Il termine yoga serve a definire tutte le tecniche di ascesi e di meditazione. Esistono anche dei tipi di yoga non bramanici come quello buddhista e jainista. Yug significa legare e lo scopo è unificare lo spirito, di abolire la dispersione e gli automatismi che caratterizzano la coscienza profana, e il presupposto è la rottura dei legami che uniscono lo spirito al mondo, Per le scuole devozionali (mistiche) questa unificazione, non fa che precedere la vera unione tra l'anima umana e Dio.
Lo yoga ha una struttura iniziatica e si può iniziare il percorso solo con un maestro (guru). Lo yogi si sforza di morire a questa vita, per rinascere a un altro modo di essere che le varie tradizioni descrivono con i termini moksha, nirvana, asamkrta, etc.
Lo yoga è stato integrato e valorizzato in tutti i movimenti religiosi, induisti e eretici, e rappresenta una contrapposizione alle speculazioni metafisiche e agli eccessi di un ritualismo fossilizzato.
Il termine Yoga nella letteratura indiana ha molti significati, il meglio precisato è quello esposto nella filosofia yoga (yoga-darshana) attraverso il libro Yoga Sutra di Patanjali.
Lo yoga è uno dei sei darshana tollerati dal Brahamanesimo.
Lo Yoga sutra è stato scritto tra il II e il V . secolo a.C ed è costituito da 4 capitoli (padha) il primo 51 versi, il secondo 55, il terzo 55, il quarto molto più corto, 34 versi; sembra essere stato aggiunto successivamente (in totale 155 versi). Alcuni commentatori sottolineano alcune tracce di antibuddhismo e quindi pensano che dati dopo il V secolo a.C. e altri commentatori pensano che il testo sia stato modificato più volte a secondo il periodo storico di riferimento. Uno dei primi commenti e uno dei più importanti è lo Yogabhaskya di Vyasa (VI-VII secolo).
Patanjali non fa che riprendere la filosofia Samkhya, filosofia atea, che inserisce in un teismo superficiale (lo yoga postula l'esistenza di un Dio supremo Ishvara). Altra differenza: la filosofia Samkhya asserisce che la sola via alla liberazione è la conoscenza metafisica, mentre per lo yoga sono indispensabili le tecniche di meditazione.
Patanjali ha trasformato lo yoga da tradizione mistica a un sistema di filosofia. La filosofia Samkhya è la più antica e si rifa a un trattato la Samkhya Karika d'Ishvara Krishna che è sicuramente antecedente al V secolo a.C. La ricerca di questa filosofia si basa sullo sforzo di identificare gli elementi costitutivi dell'esperienza umana: quelli mortali e quelli immortali che accompagnano l'anima dopo la morte e che costituiscono il vero Sé, l'elemento immortale dell'uomo (pag. 14). Per il Samkhya e lo yoga il mondo è reale, mentre per la filosofia Vedanta è un'illusione.
In ogni caso il mondo si manifesta grazie alla nostra ignoranza.
L'India rigetta il mondo a partire dalle Upanidhad, esiste qualche altra cosa che è al di là del divenire, della temporaneità, della sofferenza. L'India è assetata del sacro. Neti Neti, tu non sei questo, non sei quello, non appartieni al Cosmo come appare. Si cerca di arrivare alla Conoscenza suprema che permette di liberare l'essere umano dall'ignoranza e dal dolore e dal ciclo delle reincarnazioni. In alcune forme di yoga, tra cui lo yoga tantrico si avverte uno sforzo disperato di rendere l'esistenza sacra, di sacralizzare l'esistenza.
Altro punto in comune tra buddhismo, yoga e samkhya e cercare di scappare dalla sofferenza, "il saggio cerca di scappare dalla sofferenza", scrive Patanjali (cap. II, 15), e Ishvara Krishna, l'autore del più antico trattato Samkhya scrive che esistono tre tipi di sofferenze: la miseria celeste, le miserie terrestri e le miserie interne (organiche). Ma non c'è pessimismo in quanto tutte le filosofie o percorsi spirituali indiani asseriscono che esiste il mezzo per mettere fine al dolore procurato dall'ignoranza: o tramite la conoscenza metafisica o tramite pratiche o tecniche meditative. Ed arrivare così alla conoscenza del vero Sè.
