giovedì 24 giugno 2021

La carità che uccide

 Vi consiglio di leggere questi due bei libri che parlano degli aiuti ai Paesi in via di sviluppo in una chiave di lettura molto critica: 

La tirannia degli esperti: Economisti, dittatori e diritti negati dei poveri   di William Easterly del 2014. L'autore in questo testo ricostruisce le politiche per lo sviluppo economico messe in atto nei Paesi in via di sviluppo da organizzazioni come la Banca Mondiale, le Nazioni Unite, La Gates Foundation, e altre agenzie. La sua analisi evidenzia i gravi errori dell'approccio tecnocratico allo sviluppo che poggia su una premessa sbagliata: che gli abitanti dei paesi poveri siano troppo inaffidabili per lasciare che prendano da soli le proprie decisioni. Easterly dimostra che questo presupposto è doppiamente errato: è moralmente offensivo e politicamente sbagliato.   Easterly dimostra che una crescita economica più rapida non può essere la motivazione per calpestare i diritti degli individui e i valori democratici. Joseph Stiglitz, Premio Nobel per l'Economia. William Russell Easterly (1957) è un economista americano, specializzato nello sviluppo economico. È professore di economia alla New York University.

La carità che uccide: Come gli aiuti dell'Occidente stanno devastando il Terzo mondo  di  Dambisa Moyo del 2011 ma ancora estremamente attuale.   Gli aiuti dei Paesi occidentali alle disastrate economie dell'Africa subsahariana ammontano ad oltre mille miliardi di dollari elargiti a partire dagli anni Cinquanta. Venticinque anni dopo, la situazione è ancora rovinosa: cosa impedisce al continente africano di affrancarsi da una condizione di povertà cronica? Secondo l'economista africana Dambisa Moyo, la colpa è proprio degli aiuti, un'elemosina che, nella migliore delle ipotesi, costringe l'Africa a una perenne adolescenza economica, rendendola dipendente come da una droga. Questi aiuti contribuiscono a diffondere la corruzione in Paesi privi di una governance solida e trasparente. In questo libro Dambisa Moyo pone l'Occidente intero di fronte ai pregiudizi intrisi di sensi di colpa che sono alla base delle sue "buone azioni", e lo invita a liberarsene. Allo stesso tempo invita l'Africa a liberarsi dell'Occidente, e del paradosso dei suoi cosiddetti "aiuti" che pretendono di essere il rimedio mentre costituiscono il virus stesso di una malattia curabile: la povertà.  Dambisa Moyo (1969) è un'economista e scrittrice zambiana naturalizzata statunitense analista di macroeconomia e di affari globali. Attualmente fa parte dei consigli di amministrazione di Barclays Bank.


Video che trattano gli argomenti contenuti nei libri:
  • Why Democracies Aren't Producing Economic Growth (2018) - Dambisa Moyo    Vedi link
  • The Tyranny of Experts (2014)  Vedi link
  •  William Easterly and Dambisa Moyo: Emerging economies in 2013  Vedi link
  •   Is Aid Killing Africa? Dambisa Moyo talks about Dead Aid on AB  (2009)   Vedi link

mercoledì 23 giugno 2021

Il Canto IV della Bhagavad Gìta.

 Canto IV della Bhagavad Gìta.    Il questo canto il Dio Krishna parla ad Arjuna, ed il tema della discussione è  "Che cos’è l’agire? Che cos’è il non agire?"

Colui che sa vedere nell’agire il non agire e nel non agire l’azione, questi fra tutti gli uomini possiede la vigilanza della mente, quegli è unificato nello yoga, quegli assolve tutti i suoi compiti.

Quegli, le cui imprese sono affrancate dal desiderio e da progetti [interessati], è lui che chiama saggio la gente avveduta, quegli il cui agire è bruciato dal fuoco della conoscenza ...

Abbandonando ogni attaccamento al frutto dell’atto, eternamente soddisfatto, non cercando alcun appoggio [esterno], anche se si impegna nell’atto, non “fa” assolutamente nulla.

Non domandando né aspettando nulla, padrone della propria mente e di tutta la propria persona, poiché ha rinunciato a ogni appropriazione e non compie atti se non corporalmente, non cade in errore alcuno.

Soddisfatto di quanto riceve per caso, avendo superato le coppie dei contrari, esente da egoismo, sempre uguale nel successo come nell’insuccesso, anche se agisce non è legato all'atto.

Quando ogni attaccamento se ne è andato, ed egli è affrancato da ogni legame, e la sua mente è stabilita nella conoscenza [liberatrice] ed egli agisce in vista soltanto del sacrificio, tutto intero il suo atto si dissolve.

Quando non si aderisce più agli oggetti dei sensi né agli atti, è allora che avendo rinunziato a ogni “progetto interessato”, si è detti aver terminato l’ascesa dei gradi dello yoga.

Colui che ha lo stesso giudizio nei confronti di esseri benevoli, amici, nemici, neutri, gente odiosa, alleati, buoni e anche malvagi,  Colui …….. a cui appaiono uguali la zolla, la pietra e l’oro, quegli si distingue eminentemente.   

Il corpo esposto al vento dorato

 Cosa si fa di fronte ai problemi che la vita pone continuamente?

Li si vede, li si accetta, li si riconosce, e ci si rimboccano le maniche per trasformare le cose negative in opportunità di crescita. Del resto in cinese e giapponese l’ideogramma di “problema” è lo stesso di “opportunità”.

Quello che noi incontriamo come problema può essere vissuto e trasformato in opportunità di crescita. È un’occasione d’oro per capire delle cose di noi stessi e della vita. Si tratta di rivolgere lo sguardo dentro di noi e fidarsi di come vadano le cose nella vita.

Spesso vogliamo che vadano in un modo e ci incamminiamo in una direzione che magari è totalmente sbagliata. Spesso si chiudono tante opportunità, fino a che se ne presenta un’altra che in ultima analisi si rivela molto più adatta a noi di quanto inizialmente avessimo ritenuto.

Gli indiani dicono che  il karma, sia come un imbuto che ci convoglia verso quella che è la migliore direzione possibile per noi. Possiamo anche NON essere convinti che sia la migliore soluzione possibile per noi, ma esiste forse un’alternativa? 

Questa potrebbe essere l’interpretazione del seguente koan. Nello zen i i koan sono delle frasi apparentemente senza senso ma che racchiudono profonde verità.

Un monaco chiese ad un maestro zen “Com’è quando gli alberi ingialliscono e le foglie cadono?

Il maestro zen rispose “Il corpo esposto al vento d’orato”.

Il significato è il seguente: quando sei esposto ad eventi non belli cerca di prendere il meglio e coglierne le opportunità.

Ma che cos'è davvero il Tantra?

Non c’è area del pensiero filosofico indiano che susciti tanta curiosità e al tempo stesso tanti equivoci quanto il tantrismo. Ciò innanzitutto per la grande confusione dovuta ad una inadeguata conoscenza dei testi. Di fatto, solo negli ultimi decenni sono apparse edizioni e traduzioni dei grandi testi tantrici: primo fra tutti, il Tantraloka di Abhinavagupta (X-XI secolo). L’opera si presenta come una gigantesca summa del sapere esoterico, in cui si tratta diffusamente di ogni possibile aspetto della via tantrica alla liberazione: la natura onnicomprensiva della coscienza, le pratiche yogi connesse con il respiro  e il risveglio della kundalini, l’uso dei mantra, la preparazione dei mandala. Descrive i vari tipi di pratiche d'iniziazione, dai riti con contenuti sessuali più o meno espliciti, ai metodi che consentono al meditante di far emergere le emozioni profonde, fino ad arrivare a percepire la pulsazione della coscienza. 
La parola Tantra ha origine dal sanscrito, traducibile come “trama” ed è composta dalla radice Tan = "espansione", e il suffisso Tra = "liberazione". Si tratta di un insieme di dottrine e di pratiche millenarie volte all'espansione dell'ordinario stato di coscienza, e all’unione della coscienza individuale con quella universale, e del maschile con il femminile. 

Il Tantra è un processo quindi per renderci più coscienti.  Ci spinge a risvegliarci, ad essere più attenti alle restrizioni e alle identificazioni del nostro falso ego e a diventare più vitali attraverso il risveglio delle diverse forme di energia: energia trascendente, energia mentale, energia espressiva, energia affettiva, energia emozionale ed energia sessuale. L’obiettivo è quello di riconoscere la propria intima, intrinseca vera natura sotto le apparenze esterne. Quando ne diventiamo consapevoli, anche il più insignificante momento quotidiano acquista un’estrema bellezza. In questo modo, non c’è più nulla di ordinario nella vita. Il tantra incoraggia a vivere la vita intensamente, totalmente, liberandola dalle tensioni, dai modelli precostituiti, dalle inibizioni. E’ il sentiero dell’anima che onora anche la sacralità del corpo celebrando i sensi e le esperienze di vita, la gioia della sensualità e della sessualità. 

