenza della Mente pura come l'ha chiamato Hui-neng, è il Buddha interiore, proprio come gli skanda, grevi di illusione, non sono coscientemente il Sè: "questo non è il Sè di me!". 
 

Tre libri sulla vita del Buddha:

  • Life of the Buddha di Mrs Adam Beck;  
  • Life of the Buddha di E. H. Brewster;  
  • The life of Buddha in Legend and History di E. J. Thomas.

Una via occidentale allo zen - Christian Humphreys (parte 2)

Christian Humphreys (1901-1983), l'autore del libro, fondò nel 1924 a Londra la Buddist Società, la più vasta organizzazione d'Europa.    

Verso il buddhismo zen. Oltre gli opposti. Solo la coscienza, dopo vite di sforzo, può venire innalzata a un livello in cui la dualità non ci lega più, che il patriarca Hui-neng chiamò "l'essenza della mente pura". Per conoscere se stesso, il soggetto deve guardare l'oggetto.  Come dice Huang Po: "Tutti i Buddha e tutti gli esseri senzienti non sono altro che l'Unica mente, oltre la quale nulla esiste". Ma noi, abusando del pensiero, dividiamo la Realtà  e la rendiamo due. Dal punto di vista dell'al di là del pensiero anche spirito e materia sono solo aspetti della non dualità. Le parti separate della non dualità non hanno mai cessato di essere Uno. Nella mente si crea una tensione: da una parte la forza vitale, che scorre dal Non Nato attraverso ogni forma o cosa o avvenimento; dall'altra parte il sè-ego, il non-Atman o An-atta accecato dall'illusione dell'esistenza separata e sordo alla voce della Mente del Buddha interiore, combattendo per il sé, e opponendo la propria volontà a quella dell'universo,  è pieno di sofferenza forgiata dai suoi desideri personali. Il condizionamento mentale è dato dalla nascita, dal sesso, dalla religione.

Sulla sommità del pensiero umano, sta ciò che gli hindù chiamano CIÒ, e il Buddha chiamò " il Non Nato, Non Originato, Non Condizionato. Nel Parinirvana sutra è detto: " il solo principio della vita che esista indipendentemente da tutti i fenomeni esterni". I taoisti lo chiamano Tao, da cui viene l'Uno,  Eckhart l'ha definita "Deità al di là  di Dio".  La sua prima emanazione è l'Uno,  un'unità  indivisibile che nel processo della manifestazione si divide in due, e il due diventa tre (in virtù del rapporto tra di loro) e appare come le diecimila cose.  

Essendo la vita una, così è la coscienza che è ugualmente indivisibile e invisibile. C'è un ciclo di incoscienza e coscienza ( io sono), autocoscienza (so di essere io) e infine il nirvana (piena coscienza senza autocoscienza), il mistero ultimo che è il cuore dell'illuminazione. La scuola Theravada proclama la dottrina dell'adattamento: "nessun sè, nessun sè, nel senso di nessun sè separato o essenza in nessuna singola cosa"; e la scuola Mahayana ha ugualmente ragione a proclamare che: "se il Sè è la vita di CIÒ, non esiste nessuna altra cosa".   E' la luce solare della buddhi, dell'intuizione che ci permette di avere delle visioni di un mondo che non conosciamo del qui eterno e ora, in cui la forma è vacuità, e la vacuità è forma, in cui le differenze sono aspetti della Totalità, e la vita in tutte le sue forme è un vasro ciclo del divenire, di nascita e morte, finchè l'universo non ritorna nel seno del Non Nato da cui è venuto. Tutte le scuole buddhiste insegnano l'allenamento del carattere che implica sila, la morale, lo sviluppo della mente, bhavana, e la giusta motivazione, che implica la compassione alla pari della saggezza. Il percorso comprende lo studio, la meditazione e l'autodisciplina, e lo sviluppo dell'intelletto (indicatemi un solo mistico nella storia che non abbia avuto un cervello di prim'ordine). 

Prajna, la saggezza è l'improvvisa e immediata consapevolezza del mondo della non-dualità, è al di là del tempo, è un tocco dell'assoluto, questa consapevolezza è il satori (una percezione intuitiva). L'obiettivo della meditazione, dhyana è il raggiungimento di un atteggiamento che è uno stato di trance, il suo graduale procedere porta a uno stato di coscienza elevato. Uno stato mentale uniforme,  equilibrio e equanimità acquietano le onde del pensiero e dell'emozione della vita quotidiana. Il dhyana conduce al samadhi. I cinesi per il samadhi danno due versioni etimologiche: 1- o equilibrare o giusta accettazione, 2- ricevere le cose come sono.  Il patriarca Hui-neng fù il primo a distinguire prajna e dhyana: la prima improvvisa e indescrivibile, appartenente al mondo della non-dualità, e il secondo, come appartenente alla dualità, la meta gradualmente raggiunta di un processo. Anche al suo sommo, il dhyana nella samadhi non raggiunge la prajna, sebbene possa essere una buona preparazione per quella.  

Prajna sta sotto al dhyana e ne è la base e lo rende possibile. Perciò la preparazione all'illuminazione è necessaria e graduale, ma il momento in cui arriva è improvviso, un balzo dalla dualità alla non-dualità assoluta. Sebbene il samadhi possa essere raggiunto con il dhyana e duri per ore, non è il satori che può venire in qualsiasi momento, ma ciò che conta è l'intensità della volontà.

La nascita dello zen.  Tra i seguaci del Buddha sono nate molte scuole tra cui la scuola Theravada, il cui cnone Pali fu messo per scritto a partire dal  1 secolo a.C., ci sono poi le scuole Mahayana: quella Madyamika, associata la nome di Nagargiuna, e la scuola dell'Unica mente fondata secoli dopo da Asanga e Vasubandhu. L'insegnamento del Buddha passò in Cina dalla via della seta e l'accoglienza fu piuttosto fredda. Verso il 500 d.C. arrivò alla corte dell'imperatore cinese Bodhidharma e i cinesi ne furono conquistati e nacque così la scuola Ch'an che è stata definita la reazione al buddhismo indiano. Dopo vennero una serie di patriarchi, ma fù il sesto, Hui-neng che trasformò l'insegnamento in una scuola organizzata. Per cinquecento anni ci fu una successione di grandi maestri finchè nel 1200 d.C. il buddhismo Ch'an giunse in Giappone con il nome di zen, dove si ebbe lo sviluppo parallelo delle scuole Rinzai e Soto.    L'insegnamento di Hui-neng è quello della saggezza che è andata al di là (prajnaparamita) della scuola Madhyamika, applicata senza compromessi alla vita quotidiana. Deve esserci comunque un'apertura improvvisa del "terzo occhio" dell'intuizione della prajna, per vedere che tutte le cose sono falsamente immaginate e  derivano da un unico principio. Questo ritorno all'insegnamento del Buddha da parte di Hui-neng fu più tardi integrato dal maestro Huang Po, il quale insegnò che "tutti gli esseri senzienti non sono altro che l'Unica mente, oltre la quale nulla esiste". 