Lo spirito ( o anima) è accettato da tutte le filosofie eccetto il buddhismo e i materialisti. Per il Vedanta l'atman ha le qualità di Sat Cit Ananda. Per il Samkhya e o Yoga, lo spirito (purusha) non ha nessuna qualità, è quello che E' e Conosce ed è inesprimibile. Mettono l'accento sullo strano rapporto tra purusha e prakrti. La buddhi (l'intelletto) è il prodotto estremamente raffinato della sostanza (o materia) primordiale, la prakrti. Visto che proviene dalla prakrti, la buddhi non potrà mai riuscire a conoscere il Sé. Patanjali parla della prakrti (2, 3) e delle sue modalità (sattva, rajas, tamas), sempre presenti in ogni cosa in proporzioni diverse. Le tre modalità sono sempre presenti nei cinque elementi sottili (potenziali) del mondo fisico. L'ahamkara (l'ego) ha creato un duplice universo: quello esterno e quello interno, che hanno molte corrispondenze. La differenza tra l'uomo e il Cosmo, non è che una differenza di proporzioni, non di natura.
Il Samkhya asserisce che una creazione così vasta, un insieme così complesso di organismi e forme (manifestazioni della Prakrti, debba avere una giustificazione e un significato che poi viene trovato nel Purusha. Anche la coscienza è un prodotto della prakrti e non può in nessun modo entrare in contatto con lo spirito e l'essenza. La comprensione del mondo esterno si può ottenere solo grazie al riflesso del Purusha nell'intelligenza (buddhi). Ma il Sè rimane puro, libero, impassibile e eterno. Niente di Divino interviene nella creazione (il Samkhya nega l'esistenza di Dio e Patanjali non gli dà molta importanza).
Perchè il purusha puro e statico, privo di contatto con la Natura permette l'impurità, il divenire, l'esperienza, il dolore e la storia?
Questo è il punto critico della filosofia Samkhya; il Vedanta risponde dicendo che quello che vediamo è Maya (illusione) e critica le posizioni dello Yoga e del Samkhya che affermano che una parte dello Spirito è in ciascun essere umano (ed esiste quindi una pluralità di Sè).
La liberazione (moksa) è una liberazione dal male e dal dolore. E la persona che è arrivata a questo stato perde l'identità, non è più lui in quanto sè. Il samkhya asserisce che la sofferenza non può mantenere un rapporto con il Sé e pertanto non esiste (pag. 40).
Lo yoga classico di Patanjali ingloba tutta la filosofia samkhya, ma pensa che la conoscenza può solo preparare il terreno in vista dell'acquisizione della libertà (mukti) attraverso la pratica (abhyasa) comprendente tecniche ascetiche (tapas) e metodi contemplativi. E passare così da una coscienza normale a una coscienza più alta che possa arrivare a comprendere la verità metafisica. Tutte le esperienze psicologiche sono prodotte dall'ignoranza della vera natura del Sè (Purusha). Lo yoga si propone di distruggere uno dopo l'altro, i vari stati della coscienza.
Patanjali descrive cinque matrici produttrici di stati psico-mentali (citta vrtti): l'ignoranza (avidya), il sentimento di individualità (asmita), l'attaccamento (raga), il disgusto (devca), e l'amore della vita (abhiniveca) che producono sofferenza. Lo yoga permette di sospendere le vrtti e di abolire la sofferenza. Tutte queste matrici vengono dal subconscio, queste latenze (vasana) sono l'ostacolo alla liberazione. Le vasana hanno la loro origine nella memoria (vyasa) e condizionano il carattere e la vita di un individuo. Gli atti dell'uomo (karma) suscitate dagli stati psico-mentali (citta vrtti), suscitano a loro volta altre citta vrtti. Qui sorge la similitudine tra lo yoga e la psicanalisi, lo yoga mette in relazione il conscio con l'inconscio e crede che il subconscio possa essere dominato e conquistato dall'ascesi unificando i vari stati di coscienza. ( Pag 53)
Le tecniche dello yoga.