La filosofia tantrica affonda le sue radici sia nel buddhismo che nell’induismo arcaico, ma si ritiene che sia stato l’induismo ad ereditare il tantra dal buddhismo, e non viceversa, poiché i più antichi testi filosofici di riferimento sono di compilazione buddhista. Al centro del pensiero tantrico vi è l’universo manifesto, considerato come espressione fisica e sensoriale del non manifesto: da qui l’idea che, attraverso l’immersione nel primo, si possa giungere a realizzare la piena unità con il secondo.
La disciplina tantrica lavora sull’armonizzazione dell’energia maschile e femminile, Shiva e Shakti, e il fine è risvegliare e canalizzare in modo appropriato l’energia Kundalini, che risiede dormiente alla base della colonna vertebrale, depositaria del segreto dell’illuminazione. 

Asana, mantra, pranayama, meditazione e retto agire, sono le componenti fondamentali del Tantra Yoga, e sono questi gli elementi che costituiscono l'ossatura della disciplina.  Nel cammino tantrico vengono ben distinte le vie cosiddette “della mano destra” e “della mano sinistra”. Nelle scuole della mano destra i precetti che spingono all’unione del principio maschile e femminile sono interpretati come una metafora dell’unione a livello energetico, mentre nelle vie della mano sinistra sono interpretati quasi letteralmente. Da qui ha origine il maithuna – il rituale segreto dell’amore – che non è tuttavia una pratica centrale, malgrado il Tantra sia oggi comunemente associato a questo. Al contrario il maithuna è ritenuto uno dei più alti e ultimi stadi che lo yogi deve affrontare perché solo i veri yogi possono permettersi di praticarlo come tecnica di meditazione.  Oggigiorno, molte scuole occidentali e alcune scuole indiane di vama marga che si sono separate dal dakshina marga, ovvero sentiero della mano destra o della conoscenza, non interpretano più le metafore sessuali ma le praticano letteralmente, almeno in parte. Ognuno ha il suo parere a riguardo ed è difficile capire dopo millenni se queste scuole siano completamente deviate dall'insegnamento iniziale, o se abbiano ragione almeno in parte. L’unica cosa che si può affermare è che, nonostante non ci siano mai stati dogmi morali riguardo le energie sessuali, esse erano considerate la materia prima di un processo trasformativo, e non lo scopo finale.  Il Tantrismo è l’esatto opposto dell’ascetismo che concepisce il corpo come primo nemico dello spirito. Il corpo nel Tantra è considerato infatti il tempio del divino (realtà sacra) ed è visto come il microcosmo dove l'anima individuale risiede per poter comprendere il macrocosmo dell'Universo, come strumento di sviluppo di consapevolezza superiore.  Il Tantrismo è la via che più si addice all'uomo che vive in questa epoca che non è quella del puro distacco, bensì quella della conoscenza, del risveglio, del dominio delle energie segrete racchiuse nel corpo. Il Tantra pone fine alla dicotomia corpo e spirito e cerca di ricongiungere la vita dello spirito e quella ordinaria e del corpo. «Secondo il tantra l’amore è sacro in quanto l’uomo è la manifestazione terrena di un Dio (Shiva) e di una Dea (Shakti). Perciò quando una coppia è in fusione amorosa significa che vi è un incontro tra due Divinità: l'una rappresenta l'energia maschile e l'altra quella femminile.  

Il famoso rituale insegna sia all’uomo sia alla donna ad utilizzare la sessualità per la propria evoluzione a tutti i livelli: fisico, mentale, emozionale e spirituale.  Tutte le scuole prevedono diversi livelli di approfondimento: si va dallo sguardo al tocco leggero, dal massaggio rituale alla meditazione.  Questo tipo di yoga può essere definito come ‘yoga del contatto" il cui obiettivo è la liberazione dal flusso ripetitivo dei pensieri, lo sblocco delle emozioni, l’ascolto del corpo a tutti i livelli energetici, da quello sessuale fino a quello spirituale: è molto frequente durante la pratica, che una persona pianga per l'emozione o che acceda a istanti di profonda consapevolezza. Unisce immanenza e trascendenza, corpo e spirito, sessualità e spiritualità, estinguendo ogni dicotomia e facendo incontrare le persone nella loro interezza e nella loro integrità. 

I benefici del Tantra yoga sono quelli specifici di ogni altra forma di yoga, e oltre i benefici a livello fisico, si avranno benefici nell'armonizzazione energetica, nella dimensione psicologica con netto miglioramento dell’umore, diminuzione dello stress, contenimento di stati depressivi, aumento della capacità di concentrazione. Volgendo lo sguardo alla dimensione intima della pratica, senza dubbio l’approccio tantrico contribuisce ad alleviare le tensioni di coppia, portando benefici in caso di problemi, quando questi hanno radici psicologiche. 

In tempi recenti il Tantra ha conosciuto una grande notorietà in Occidente, principalmente a causa dell'enfasi erroneamente posta sull'utilizzo di alcune pratiche sessuali; queste in realtà costituiscono solo una piccola parte della dottrina tantrica che combina corpo e mente, gioia e spiritualità, il riconoscimento della sacralità della Vita, una solida base morale, la pratica quotidiana delle asana per la purificazione del corpo e dei canali energetici, esercizi di concentrazione e meditazione. 

Nel Tantra yoga rientrano le forme di yoga più conosciute, insegnate e praticate in occidente: il Kundalini yoga, l’Hatha yoga, il Raja yoga, il Laya yoga e il Mantra yoga. Nelle scuole di yoga tantrico la precedenza viene data a pratiche e rituali di tipo soprattutto fisico - sensoriale. Descrivono bene questo concetto le parole di Mircea Eliade, storico delle religioni : “In queste discipline, le attività sensoriali venivano magnificate sconvolgendo le proporzioni come risultati di infinite identificazioni con gli organi e le funzioni fisiologiche con regioni cosmiche, stelle e pianeti, dei, eccetera. Hatha Yoga e Tantra transustanziano il corpo fornendogli dimensioni macro-antropiche e assimilandolo ai vari corpi mistici (…) Molti 'corpi sottili' sono sovrapposti: il corpo sonoro (suono), il corpo architettonico, il corpo cosmologico, il corpo mistico-fisiologico. Questa omologazione multistrato deve essere compresa; ma in quanto risultato dell'esperienza yogica, il corpo fisico si “dilata”, si “cosmicizza” e si transustanzia”. Sembra qualcosa di molto lontano, eppure si realizza ed esiste ogni giorno.  Diventarne consapevoli significa ampliare la coscienza. Fondamentale comunque, perché una via o un insegnamento possano definirsi tantrici, è l’approccio devozionale che enfatizza, nelle cose come nelle persone, la parte spirituale entrando in una dimensione, che ci permetterebbe di trovare l'armonia interiore e, simultaneamente, ci si "sintonizzasse col cosmo".   

All'estero il Tantra è molto più praticato rispetto all'Italia. In Germania e Francia, ma soprattutto in India e nei paesi orientali, è visto anche come un importante metodo di cura.  Comunque, attualmente, sono molte le scuole, associazioni che praticano l'insegnamento tantrico anche in Italia. 

Riferimenti.

  • Il testo Tantraloka (Luce dei Tantra) di Abhinavagupta è un trattato completo su tutti gli aspetti della via tantrica.  La traduzione dal sanscrito da Raniero Gnoli è considerata  una delle imprese più ardue dell’indologia contemporanea.
  • Shri Param Eswaran, è un maestro contemporaneo, iniziato alle pratiche dello yoga tantrico dal Maestro Swami Sivananda. Nel corso della sua vita Shri Eswaran ha privilegiato l’aspetto devozionale di questa filosofia. I suoi insegnamenti vertono su pratiche di sound healing (mantra), meditazione, massaggio tantrico e sull’adorazione del femminile sacro, quello che lui chiama “la Dea vivente”.  Vedi sito
  • Il testo Tantra. L'iniziazione di un occidentale all'amore assoluto di Daniel Odier, anche lui maestro contemporaneo, fonda nel 1995 il centro Tantra/Chan a Parigi. I suoi libri sono testi di riferimento per il tantrismo moderno. 
  • Il testo Amore e Tantra - Un percorso pratico per la felicità di coppia  di Stefano e Corienne Ananda. Sono due docenti di Yoga e Tantra presso la loro scuola Tantrayoga di Bologna.   Vedi sito
  • Il testo Yoga tantrico del Kashmir di Eric Baret. L'autore ci invita a scoprire la sottigliezza di questa disciplina, di questa arte di vivere millenaria, che utilizza il corpo come supporto alla realizzazione spirituale. Questa opera contribuisce senza dubbio a ridare allo yoga tutto il suo senso e la sua dimensione originale.
  • Il testo Tantra, la via dell'estasi sessuale di Elmar e Michaela Zadra che sono maestri contemporanei. Formati presso ashram induisti e monasteri buddhisti sui diversi aspetti della tradizione tantrica, integrati successivamente con materie più moderne (bioenergetica, PNL, sessuologia), Elmar e Michaela Zadra propongono un approccio al Tantra indirizzato principalmente alle coppie. 

domenica 20 giugno 2021

Lo yoga è pericoloso?