Il rinzai zen usa come allenamento per la meditazione il koan, mentre nel soto zen, si medita semplicemente stando seduti. Ma in entrambi i casi presuppone una vita monastica e tempo quasi illimitato. L'autore sostiene che questa via non è percorribile dagli occidentali interessati al buddhismo zen che dovrebbero trovare un'alternativa al tradizionale allenamento giapponese.

pag. 107.  Gli occidentali, in termini buddhisti, dovrebbero costruire il loro Dharma attraverso l'intelletto, uno strumento eccellente per l'acquisizione della verità nel campo della dualità, trascendere attraverso l'intuizione le limitazioni intrinseche e raggiungere una diretta visione della realtà.  Si dovrebbe, lentamente innalzare la coscienza finchè, illuminati progressivamente dalla luce crescente dell'illuminazione, siamo pronti per le prime brevi visioni della nuova consapevolezza (vedere ciò che siamo in essenza la mente del Buddha), e intanto serviamo i bisogni di tutta l'umanità con cuore umile e devoto.  La conoscenza, in questo caso, diventa saggezza e fiorisce nella compassione. Dopo qualche anno di pratica meditativa e allenamento dovremmo riuscire ad essere capaci di sospendere per qualche minuto ogni reazione ad avvenimenti o oggetti esterni, non nella meditazione profonda, ma nella vita normale, interrompere a volontà il chiacchiericcio mentale.  

pag.117 Se descriviamo lo zen come l'apertura del terzo occhio della saggezza- intuizione, e se tale risveglio è considerato la fonte e la meta dell'allenamento zen, possiamo innalzare la coscienza al piano, al livello di questa intuizione attraverso anni e vite di durissimo lavoro, e non restando semplicemnte a sedere e sperare.  I Buddha non fanno altro che indicare la via, ma ognuno deve togliere le bende dai propri occhi. Il vedere deve essere l'atto stesso di colui che ha fatto la scelta. Ognuno deve liberare se stesso dalle catene del pensiero e del presente pensare. Come ha scritto Suzuki: Ciò che distingue lo zen dagli altri insegnamenti spirituali è la perfetta padronanza delle parole o dei concetti, si usano per innalzare la coscienza ai suoi limiti e oltre; la mente va quindi controllata.  Come sarebbe possibile piantare nuovi semi nella nostra mente, anche i semi degli essenziali principi buddhistici, se non teniamo conto dello stato della mente in cui li seminiamo. La mente intrensicamente pura di Hui-neng ti chiede di estirpare dalla mente tutti i pensieri e i molti nomi delle molte cose. Dobbiamo vuotare la nostra mente, per provare ad entrare in una nuova dimensione.  Molto ricorrente è la storiella del maestro che versa del tè, fino a traboccare, nella tazza al discepolo che voleva degli insegnamenti e gli dice: "La tua mente è piena come questa tazza di té e non può accogliere i miei sentimenti".

Contrapporre ciò che ti piace a ciò che non ti piace, questa è la malattia della mente, prova a non cercare il vero, cessa soltanto di nutrire opinioni. Le domande che uno dovrebbe porsi sono: quanto sono ancora condizionato mentalmente?  Quanto sono ancora legato alla mia educazione, cultura, religione, ecc. Sono capace di vedere il punto di vista altrui in qualsiasi questione? Sono capace di vedere una Verità che è al di là di tutte le coppie di opposti? 

Su Dio il Buddha mantenne sempre un nobile silenzio. Dio come prodotto del pensiero è un innocuo abitante del cielo spirituale, infatti nella migliore delle ipotesi Dio è una creazione della mente, e non ha alcuna relazione con la Realtà che il pensiero non può nè raggiungere nè descrivere.  Eckhart disse: "Qualunque cosa tu dica di Dio non è vera"; e come dicono il cinesi "Il Tao che può essere espresso non è il Tao eterno". I buddhisti dicono che c'è un Non Nato, Non divenuto, Non fatto, perchè se non ci fosse non ci sarebbe scampo dalla nascita, dal divenire, dal fare. Su questo Uno che è al di là dell'uno e dei molti, il Buddha osservò un tonante silenzio. Il praticante che è sulla via lascia da parte i pensieri inutili e cerca di sviluppare nella mente la facoltà che sola può conoscere l'Assoluto: l'intuizione, il terzo occhio della consapevolezza diretta in viurù della quale la parte e il tutto sono conosciuti come uno solo, e l'Assoluto è visto in ognuna delle sue infinite e moltepli forme (simile alla concezione hindu delle manifestazioni dell'unico Brahman primordiale).    "Guarda dentro di te; tu sei Buddha, tu hai la natura di Buddha".  Un saggio sufi disse a un altro: "Non ho mai visto nulla senza vedere Dio dentro", L'altro saggio rispose: "Io non ho mai visto altro che Dio".

Lo zen è un modo di vita basato su un nuovo punto di vista, quello della non-dualità, e per raggiungerlo dovremmo ascoltare la Voce del silenzio, attenuare le nostre reazioni allo stimolo esterno (in qualunque forma si manifesti, parole, immagini, messaggi, ecc) e avremo bisogno di tutta la nostra forza mentale per arrivare alla Non-Mente, dimorando consciamente nel centro immobile del mondo che gira.

Ne consegue naturalmente che mentre l'intelletto è una macchina costruita per raggiungere ed esprimere la verità nel mondo della relatività, non potrà mai fondere colui che cerca, la sua ricerca e l'oggetto cercato in una sola intera esperienza. Questa è prerogativa e funzione dell'intuizione.

Nello zen il ruolo della meditazione è centrale. Qui è usata per intendere l'uso deliberato di una mente controllata per uno specifico fine spirituale, il risveglio  della facoltà dell'intuizione della prajna, che è al di là dell'intelletto. La meditazione zen ha lo scopo di identificare il soggetto con la massima realtà. Il sistema dei koan è stato messo a punto proprio per fornire un sostegno alla mente. Huang-po dice: "Tutti i Buddha e tutti gli esseri senzienti non sono altro che l'Unica mente, oltre la quale nulla esiste". Per lo zen quindi non c'è niente da raggiungere e nulla per raggiungerlo. C'è però un lungo viaggio prima di vedere, nella pura esperienza, che ciò è vero. Prima di poter usare la mente per la meditazione occorre porla sotto controllo, e uno dei più noti esercizi per questo fine è quello di sorvegliare il respiro, e calmare la mente. Per Hui-neng "meditare significa realizzare interiormente l'imperturbabilità dell'Essenza della Mente" e concorda con il grande ideale esposto nella Bhagavad Gita di raggiungere un equilibrio spirituale che non si smentisce rispetto agli eventi desiderati come a quelli non desiderati. La meditazione è un mezzo, una dei tanti per risvegliare la Prajna, e sviluppare così un modo interamente diverso di trattare con le cose.  Nella meditazione separi te stesso dal tuo ambiente e realizzi il Buddha in te stesso. Il Maestro è dentro di te, ma devi fare uno sforzo e bussare alla porta del tuo cuore.   

L'intellettualismo è la morte dell'esperienza zen, comunque la filosofia è un necessario sfondo e ingrediente dell'allenamento all'esperienza zen.   Suzuki è stato accusato di aver ridotto lo zen a livello dell'intelletto e aver scritto di ciò che non può essere descritto. La sua risposta è stata. "Per suscitare la prajna (la saggezza), intuizione  intelletto devono procedere di pari passo". L'intelletto è uno strumento magnifico, il suo pensiero eccelso sarà comunque che La verità è al di là di tutto il pensare. Dogen, il fondatore della scuolo Soto zen ha scritto sulla meditazione: "Pensa il Non pensabile". Ossia pensa al di là del pensare e del non pensare.   La mente funziona a due livelli, la mente inferiore opera nella quotidianità, la mente superiore astratta tende sempre alla facoltà più elevata, il piano dell'intuizione. La tensione tra queste due parti è incessante.  Piano piano, attraverso la comprensione, i pensieri superiori sostituiranno i pensieri di valore inferiore e sarà innalzato il livello del pensiero abituale.  Nel buddhismo Mahayana si legge della trinità di Sila (morale, grande integrità morale e forza di carattere), Samadhi  (una profonda quiete della mente che non è però l'obiettivo finale) e Prajna (saggezza dell'improvvisa e immediata consapevolezza del mondo della non-dualità che è la meta), il terzo occhio della consapevolezza zen. Davanti alle coppie di opposti cerchiamo il terzo superiore, al di sopra di entrambi. La prajna scaturisce come un lampo dall'inconscio eppure non lo abbandona mai; ne rimane inconscia.  Questo è il significato del detto: "vedere è non-vedere, e non vedere è vedere". La prajna è il massimo potere spirituale in nostro possesso attraverso il quale vediamo al di là del campo del pensiero o di qualsiasi funzione duale della mente, è molto più del samadhi che è passivo e molto più del dhyana.

