Christian Humphreys (1901-1983), l'autore del libro, fondò nel 1924 a
Londra la Buddist Società, la più vasta organizzazione d'Europa.
Verso il buddhismo zen. Oltre gli opposti. Solo la coscienza, dopo vite di sforzo, può venire innalzata a un livello in cui la dualità non ci lega più, che il patriarca Hui-neng chiamò "l'essenza della mente pura". Per conoscere se stesso, il soggetto deve guardare l'oggetto. Come dice Huang Po: "Tutti i Buddha e tutti gli esseri senzienti non sono altro che l'Unica mente, oltre la quale nulla esiste". Ma noi, abusando del pensiero, dividiamo la Realtà e la rendiamo due. Dal punto di vista dell'al di là del pensiero anche spirito e materia sono solo aspetti della non dualità. Le parti separate della non dualità non hanno mai cessato di essere Uno. Nella mente si crea una tensione: da una parte la forza vitale, che scorre dal Non Nato attraverso ogni forma o cosa o avvenimento; dall'altra parte il sè-ego, il non-Atman o An-atta accecato dall'illusione dell'esistenza separata e sordo alla voce della Mente del Buddha interiore, combattendo per il sé, e opponendo la propria volontà a quella dell'universo, è pieno di sofferenza forgiata dai suoi desideri personali. Il condizionamento mentale è dato dalla nascita, dal sesso, dalla religione.
Sulla sommità del pensiero umano, sta ciò che gli hindù chiamano CIÒ, e il Buddha chiamò " il Non Nato, Non Originato, Non Condizionato. Nel Parinirvana sutra è detto: " il solo principio della vita che esista indipendentemente da tutti i fenomeni esterni". I taoisti lo chiamano Tao, da cui viene l'Uno, Eckhart l'ha definita "Deità al di là di Dio". La sua prima emanazione è l'Uno, un'unità indivisibile che nel processo della manifestazione si divide in due, e il due diventa tre (in virtù del rapporto tra di loro) e appare come le diecimila cose.
Essendo la vita una, così è la coscienza che è ugualmente indivisibile e invisibile. C'è un ciclo di incoscienza e coscienza ( io sono), autocoscienza (so di essere io) e infine il nirvana (piena coscienza senza autocoscienza), il mistero ultimo che è il cuore dell'illuminazione. La scuola Theravada proclama la dottrina dell'adattamento: "nessun sè, nessun sè, nel senso di nessun sè separato o essenza in nessuna singola cosa"; e la scuola Mahayana ha ugualmente ragione a proclamare che: "se il Sè è la vita di CIÒ, non esiste nessuna altra cosa". E' la luce solare della buddhi, dell'intuizione che ci permette di avere delle visioni di un mondo che non conosciamo del qui eterno e ora, in cui la forma è vacuità, e la vacuità è forma, in cui le differenze sono aspetti della Totalità, e la vita in tutte le sue forme è un vasro ciclo del divenire, di nascita e morte, finchè l'universo non ritorna nel seno del Non Nato da cui è venuto. Tutte le scuole buddhiste insegnano l'allenamento del carattere che implica sila, la morale, lo sviluppo della mente, bhavana, e la giusta motivazione, che implica la compassione alla pari della saggezza. Il percorso comprende lo studio, la meditazione e l'autodisciplina, e lo sviluppo dell'intelletto (indicatemi un solo mistico nella storia che non abbia avuto un cervello di prim'ordine).
Prajna, la saggezza è l'improvvisa e immediata consapevolezza del mondo della non-dualità, è al di là del tempo, è un tocco dell'assoluto, questa consapevolezza è il satori (una percezione intuitiva). L'obiettivo della meditazione, dhyana è il raggiungimento di un atteggiamento che è uno stato di trance, il suo graduale procedere porta a uno stato di coscienza elevato. Uno stato mentale uniforme, equilibrio e equanimità acquietano le onde del pensiero e dell'emozione della vita quotidiana. Il dhyana conduce al samadhi. I cinesi per il samadhi danno due versioni etimologiche: 1- o equilibrare o giusta accettazione, 2- ricevere le cose come sono. Il patriarca Hui-neng fù il primo a distinguire prajna e dhyana: la prima improvvisa e indescrivibile, appartenente al mondo della non-dualità, e il secondo, come appartenente alla dualità, la meta gradualmente raggiunta di un processo. Anche al suo sommo, il dhyana nella samadhi non raggiunge la prajna, sebbene possa essere una buona preparazione per quella.
Prajna sta sotto al dhyana e ne è la base e lo rende possibile. Perciò la preparazione all'illuminazione è necessaria e graduale, ma il momento in cui arriva è improvviso, un balzo dalla dualità alla non-dualità assoluta. Sebbene il samadhi possa essere raggiunto con il dhyana e duri per ore, non è il satori che può venire in qualsiasi momento, ma ciò che conta è l'intensità della volontà.