In occasione dell'International Yoga Day Vi propongo questo interessante articolo  comparso su Repubblica qualche tempo fa. 

Date un'occhiata anche al link con i 20 suggerimenti a fine articolo.

Per molti lo yoga è una disciplina "intoccabile". Ma come in tutte le cose bisogna trovare un giusto equilibrio. Non pretendere di fare esercizi avanzati se non siamo preparati, non affidarsi a maestri poco preparati, e non pensare che lo Yoga curi tutti i mali. Tra studi e ricerche, pareri di maestri e di medici facciamo il punto sulla polemica che continua a scuotere il popolo del web.

L’esercito degli Yoga-amatori è in continua crescita. Ormai lo praticano anche adolescenti e anziani, e non c’è palestra di fitness che non abbia corsi Yoga, sempre più affollati. Ma lo Yoga fa sempre bene? E perché aumentano i casi di incidenti dovuti alla pratica yogica? In rete il dibattito è vivace, e sono spesso gli stessi insegnanti che intervengono, per chiarire i dubbi e puntualizzare alcuni aspetti.

Il dibattito è partito dagli Stati Uniti, dove più di venti milioni di persone si dedicano ormai a questa pratica. A lanciare il sasso è stato, ormai qualche tempo fa, William J. Broad, autore del libro The Science of Yoga: The Risks and Rewards, di cui una sintesi è stata pubblicata in un articolo del New York Times che ha dovuto chiudere i commenti tante erano le reazioni polemiche. Broad cita le argomentazioni dell’anziano guru Glenn Black, del quale molti allievi sono reduci da infortuni seguiti da incidenti durante la pratica Yoga.

In seguito a questa esperienza, Black è arrivato a una posizione radicale: “la maggioranza delle persone dovrebbe abbandonare lo Yoga”. Viviamo infatti, secondo il guru, vite urbane, spese per la maggior parte del tempo seduti sulle sedie, così che lo Yoga si riduce a un paio di ore settimanali, nelle quali si pretende di fare pose avanzate nonostante la scarsa flessibilità e altri problemi fisici. “Ma ho visto anche insegnanti”, rivela Black, “fare la posizione del Cane a testa in giù così testardamente da lacerarsi i tendini di Achille”.

Insegnanti sempre meno preparati. Anche le riviste scientifiche – come Neurology, The British Medical Journal e The Journal of the American Medical Association – lo confermano da decenni (con tanto di storie cliniche a supporto): esistono posizioni Yoga realmente rischiose, che possono persino portare disabilità permanenti. Non è un caso che, negli anni 2000, il numero di ricoverati per incidenti Yoga, sempre negli Stati Uniti, è cresciuto esponenzialmente, senza contare quelli che si rifugiano da dottori, chiropratici e altri tipi di terapeuti. Sempre in America, nel 2009, un’ampia inchiesta rilevò che il maggior numero di incidenti durante lo Yoga aveva a che fare soprattutto con la spalla, il ginocchio e il collo.

Ma ad essere messa sotto accusa un po’ da tutti, come spiega anche l’insegnante di lungo corso Jessica Goldberg (che ne parla in un articolo apparso su Lapresse (leggi qui), è la formazione frettolosa degli insegnanti: “Si innamorano dello yoga, si iscrivono a una formazione che dure 200 ore e si lanciano nell’insegnamento”. Le conseguenze, conclude, sono facilmente immaginabili.

Sfatiamo alcuni miti: non è una medicina. E in Italia? Il dibattito si è più recentemente acceso anche da noi. Francesco Vignotto, che insegna nel centro Zenon di Novara, sostiene che non esiste al mondo “Nulla che possa fare bene se non può fare anche del male, quando utilizzata in modo sbagliato” (leggi qui). È come per i metodi naturali: pensare che si possano comunque prendere “tanto non possono fare danni” è come ammettere che non abbiano neanche alcuna efficacia benigna. E dunque, per quanto basso sia il rischio di infortunarsi, “non significa che lo Yoga sia innocuo”. Secondo Vignotto, “lo Yoga non è una medicina, né un brand che produce pillole miracolose e immuni da effetti collaterali”. Non solo. “Qualsiasi tecnica insegnata nello Yoga, presa di per sé e isolata da un contesto e da un percorso personale, cessa di essere Yoga ed è anzi potenzialmente dannosa se eseguita senza alcuna cognizione delle conseguenze che questa pratica comporta, ma soprattutto dell’obiettivo che tali pratiche hanno all’interno del sistema originario”.

Lo Yoga può aiutare a risolvere problemi di salute, migliorare l’aspetto e le prestazioni di ogni tipo, è invece “del tutto falso” che lo Yoga “inverta il processo di invecchiamento, risollevi seni, distrugga la cellulite, potenzi le prestazioni atletiche, sessuali e mentali, raddrizzi le schiene e curi questo o quel disturbo o che guarisca miracolosamente da malattie che la medicina ritiene incurabili” conclude l’esperto. (Su questo paragrafo non sono molto d'accordo, secondo la mia modesta esperienza, può ridurre il processo d'invecchiamento e lavorando sulla mente può arrivare a curare malattie non curate dalla scienza tradizionale).

Occhio all’integralismo ideologico e al divismo.  Interviene nel dibattito anche il medico e agopuntore Marco Invernizzi (leggi qui), che cita uno studio americano, dove si sostiene che le posizioni più rischiose sono quelle più avanzate, come le cosiddette inversioni: ad esempio la posizione sulla testa può portare a un aumento momentaneo della pressione intraoculare, e per questo dovrebbero essere praticate con cautela. Sempre Invernizzi porta l’attenzione, come tanti insegnanti Yoga, sulla pratica del Bikram Yoga, che è molto intensa e si svolge in stanze riscaldate e umide: per questo “può ridurre la capacità di avvertire il proprio limite da parte dell’allievo, aumentando di conseguenza il rischio di infortuni muscolari e/o articolari”.   Ma a potersi infortunare non è solo l’apparato muscolo scheletrico. Ancora più dannosa può essere un’ideologia dogmatica dello Yoga. “Ritengo infatti”, argomenta sempre Vignotto, che “integralismi, rigidità mentali e insane dinamiche di gruppo innescate soprattutto dal divismo da parte dell’insegnante siano dei veleni altrettanto dannosi quanto l’approssimazione nell’insegnare le tecniche corporee”. Di qui il consiglio a “cercare l’equilibrio, la concretezza più che l’immediata gratificazione emotiva, estetica o intellettuale” ed “evitare come la peste qualunque luogo dove si respiri aria di settarismo (chi è dentro è dentro e guai a chi si allontana) e dove si parli di argomenti che non si possano toccare con mano”.

L’unica cosa che conta? L’umiltà. E un monito a fermarsi di fronte a settarismi e personalismi è apparso anche qualche giorno fa sulle pagine del The Guardian (leggi qui). Dopo aver assistito al recente incontro-scontro sulla BBC (che verteva sulla proposta di regolare ruolo e compensi degli insegnanti yoga del paese) tra Paul Fox, il direttore del British Wheel of Yoga, un’associazione yogica storica inglese, e Swami Ambikananda Saraswati, un monaco indu, l’insegnante e scrittore Matthew Remski è intervenuto con un articolo sui possibili pericoli dello yoga.   Premettendo che rispondere alla domanda se lo yoga possa causare danni o meno è complicato, perché prima bisognerebbe chiarire cosa sia davvero lo yoga (uno sport, una terapia, una religione?), Remski scrive che le sue ricerche lo “hanno portato a credere che se ci sono danni da temere, ebbene quelli derivano non tanto da particolare posture o da un training inadeguato, ma da relazioni di apprendimento disfunzionali nelle quali le attitudini e i comportamenti dispotici degli insegnanti più noti vengono interiorizzate dagli studenti”. In altre parole, il vero rischio sono “i culti della personalità che rischiano di normalizzare metodi di insegnamento opinabile”. Certo, continua Remski, se rivendicare che la propria pratica derivi da una tradizione religiosa induista di cinquemila anni può spingere le persone verso la credulità, anche l’ossessione per la sicurezza può inculcare in insegnanti e allievi nuove manie, imperniate intorno a parole chiave, come “biomeccanica”, “movimento funzionale” e “sensibilità al trauma”. “Ma così si dimentica che gli atteggiamenti migliori per fare lo yoga sono la spontaneità e la curiosità”. In conclusione dice Remski, “né i burocrati dello yoga, né i preti dello yoga possono garantirvi la sicurezza. Se invece incontrate insegnanti indipendenti, di basso profilo e che non si danno arie, potrete facilmente intuire che vi stanno offrendo spontaneamente qualcosa che né la regolamentazione ossessiva né la religione vi possono garantire: l’umiltà”.