Due sono i pilastri del grande edificio del budhhismo: grande saggezza e grande compassione. La saggezza scorre dalla compassione e la compassione dalla saggezza, infatti le due sono una sola; ciascuna è incompleta senza l'altra. Karuna cresce con la morte dell'IO'. Prajna appartiene più alla testa, e karuna più al cuore e corrispondono all'Jnana yoga e al Bhakti yoga.  La saggezza è rivolta all'interno e la compassione è rivolta all'esterno.  La compassione, non ostacolata da avidya (ignoranza) è completamente impersonale, un fatto per molti non facile da digerire. E' colore disinteressato, non conosce senso di separatezza, è senza attaccamento, senza pensiero di sacrificio o dovere, o di ricompensa. L'incarnazione umana della compassione è il Bodhisattva.  Suzuki pronunciò la seguente frase: "la cosa più importante è l'amore".

L'intuizione è il ponte che conduce il pensiero più alto all'Aldilà del pensiero. Occorre una graduale preparazione e consacrare la vita a scopi spirituali, a mano a mano che continueremo a elevare il livello abituale della coscienza per vivere nel Sé superiore, guarderemo con occhio nuovo le verità dello zen. L'intelletto da solo non può mai avere più che una conoscenza delle cose, non può mai sapere.  Possiamo vedere il terzo superiore di ogni coppia solo con una percezione senza mezzo, solo con l'intuizione. L'obiettivo della disciplina zen è proprio questo: prepararci al satori, ci prepariamo senza sosta, e quindi mentre procediamo, aspettiamo. Mentre aspettiamo inerpichiamoci verso il Sè superiore e guardiamo attraverso i suoi occhi. Ogni cosa è relativa e al tempo stesso è assoluta, è entrambe contemporaneamente.  Quando giunge la visione, quando sciogliamo le restrizioni della mente, quando la mente operante è sempre più illuminata dalla luce della mente del Buddha, noi pregustiamo la serenità, quell'equilibrio spirituale di fronte agli eventi (desiderati e indesiderati). E mentre attraversiamo il Ponte che non è, scopriamo la nostra saggezza che svegliandosi funziona in mille utili forme come profonda compassione per tutte le persone, cose e circostanze e,  per noi stessi. 

Quando il soffitto del samsara, il mondo duale dell'irrealtà, è trapassato dalla spada dell'intuizione della prajna, aprendo spiragli che lasciano intravedere un più ampio stato di coscienza, raggiungiamo il vero inizio dell'allenamento zen. Ora vediamo tutto così come è, e tutte le cose sono parti inseparabili della medesima pienezza/vacuità, un allenamento morale basato sull'esperienza del satori. 

Tutti gli esseri sono già illuminati, nella voce del silenzio è scritto "Guarda dentro di te, tu sei Buddha". Dobbiamo solo liberarci della benda che noi stessi ci siamo legati sugli occhi. La suprema scoperta del mistico è : "il discernimento zen non è nostra consapevolezza, ma consapevolezza dell'essere di esso stesso in noi". 

L'illuminazione è improvvisa consapevolezza zen, e lo zen è la luce del Non-nato in manifestazione. Sukuzi dice che la vita dello zen incomincia con l'apertura del satori, e l'obiettivo dello zen è preparare al satori la nostra coscienza relativa.  Arrivare a percepire un nuovo mondo finora non concepito nella confusione di una mente dualistica.  Il satori non può essere trasformato in concetto, è al di là della dualità. Un'esperienza in cui c'è un senso dell'io non è vero satori.  Alan Watts ha dichiarato che lo zen non comporta un abbandono dell'intelletto; l'intelletto deve essere sviluppato fino al suo culmine, fino al punto in cui il processo del ragionamento scompare.

 

sabato 5 agosto 2023

"Rompiamo il silenzio sull’Africa", l'appello di padre Alex Zanotelli ai giornalisti italiani

*Alex Zanotelli (1938- ) è un missionario italiano della comunità dei Comboniani, profondo conoscitore dell'Africa e direttore della rivista Mosaico di Pace.  È l'ispiratore e il fondatore di diversi movimenti italiani tesi a creare condizioni di pace e di giustizia solidale.  
 
Ecco l'appello rivolto ai giornalisti italiani:
Non vi chiedo atti eroici, ma solo di tentare di far passare ogni giorno qualche notizia per aiutare il popolo italiano a capire i drammi che tanti popoli africani stanno vivendo.

Scusatemi se mi rivolgo a voi in questa torrida estate, ma è la crescente sofferenza dei più poveri ed emarginati che mi spinge a farlo. Per questo, come missionario e giornalista, uso la penna per far sentire il loro grido, un grido che trova sempre meno spazio nei mass-media italiani, come in quelli di tutto il resto del mondo.

Trovo infatti la maggior parte dei nostri media, sia cartacei che televisivi, così provinciali, così superficiali, così ben integrati nel mercato globale ( mio inserimento: abbiamo già sperimentato l'informazione a senso unico sia durante la pandemia, sia durante la guerra in Ucraina).

So che i mass-media, purtroppo, sono nelle mani dei potenti gruppi economico-finanziari, per cui ognuno di voi ha ben poche possibilità di scrivere quello che veramente sta accadendo in Africa.

Mi appello a voi giornalisti/e perché abbiate il coraggio di rompere l’omertà del silenzio mediatico che grava soprattutto sull’Africa.

È inaccettabile per me il silenzio sulla drammatica situazione nel Sud Sudan (il più giovane stato dell’Africa) ingarbugliato in una paurosa guerra civile che ha già causato almeno trecentomila morti e milioni di persone in fuga.

È inaccettabile il silenzio sul Sudan, retto da un regime dittatoriale in guerra contro il popolo sui monti del Kordofan, i Nuba, il popolo martire dell’Africa e contro le etnie del Darfur.

È inaccettabile il silenzio sulla Somalia in guerra civile da oltre trent’anni con milioni di rifugiati interni ed esterni.

È inaccettabile il silenzio sull’Eritrea, retta da uno dei regimi più oppressivi al mondo, con centinaia di migliaia di giovani in fuga verso l’Europa.

È inaccettabile il silenzio sul Centrafrica che continua ad essere dilaniato da una guerra civile che non sembra finire mai.

È inaccettabile il silenzio sulla grave situazione della zona saheliana dal Ciad al Mali dove i potenti gruppi jihadisti potrebbero costituirsi in un nuovo Califfato dell’Africa nera.

È inaccettabile il silenzio sulla situazione caotica in Libia dov’è in atto uno scontro di tutti contro tutti, causato da quella nostra maledetta guerra contro Gheddafi.
 
È inaccettabile il silenzio su quanto avviene nel cuore dell’Africa, soprattutto in Congo, da dove arrivano i nostri minerali più preziosi.  ( mio inserimento: Per costruire un quartiere ecologico green in California distruggiamo ed inquiniamo ettari ed ettari di terreni e fiumi per estrarre le terre rare dalle miniere in Africa necessarie per le batterie delle auto elettriche e pannelli solari, e dove i bambini africani ci lavorano come schiavi   Vedi: https://maramici.blogspot.com/2021/04/la-faccia-nascosta-della-transizione.html).
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È inaccettabile il silenzio su trenta milioni di persone a rischio fame in Etiopia, Somalia, Sud Sudan, nord del Kenya e attorno al Lago Ciad, la peggior crisi alimentare degli ultimi 50 anni secondo l’ONU.

È inaccettabile il silenzio sui cambiamenti climatici in Africa che rischia a fine secolo di avere tre quarti del suo territorio non abitabile.

È inaccettabile il silenzio sulla vendita italiana di armi pesanti e leggere a questi Paesi che non fanno che incrementare guerre sempre più feroci da cui sono costretti a fuggire milioni di profughi. (Lo scorso anno l’Italia ha esportato armi per un valore di 14 miliardi di euro!).

Non conoscendo tutto questo è chiaro che il popolo italiano non può capire perché così tanta gente stia fuggendo dalle loro terre rischiando la propria vita per arrivare da noi. 

Questo crea la paranoia dell’“invasione”, furbescamente alimentata anche dai vari partiti xenofobi. 