La nascita dello zen. Tra i seguaci del Buddha sono nate molte scuole tra cui la scuola Theravada, il cui cnone Pali fu messo per scritto a partire dal 1 secolo a.C., ci sono poi le scuole Mahayana: quella Madyamika, associata la nome di Nagargiuna, e la scuola dell'Unica mente fondata secoli dopo da Asanga e Vasubandhu. L'insegnamento del Buddha passò in Cina dalla via della seta e l'accoglienza fu piuttosto fredda. Verso il 500 d.C. arrivò alla corte dell'imperatore cinese Bodhidharma e i cinesi ne furono conquistati e nacque così la scuola Ch'an che è stata definita la reazione al buddhismo indiano. Dopo vennero una serie di patriarchi, ma fù il sesto, Hui-neng che trasformò l'insegnamento in una scuola organizzata. Per cinquecento anni ci fu una successione di grandi maestri finchè nel 1200 d.C. il buddhismo Ch'an giunse in Giappone con il nome di zen, dove si ebbe lo sviluppo parallelo delle scuole Rinzai e Soto. L'insegnamento di Hui-neng è quello della saggezza che è andata al di là (prajnaparamita) della scuola Madhyamika, applicata senza compromessi alla vita quotidiana. Deve esserci comunque un'apertura improvvisa del "terzo occhio" dell'intuizione della prajna, per vedere che tutte le cose sono falsamente immaginate e derivano da un unico principio. Questo ritorno all'insegnamento del Buddha da parte di Hui-neng fu più tardi integrato dal maestro Huang Po, il quale insegnò che "tutti gli esseri senzienti non sono altro che l'Unica mente, oltre la quale nulla esiste".
Il rinzai zen usa come allenamento per la meditazione il koan, mentre nel soto zen, si medita semplicemente stando seduti. Ma in entrambi i casi presuppone una vita monastica e tempo quasi illimitato. L'autore sostiene che questa via non è percorribile dagli occidentali interessati al buddhismo zen che dovrebbero trovare un'alternativa al tradizionale allenamento giapponese.
pag. 107. Gli occidentali, in termini buddhisti, dovrebbero costruire il loro Dharma attraverso l'intelletto, uno strumento eccellente per l'acquisizione della verità nel campo della dualità, trascendere attraverso l'intuizione le limitazioni intrinseche e raggiungere una diretta visione della realtà. Si dovrebbe, lentamente innalzare la coscienza finchè, illuminati progressivamente dalla luce crescente dell'illuminazione, siamo pronti per le prime brevi visioni della nuova consapevolezza (vedere ciò che siamo in essenza la mente del Buddha), e intanto serviamo i bisogni di tutta l'umanità con cuore umile e devoto. La conoscenza, in questo caso, diventa saggezza e fiorisce nella compassione. Dopo qualche anno di pratica meditativa e allenamento dovremmo riuscire ad essere capaci di sospendere per qualche minuto ogni reazione ad avvenimenti o oggetti esterni, non nella meditazione profonda, ma nella vita normale, interrompere a volontà il chiacchiericcio mentale.
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Se descriviamo lo zen come l'apertura del terzo occhio della saggezza-
intuizione, e se tale risveglio è considerato la fonte e la meta
dell'allenamento zen, possiamo innalzare la coscienza al piano, al
livello di questa intuizione attraverso anni e vite di durissimo lavoro,
e non restando semplicemnte a sedere e sperare. I Buddha non fanno
altro che indicare la via, ma ognuno deve togliere le bende dai propri
occhi. Il vedere deve essere l'atto stesso di colui che ha fatto la
scelta. Ognuno deve liberare se stesso dalle catene del pensiero e del
presente pensare. Come ha scritto Suzuki: Ciò che distingue lo zen dagli
altri insegnamenti spirituali è la perfetta padronanza delle parole o
dei concetti, si usano per innalzare la coscienza ai suoi limiti e
oltre; la mente va quindi controllata. Come sarebbe possibile piantare
nuovi semi nella nostra mente, anche i semi degli essenziali principi
buddhistici, se non teniamo conto dello stato della mente in cui li
seminiamo. La mente intrensicamente pura di Hui-neng ti chiede di
estirpare dalla mente tutti i pensieri e i molti nomi delle molte cose.
Dobbiamo vuotare la nostra mente, per provare ad entrare in una nuova
dimensione. Molto ricorrente è la storiella del maestro che versa del
tè, fino a traboccare, nella tazza al discepolo che voleva degli
insegnamenti e gli dice: "La tua mente è piena come questa tazza di té e
non può accogliere i miei sentimenti".