Francesco Vignotto, insegnante yoga, ci spiega la filosofia che deve guidare i nostri primi passi nella pratica dello yoga. Ma questi 20 tips sono importanti anche per chi già pratica per non dimenticare che lo yoga è una disciplina "intoccabile". E che come in tutte le cose bisogna trovare un giusto equilibrio. Non pretendere di fare esercizi avanzati se non siamo preparati, non affidarsi a maestri poco preparati, e non pensare che lo Yoga curi tutti i mali. Ecco tutta la verità sulla disciplina tra le più amate al mondo.  Vedi i 20 consigli

23 novembre 2016, D. Repubblica.it

L'International Yoga Day

 Il 21 giugno si celebra la giornata Internazionale dello Yoga.  Il 21 giugno è anche il solstizio d’estate, ovvero il giorno dell’anno in cui il sole raggiunge il punto più alto rispetto all’orizzonte e che regala, a noi abitanti dell’emisfero boreale, la giornata con più ore di luce ed è il  momento migliore per la nostra evoluzione spirituale e per assorbire l’energia cosmica.

In questo giorno, si rende omaggio al primo guru che ha trasmesso gli insegnamenti dei Veda  il saggio Vyasa, e a tutti i maestri o guru dello yoga.

L'International Yoga Day è stato istituito dall'ONU nel 2014, su suggerimento del Premier indiano Narendra Modi, riconoscendo che lo yoga favorisce un approccio olistico alla salute e al benessere della persona, e che una più ampia divulgazione dei benefici contribuirebbe a migliorare la salute della popolazione a livello mondiale. L'International Yoga Day è stato festeggiato per la prima volta il 21 Giugno 2015. La giornata internazionale dello yoga si festeggia in tutto il mondo, in tutte le piazze delle capitali europee con lezioni pubbliche che attirano migliaia di persone.  Nel 2017  ad Ahmedabad, Gujarat, in India  si è raggiunto il numero di 54.522 partecipanti.

Ogni anno viene scelto un tema per questa speciale giornata di yoga, un tema che  è calato nella realtà del momento. Quest'anno, vista la pandemia, si è deciso di utilizzare questa giornata per promuovere lo yoga praticato in casa ed in famiglia, con numerosissime proposte virtuali, che ci si augura possano dare un importante segnale di forza e speranza.

Di solito in questa occasione si propone una speciale lezione di yoga che segue il protocollo stabilito dal Governo Indiano per la giornata internazionale dello yoga. Vedi articolo  

Si tratta di una sequenza completa, che lavora su tutto il corpo e nella quale oltre l’esecuzione delle principali posizioni di hatha yoga, sono comprese anche le tecniche di controllo del respiro (pranayama), mudra e il canto dei mantra.

Le parole sanscrite e la traduzione del mantra scelto per questa occasione speciale sono le seguenti: 

“Sam gacchadvam sam vadadhvam       “Possiate muovervi in armonia, 

Sam vo manam janatam                           Possiate parlare all’unisono

Deva bhagam yatha purve                        Lasciate che le vostre menti  siano equanimi come al principio

Sanjanana upasate”                                  Lasciate che la divinità si manifesti nei vostri sacri intenti”

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Le sequenze di asana termineranno con la recitazione del mantra per la pace:

“Sarve bhavantu sukhinah,                                    “Possano tutti essere felici,

Sarve santu niramayah,                                            Possano tutti essere liberi dalle malattie,

Sarve bhadrani pashantu,                                         Possano tutti vedere quello che è buono,

Maa kascit duhkha bhagvavet                                 Che nessuno soffra

Shantih, shantih, shantih”                                         Pace, pace, pace”

La ricerca spirituale - Nisargadatta Maharaj

Chi si immette sul cammino spirituale è spesso alla ricerca. 

"Ma cos’è che stai cercando?  Non c’è niente! C’è solo il processo della ricerca, la tua vita è solo il tuo esistere, il mondo oggettivo è fatto di dualità, nel mondo oggettivo c’è soltanto dipendenza…. 

Solo la coscienza è indipendente, ed è solo un minuscolo granello, ma tutto questo mondo illusorio nasce da essa."    Nisargadatta Maharaj


Lo scopo dello yoga è ritrovare il vero Sé, ritrovare l’unità, trascendere la non dualità.

sabato 19 giugno 2021

Il Gruppo India

Nel caso vorreste sostenere progetti di volontariato vi segnalo un'associazione che ha sede a Roma ed opera in molti Paesi del Mondo, il “Gruppo India”  che ho avuto il piacere di conoscere e di cui ho conosciuto anche uno dei responsabili, il mio amico Waris Umer. 

Il "Gruppo India" nasce per iniziativa di Mario Pesce, un sacerdote gesuita, dopo un viaggio in India (Natale 1980) con un gruppo di suoi studenti dell’Istituto “Massimo” di Roma. L’impatto con la povertà delle baraccopoli di Bombay e dei villaggi del Gujarat, segnò e sconvolse tutti i partecipanti. Al loro rientro in Italia decisero di promuovere l'iniziativa "Adozione - Borsa di Studio" (prima proposta in Italia), attraverso cui si decise di sostenere la scolarizzazione dei bambini visitati e conosciuti in India. Quella scintilla infiammò i cuori e si trasformò in un fuoco di solidarietà di tanti italiani che continuano, ancora oggi, a sostenere la formazione di bambini/e in India e in tanti altri Paesi dell'Africa, Asia e America Latina. 

Le nuove sfide sociali e culturali hanno portato, nel Gruppo India, a manifestare un'attenzione rivolta anche verso tanti altri progetti locali, rafforzando la consapevolezza e difendendo la dignità di ogni persona calpestata dalle prepotenze umane.

P. Mario Pesce è morto il 25 novembre 2006, ma …   la sua opera continua!

Milioni di bambini aspettano di essere nutriti, sostenuti e scolarizzati; pozzi da scavare da cui estrarre acqua; migliaia i lebbrosi, i malati di AIDS e di TBC da curare; casette da costruire per chi vive nelle baracche; microimprese da promuovere per aiutare le donne; prevenzione della malaria; ambulatori mobili; scuole e ospedali da costruire; emergenze da affrontare e altri piccoli e grandi progetti da realizzare per incoraggiare la speranza e la vita di chi è segnato dalla disperazione. 

Lascia che il tuo cuore s’infiammi di solidarietà!  C’è bisogno anche di te! 

Comitato Gruppo India Onlus Via degli Astalli, 16 - 00186 Roma, Tel. 06 69700278 - Fax 06 69700320        posta@gruppoindia.it -   https://www.gruppoindia.it/

Conto corrente postale: 13827001 - IBAN Poste: IT69 A076 0103 2000 0001 3827 001

Conto corrente bancario: UBI Banca S.p.A.- IBAN: IT33 Q031 1103 2240 0000 0005001

Coronavirus, Yunus: "Non torniamo al mondo di prima"

La portata dei disastri provocati nel mondo dalla pandemia da coronavirus è sconvolgente. Nonostante ciò, e malgrado danni ingentissimi, siamo davanti a un’occasione senza precedenti.

In questo lungo articolo Muhammad Yunus spiega quali dovrebbero essere le strategie economiche per avere un mondo più giusto e solidale, come portare avanti un programma di ripresa economica post-coronavirus trainato da una consapevolezza sociale e ambientale. Muhammad Yunus (1940) è un economista e banchiere bengalese. È ideatore e realizzatore del microcredito moderno, ovvero di un sistema di piccoli prestiti destinati ad imprenditori troppo poveri per ottenere credito dai circuiti bancari tradizionali. Per i suoi sforzi in questo campo ha vinto il premio Nobel per la pace 2006. 

In questo momento tutto il mondo deve trovare una risposta a un grande interrogativo. Non si tratta di come far ripartire l’economia perché, per fortuna, sappiamo già farlo. Le esperienze vissute in passato ci hanno aiutato a mettere a punto una terapia generica per ridare vita all’economia. No, il grande interrogativo a cui dobbiamo dare risposta è un altro: riportiamo il mondo nella situazione nella quale si trovava prima del coronavirus o lo ridisegniamo daccapo? La decisione spetta soltanto a noi.