Questo forza i governi europei a tentare di bloccare i migranti provenienti dal continente nero con l’Africa Compact, contratti fatti con i governi africani per bloccare i migranti.

Ma i disperati della storia nessuno li fermerà. 

Questa non è una questione emergenziale, ma strutturale al sistema economico-finanziario. L’ONU si aspetta già entro il 2050 circa cinquanta milioni di profughi climatici solo dall’Africa.

Ed ora i nostri politici gridano: «Aiutiamoli a casa loro», dopo che per secoli li abbiamo saccheggiati e continuiamo a farlo con una politica economica che va a beneficio delle nostre banche e delle nostre imprese, dall’ENI a Finmeccanica.

E così ci troviamo con un Mare Nostrum che è diventato Cimiterium Nostrum dove sono naufragati decine di migliaia di profughi e con loro sta naufragando anche l’Europa come patria dei diritti. Davanti a tutto questo non possiamo rimane in silenzio. (I nostri nipoti non diranno forse quello che noi oggi diciamo dei nazisti?).

Per questo vi prego di rompere questo silenzio-stampa sull’Africa, forzando i vostri media a parlarne. Per realizzare questo, non sarebbe possibile una lettera firmata da migliaia di voi da inviare alla Commissione di Sorveglianza della RAI e alla grandi testate nazionali? E se fosse proprio la Federazione Nazionale Stampa Italiana (FNSI) a fare questo gesto? Non potrebbe essere questo un’Africa Compact giornalistico, molto più utile al Continente che non i vari Trattati firmati dai governi per bloccare i migranti?

Non possiamo rimanere in silenzio davanti a un’altra Shoah che si sta svolgendo sotto i nostri occhi. Diamoci tutti/e da fare perché si rompa questo maledetto silenzio sull’Africa. 

Gli Stati africani cominciano ad accusare l'Occidente

Forse i Paesi Africani stanno cominciando a svegliarsi e l'Occidente sta cominciando a perdere influenza in Africa. Il 26 luglio 2023, in Niger  il capo di Stato Mohamed Bazoum è stato trattenuto dalla guardia presidenziale e ha preso il comando il colonnello Amadou Abdramane. Il Niger era considerato un alleato chiave per i paesi occidentali (in particolare per la Francia). Un golpe che si aggiunge alla sequenza di cinque colpi di Stato militari consumati in anni recenti fra Mali (2020, 2021), Guinea (2021) e Burkina Faso (2022), facendo scivolare  nel caos anche il Sahel occidentale.
Vedi video:  https://youtu.be/jXwU9nvRgnI
 
Comunque, bisogna precisare che questi Stati sono stati sospesi dall'ECOWAS (La Comunità economica degli Stati dell'Africa Occidentale), che adesso minaccia un intervento in Niger per riportare la situazione prima del golpe, con conseguenze catastrofiche nella regione e forse nel mondo. La Comunità economica degli Stati dell'Africa Occidentale è un accordo economico stipulato da sedici Stati dell'Africa occidentale nel 1975, e tuttora in vigore. Attraverso l'ECOWAS questi Paesi svolgono anche una funzione di cooperazione per la sicurezza dell'Africa occidentale.
Per avere un quadro completo bisogna anche citare l'importante presenza della Wagner (i mercenari pagati dalla Russia) nella regione che complica notevolmente la situazione.
 
Al recente vertice Russia-Africa che si è tenuto a San Pietroburgo il 27 e 28 luglio 2023 hanno partecipato 17 capi di Stato, altri 32 Paesi africani sono stati rappresentati da alti funzionari o ambasciatori. 
Durante questo vertice molti capi di Stato africani hanno accusato apertamente l'Occidente di aver saccheggiato per decenni l'Africa ponendosi la domanda: "Come è possibile che in un continente ricco di risorse e materie prime come l'Africa, le persone muoiono di fame e sono costrette a emigrare?"  (vedi l'emblematico intervento di Ibrahim  Traoré presidente del Burkina Faso https://www.youtube.com/watch?v=_ztLT-_gzww ,  vedi l'intervento del Presidente del Congo, Felix Tshisekedi al vertice Francia-Congo: "La Francia dovrebbe rispettare il Congo con dignità da pari, smettetela di vederci come un'ex colonia."  https://www.youtube.com/watch?v=FWC1p8LytAk     Burkina Faso, Mali, e Guinea riconoscono la giunta militare in Niger (che ha preso il potere a fine luglio 2023) e dichiarano che un intervento militare da parte dell'Occidente sarebbe un'interferenza in affari interni di un Paese e costituirebbe una dichiarazione di guerra. Vedi BBC news https://www.youtube.com/watch?v=mXzM5pFxCSA  
I Paesi africani stanno prendono consapevolezza di essere stati per anni sfruttati dall'Occidente con la complicità di molti capi di Stato africani corrotti.    (leggere anche l'articolo https://maramici.blogspot.com/search?q=La+carit%C3%A0+che+uccide ).
 
Il presidente della Federazione Russa Vladimir Putin ha approfittato del vertice Russia-Africa per cercare di influenzare i Paesi africani a prendere le distanze dall'Occidente.  
Putin ha esortato gli invitati a stringere le relazioni con Mosca al fine di “stimolare il commercio e gli investimenti, nonché lavorare insieme su questioni urgenti come la lotta alla povertà, la formazione di professionisti qualificati, la sicurezza alimentare, il cambiamento climatico”. In più: il Cremlino ha auspicato il rapido ingresso nel G20 dell’Unione Africana (forum di venti nazioni), esattamente come già accade per l’Unione Europea.
Putin, inoltre, si è offerto di fornire grano ai Paesi africani più vulnerabili ed intende inviare fino a 50mila tonnellate di grano a Burkina Faso, Zimbabwe, Mali, Somalia, Eritrea e Repubblica Centrafricana nei prossimi tre o quattro mesi. 
Per Putini l'appoggio dei 54 paesi africani è strategico nelle votazioni alle Nazioni unite e il vertice di San Pietroburgo ha costituito una tappa importante per rafforzare i legami con un continente di 1,3 miliardi di persone che si sta affermando sempre più sulla scena globale (il precedente vertice ha avuto luogo nel 2021  e  avevano partecipato alle riunioni 42 Capi di Stato africani). 
  • Alcuni commenti ai video sopra riportati:  
  • African people are gradually waking up, and rising with a new confidence. If African union rises and stands as one power like the Europeans are doing, then Niger and Africa will succeed. It is high time Africa stood up against abuse, misuse of Africa by colonial mentality of Europeans and against corrupt African regimes!
  • Every country has the right to do what it wants with its government and politics without any outside interference!
  • Freedom and sovereignty for Africa! Solidarity with Niger, Burkina Faso, and Mali!
  • At last,Africa is gaining it's consciousness...A coup to revolution
  • Thanks for Zelenskyy. West losing alliance with everyone because of him . Congratulations.
  • As a young African man, I should also add that I wouldn't hesitate to go to Niger and fight against the colonizers and imperialists if any outside forces tried to meddle in that country's internal affairs     

sabato 29 luglio 2023

La meditazione - Mingyur Rimpoche

In questo insegnamento, Mingyur Rinpoche illustra gli aspetti preliminari della meditazione. I punti da ricordare sono i seguenti: 
    - L'esperienza di meditazione segue delle fasi divese, a volte siamo coinvolti altre volte meno.
    - Lasciarsi andare non significa arrendersi.
    - L'approccio più efficace alla meditazione consiste nel fare del proprio meglio senza aspettative.
    - Quando la persona è equilibrata, i risultati arrivano più facilmente.              

I due scopi della meditazione di consapevolezza sono:  ◦ trovare la felicità interiore  -
        ◦ trasformare tutto in un supporto per la meditazione.
Le qualità della consapevolezza sono:   ◦ amore e compassione,  ◦ saggezza,   ◦ capacità.                        La consapevolezza è la qualità naturale della mente.