Uno yogi deve poter ottenere in qualsiasi istante la concentrazione su un solo punto. Le asana sono delle tecniche caratteristiche della ascesi indiana. Sono trattate nelle Upanishad, nella letteratura vedica, e allusioni alle asana sono presenti nelle Epopee e nei Purana. A livello del corpo, l'asana è la concentrazione in un solo punto. Il pranayama, la disciplina del respiro, è il rifiuto di respirare come l'uomo comune, in maniera aritmica. L'obiettivo è quello di ritmare più lentamente possibile la respirazione, e attraverso questo processo sperimentare stati di coscienza e consapevolezza diversi (la psicologia indiana individua quattro stati di coscienza, l'ultimo il tuyra è la coscienza catalettica).
I veri yogi cercano di controlalre il loro corpo al fine di penetrare il segreto della vita psicosomatica. Desiderano conoscere i livelli profondi della psiche e i suoi meccanismi, per poi trovare i mezzi per controllarla. (pag. 65).
Nonostante l'importanza del pranayama, Patanjali gli dedica solo tre sutra (versetti). Si trovano dei dettagli tecnici nei testi dei vari commentatori agli Yoga Sutra, tra questi anche dei dettagli tecnici di Vyasa.
Il controllo del respiro è presente anche nel Taoismo con il nome di respirazione embrionale (t'ai-si) e i taoisti, influenzati dallo yoga tantrico, praticano il controllo del respiro.
pag. 70. Isvara, il Dio degli Yoga sutra, è un puro spirito che NON ha creato il mondo, e NON interviene nella storia, né direttamente, né indirettamente. Lo yoga ha un valore religioso in quanto lo yogi cerca di imitarlo, cercando di superare la condizione umana e arrivare alla liberazione, la perfetta autonomia del purusha. Attraverso l'immobilità e la concentrazione su se stessi, ogni attività è sospesa, realizzando citta-vrtti nirodha, la soppressione degli stati psico-mentali, la citta (la coscienza) dimora in se stessa (svarupamatre). Anche restando staccato dai fenomeni, lo yogi continua a contemplarli nell'essenza degli oggetti (tattva). Per arrivare a questo lo yogi usa il samyama, concentrazione, meditazione e samadhi. Isvara è un purusha libero (pag. 76) sin dall'eternità, mai toccato dal dolore. Il suo ruolo è modesto, può essere di ispirazione agli yogi che hanno deciso di mettersi su questo cammino. Diventa in questo modo un archetipo dello yogi, un Macro-yogi. Un guru dei saggi di epoche immemoriali, non legato al Tempo (I, 26).
Questo è il motivo che spiega perchè Patanjali abbia sentito il bisogno di introdurre Isvara che del resto ha un ruolo modesto. Infatti, il Samadhi può essere ottenuto anche senza questa concentrazione su Isvara. Autori e commentatori successivi, influenzati dalla bakthi e dal vedanta accorderanno a Isvara un ruolo più importante, una speciale grazia capace di predestinare la vita degli uomini.
Samadhi è lo stato contemplativo nel quale il pensiero percepisce immediatamente la forma dell'oggetto, e l'oggeto si rivela in lui stesso, come se era vuoto in se stesso (III, 3). Il samadhi, più che una conoscenza è uno stato, una modalità specifica dello yoga. Fissata nel samadhi, la coscienza (citta) può avere la rivelazione immediata del Sé (purusha). Praticando il samyama lo yogi acquisisce una serie di poteri occulti (diventa un mahasiddha). Tra cui il conoscere il momento della morte (III, 21).