Contrapporre ciò che ti piace a ciò che non ti piace, questa è la malattia della mente, prova a non cercare il vero, cessa soltanto di nutrire opinioni. Le domande che uno dovrebbe porsi sono: quanto sono ancora condizionato mentalmente? Quanto sono ancora legato alla mia educazione, cultura, religione, ecc. Sono capace di vedere il punto di vista altrui in qualsiasi questione? Sono capace di vedere una Verità che è al di là di tutte le coppie di opposti?
Su Dio il Buddha mantenne sempre un nobile silenzio. Dio come prodotto del pensiero è un innocuo abitante del cielo spirituale, infatti nella migliore delle ipotesi Dio è una creazione della mente, e non ha alcuna relazione con la Realtà che il pensiero non può nè raggiungere nè descrivere. Eckhart disse: "Qualunque cosa tu dica di Dio non è vera"; e come dicono il cinesi "Il Tao che può essere espresso non è il Tao eterno". I buddhisti dicono che c'è un Non Nato, Non divenuto, Non fatto, perchè se non ci fosse non ci sarebbe scampo dalla nascita, dal divenire, dal fare. Su questo Uno che è al di là dell'uno e dei molti, il Buddha osservò un tonante silenzio. Il praticante che è sulla via lascia da parte i pensieri inutili e cerca di sviluppare nella mente la facoltà che sola può conoscere l'Assoluto: l'intuizione, il terzo occhio della consapevolezza diretta in viurù della quale la parte e il tutto sono conosciuti come uno solo, e l'Assoluto è visto in ognuna delle sue infinite e moltepli forme (simile alla concezione hindu delle manifestazioni dell'unico Brahman primordiale). "Guarda dentro di te; tu sei Buddha, tu hai la natura di Buddha". Un saggio sufi disse a un altro: "Non ho mai visto nulla senza vedere Dio dentro", L'altro saggio rispose: "Io non ho mai visto altro che Dio".
Lo zen è un modo di vita basato su un nuovo punto di vista, quello della non-dualità, e per raggiungerlo dovremmo ascoltare la Voce del silenzio, attenuare le nostre reazioni allo stimolo esterno (in qualunque forma si manifesti, parole, immagini, messaggi, ecc) e avremo bisogno di tutta la nostra forza mentale per arrivare alla Non-Mente, dimorando consciamente nel centro immobile del mondo che gira.
Ne consegue naturalmente che mentre l'intelletto è una macchina costruita per raggiungere ed esprimere la verità nel mondo della relatività, non potrà mai fondere colui che cerca, la sua ricerca e l'oggetto cercato in una sola intera esperienza. Questa è prerogativa e funzione dell'intuizione.
Nello zen il ruolo della meditazione è centrale. Qui è usata per intendere l'uso deliberato di una mente controllata per uno specifico fine spirituale, il risveglio della facoltà dell'intuizione della prajna, che è al di là dell'intelletto. La meditazione zen ha lo scopo di identificare il soggetto con la massima realtà. Il sistema dei koan è stato messo a punto proprio per fornire un sostegno alla mente. Huang-po dice: "Tutti i Buddha e tutti gli esseri senzienti non sono altro che l'Unica mente, oltre la quale nulla esiste". Per lo zen quindi non c'è niente da raggiungere e nulla per raggiungerlo. C'è però un lungo viaggio prima di vedere, nella pura esperienza, che ciò è vero. Prima di poter usare la mente per la meditazione occorre porla sotto controllo, e uno dei più noti esercizi per questo fine è quello di sorvegliare il respiro, e calmare la mente. Per Hui-neng "meditare significa realizzare interiormente l'imperturbabilità dell'Essenza della Mente" e concorda con il grande ideale esposto nella Bhagavad Gita di raggiungere un equilibrio spirituale che non si smentisce rispetto agli eventi desiderati come a quelli non desiderati. La meditazione è un mezzo, una dei tanti per risvegliare la Prajna, e sviluppare così un modo interamente diverso di trattare con le cose. Nella meditazione separi te stesso dal tuo ambiente e realizzi il Buddha in te stesso. Il Maestro è dentro di te, ma devi fare uno sforzo e bussare alla porta del tuo cuore.