 Inutile dire che, prima del coronavirus, il mondo non ci andava bene. Fino a quando tutti i titoli dei giornali non sono stati dedicati interamente al coronavirus, ovunque si gridava a gran voce annunciando le terribili calamità che stavano per accadere. Contavamo letteralmente i giorni che mancavano a quando l’intero pianeta sarebbe diventato inabitabile per la catastrofe climatica. Parlavamo di quanto fosse grave la minaccia di una disoccupazione di massa provocata dall’intelligenza artificiale, e in che modo la concentrazione della ricchezza nelle mani di pochi stesse raggiungendo un livello deflagrante. Ci rammentavamo di continuo a vicenda che questo decennio è l’ultimo a nostra disposizione. Al termine di esso, infatti, tutti i nostri sforzi porteranno a risultati soltanto parziali, inadeguati a salvare il nostro pianeta.   

  Dovremmo tornare a quel mondo? A noi la scelta.  All’improvviso il coronavirus ha cambiato radicalmente il contesto delle cose e i dati spiccioli. Ha spalancato davanti ai nostri occhi possibilità temerarie che non erano mai state prese in considerazione in precedenza. All’improvviso, eccoci di fronte a una tabula rasa. Possiamo andare in qualsiasi direzione vorremo. Che incredibile libertà di scelta!

 Prima di farla ripartire, dobbiamo decidere che tipo di economia vogliamo. Prima e più di ogni altra cosa, l’economia è uno strumento che ci può aiutare a perseguire gli obbiettivi che noi stessi ci prefiggiamo. Non deve farci sentire tormentati e impotenti. Non dovrebbe fungere da trappola letale messa a punto da qualche potenza divina per infliggerci una pena. Non dobbiamo dimenticare mai, neppure per un istante, che l’economia è uno strumento creato da noi uomini. Dobbiamo dunque continuare a progettarlo e riconfigurarlo finché non renderà tutti felici. È uno strumento messo a punto per arrivare alla massima felicità collettiva possibile.  

 Se, a un certo punto, abbiamo la sensazione che non ci sta portando dove vogliamo andare, sappiamo immediatamente che nel suo hardware o nel suo software di cui facciamo uso c’è qualcosa di sbagliato. Tutto quello che dobbiamo fare è sistemarlo. Non possiamo esimerci dicendo semplicemente “scusate, non possiamo realizzare i nostri obbiettivi perché il nostro software e il nostro hardware non ce lo permettono”. Si tratterebbe di una scusa patetica e inaccettabile. Se vogliamo creare un mondo di zero emissioni di anidride carbonica, costruiremo il software e l’hardware giusti per riuscirci. Se vogliamo un mondo nel quale la disoccupazione non esista, faremo altrettanto. Se vogliamo un mondo nel quale non ci sia nessuna concentrazione della ricchezza, faremo altrettanto. Tutto sta nel mettere a punto l’hardware e il software giusti. Ne abbiamo le capacità. Possiamo farlo. Quando gli esseri umani decidono di fare qualcosa, la fanno e basta. Niente è impossibile per gli uomini.  La notizia più entusiasmante legata alla crisi del coronavirus è che ci sta offrendo inestimabili opportunità per un nuovo inizio. Possiamo iniziare progettando l’hardware e il software su uno schermo praticamente vuoto.

 La ripresa post-coronavirus deve essere una ripresa trainata da una consapevolezza sociale ed ambientale. Ad aiutarci in modo sostanziale è una singola decisione globale unanime: sia chiaro, non vogliamo assolutamente tornare al mondo di prima. Nel nome della ripresa, non vogliamo saltare nella stessa padella rovente di prima.  I governi devono garantire ai cittadini che questo programma di ripresa sarà completamente diverso da quelli del passato. La prossima ripresa non sarà attuata per riportare le cose al punto in cui erano prima. Questa sarà la ripresa della gente e del pianeta. Si dovranno creare imprese in grado di rendere tutto ciò possibile. Il punto cruciale per lanciare un programma di rilancio post-coronavirus consisterà nel mettere al centro di ogni decisione e di tutti i processi decisionali politici una nuova consapevolezza sociale e ambientale. I governi dovranno garantire che neanche un dollaro andrà a finire nelle tasche di qualcuno a meno che non ci sia la garanzia che, rispetto a qualsiasi altra opzione, quel dollaro dato a quel qualcuno porterà al massimo vantaggio sociale e ambientale possibile per la società intera. Tutto quello che andrà fatto nella ripresa dovrà portare alla creazione di un’economia consapevole per il singolo Paese e per il mondo intero a livello sociale, economico, ambientale.

 Il momento è arrivato. Inizieremo come raccomandato dalle terapie di un tempo con i pacchetti di salvataggio in extremis, ma questa volta li useremo per progetti e interventi stimolati dalla consapevolezza sociale. Dobbiamo metterli a punto adesso, in piena crisi perché, quando questa sarà finita, ci sarà un tumulto di vecchie idee e di vecchi esempi volti a indirizzare gli interventi in una data direzione. Ci sarà chi argomenterà con foga per far deragliare le nuove iniziative, e dirà che si tratta di politiche mai collaudate. Dobbiamo prepararci prima che abbia inizio il fuggi-fuggi generale. Il momento è arrivato. Quel momento è adesso.

 Impresa sociale. In questo mio articolo illustro una serie di politiche che mi sono ben note e nelle quali ripongo fiducia. Questo non esclude che vi siano molte altre opzioni creative ed efficaci. Incoraggio pertanto anche altre persone a farsi avanti con le loro raccomandazioni e proposte.

 Nel NRP (New Recovery Programme, Programma della nuova ripresa) che vi propongo, assegno un ruolo fondamentale a una nuova forma di impresa detta impresa sociale. Si tratta di un’impresa creata esclusivamente per risolvere i problemi delle persone, un’impresa che non crea un utile personale per gli investitori, se si eccettua il solo recupero dell’investimento iniziale. Una volta rientrati in possesso dell’investimento originario, tutti gli utili successivi devono essere re-immessi nell’impresa.  I governi avranno molte occasioni per incoraggiare, assegnare le priorità, fare spazio affinché le imprese sociali possano impegnarsi in responsabilità crescenti e di ampia portata finalizzate alla ripresa. Al tempo stesso, i governi dovranno portare avanti i programmi nei confronti dei quali si devono impegnare in ogni caso, per esempio l’assistenza agli indigenti e ai disoccupati grazie ai tradizionali programmi del welfare, ripristinando i programmi dell’assistenza sanitaria e con questi tutti i servizi necessari, sostenendo tutte le imprese di ogni settore dove le opzioni per il social business non facciano ancora passi avanti.

 Sul fronte delle imprese sociali, i governi possono creare Social Business Venture Capital Funds, fondi  a livello centrale e locale; possono stimolare il settore privato, le fondazioni, le istituzioni finanziarie e i fondi di investimento a fare altrettanto; possono incoraggiare le imprese tradizionali a trasformarsi in imprese sociali o a stringere accordi con partner, imprese e soci che operino a questo livello, così che tutte le imprese siano spronate ad avere una divisione che si occupa di social business o a dar vita a imprese sociali che operino in joint venture con altre imprese di questo tipo.  In base al NRP, i governi potranno finanziare le imprese sociali per acquisire altre aziende e allearsi a quelle in stato di bisogno per trasformarle a loro volta in imprese sociali. La banca centrale potrà dare la priorità a queste ultime nell’assegnazione dei finanziamenti da parte delle istituzioni finanziarie, da investire nel mercato azionario o per immettervi quelli di imprese sociali forti. Ovunque si presentano opportunità gigantesche: i governi dovrebbero coinvolgere quanti più attori possibile impegnati nelle imprese sociali.

 Chi investe nelle imprese sociali? Chi sono gli investitori nelle imprese sociali? Dove si possono trovare? Sono ovunque. Non li vediamo perché i libri di testo di economia in circolazione non ne riconoscono l’esistenza. Di conseguenza, i nostri occhi non sono abituati a individuarli. Solo di recente i corsi di economia prevedono di affrontare alcune tematiche a questo proposito, quali le imprese sociali, l’imprenditoria sociale, gli investimenti a impatto sociale, le organizzazioni no-profit e così pure alcune questioni ispirate dalla popolarità globale della Grameen Bank e dal microcredito.

 Finché l’economia resterà una scienza per massimizzare i profitti, non potremo farvi affidamento per mettere a punto un programma di rilancio e ripresa basato sulla consapevolezza sociale e ambientale. Ma non potremo girare l’interruttore e spegnere dalla sera alla mattina l’economia tradizionale. Mentre essa proseguirà nelle sue attività, i governi dovranno creare sempre più spazio affinché le imprese sociali possano far valere la loro affidabilità ed efficienza. Il successo delle imprese sociali diventerà tangibile quando vedremo che chi massimizza gli utili per il proprio tornaconto non soltanto coesisterà con imprenditori interessati ad avere zero profitti personali – e nasceranno amicizie e forme di collaborazione – , ma anche quando sempre più imprenditori e investitori interessati al ricavo personale creeranno imprese sociali per conto loro o legandosi in partenariato con altre attività sociali. Quello sarà l’inizio di un’economia trainata da una consapevolezza sociale e ambientale.