L'utilizzo di diverse tecniche di meditazione permette    ◦ di adattarsi a  personalità diverse
      ◦  mantiene la meditazione sempre viva.

Punti da ricordare:
    - Si può meditare ovunque, in qualsiasi momento e in qualsiasi circostanza.
    - I luoghi tranquilli non sono una necessità per la pratica della meditazione.
    - Questo modo di praticare migliora la meditazione.
    - Tempi brevi a volte aiutano la capacità di pensare con chiarezza.

Meditazione a piedi. Iniziate stando in piedi per un momento. Mentre siete in piedi, percepite come la consapevolezza permea tutto il vostro corpo; c'è una qualità di conoscenza che si estende alle sensazioni del vostro corpo.
 Successivamente, iniziate a camminare normalmente con gli occhi aperti e a essere semplicemente consapevoli delle sensazioni del vostro corpo mentre camminate. Potete essere consapevoli del fatto che i vostri piedi toccano il suolo o qualsiasi altro punto del corpo in cui le sensazioni sono prominenti.
 Non è necessario concentrarsi molto. È sufficiente un leggero tocco di consapevolezza di qualsiasi sensazione sia presente.
  Non bloccate le altre esperienze che si verificano mentre camminate. Lasciate semplicemente che la consapevolezza riposi con le sensazioni mentre camminate.
  È del tutto naturale perdersi nei panorami o nei suoni mentre si cammina. Riconoscete ciò che sta accadendo e riportate delicatamente la consapevolezza alle sensazioni del vostro corpo durante il movimento.
  Assumete un atteggiamento giocoso in questa pratica, notando come la mente è presente, poi si perde e poi ritorna, ancora e ancora.
 Durante questa pratica possono esserci sensazioni piacevoli, spiacevoli o neutre. Tutte e tre supportano ugualmente il riconoscimento della consapevolezza.
Al termine della meditazione camminata, fermatevi un attimo e notate le sensazioni del vostro corpo mentre siete in piedi. Apprezzate anche il tempo che avete dedicato a questa pratica.

Una pratica di meditazione può utilizzare suoni piacevoli come supporto alla consapevolezza.
    - Spesso durante la pratica si ha la sensazione di sperimentare più pensieri ed emozioni rispetto a prima di iniziare a meditare.
    - Sentire che si sta peggiorando quando si inizia a meditare è un buon segno. 

Per riassumere: 

- si può meditare ovunque e in qualsiasi momento,
- si possono utilizzare oggetti o situazioni specifiche come inizio per la consapevolezza,
- si può utilizzare anche la meditazione camminata,
- importante è trovare una pratica che funzioni per voi.
- importante è implementare la meditazione nella vita quotidiana.

Riflettete sulla vostra meditazione e annotate eventuali intuizioni, confusioni o esperienze importanti che si verificano durante la pratica. Come possono queste esperienze influenzare la vostra pratica? In che modo questa pratica ha cambiato la vostra esperienza del semplice atto di camminare?
Che cosa offre la meditazione camminata alla vostra pratica di meditazione, oltre alla pratica seduta? Ha cambiato la vostra comprensione della meditazione?

Iniziate con una Meditazione guidata di 10 minuti, 15 o 20 minuti.  Istruzioni per la pratica:
-  Trovate una postura che vi permetta di essere consapevoli e attenti, ma anche rilassati e a vostro agio e iniziate la sessione di meditazione.
  - Prendetevi un momento per notare semplicemente ciò che accade nel vostro corpo. Se ci sono tensioni in alcuni punti, prendetene coscienza. A volte, semplicemente portando la consapevolezza su questi punti, essi si rilassano naturalmente, ma se non lo fanno, va bene lo stesso.
  - Poi, lasciate andare tutta l'energia "del fare" della vostra mente e datevi il permesso di essere semplicemente. Lasciate andare naturalmente qualsiasi cosa stia accadendo in questo momento. Non importa quale sia lo stato d'animo in cui vi trovate; ciò che conta è la consapevolezza in sé: essere consapevoli di ciò che accade dentro di voi e intorno a voi in questo preciso momento.
 - Per questa pratica si consiglia di chiudere gli occhi, ma è possibile tenerli aperti se risulta più naturale farlo.
  -Potete anche ascoltare della musica piacevole o altri suoni che vi piacciono. Portate la consapevolezza a qualsiasi suono presente in questo momento. Usate ciò che sentite come supporto per la consapevolezza. Non è necessario focalizzarsi o concentrarsi su questi suoni, ma basta ascoltare con consapevolezza, come se si stesse ascoltando il più bel brano musicale che si sia mai sentito.
  - Mentre ascoltate, cercate di infondere nell'atto di sentire calore e curiosità. Anche in questo caso, l'ascolto non richiede alcuno sforzo. Basta notare ciò che si ascolta con un senso di esplorazione e curiosità.
   - Lasciate andare l'ascolto e riposate naturalmente in aperta consapevolezza per qualche istante. Siate semplicemente.  Ancora una volta, tornate alla meditazione sul suono, lasciando che sia il supporto per la consapevolezza.
   - Alternate l'uso del suono come supporto per la meditazione con il semplice riposo nel momento presente, lasciando che tutto sia così com'è.         - Fine della sessione.
 Se gli occhi sono stati chiusi, è possibile aprirli delicatamente e rimanere per qualche istante. Riposare naturalmente, senza fare nulla, nel momento presente.

Riflessioni:  - In che modo l'ascolto consapevole di suoni piacevoli ha cambiato la vostra esperienza di ascolto? Avete notato qualcosa di diverso da ciò che potreste notare in un normale momento di ascolto di qualcosa che trovate piacevole e piacevole? Avete provato a fare questa pratica sia a occhi chiusi che aperti? Se sì, sperimentate la pratica in modo diverso quando avete gli occhi chiusi rispetto a quelli aperti?  Riflessione 3 - Riflettete sulla vostra meditazione e annotate eventuali intuizioni, confusioni o esperienze importanti che si verificano durante la pratica. Come possono queste esperienze influenzare la vostra pratica?

giovedì 27 luglio 2023

Monaco per un mese in Ladakh

In Ladakh, a 3500 metri su un altopiano circondato dalle montagne innevate del Tibet e laghi azzurri, il Mahabodi International Meditation Centre di Leh offre la possibilità di sperimentare per trenta giorni un’esperienza spirituale di buddhismo tibetano himalayano.  Il Ladakh ha poco meno di 60 mila chilometri quadrati e dal 2019 è un territorio a se stante rispetto all’India. Chiuso al turismo fino al 1974 ha una densità di popolazione di neanche 4 abitanti per chilometro quadrato.       

I partecipanti prenderanno parte alle attività quotidiane del monastero che ospita 11 monaci (6 giovani e 5 anziani) e 9 monache, tutti del Ladakh. Un’esperienza limite, nel cuore di quello che viene chiamato il «piccolo Tibet», nel territorio di Leh che oggi è conosciuta soprattutto per i siti buddhisti e trekking. Il Ladakh è descritto come un luogo dove la spiritualità buddhista e la sua antica cultura regnano sovrane, immerse nella natura incontaminata. È un’area desertica, ma fredda nel nord dell’India, punteggiata da minuscoli villaggi disseminati sulle vette himalayane adiacenti al Tibet. Le condizioni climatiche sono difficili e può capitare, se non si è attenti, di subire scottature o congelamento anche in estate. Particolarmente importanti sono i primi giorni del ritiro, visto che l’organismo deve acclimatarsi per l’altitudine a 3.500 metri dell’altopiano.

«Le giornate iniziano alle 5.30 del mattino con il suono di una campana e sono dedicate agli insegnamenti e includono sessioni di meditazione. A fine giornata ci sarà un momento dedicato alle domande/risposte, durante il quale si potranno chiedere approfondimenti su tecniche di meditazione, letture, e molto altri. Durante il percorso proposto è previsto l’alternarsi di 3 giorni di meditazione “guidata” e 2 giorni di pratiche individuali, durante i quali si potranno mettere in pratica i frutti degli insegnamenti, interagire con i monaci del centro e con le altre persone presenti al ritiro, oltre ad avere l’opportunità di vivere un’esperienza spirituale rilassante in questo deserto ad alta quota. Questa esperienza permetterà di avere uno scambio culturale profondo; infatti, i partecipanti dovranno adattarsi allo stile di vita monastico, sperimentando anche la quotidianità dei monaci buddisti, osservando le regole ed i precetti del centro.

