giovedì 9 giugno 2022

Il percorso spirituale - Mauro Bergonzi

Mauro Bergonzi ha insegnato Religioni e Filosofie dell’India e Psicologia Generale all’Università degli Studi di Napoli “L’Orientale” dal 1985 al 2017. E’ membro della International Association for Analytical Psychology (I.A.A.P.) e psicologo analista didatta del Centro Italiano di Psicologia Analitica (C.I.P.A.). Ha pubblicato articoli e saggi sui processi meditativi nel buddhismo, sulla psicologia del misticismo, sul comparatismo filosofico e sull’incontro tra Oriente religioso e Occidente contemporaneo, con particolare riferimento al campo della psicologia transpersonale e agli studi sulla coscienza. A partire dagli anni ’70, ha praticato varie forme di meditazione con uno spirito libero da dogmi e adesioni confessionali, approdando infine ad una prospettiva non-dualista, che da diversi anni trasmette attraverso i suoi incontri di ‘condivisione dell’essere’ (sat-sang).


La meditazione non è un fuggire dalla vita.  Dai percorsi spirituali, dalle pratiche di meditazione e di contemplazione si cercava e si cerca una protezione dal dolore, dalla sofferenza. Comunque i grandi saggi dell’umanità non hanno mai promesso che,  raggiunto un certo livello di saggezza, l'individuo sarebbe stato libero dalla sofferenza. Dal momento che abbiamo un corpo e una mente non possiamo esserne immuni.

Tony Parsons, il teorico del non dualismo, parla della via del ghiaccio, che è la via per costruire una protezione alla sofferenza.  Adottare questa via significa adottare la pratica del testimone, mettersi ai margini della vita, ed osservare tutto, anche la sofferenza in maniera impersonale, ma questa via ci isola dalla vera vita, dalle esperienze della vita. L’altra via opposta, di cui parla Tony Parsons, la via del fuoco, è invece quella dell’intimità della vita, strettamente personale.  Finché non avviene questo matrimonio tra le due vie, il fuoco ha paura del ghiaccio e viceversa, se non avviene questo matrimonio, nell'individuo non ci sarà una vera trasformazione interiore.

Mauro durante la conferenza spiega : "Mentre seguivo questi percorsi di trasformazione interiore, e ne ero convinto della loro validità, mi rendevo conto che non era una fuga dal mondo, ma un vivere più consapevole. Sotto sotto, c’era l’idea di essere protetto, percorrevo la via del ghiaccio che è più tipicamente maschile. La via del fuoco, con l’intimità della vita non è avvenuta tramite la meditazione, ma quando mi sono dedicato anima e corpo a mia madre, negli ultimi anni della sua vita. Nella situazione dolorosa mi sono dedicato totalmente a lei, e ho chiuso il cerchio della vita, indipendentemente da tutto,  ha avuto un grande effetto trasformativo".
Se si riesce a vivere l'intimità della vita, e nello stesso tempo agire in maniera impersonale e distaccata, queste due modalità messe insieme, produrranno una grande trasformazione.
Occorre cercare di rimuovere le cause della sofferenza, ed  investigare e cambiare il rapporto con la sofferenza. A secondo del modo con cui ci si rapporta con la sofferenza l’evento diventa più o meno sopportabile. Ad esempio, se la prendiamo come una giusta esplicazione del karma, o come una ingiustizia, il livello di angoscia percepito è diverso.
Questo Io, che si rapporta con la sofferenza è veramente come ce lo immaginiamo?  Pensiamo veramente di essere un io separato dal mondo, dalla sofferenza. Esiste veramente un io separato dalla sofferenza e dall’universo ?  

Se noi interroghiamo la mistica e la scienza tutto questo è un po’ dubbio. Noi siamo costituiti da un flusso sempre cangiante, aria, acqua, sostanze nutritive, che mentre ci attraversano diventano l'Io, quindi il confine tra interno ed esterno è molto labile. Un individuo biologico è considerato come un gorgo d’acqua, i gorghi non sono separati dalla corrente, il gorgo non è una parte della corrente, ma è la corrente del fiume come appare in quel punto. 

La sofferenza è anche una questione d’identità. Ad esempio in una malattia degenerativa, si instaura una perdita di memoria e silenzio, la persona non c’è più, e quello che proviamo è simile alla perdita di una persona cara. Non si è più un figlio, una madre, ecc.

Nei percorsi spirituali e meditativi si cerca di arrivare ad uno stato di coscienza privo di memoria definito come silenzio. Anche se non è la stessa cosa, ci dovrebbe comunque far riflettere.
Bisogna tenere sempre presente la domanda « Chi sono io ? » che è il titolo di un libro scritto da Ramana Maharshi, il grande mistico indiano.