 Non appena la politica di governo inizierà a riconoscere gli imprenditori e gli investitori nell’impresa sociale, costoro si faranno avanti con entusiasmo per assumere l’importante ruolo sociale che si renderà necessario a quel punto. Gli imprenditori delle imprese sociali non appartengono a una piccola economia di “gente che fa del bene”. Qui si parla di un ecosistema globale significativamente grande, che comprende le grandi multinazionali, i grandi fondi delle imprese sociali, i molti amministratori di talento, oltre a istituzioni, fondazioni, trust con molti anni di esperienza alle spalle nei settori della finanza e della gestione di imprese sociali globali e locali.  Infine, quando il concetto di fondo e l’esperienza delle imprese sociali inizierà a ricevere l’attenzione dei governi, molti irremovibili imprenditori interessati al tornaconto personale saranno felici di mettere in mostra la parte più sconosciuta del loro talento diventando a loro volta imprenditori di imprese sociali di successo, e rivestiranno ruoli di importanza inestimabile in tempi di crisi sociale ed economica come la crisi del cambiamento del clima, la crisi della disoccupazione, la crisi della concentrazione della ricchezza e così via.

 Gli esseri umani nascono imprenditori, non cercatori di un posto di lavoro. L’NRP deve spezzare la tradizionale divisione del lavoro tra i cittadini e il governo. Si dà per scontato che compito dei cittadini sia prendersi cura delle rispettive famiglie e pagare le tasse, e che sia responsabilità del governo (e, in misura circoscritta, del settore no-profit) prendersi cura di tutti i problemi della collettività, come il clima, il mondo del lavoro, l’assistenza sanitaria, l’istruzione, l’acqua e così via. L’NRP deve far cadere questo muro divisorio e incoraggiare tutti i cittadini a farsi avanti, a dar prova dei loro talenti nella risoluzione dei problemi creando imprese sociali. La loro forza non sta nella portata delle loro iniziative, ma nel loro numero. Una piccola iniziativa moltiplicata per un grande numero si trasforma in un’azione nazionale significativa. Uno dei problemi che gli imprenditori delle imprese sociali potranno affrontare e risolvere immediatamente sarà quello della disoccupazione provocata dal tracollo dell’economia. Chi vorrà investire nelle imprese sociali potrà occuparsi di crearle per produrre a cascata posti di lavoro per i disoccupati. Potrà anche scegliere di trasformare i disoccupati in imprenditori a loro volta, e dimostrare così facendo che gli esseri umani nascono imprenditori, non cercatori di lavoro. Le imprese sociali potranno adoperarsi insieme al sistema di governo per creare un solido sistema sanitario. Chi investe in un’impresa sociale non deve essere necessariamente una persona fisica. Può essere un’istituzione, per esempio, o un fondo di investimento, una fondazione, un trust, un’azienda di gestione o amministrazione di imprese sociali. Molte di queste istituzioni sanno benissimo come lavorare con amabilità con i proprietari d’azienda tradizionali. Un invito proficuo lanciato dal governo per la disperazione e la situazione di emergenza del periodo post-coronavirus potrà mettere in moto un’ondata di attività finora sconosciute. Sarà una cartina di tornasole per la leadership per dimostrare come il mondo possa essere fatto rinascere in modi inediti e del tutto nuovi a cominciare dai giovani, dalle persone di mezza età, e dagli anziani, uomini e donne.

 Non ci sarà un posto dove nascondersi. Se mancheremo di impegnarci in un programma di ripresa economica post-coronavirus trainato da una consapevolezza sociale e ambientale, imboccheremo inevitabilmente una strada molto peggiore della catastrofe provocata dal coronavirus. Per difenderci dal coronavirus possiamo rinchiuderci nelle nostre case ma, se non riusciremo a dare risposte adeguate alle questioni globali in costante peggioramento, non avremo dove nasconderci da Madre Natura arrabbiata con noi e dalle masse degli arrabbiati di tutto il pianeta. 

Il cammino spirituale

Cercherò in queste poche righe di fornire dei punti di riferimento per capire meglio il fenomeno dell'interesse crescente dell'Occidente verso la New Age e le filosofie orientali e per dare delle linee guida per intraprendere un percorso di ricerca, in maniera consapevole, aperta e libera da barriere ideologiche.

Non mi piace la New Age e nemmeno le forme esasperate di ricerca spirituale e di ricerca del benessere. Così come non mi piace il fenomeno del business associato a questo. Per me spiritualità e denaro sono incompatibili. Nel calderone della ricerca spirituale si trovano molti venditori di fumo, ciarlatani ma anche associazioni veramente valide, alcune delle quali sono anche accreditate presso le Nazioni Unite, che hanno messo a punto metodi per aiutare le persone ad acquisire maggior consapevolezza, ridurre l'aggressività ecc, con risultati certificati anche da ricerche scientifiche (per quel che valgono oggi) .

Ho letto centinaia di libri sullo yoga, il buddhismo, lo zen, ayurveda, pranoterapia, shiatsu, re-birthing, ecc., e non in uno di questi libri ho riscontrato aggressività e intolleranza. Gli autori non trattano mai le altre religioni, la religione cristiana o l'islam, come il nemico o come ciarlatani. Queste discipline dicono semplicemente di sperimentare un metodo, un approccio; e di continuarne il percorso solo se ne vedono dei benefici. Molti corsi fanno dei parallelismi tra Gesù e Krishna, considerano Gesù un avatar, una reincarnazione di Visnù. Durante le sedute di meditazione non si esorta a pensare ad un Dio, ma si dice semplicemente  “ognuno si concentri sul proprio Dio", pensano che esista un solo Dio che è uguale per tutti e che viene chiamato in modi diversi. Per Ramakrishna, uno dei più grandi mistici indiani, che familiarizzo anche con l’islam e il cristianesimo, tutti i cammini portano a Dio. Anche l'ateismo. 

Queste filosofie (semplificando al massimo e senza entrare nei dettagli) asseriscono che la vita è dolore, è maya o illusione, che esiste una spazio interiore inesplorato al quale forse vale la pena di provare ad affacciarsi, asseriscono che la vera natura dell'essere umano è composta da qualità positive come  bontà, amore, altruismo, offuscate però dai sensi e dall'esperienza quotidiana; mettono l'accento sul karma, e che la vita che è il risultato delle nostre azioni o pensieri (noi siamo liberi di scegliere, ma una volta compiuta un'azione, prima o poi ne vedremo il frutto).

Queste filosofie, quelle ortodosse almeno, invitano a prendere distanza dalle cose, il che non significa menefreghismo, ma semplicemente riuscire ad essere testimone degli eventi per poterli affrontare in maniera corretta e non troppo emotiva. Per queste filosofie la morte è un evento naturale; all'ultimo festival yoga sono veramente rimasto colpito da un professore italiano universitario che, alla fine di una conferenza sulla morte, ha rivelato, con serenità e con il sorriso sulle labbra che era malato terminale di tumore. Ecco, la meditazione aiuta anche a questo, ad affrontare serenamente la morte. Una volta accettata la morte è più facile approfittare della vita. 

In ogni cosa, tranne che nel Dio cristiano, c'è dualismo; in Oriente non esiste il bene senza il male. Lo stesso simbolo del Tao, detto anche dello “yin e yang”, rappresenta il cammino, il divenire di tutte le cose, che si realizza con un movimento che oscilla tra due estremi: ogni volta che uno dei due viene raggiunto, una forza spinge in direzione contraria e così via.  Per conoscerci veramente dovremmo entrare dentro di noi e, come dice Gurdjieff, riconciliarci con la nostra parte parte oscura. Queste filosofie cercano di illustrare un cammino verso la consapevolezza, verso il sovrannaturale e verso stati elevati di coscienza, un percorso in cui si cerca di esprimere le qualità migliori ed oggi, di questi tempi, ne abbiamo veramente bisogno.

Io penso che per un buon equilibrio occorre avere un corpo sano ed una mente sana (in quanto si influenzano reciprocamente), e si dovrebbe cercare di conciliare l'immanente con il trascendente, e come in una psicoterapia Junghiana trovare un equilibrio con il mondo che ci circonda, trovare un posto nel quotidiano. Se non lo troviamo, entriamo in depressione o ci sentiamo a disagio esprimendo aggressività. E' sempre più difficile constatare, nei piccoli micro mondi di cui facciamo parte, la presenza di persone  capaci di annullare il proprio ego, mostrare disponibilità al dialogo e ridurre in questo modo la loro carica aggressiva.

Lo scopo dello yoga è ritrovare il vero Sé, ritrovare l’unità, trascendere la dualità. Lo yoga è un percorso alternativo alla psicoterapia, è una forma di psicologia positiva che lavorando sul corpo, sul respiro (pranayama) e sulla mente (con la concentrazione, meditazione e mantra) cerca di migliorare l'uomo, educare l'individuo in maniera inconsapevole a liberarsi dal proprio ego, o dall'io freudiano. In uno stadio avanzato, il praticante serio e disciplinato, dopo essere riuscito a ritirare all'interno i sensi, cercherà di trovare il rapporto con il Tutto, con una coscienza più elevata.