Il centro di meditazione Mahabodi International Meditation Center nasce nel 1986 con lo scopo di offrire sia servizi umanitari che spirituali alle persone del Ladakh, nonché provvedere alla loro istruzione per migliorare le condizioni di vita locali.  - Adesso offre la possibilità a viaggiatori provenienti da tutto il mondo, di partecipare ad un'esperienza spirituale che include ritiri di meditazione, un'opportunità di apprendere le tecniche meditative e di ritrovare il proprio benessere mentale e fisico. Gli alloggi previsti sono piccole casette tradizionali (kuti), semplici ma confortevoli e pulite, che rendono il soggiorno ancora più pacifico e piacevole, rispetto al pernottamento nei tipici dormitori dei monasteri.
Per coloro che avranno  il desiderio di un cambiamento radicale c’è anche la possibilità di avere un colloquio con il monaco principale del centro, Bhikkhu Sanghasena, presidente e fondatore della Mahabodi International Meditation Center nel 1986.

Vedi: http://www.mahabodhi-ladakh.info/   https://www.consciousjourneys.com/it/monaco-per-un-mese/

Nelle tue mani - film di Ludovic Bernard

Non rinunciare ai tuoi sogni perché hai paura di fallire!  Tutta la tua frustrazione, il tuo dolore è nella musica che dovrai metterli!   

Nelle tue mani è una commedia del 2018 diretta da Ludovic Bernard. L'adolescente Mathieu Malinski vive nelle banlieue parigine, la periferia della capitale francese e ha,  un talento  particolare per il piano. E' stato allenato al piano fin da bambino da un anziano vicino di casa. Ma le cose ora sono cambiate, deve pensare a portare qualche soldo a casa, per aiutare la madre e il fratellino, mentre il padre non c’è più.  Mathieu ha un gruppo di amici della sua stessa età, con cui ogni tanto commette piccoli furti per tirare a campare. La passione che però non gli fa smettere di sperare è quella per la musica classica. Quello per il pianoforte, in particolare, è il suo amore segreto, poco comprensibile nell'ambiente in cui è nato e cresciuto.
Un giorno qualsiasi, il giovane Mathieu si trova in una delle tante stazioni di Parigi, e alla vista di un pianoforte, inizia a suonarlo. La sua performance non passa inosservata: Pierre Geithner, direttore del Conservatorio, viene rapito dallo speciale talento del ragazzo. Gli propone dunque di iniziare una carriera da musicista. Mathieu però non è convinto e rifiuta l’offerta, continuando con la sua vita di sempre. Il ragazzo si caccerà di nuovo nei guai, facendosi arrestare per furto. Pierre, a quel punto, gli propone un patto: scontare la sua detenzione lavorando per il Conservatorio. Mathieu entra in un nuovo mondo che gli porterà una prima cotta e la complessità nel trovarsi a suo agio in un contesto così diverso dal suo. E' lì che Mathieu comincerà a trovare la sua strada e a pensare di partecipare ad un prestigioso concorso, ma non sarà per niente facile...


Il cinema francese degli ultimi anni ha presentato un vero e proprio  genere dedicato a chi, attraverso la cultura e la realizzazione in un ambito poco abituale nella propria famiglia, riesce a uscire dal contesto sociale delle banlieu multietniche che circondano Parigi. Una storia nata per caso, da un viaggio del regista Ludovic Bernard - grande amante di musica classica e opera - che, partendo da una stazione parigina, ha visto suonare divinamente Chopin al piano un giovane che non rispondeva minimamente ai codici sociali del pianista.
Il regista Ludovic Bernard è all’opera terza. I due precedenti lavori sono entrambi del 2017. In passato è stato per molto tempo aiuto regista di Luc Besson.
Mathieu Malinski è interpretato da Jules Benchetrit che per prepararsi al film ha lavorato al piano per tre ore al giorno, per riprodurre la corretta gestualità.
Il direttore del Conservatorio è interpretato da Lambert Wilson, la virtuosa insegnante del piano, dura ma sempre più affezionata al giovane Mathieu, è interpretata da Kristin Scott Thomas.

Seitai - La scuola della respirazione

Il testo La scuola della respirazione di Itsuo Tsusa (1914 – 1984) parla del Movimento rigeneratore e del metodo Seitai, fondato dal maestro Haruchika Nogushi (1911-1976) nella prima metà del XX secolo. L'autore è nato in Corea da una famiglia di samurai ed è stato un filosofo giapponese. Itsuo Tsuda all'età di sedici anni si rivoltò contro la volontà del padre che lo destinava a diventare l'erede dei suoi beni (diritto di primogenitura); lasciò quindi la sua famiglia e si mise a vagabondare, alla ricerca della libertà di pensiero. Dopo essersi riconciliato con il padre, si recò in Francia nel 1934, dove studiò sotto la guida di Marcel Granet (sinologo) e Marcel Mauss (antropologo) fino al 1940, anno del suo ritorno in Giappone. Dopo il 1950 si interessò agli aspetti culturali del Giappone: studiò la recitazione del No con il Maestro Hosada (Scuola Kanze Kasetsu), il Seitai con il Maestro Haruchika Noguchi e l'Aikido con il Maestro Morihei Ueshiba. Itsuo Tsuda tornò in Europa nel 1970 per diffondere il Movimento rigeneratore e le proprie idee sul "ki". Scrisse nove libri sul movimento rigeneratore a partire dal 1973 e poi tradotti in diverse lingue.        

Haruchika Noguchi e Itsuo Tsuda si sono spinti molto oltre nella loro comprensione dell'uomo.  Osservavano gli individui nella loro indivisibile globalità/complessità, Dice Itsuo Tsuda: "Il maestro Noguchi mi ha permesso di vedere le cose in modo molto concreto. Attraverso le manifestazioni di ogni individuo, è possibile vedere cosa c'è dentro. È un approccio completamente diverso da quello analitico: la testa, il cuore, gli organi digestivi, ognuno prende la sua specialità e poi il corpo da una parte, la psiche dall'altra. Il Seitai ha permesso di vedere l'uomo, cioè l'individuo concreto, nella sua interezza; Seitai significa "terreno normalizzato".  "La parola "terreno" è intesa come l'insieme che costituisce l'individuo, psichico e fisico, mentre in Occidente dividiamo sempre in psichico e poi fisico ". 

"La malattia è una cosa naturale, è uno sforzo dell'organismo per ritrovare l'equilibrio perduto [...] È bene che la malattia esista, ma le persone devono liberarsi dal suo asservimento, dalla sua schiavitù. [...]  È così che Noguchi concepisce la nozione di Seitai, la normalizzazione del terreno, se così si può dire. Se non ci si prende cura delle malattie, non ha senso curarle. Se si normalizza il terreno, le malattie scompaiono da sole. Inoltre, si diventa più vigorosi di prima. Addio alla terapia. Basta con la lotta alle malattie ".

L'abbandono della terapia va di pari passo con il desiderio di rompere il rapporto di dipendenza che lega il paziente al terapeuta. Noguchi voleva permettere agli individui di prendere coscienza delle loro capacità inutilizzate, per risvegliarli alla piena fioritura del loro essere. Durante i vent'anni trascorsi insieme, i due uomini parlarono a lungo di filosofia, arte e così via, e Noguchi trovò nella vasta cultura intellettuale di Tsuda qualcosa che alimentava e ampliava le sue osservazioni e riflessioni personali. Tra i due si sviluppò così un rapporto di reciproco arricchimento.  