Pag. 141. Il Buddha ha formato il suo pensiero nel seno della tradizione dello yoga e il suo l'obiettivo è quello della liberazione dalla sofferenza. Ma il buddha rifiuta di postulare l'esistenza di un purusha o atman; rifiuta anche le conclusioni speculative delle Upanishad: ossia il postulato di un Brahman, spirito puro, assoluto, immortale e eterno, identico all'atman, perchè questo dogma rischiava di soddisfare l'intelligenza dell'uomo e impedirgli di svegliarsi. La liberazione per il buddhismo, come per lo yoga si ottiene solo grazie agli sforzi personali, di una assimilazione concreta della verità. Tutto quelloche si può dire del nirvana ( o javan-mukta) è che non è di questo mondo. Il tathagata è inesprimibile, insondabile come il grande oceano. Corrisponde al neti, neti delle Upanishad.
Il tantrismo e lo yoga. Tantra è quello che estende la conoscenza. Tantrismo è il movimento che si sviluppa a partire dal IV secolo e prende forma nel VI secolo in India e in poco tempo la filosofia, la mistica, i rituali e la morale, l'iconografia e la letteratura sono influenzati dal tantrismo. Esiste un tantrismo buddhista, indù e jainista, e ci sono forti influenze nello shivaismo del Kashmir. Nel buddhismo è stato introdotto da Asanga (verso il 400) e da Nagarjuna (II secolo d.C.) e corrisponde al buddhismo vajrayana. Il Guhtasamaja-tantra, considerato da alcuni scritto da Asanga, è il più antico testo del vajrayana. Nel II secolo per la prima volta nella storia dell'India ariana viene esaltato il mistero della donna, e la Grande Dea assume un ruolo predominante: nel buddhismo diventa Prajnamita che incarna la saggezza suprema, e Tara la deessa dell'India aborigena della cultura dravidica; nell'induismo è presente Shakti, la forza cosmica, la madre divina che si può collegare alla cultura dravidica. La donna incarna il mistero della creazione, dell'Essere, di tutto quello che è e che diviene, muore e rinasce in maniera incomprensibile. Riproduce lo schema della filosofia Samkhya, lo spirito, il maschio, il purusha è l'immobile e il contemplativo; è la prakrti che lavora, genera e nutre. Il tantrismo ha un'attitudine antiascetica, anti-speculativa. Non c'è bisogno di mantra, immagini e della meditazione. Accetta il Vuoto (sunya) come la vera natura e in questo si avvicina al Brahman del Vedanta. Il celebre Guhyasamaja-tantra afferma che la perfezione si può acquisire facilmente attraverso la soddisfazione di tutti i desideri e attraverso l'esperienza totale della vita. Il corpo umano acquista con il tantrismo un'importanza straordinaria, mai raggiunta nella storia spirituale dell'India. Il corpo diventa lo strumento per conquistare la Morte e nello Hatha Yoga c'è la volonta di controllare il corpo per trasmutarlo in un corpo divino. L'apparizione dello Hatha Yoga è associata al nome di un asceta Gorakhnath che sarebbe vissuto nel XII secolo che era stato in stretto contatto con il Vajrayana. A lui si attribuisco due importanti testi l'Hatha Yoga (che è andato perduto) e la Gorakrshacataka. Ci sono poi i cosiddetti tre testi tantrici. Questi testi, influenzati dal buddhismo e dal Vedanta hanno come oggetto soprattutto la fisiologia e l'aspetto fisico, le tecniche di purificazione. Il filo conduttore di queste pratiche è che niente si può ottenere senza una pratica costante. Attraverso questi esercizi gli yogi (yogin) sviluppano delle capacità incredibili di controllo del sistema neuro-vegetativo, e l'influenza che possono esercitare sui ritmi cardiaci e respiratori. In questi testi si parla di energia sottile, di prana, nadi, chakra, ecc. Le esperienze post-mortem, descritte nel libro tibetano dei morti il Bardo Thodol corrisponde stranamente agli esercizi di meditazione yogico-tantrico. Nello yoga bisogna prepararsi a un altro modo di essere, per arrivarci, occorre morire a questa vita. L'ideale dello yoga è lo stato di jivanmukta, è di vivere in un eterno presente fuori dal tempo acquisendo un modo di essere trascendente, una coscienza-testimone che è lucidità e spontaneità pura.