La persona che intraprende un percorso spiritualità  è interessata a comprendere la “Reale Natura e l’Essenza” di se stessa, e gli eventi che la determinano. E capisce che nè il corpo, nè la mente sono la Realtà Assoluta. La spiritualità è un processo di comprensione della Totalità di noi stessi: dalla materia alla mente, all'energia che pervade il nostro corpo e di tutti gli elementi che costituiscono la nostra realtà. Quando il corpo non c’è, la mente non c’è, l’ego non c’è, l’intelletto non c’è, rimane questa “Presenza a se stessi”. Sperimentare questo stato elevato di coscienza, in cui diventiamo "testimoni" di ciò che ci circonda e ci sentiamo parte di qualcosa di più grande, è la tappa finale della ricerca.

Ancora oggi, molti occidentali si tormentano col passato, si proiettano nel futuro e dimenticano di vivere nel presente.  Quando sono nel presente, la loro sola ossessione è accumulare soldi e consumare. Tutto è trasformato in consumo e monetizzato, anche le proposte spirituali, ed i vari guru vengono assaggiati e scartati come se fossero dei vini.   Una volta che siamo riusciti ad ottenere un tenore di vita dignitoso, dovremmo fare una scelta radicale: fermarsi, cominciare a guardarsi interiormente, vivere di più a contatto con la natura e praticare benevolenza ed altruismo nella comunità di riferimento.

La vera persona illuminata si riconosce con il suo rapporto con la quotidianità, dal suo sorriso, calmo, determinato in ogni situazione, testimone degli eventi. Mi ha colpito la bellissima frase di un libro di Terzani che racconta il suo soggiorno in India che recita così :  "Un giorno a Delhi, davanti al Sai Baba mandir usciva un bell’indiano con i baffi, forse avvocato o ingegnere, con un grande collana di fiori arancioni appesa al collo, e ci passò accanto mormorando qualche mantra, Ma con un sorriso così sereno, così beato che la mamma disse: quello sa qualcosa che noi non sappiamo. Ecco il senso di stare in India, e i miei anni seguenti sono stati dedicati a scoprire cosa sapeva quel tale".      

Ecco, anche io sono stato colpito da vari personaggi che ho conosciuto durante i miei viaggi in Oriente, e sto passando i miei anni a cercare di scoprire i segreti delle filosofie orientali.

Rituale induista dedicato alla Dea del sacro fiume Gange, nella città sacra di Haridwar.

Gli strumenti per curare il corpo come i fiori di Bach, fitoterapia, ayurveda, aromaterapia, omeopatia ecc, lavorano sul primo livello, sul corpo e sono l'opposto dell'allopatia (la medicina tradizionale) che cura con le medicine i sintomi della malattia, ma non ne cura la causa ed è dannosissima perché procura  grossi effetti collaterali (basta leggere il foglietto illustrativo di qualsiasi medicina). Tutte le medicine orientali curano invece l'individuo nella sua interezza, lavorano anche sulla mente che ha un potere enorme sul corpo, sul funzionamento del sistema immunitario.

martedì 15 giugno 2021

L’accettazione di tutti i percorsi spirituali

Si dovrebbe evitare di ascendere al cammino che porta alla saggezza, senza prima passare per quello dell’amore.

L’accettazione di tutti i percorsi spirituali denota un’attitudine illuminata che è il risultato di un confronto serio con sentieri spirituali non percorsi.   

L’armonia non deve significare non seguire nessun percorso spirituale in particolare, perché ciò sarebbe altrettanto inutile del fanatismo.   

E’ necessario seguire la via verso cui ci si sente più portati e seguirla con zelo.

Studiare le altre tradizioni aiuta a comprendere meglio quella che abbiamo adottato. Il Buddha ha detto "Prova una via e vedi che cosa succede, se per te funziona usala, altrimenti scartala e cerca qualcos’altro". 

Lo zen a Roma

Dario Doshin Girolami è un insegnante zen della tradizione di Shunryu Suzuki Roshi e responsabile del Centro Zen "L’Arco" di  Roma.   Vedi link: http://www.romazen.it/

Shunryu Suzuki era un monaco e insegnante Zen Sōtō che aiutò a diffondere il buddhismo Zen negli Stati Uniti, ed è conosciuto per aver fondato il primo monastero buddhista Zen fuori dall'Asia.  

Lo Zen è una forma di buddhismo sviluppatosi in Giappone ed è l'incontro tra buddhismo e taoismo. La pratica dello Zen -che letteralmente vuol dire meditazione- è caratterizzata dalla semplicità, dalla sobrietà e dall'essenzialità. Essa dunque mira immediatamente all'obiettivo. Secondo lo Zen infatti non occorre far altro che sedersi per terra a gambe incrociate e focalizzare l'attenzione sulla corretta postura e sulla respirazione. Ciò permette di sviluppare la consapevolezza di se stessi, dello spazio circostante e dell'irripetibile bellezza del momento presente, dimensione dalla quale è possibile avere accesso alla reale pace e armonia in cui tutte le esistenze del cosmo da sempre vivono.

Uno degli obiettivi dello zen è quello di fare pace con la realtà presente e vivere con pienezza la vita. Poi aprirsi alla vera realtà e alla verità sempre presente. Abbiamo di fronte a noi due vie:  il samsara, la realtà fenomenica caratterizzata dal dolore, e il Nirvana la realtà dell'assoluta gioia. Scegliere una delle due strade è una nostra scelta.  Vita e morte sono due aspetti della realtà, la pratica spirituale serve ad aprirsi a questa realtà.

Nello zen si pratica la meditazione senza oggetto.  Noi ragioniamo in modo binario, la meditazione ci apre ad una visione più fluida, senza trasformazione la conoscenza intellettuale non ci aiuta a capire meglio la realtà.  Una delle caratteristiche dello zen è il koan, un modo di mettere in scacco matto la mente. Infatti il koan è una domanda di vita a cui si risponde con la vita. I koan intercettano questo punto di intersezione tra verità relativa e verità assoluta. Un esempio di koan può essere questo: Nel sogno siamo in una radura e da ogni direzione arriva una tigre, Quale è la possibilità di fuga???  La risposta è: Svegliarsi.

Per approfondire i koan e conoscere la differenza tra le scuole zen Soto e Rinzai vedi l'approfondimento: http://www.romazen.it/insegnante/dharma_koan.htm

Lunana: A Yak in the Classroom

Un racconto di crescita alla scoperta di sé stessi.

Lunana, A Yak in the Classroom, il primo lungometraggio realizzato nel 2019 dal giovane regista buthanese Pawo Choyning Dorji, é stato girato fra le alte montagne himalayane e vincitore del Premio per il Miglior Attore, Premio del Pubblico  al Festival International de Film Saint-Jean-de-Luz 2020, vincitore del Premio del pubblico al Palm Springs International Film Festival 2020.

Pawo Choyning Dorji è un fotografo e regista del Bhutan. I suoi scatti sono stati pubblicati su prestigiose riviste internazionali come LIFE, Esquire e VICE.  

Puoi vedere il film al seguente indirizzo: https://www.mymovies.it/ondemand/fescaaal/movie/6316-lunana-a-yak-in-the-classroom/

Ugyen, giovane insegnante della capitale del Bhutan vuole emigrare in Australia e realizzare il suo sogno di fare il musicista. Vincolato da un contratto governativo ancora per un anno, viene mandato nella scuola più remota del mondo, nel villaggio di Lunana, senza i comfort a cui è abituato e senza i minimi strumenti necessari per l’insegnamento.  Il piccolo villaggio sull’Himalaya, infatti, si raggiunge solo dopo otto giorni di cammino e là non arrivano elettricità o connessione internet. Qui vive tra montagne imponenti una comunità che custodisce l’antica tradizione legata al culto dello yak, grande mammifero asiatico. Quello che pare un incubo da cui fuggire, si rivelerà lentamente a Ugyen come una profonda lezione di vita.    

Thich Nath Hanh - L'arte di comunicare

Thich Nath Hanh è un monaco buddista zen vietnamita che pratica la meditazione mindfulness (per ulteriori dettagli vedi articolo precedente).

Ho letto due bei libri di Thich Than Hanh: Il miracolo di Mindfulness e L'arte di comunicare. In questo articolo faccio il riassunto dell'Arte di comunicare.

La solitudine è la sofferenza del nostro tempo. La maggior parte di noi vive molto isolata dagli altri. Noi esseri umani possiamo diventare estremamente soli.