Per riassumere brevemente il Seitai è un "metodo" o una "filosofia", un'arte di vivere dall'inizio alla fine e rappresenta un'idea molto complessa in quanto non considera il concetto di buona salute, quale sinonimo di assenza di malattia. Per formare un esperto nella tecnica seitai occorrono più di venti anni. Parallelamente a questa tecnica, il maestro Noguchi ha messo a punto un metodo chiamato il movimento rigeneratore che appartiene agli insegnamenti exoterici e dunque aperto a tutti, mentre la tecnica seitai è un insegnamento esoterico.  Il movimento rigeneratore libera la spontaneità repressa.  Per "ki" si intende l'insieme di spontaneità, respirazione  e intuizione. Il movimento rigeneratore è una liberazione generale, mentale e fisica. Il mentale e il fisico sono inseparabili, a meno di separarli per comodità intellettuale. Esiste infatti una poderosa energia nel nostro universo, anche se noi abbiamo imparato a usarne solo una piccolissima parte e la pratica della scuola della respirazione insegna a sviluppare tale energia. Il diffondersi dei medicinali ha provocato malattie sconosciute una decina di anni fa. Nell'applicare il Taiheki (la polarizzazione dell'energia vitale), il maestro Noguchi ha identificato 12 categorie di individui.

Oggi, anche in Giappone, il Seitai ha preso una direzione che lo avvicina alla terapia e a una tecnica da applicare. Sta diventando una sorta di ginnastica "leggera" per il benessere, per il rilassamento. È molto lontana dal risveglio del vivente, dalla capacità di reazione autonoma del corpo che è il tema del Seitai di Haruchika Noguchi.  Inoltre, il termine "Seitai" è abusato e si riferisce a qualsiasi cosa. Alcuni praticanti di terapie manuali si dichiarano troppo facilmente praticanti Seitai (Itsuo Tsuda diceva che ci volevano vent'anni per formare un tecnico in Seitai sōhō!). L'ampiezza dell'arte di vivere, la comprensione globale dell'Uomo nel Seitai sembrano molto lontani. Se tutto ciò che rimane è una tecnica da applicare ai pazienti, l'essenziale è perduto. 

martedì 25 luglio 2023

Milan Kundera. Il romanziere dell'esistenza

Con Kundera (1929- luglio 2023), perdiamo un testimone chiave e un grande pensatore dell'Europa del XX secolo, uno degli ultimi giganti della letteratura mondiale. Milan Kundera il romanziere dell'esistenza è morto e amava spesso dire "quello che conta è l'opera, non la vita dell'autore".

Per oltre trent'anni, Kundera rifiutò di essere intervistato. Odiava i giornalisti che riscrivevano, fraintendevano e sovrainterpretavano tutto quello che lui e la moglie Vera dicevano. A chi chiedeva un'intervista rispondeva:  "Tutte le risposte sono nei miei libri".

Nel 1975, Milan Kundera lascia la Cecoslovacchia, ma si è sempre definito un romanziere piuttosto che un dissidente. Il politologo Rupnik descrive bene l'entusiasmo di Kundera per l'ideale comunista, e di come pensava di cambiare il partito negli anni sessanta, durante "la primavera di Praga". In quel periodo Kundera era un autore molto apprezzato nel suo Paese.

In gioventù, Kundera fu amico intimo di Milos Forman, Jiri Menzel e Juraj Herz, rappresentanti della brillante Nouvelle Vague ceca. A metà degli anni Cinquanta Kundera si iscrisse al Partito Comunista, il che gli permise di pubblicare due raccolte di poesie liriche (L'Homme ce vaste jardin nel 1953, e Monologues nel 1957 e un grande poema dedicato al combattente della resistenza ceca ai nazisti, Julius Fucik (1955), oltre a un libro di saggi Les Propriétaires des clés (1962). Per un certo periodo Kundera fu vicino anche a Vaclav Havel (1936-2011), con il quale ebbe molte discussioni che portarono i due a posizioni diverse sul  "destino ceco". Kundera riponeva molte speranze nell'effervescenza della "Primavera di Praga" del 1968. 

In patria, Kundera pubblicò i suoi racconti Risibles amours e il romanzo La Plaisanterie senza problemi di censura. Dopo la repressione della "primavera di Praga" continuò a insegnare, anche se con vessazioni e umiliazioni ma l'arrivo dei carri armati russi nel 1968, fu la sua prima grande disillusione.  Gli fu vietato di pubblicare, fu espulso dall'Accademia del Cinema di Praga e fu messo sotto sorveglianza dal regime, costringendolo all'esilio. 

L'opportunità di emigrare, per quanto straziante, inaugura una nuova era, un quasi-rinascimento letterario che raggiunge il suo apice alla fine degli anni Ottanta, con la caduta del Muro di Berlino e il rinnovato interesse per la letteratura mitteleuropea in Francia. Dal 1975 si rifugia in Francia con la moglie Vera, prima a Rennes e poi a Parigi dove fu introdotto nell'ambiente intellettuale parigino da Aragon e Claude Roy. Qui insegna cinema e studia all'École des hautes études en sciences sociales. Dopo Le livre du rire et de l'oubli (1979), che portò le autorità cecoslovacche a ritirargli la cittadinanza, nel 1984 pubblicò il suo romanzo più famoso, L'insoutenable légèreté de l'être (L'insostenibile leggerezza dell'essere), da cui fu tratto un film di Philip Kaufman (mai approvato da Kundera). Il clamore mediatico e le polemiche furono tali che Kundera decise di chiudersi irrevocabilmente alla scrittura. D'ora in poi, pubblicherà direttamente in francese, analizzando gli eccessi della modernità globalizzata.

La sua opera letteraria e le sue dichiarazioni pubbliche sono profondamente legate alla storia intellettuale e alla cultura dell'Europa centrale. Il suo saggio principale Un Occident kidnappé. Ou la tragédie de l'Europe centrale, pubblicato nel 1983, mostra una profonda conoscenza e comprensione della storia della regione e dei numerosi problemi legati alle sue divisioni e tensioni dopo la Seconda guerra mondiale.  Paradossalmente dopo la pubblicazione di questo saggio,  in seguito alla scomparsa dell'Unione Sovietica, Kundera fu attaccato con veemenza dalla stampa ceca per i suoi legami giovanili con il Partito Comunista. Milan Kundera, invece, credeva fortemente che il regime cecoslovacco del suo tempo potesse essere trasformato pacificamente e diventare, soprattutto grazie alla cultura, il "socialismo dal volto umano". 

Comunque l'ammirazione di Kundera per la cultura europea occidentale (anche se si ispirava continuamente a Cervantes a Carlos Fuentes, a Goethe a Diderot, a Kafka a Musil) non è mai stata assoluta. I due personaggi femminili principali de L'insostenibile leggerezza dell'essere sono esempi eloquenti di queste ambiguità. Tereza, non riesce più a sopportare l'oscurità della sua patria sotto l'occupazione sovietica. Fugge in Occidente, ma non riesce ad adattarsi, tanto che finisce per tornare in Cecoslovacchia e alla sua quotidianità da incubo. L'altra protagonista, Sabina, è un'artista con una sete più intensa di libertà e normalità. Anche lei fugge dall'altra parte della cortina di ferro, ma a differenza di Tereza, e nonostante le difficoltà che incontra in questo nuovo ambiente estraneo, non torna mai indietro. Questo è solo un esempio dell'ambivalenza che esprime la diversità e la stranezza delle scelte umane nel contesto europeo dell'epoca.

Kundera era un "romanziere" - e non uno "scrittore" - nel senso pieno del termine che attribuiva all'arte del romanzo, inteso come mezzo di conoscenza totale, estetico e non teorico, una vera e propria "chiamata al pensiero". Il suo saggio Les Testaments trahis del 1993, riporta questo approccio poetico e meditativo all'esistenza, "un atteggiamento, una saggezza, una posizione che esclude qualsiasi identificazione con una politica, una religione, un'ideologia, una morale, una comunità".

Il pronto impegno di Kundera nei confronti di Salman Rushdie nel 1988, all'epoca della vicenda dei Versetti satanici, testimonia l'impegno dello scrittore naturalizzato francese (aveva ottenuto la cittadinanza francese nel 1981, dopo che gli era stata tolta la nazionalità ceca 1979) nel difendere i diritti inalienabili della narrativa.  