L'intellettualismo è la morte dell'esperienza zen, comunque la filosofia è un necessario sfondo e ingrediente dell'allenamento all'esperienza zen. Suzuki è stato accusato di aver ridotto lo zen a livello dell'intelletto e aver scritto di ciò che non può essere descritto. La sua risposta è stata. "Per suscitare la prajna (la saggezza), intuizione intelletto devono procedere di pari passo". L'intelletto è uno strumento magnifico, il suo pensiero eccelso sarà comunque che La verità è al di là di tutto il pensare. Dogen, il fondatore della scuolo Soto zen ha scritto sulla meditazione: "Pensa il Non pensabile". Ossia pensa al di là del pensare e del non pensare. La mente funziona a due livelli, la mente inferiore opera nella quotidianità, la mente superiore astratta tende sempre alla facoltà più elevata, il piano dell'intuizione. La tensione tra queste due parti è incessante. Piano piano, attraverso la comprensione, i pensieri superiori sostituiranno i pensieri di valore inferiore e sarà innalzato il livello del pensiero abituale. Nel buddhismo Mahayana si legge della trinità di Sila (morale, grande integrità morale e forza di carattere), Samadhi (una profonda quiete della mente che non è però l'obiettivo finale) e Prajna (saggezza dell'improvvisa e immediata consapevolezza del mondo della non-dualità che è la meta), il terzo occhio della consapevolezza zen. Davanti alle coppie di opposti cerchiamo il terzo superiore, al di sopra di entrambi. La prajna scaturisce come un lampo dall'inconscio eppure non lo abbandona mai; ne rimane inconscia. Questo è il significato del detto: "vedere è non-vedere, e non vedere è vedere". La prajna è il massimo potere spirituale in nostro possesso attraverso il quale vediamo al di là del campo del pensiero o di qualsiasi funzione duale della mente, è molto più del samadhi che è passivo e molto più del dhyana.
Due sono i pilastri del grande edificio del budhhismo: grande saggezza e grande compassione. La saggezza scorre dalla compassione e la compassione dalla saggezza, infatti le due sono una sola; ciascuna è incompleta senza l'altra. Karuna cresce con la morte dell'IO'. Prajna appartiene più alla testa, e karuna più al cuore e corrispondono all'Jnana yoga e al Bhakti yoga. La saggezza è rivolta all'interno e la compassione è rivolta all'esterno. La compassione, non ostacolata da avidya (ignoranza) è completamente impersonale, un fatto per molti non facile da digerire. E' colore disinteressato, non conosce senso di separatezza, è senza attaccamento, senza pensiero di sacrificio o dovere, o di ricompensa. L'incarnazione umana della compassione è il Bodhisattva. Suzuki pronunciò la seguente frase: "la cosa più importante è l'amore".
L'intuizione è il ponte che conduce il pensiero più alto all'Aldilà del pensiero. Occorre una graduale preparazione e consacrare la vita a scopi spirituali, a mano a mano che continueremo a elevare il livello abituale della coscienza per vivere nel Sé superiore, guarderemo con occhio nuovo le verità dello zen. L'intelletto da solo non può mai avere più che una conoscenza delle cose, non può mai sapere. Possiamo vedere il terzo superiore di ogni coppia solo con una percezione senza mezzo, solo con l'intuizione. L'obiettivo della disciplina zen è proprio questo: prepararci al satori, ci prepariamo senza sosta, e quindi mentre procediamo, aspettiamo. Mentre aspettiamo inerpichiamoci verso il Sè superiore e guardiamo attraverso i suoi occhi. Ogni cosa è relativa e al tempo stesso è assoluta, è entrambe contemporaneamente. Quando giunge la visione, quando sciogliamo le restrizioni della mente, quando la mente operante è sempre più illuminata dalla luce della mente del Buddha, noi pregustiamo la serenità, quell'equilibrio spirituale di fronte agli eventi (desiderati e indesiderati). E mentre attraversiamo il Ponte che non è, scopriamo la nostra saggezza che svegliandosi funziona in mille utili forme come profonda compassione per tutte le persone, cose e circostanze e, per noi stessi.
Quando il soffitto del samsara, il mondo duale dell'irrealtà, è trapassato dalla spada dell'intuizione della prajna, aprendo spiragli che lasciano intravedere un più ampio stato di coscienza, raggiungiamo il vero inizio dell'allenamento zen. Ora vediamo tutto così come è, e tutte le cose sono parti inseparabili della medesima pienezza/vacuità, un allenamento morale basato sull'esperienza del satori.
Tutti gli esseri sono già illuminati, nella voce del silenzio è scritto "Guarda dentro di te, tu sei Buddha". Dobbiamo solo liberarci della benda che noi stessi ci siamo legati sugli occhi. La suprema scoperta del mistico è : "il discernimento zen non è nostra consapevolezza, ma consapevolezza dell'essere di esso stesso in noi".
L'illuminazione è improvvisa consapevolezza zen, e lo zen è la luce del Non-nato in manifestazione. Sukuzi dice che la vita dello zen incomincia con l'apertura del satori, e l'obiettivo dello zen è preparare al satori la nostra coscienza relativa. Arrivare a percepire un nuovo mondo finora non concepito nella confusione di una mente dualistica. Il satori non può essere trasformato in concetto, è al di là della dualità. Un'esperienza in cui c'è un senso dell'io non è vero satori. Alan Watts ha dichiarato che lo zen non comporta un abbandono dell'intelletto; l'intelletto deve essere sviluppato fino al suo culmine, fino al punto in cui il processo del ragionamento scompare.