Nei primi paragrafi del libro l'autore evidenzia le varie modalità di esprimere amore. Ci sono molte persone che possono sostenerci e amarci senza dire effettivamente "ti amo". È anche vero che le persone che amiamo possono non sapere di essere amate. A volte vogliamo dire a qualcuno quanto  teniamo a lui, ma non troviamo le parole adatte per esprimere effettivamente quello che proviamo.

Ciò che leggiamo, scriviamo e pensiamo può nutrire, aiutare, influenzare una persona pertanto dobbiamo porre molta attenzione a ciò che produciamo e consumiamo. Quando scriviamo un'e-mail o una lettera piena di comprensione e compassione, ci stiamo nutrendo di positività durante tutto il tempo in cui scriviamo la lettera. Le conversazioni che avvengono intorno a noi, e quelle a cui partecipiamo, possono costituire un nutrimento per le persone e aiutarle a crescere, oppure possono causare tensione e sofferenza. 

Poi l'autore pone la fatidica domanda: "Perché comunichiamo?".  La risposta è la seguente: Comunichiamo per essere compresi e per capire gli altri e ci sono due elementi chiave per avere una comunicazione efficace e vera: 

  • La prima è l'ascolto profondo; 
  • La seconda è la parola amorevole. 

Il gesto di unire i palmi delle mani e inchinarsi davanti all'altro non è un semplice rituale. È una pratica di risveglio e rispetto.  

Se vuoi veramente amare qualcuno e renderlo felice, devi capire che quella persona sta soffrendo. La felicità è la capacità di capire e di amare, perché senza comprensione e amore nessuna felicità è possibile. Se vuoi rendere felice qualcuno, dovresti chiederti: "Lo capisco abbastanza? La capisco abbastanza? "

Puoi aver vissuto con qualcuno per cinque, dieci, venti anni e forse non hai mai osservato profondamente quella persona per capirla. Forse hai fatto lo stesso con te stesso. L'obiettivo dovrebbe essere di cercare di capire la sofferenza, le difficoltà dell'altra persona ed ascoltarla di più, perché è il solo modo per amarla con compassione, curiosità e senza giudizio.

Poi vengono illustrate una serie di osservanze nel comunicare:

  • Dire la verità ed essere coerente, questo significa niente doppi sensi: parlare di qualcosa in un modo a una persona e in modo opposto a un'altra per motivi egoistici o manipolativi;
  • Usare un linguaggio pacifico;
  • Parlare ad ogni persona in modo diverso. Un discorso sbagliato causa malessere. Un discorso giusto porta benessere e guarigione.

Tich Nath Hanh poi illustra le sei frasi che incarnano un discorso amorevole, rendono la relazione più forte e fanno sapere alle persone con le quali ti relazione che le vedi, le capisci e ti preoccupi per loro:

  • Io sono qui per te. Questo è il miglior regalo che si possa fare a una persona cara. Niente è più prezioso della tua presenza. Essere lì è un'arte e una pratica. La tua mente deve essere lì e nel presente prima che tu possa amare.
  • So che ci sei, e sono molto felice. In questo modo state facendo sapere alla persona amata che la sua presenza è importante per la vostra felicità.
  • So che soffri, ed è per questo che sono qui per te.  
  • Io soffro e voglio che tu lo sappia. Sto facendo del mio meglio, per favore aiutami.  Dobbiamo mostrare all'altra persona che non possiamo sopravvivere molto bene senza di lei, ma spesso commettiamo una specie di errore: fingiamo di non soffrire.
  • Questo è un momento felice. Serve a ricordare a noi stessi e all'altra persona che siamo molto fortunati.
  • In parte hai ragione. Perché come esseri umani, abbiamo tutti aspetti positivi e negativi.

Le giuste frasi creano benessere ed aiutano alla salute, ci nutriscono e ci sollevano. Frasi non corrette creano tensioni, rabbia e sofferenza.

Le persone passano molto tempo a incontrarsi o a scrivere e-mail con gli altri, ma non spendono  molto tempo a comunicare con se stesse. Non vogliono sapere cosa sta loro accadendo, e in queste condizioni è difficile comunicare con un'altra persona. Se comprendono la loro sofferenza, sarà molto più facile capire la sofferenza degli altri e del mondo. La vera libertà arriva solo quando le persone sono in grado di liberare la loro sofferenza, dovuta per la maggior parte al rapporto con i nostri genitori nel periodo infantile.

Per entrare in noi stessi possiamo usare la tecnica di meditazione Mindfulness che  permette di acquisire la piena consapevolezza del momento presente e  aiuta ad abbracciare questa sofferenza. Questo processo inizia con la consapevolezza del nostro respiro. La respirazione promuove la comunicazione tra la mente e il corpo. Inspirare ed espirare è una pratica di libertà, rilasciamo tutto, comprese le preoccupazioni o le paure per il futuro e i rimpianti per il passato.

Oggi molti di noi soffrono perché comunicare con gli altri in maniera costruttiva è molto difficile. Solo quando saremo disposti a comprendere arriverà la compassione. Se aspettiamo che i nostri genitori o il nostro partner cambino, potrebbe passare moltissimo tempo, quindi è meglio cambiare se stessi e non forzare l'altra persona a cambiare.

Se qualcosa ti irrita nell'altra persona, devi staccarti dall'infelicità e tornare a te stesso, alla tua pace, finché non sai gestire la situazione in modo amorevole. A volte, in una relazione, pensiamo che la separazione o il divorzio siano l'unica alternativa. Questo è vero se siamo in una situazione violenta, altrimenti semplicemente non sappiamo come comunicare con l'altro.

Al lavoro dovremmo ascoltare tutti con uguale interesse e preoccupazione, sorridendo alle persone che incontriamo.  Non dovremmo cercare di imporre le nostre opinioni agli altri, in questo modo creeremo solo tensione e sofferenza sul lavoro. Durante un confronto sarebbe opportuno seguire il respiro mentre si ascolta e lasciare parlare una persona alla volta, senza interruzioni.

Comunicare significa condividere o rendere comune. Una persona che non crede nell'amore e nella comprensione non sarà capace di riceverlo. Se una persona non riesce autonomamente a liberarsi dalla sofferenza, l'energia di una comunità di mindfulness potrà aiutarla a raggiungere questo obiettivo.

Parlare, scrivere, il linguaggio del corpo, l'espressione del viso, il tono della voce, le azioni fisiche e i pensieri sono modi di comunicare. Il karma è la triplice azione dei nostri pensieri, della nostra parola e delle nostre azioni corporee;

Tecniche per alleviare la nostra sofferenza e migliorare la comunicazione:  

  • attivare il campanello del computer per ricordare di avere momenti di mindfulness durante la giornata;
  • bere il tè in piena consapevolezza;
  • ascoltare la propria interiorità ed affrontare la sofferenza;
  • scrivere una lettera d'amore, 
  • scrivere una nota di pace come strumento di guarigione quando siamo feriti o arrabbiati per qualcosa che qualcuno ha detto o fatto. In questa nota bisogna evidenziare le frasi o i gesti che ci hanno ferito;
  • prendete un appuntamento per parlarne insieme con una persona in caso di malinteso; durante il colloquio una persona inizia esprimendosi mentre l'altra ascolta profondamente;
  • abbracciare con consapevolezza e concentrazione un'altra persona può portare alla riconciliazione, comprensione e felicità. Puoi praticare la meditazione dell'abbraccio con un amico, tua figlia, i tuoi genitori, il tuo partner, o anche con un albero. Gli abbracci sono una delle forme di comunicazione più forti, durante questo gesto i nostri cuori si connettono e sappiamo di non essere,  degli esseri separati. 

Sequenze di yoga

 In questo articolo ho riportato una serie di sequenze di posizioni (asana) di yoga da fare eventualmente da casa.

 Sequenza proposta da  T.K.V. Desikachar. Leggera difficoltà.
Sequenza proposta all'ashram di Krishnamacharia.  Leggera difficoltà.
 
Sequenza di  André Van Lysebeth.  Difficoltà elevata.  Sequenza di Sivananda. Difficoltà elevata
                     
Sequenza di Satchidananda, il Maestro Silente di Madras. Difficoltà medio/elevata

Protocollo yoga. Difficoltà media.   Sequenza proposta da Antonio Nuzzo. Difficoltà media.
 

Altre sequenze. Difficoltà medio/elevata.
  
  
 

venerdì 11 giugno 2021

Frase del Dalai Lama

 "Quello che mi ha sorpreso di più negli occidentali, è che perdono la salute per fare i soldi e poi perdono i soldi per recuperare la salute. Pensano tanto al futuro che dimenticano di vivere il presente in tale maniera che non riescono a vivere né il presente, né il futuro. Vivono come se non dovessero morire mai e muoiono come se non avessero mai vissuto."

Sua santità il Dalai Lama

Introduzione al Blog

Il Blog è nato nel marzo 2021, in tempo di pandemia, per comunicare e condividere le mie letture e i miei interessi personali.  Nel blog c...