Patanjali menziona il potere di conoscere il momento della morte. L'uomo che rifiuta la propria condizione e reagisce contro questa cercando di abolirla è assetato di libertà, dell'incondizionato, del sacro... Nel rifiuto della vita profana lo yogi imita il modello trascendente di Isvara. Cerca di unire due delle più importanti funzioni della vita, la coscienza e la respirazione. Lo scopo è coincidere con il Tutto, la perdita del dualismo, abolire il tempo è la creazione. Il carattere iniziatico dello yoga e quello di morire per rinascere.
Pag. 111 Lo yoga si rifà a due tradizioni: quella degli asceti e estatici che si rifà al Rig Veda e quella dei Brahmana e dell'interiorizzazione del sacrificio. E questo porta ad una sintesi spirituale importantissima. I veda contengono dei rudimenti di yoga ed accennano a discipline estatiche. Lo yoga ha giocato un importante ruolo nella spiritualità indiana.
Pag 113. Le upanishad e lo yoga. Seguendo le indicazioni delle Upanishad i rishi abbandonano l'ortodossia vedica per mettersi alla ricerca dell'assoluto. Tra le upanishad e lo yoga c'è sempre stata un'osmosi, certe tecniche yoga sono accettate come esercizio preliminari di purificazione e contemplazione in vista della ricerca metafisica e della contemplazione.
Il termine yoga si ritrova per la prima volta nella Taittiriya (ii,4) e la Katha (ii,12) ma le tecniche yoga soni presenti nelle upanishad più antiche come la Chandoya e la Brhadaranyaka. La conoscenza porta alla liberazione dalla morte. Nella Tattiriya viene illustrato il viaggio del giovane brahmano Naciketas agli inferni dove incontra Yama. Ci sono allusioni alle tecniche yoga.
Le tre vie per la liberazione sono la conoscenza delle upanishad, le tecniche yoga e la beatitudine (devozione) che saranno poco a poco integrate. Nella Svetasvatara si venera Shiva al posto di Vishnu. Il Brahman è identificato con Shiva, ci sono analogie nelle upanishad con gli yoga sutra. Le tecniche yoga producono la manifestazione del Brahman. La Madukya illustra i quattro stati di coscienza e il loro rapporto con la sillaba mistica Om. Lo yoga è il processo che prrmette di unire il prana, la sillaba Om e l'universo con tutte le innumerevoli forme.
Tra le varie upanishad (10 / 11) che parlano yoga la più importante è la Yogatattva in cui vengono menzionati gli otto anga di Patanjali e vengono menzionati quattro tipi di yoga ( mantra, laya, hatha, raja) e illustrate delle tecniche di pranayama. Vengono citate delle siddhi che hanno una relazione con l'alchimia e con la fisiologia mistica. Il samadhi è descritto come l'incontro del javatma (anima individuale) con paramatma (spirito universale) e non c'è più distinzione.
Pag 119. Nella Yogatattva la tecnica yoga è rivalutata e il jivatma è il paramatma sostituiscono il purusha è Isvara. Lo scopo dello yoga è il raggiungimenuo della condizione di uomo/Dio ossia la libertà illimitata e longevità.
Dhyanabindu è l'upanishad più ricca in indicazioni tecniche, a carattere magico e anti devozionale. Tutti i peccati di un uomo sono distrutti dalla meditazione yoga. Ed è la posizione del tantrismo che si emancipa da tutte le leggi morali e sociali. Comincia con la descrizione della sillaba OM ( a u m in sanscrito ). Si associa il pranayana agli dei vedici: Brahman all'inspirazione, Vishnu alla sospensione e Rudra all'esalazione del respiro. Si parla di energia sottile e risveglio della kundalini.