____  Riferimenti

  • https://www.lemonde.fr/disparitions/article/2023/07/19/milan-kundera-a-ete-incinere-dans-la-plus-stricte-intimite_6182661_3382.html
  • https://www.lemonde.fr/disparitions/article/2023/07/12/en-compagnie-de-milan-kundera_6181638_3382.html
  • https://www.lemonde.fr/disparitions/article/2023/07/12/milan-kundera-romancier-de-l-existence-est-mort_6181627_3382.html
  • https://www.lemonde.fr/idees/article/2023/07/13/norman-manea-avec-kundera-nous-perdons-un-temoin-cle-et-un-grand-penseur-de-l-europe-du-xx-siecle-de-ses-remous-de-ses-conflits_6181769_3232.html
  • Sur Arte : l’itinéraire d’un romancier en exil, entre triomphes éditoriaux et renoncements personnels 

L'amore secondo Kundera

Milan Kundera (1929-2023) mi ha colpito per lo stile e la struttura narrativa dei suoi romanzi, il suo senso dell'umorismo, la prospettiva visionaria sul suo tempo, il suo vigore e la sua ironia sfumata, il fascino dei suoi personaggi femminili e il posto che l'amore occupa nella sua opera.  

Uno dei miei libri preferiti è L'insostenibile leggerezza dell'essere di Kundera.  Questo libro, diventato dagli anni ottanta libro «da leggere» per tutti gli intellettuali, studenti e amanti della filosofia, fu portato sugli schermi nel 1988 da Philippe Kaufman con protagonisti Daniel Day-Lewis e Juliette Binoche. Il libro contiene la narrazione di vicende personali e sentimentali dei protagonisti ma sempre futili se confrontate con la cornice più storica e cruda della Cecoslovacchia della "Primavera di Praga". Lo stile era quello del romanzo-saggio, l’unico in grado di unire elementi propriamente narrativi a riflessioni personali.
Nel romanzo riporta la difficile condizione degli intellettuali in quel periodo, intrecciata a storie sentimentali, tradimenti e passioni. Le vicende dei quattro protagonisti e delle loro complesse vicende amorose sono in primo piano ma viene riportato lo sfondo storico, l'ambiente di censure e privazioni che caratterizzava quel periodo della repressione sovietica. É proprio questa quella "leggerezza" dell'opera di Milan Kundera, ciò che si oppone alla pesantezza della condizione umana, alla libertà negata e al pessimismo causato dall’invasione sovietica.
Accanto alla precarietà della condizione umana, Kundera riuscì a intrecciare abilmente trame capaci di catturare il lettore ma allo stesso tempo descrivere ambientazioni storiche. I suoi personaggi sono travolti da malintesi e illusioni svanite, con diversi colpi di scena che evidenziano l'inutilità di ogni progetto umano e la divergenza dei punti di vista tra gli individui. 

In questo libro Kundera parla dell'immortale tema dell'amore, del mito trattato da Aristofane nel simposio di Platone. Anche per Kundera l’amore è il desiderio e ricerca della metà perduta di noi stessi. L'unione è alla radice dell'amore. E' la ricerca dell'anima gemella narrata dal mito degli Androgeni: ''Per ciascuna persona ne esiste dunque un’altra che le è complementare''.

  

Solo che spesso l’uomo non trova l’altra metà di se stesso e al suo posto gli mandano in una cesta una ragazza quasi sconosciuta affidata alla corrente di un fiume. Quando ha aiutato questa ragazza a raggiungere la  riva si domanda se è stata la scelta giusta. Può passare tutta la vita a chiederselo, ma alla fine si convince che in realtà è del tutto naturale non sapere quel che si vuole, perché si vive una sola volta, e la vita non si può né confrontarla con le vite precedenti, né correggerla nelle vite future. Senza questa possibilità ogni considerazione è un gioco di ipotesi.

Sarebbe bello scoprire cosa resta della vita quando ci si sbarazza del “cosi deve essere”, del nostro “fardello interiore”. Forse poteva essere diversamente, forse ciò che abbiamo vissuto è stato determinato dal caso. Nel cervello esiste una regione del tutto particolare che si potrebbe chiamare "memoria poetica" nella quale viene registrato ciò che più ci affascina, che ci commuove che rende bella la nostra vita.

L’amore comincia nell’istante in cui si incontra una donna e si iscrive, con la sua prima parola, nella nostra memoria poetica. Da quel momento nessuna donna ha il diritto di lasciare in questa parte del cervello foss’anche la più fuggevole impronta.

Kundera associa la vita a una composizione musicale: Fintanto che le persone sono giovani e la composizione musicale della loro vita è ancora alle prime battute, essi possono scriverla in comune e scambiarsi i temi, ma quando si incontrano in età più matura, la loro composizione musicale è più o meno completa, e ogni parola, ogni oggetto, significano qualcosa di diverso nella composizione dell’atro.

Non potremo mai stabilire con certezza fino a che punto i nostri rapporti con gli altri siano i risultati dei nostri sentimenti, del nostro amore, del nostro non-amore, delle nostre paure, del nostro rancore e fino a che punto sono condizionati dal rapporto di forze tra gli individui. Per questo Kundera dice: “Cosi deve essere”.  Una cosa è certa ed è che tutti abbiamo bisogno di qualcuno che ci guardi. Esistono diverse categorie di persone:

  •  Quelle che desiderano lo sguardo di una infinità di persone anonime, 

  • Quelle che necessitano lo sguardo di molte persone conosciute, 

  • Quelle che hanno bisogno di essere davanti agli occhi della persona amata,  

  • Quelle che vivono sotto lo sguardo immaginario di persone assenti, questi sono i sognatori.

Spesso ci poniamo troppe domandare sull’amore: che cosa è l’amore, se ti amo, se ho mai amato qualcuna/o più di te ecc.   Tutte queste domande non aiutano all’amore. Forse non siamo capaci di amare proprio perché desideriamo essere amati, vale a dire vogliamo qualcosa dall’altro invece di avvicinarci a lei/lui senza pretese e volere solo la sua semplice presenza e dormire accanto a lui o lei.

Una cosa importantissima  è quello di provare compassione (co-sentimento) per qualcuno, che significa vivere e provare insieme a qualcuno dei sentimenti che possono essere gioia, angoscia, felicità, dolore.

Spesso le persone vogliono cambiare il tempo e per loro, la felicità è desiderio di ripetizione, ma purtroppo il tempo umano avanza in linea retta ed impedisce di essere felici.

Il tema centrale del libro è la leggerezza e la pesantezza dell'esistenza. Non c’è niente di più leggero e bello che tradire, uscire dai ranghi e partire verso l’ignoto. Però nello stesso tempo, l’assenza assoluta del fardello fa sì che l’uomo diventi leggero, diventi solo a metà reale, ed i suoi movimenti siano tanto liberi quanto privi di significato. Spesso il fardello che ci opprime ci schiaccia al suolo, e questa è l’immagine del più intenso compimento vitale. Tanto più la nostra vita è vicina alla terra, tanto più è reale e autentica. Ciò che è necessario è pesante, solo ciò che pesa ha valore. La pesantezza e la leggerezza sono due poli inconciliabili che si attraggono. Chi è pesante non può fare a meno di innamorarsi perdutamente di chi vola lievemente nell’aria, tra il fantastico e il possibile;  mentre i leggeri sono respinti dai loro simili e trascinati dalla “compassione” verso i corpi e le anime possedute dalla pesantezza.

Nella vita é dimostrato che tutto quello che scegliamo e apprezziamo come leggero non tarda a rivelare il proprio peso insostenibile. Forse solo la vivacità e la mobilità dell’intelligenza sfuggono a questa condanna. 

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  Il Blog è nato nel marzo 2021, in tempo di pandemia, per comunicare e condividere le mie letture e i miei interessi.  Nel Blog ci sono cir...