Nelle upanishad dello yoga non c'è più il primato della conoscenza pura, l'identità atman-brahman non si ottiene più grazie alla contemplazione ma sperimentalmente con tecniche ascetiche e fisiologia mistica. La devozione, il culto personale e la fisiologia sottile sostituiscono il ritualismo e la speculazione metafisica.
Pag 126. Il Mahabharata. Nel poema che data tra il VII e VI secolo a.C sono stati aggiunti successivamente vari capitoli e varie parti nei secoli successivi, tra cui la Bhagvad-Gita (VIcapitolo) e la Mokshadharma (VII capitolo). È in questo libro che si trovano molte allusioni allo yoga e al Samkhya.
La Moksha afferma che i precursori degli yogin si trovano nei Veda (le upanishad) e nel Samkhya. La Bhagavad Gita afferma che lo yoga e il Samkhya sono uno. Lo yoga vuole dire parecchie cose, perchè lo yoga è parecchie cose; ogni tradizione ascetica ha il suo yoga, la sua tecnica mistica. La Gita assegna allo yoga una grande importanza, ma a uno yoga appropriato all'esperienza religiosa Vishnuita.
Pag. 130. Lo yoga può essere compreso: 1- come disciplina che ha come scopo l'unione delle anime umane e divine. 2- come esperienza mistica applicata nelle correnti devozionali. Nella Gita per arrivare alla liberazione si può ricorrere 1- alla meditazione mistica ( sama ) e conoscenza 2- alla azione (karman), due metodi entrambi validi.
Propone uno yoga che non è più lo yoga magico del Mahabharata ma non è ancora lo yoga di Patanjali. Non è possibile astenersi dall'azione e dall'agire. L'azione è superiore alla non azione (III, 8). Meglio adempiere al proprio dovere (swadharma) anche se in modo parziale. La grande originalità della Gita è di aver insistito sullo yoga dell'azione, che si realizza rinunciando ai frutti dell'azione. E questo che ha contribuito al successo senza precedenti in India. Questo concetto ha permesso di distaccarsi dal mondo e nello stesso tempo continuare a viverci e agire, e con questo concetto la Gita ha cercato di conciliare tutte le vocazioni ascetiche, mistiche, attive e ribadito l'estrema flessibilità dello yoga. Nella Gita si può arrivare al nirvana (perchè non samadhi?) solo con la meditazione su Krishna. La devozione mistica (bhakti) di cui Krishna è l'oggetto ha un ruolo molto più importante di Ishvara negli yoga sutra. E importante la grazia di Krishna che permette allo yogin di raggiungere il samadhi. Concetto che si svilupperà poi nella letteratura vishnuita. Un vero yogin raggiunge la beatitudine infinita per il contatto con Brahman. Krishna nella Gita è lo spirito puro, il grande Brahman non è che la sua matrice. Krishna è il supporto di Brahman, come lo è dell'immortalità, dell'industruttibile, dell'ordine eterno, e della felicità. L'infinita beatitudine che risulta dall'unione con Brahman permette allo yogin di vedere l'anima (atman) in tutti gli esseri e tutti gli esseri nell'atlantico (vi, 30, 31). Tra le strade che portano alla liberazione la migliore è quella dello yoga, lo yoga è superiore all'ascesi (tapas), superiore alla scienza (jnans) e superiore al sacrificio. Le pratiche yoga si posizionano così al più alto livello nella spiritualità indiana e acquistano una grande popolarità. Queste pratiche yoga sono accettate anche dalla corrente devozionale vishnuita. Il discorso di Krishna equivale alla validazione di fronte all'induismo di uno yoga devozionale, delle tecniche yoga come un mezzo indiano di ottenere un'università mistica con il Dio personale. La maggior parte della letteratura moderna sullo yoga trova la sua giustificazione teorica nella Gita.