Per rispondere a questa domanda dobbiamo andare verso quello che non cambia: Il corpo, i pensieri, e le percezioni cambiano. Quindi, cosa resta ? La memoria e i ricordi sono gli aspetti più legati all’Io;
Per Nisargadatta Maharaj "L’assenza di memoria non è la prova di inesistenza".
La sola cosa di cui sono certo è il fatto che esisto e che sono cosciente, quello che cambia è di che cosa sono cosciente.
La fisica quantistica sta considerando l’ipotesi che la coscienza sia un dato a priori nella costruzione dell’universo. Se il mio esserci ed essere cosciente non è separabile da quello degli altri, ci permette di sentirci un tutt’uno con gli altri e questo può diventare una manifestazione d’amore. Questa risonanza è possibile sentirla se ci liberiamo dalle false idee su "chi siamo noi".
Nella vita ci sono due dimensioni, una orizzontale che non ha fine, di auto miglioramento, di situazioni che si susseguono, e da queste situazioni di vita possiamo sempre imparare qualcosa.
Poi c’è una dimensione verticale che è l'autorealizzazione che è fuori dal tempo.

Ma cosa è la felicità che cerchiamo tutti? Non è il piacere che può  essere più o meno intenso, la felicità è completezza, il vivere in una situazione in cui non ho bisogno d’altro. La felicità o c’è o non c’è, non è misurabile.
La felicità è un nostro diritto di nascita, ma ci sembra di averlo perso. Shankara, che è stato un teologo e filosofo indiano, nonché il fondatore della scuola dell'advaita vedānta racconta una storiella:  "dieci amici decidono di attraversare un fiume a nuoto. Uno di loro comincia a contare, uno-due, ... nove manca qualcuno, poi vedono un passante a cui chiedono di contare e conta: uno_due_nove ... mette una mano sul cuore e conta dieci".
Se si crede di essere incompleti, si soffre, la causa principale della sofferenza è quando ci si convince di essere un io separato dall’universo. Con il pensiero abbiamo separato il tempo in passato, futuro, presente che intuitivamente dura un secondo.  Questo presente ingloba passato, presente e futuro. Ramana Maharshi diceva: « l’unico ostacolo al risveglio è l’idea di non esserlo già».

Quando tiro una linea tra me e il mondo, inizio la battaglia, e devo necessariamente fare qualcosa per dare un senso alla vita. Ma il fare significa confermare questa distinzione tra me e il mondo, tra me e la vita. Invece io sono totalmente immerso nella vita. Questa sensazione non deriva da una comprensione intellettuale. E' qualcosa che accade. Occorre liberarsi dall’illusione che è quella della separazione, e scoprire quindi il Sé originario, che non è il mio piccolo sé.

Se pensiamo che facciamo tutti parte della coscienza cosmica,  anche l'ira diventa perfettamente inutile. Il taoismo per spiegare questo concetto usa la metafora della barca: Un barcaiolo di notte con la nebbia stava scendendo il fiume, quando vede che un lume in lontananza sta scendendo dalla parta opposta e sta per andargli contro, a quel punto comincia a gridare e ad insultare il presunto barcaiolo, poi la barca si avvicina e si accorge che è vuota….. Si era liberata dagli ormeggi…

Altri interventi di Mauro Bergonzi su varie tematiche.

Vesak, la ricorrenza più importante per la comunità buddhista mondiale

La festività del Vesak, la festa del risveglio e della luce è una delle ricorrenze più importante per la comunità buddhista mondiale nel corso della quale si ricorda nascita, illuminazione e morte del Buddha. La celebrazione, corrispondente al Natale buddhista, offre la preziosa opportunità di riflettere su come gli insegnamenti del buddhismo possano aiutare la comunità internazionale a fronteggiare le sfide del presente. 

L'ultima  festività è stata dedicata alla pace in Ucraina e si è tenuta dal 28 al 29 maggio a Torino. in questa occasione la comunità buddhista italiana, attonita davanti al dolore innocente provocato da questo atroce conflitto,  ha lanciato un appello di pace che sarà firmato dai centri presenti sul territorio italiano.  “Di fronte al reale pericolo di una escalation nucleare preghiamo e chiediamo con forza che si fermi subito il conflitto" – ha dichiarato Filippo Scianna, presidente dell’Unione Buddhista Italiana. “Troppi sono i rischi che corre il mondo intero. Con le altre confessioni religiose ribadiamo la richiesta che le armi tacciano e che predomini il dialogo e la pace. Le religioni sono veicoli e strumento di pace e mai possono giustificare violenze e guerra verso gli inermi.

In questa occasione l'Unione Buddhista Italiana (UBI) ha ribadito il convincimento dell'insensatezza dell'uso delle armi nella risoluzione dei conflitti. Il conflitto in Ucraina rappresenta il simbolo dell’insensatezza di qualunque guerra in qualunque luogo del mondo. Un pensiero, quest’ultimo, che risponde ai più intimi valori buddhisti..


Un jour viendra couleur d'orange - Grégoire Delacourt

 Grégoire Delacourt (1960,  - ) è uno tra i più grandi pubblicitari francesi, autore di famosissime campagne, si è messo a scrivere romanzia 50 anni.   Uno slogan dei gilet gialli riportato nel libro: On veut juste une vie juste. Vogliamo soltanto una vita giusta.

Il suo ultimo libro Un jour viendra couleur d'orange è una meraviglia. È un bel romanzo suddiviso in capitoli colorati e un vero invito alla tolleranza. La storia di questo romanzo molto impegnato si svolge tra l'inizio del movimento dei Gilet Gialli e l'incendio di Notre Dame. I temi di attualità si intrecciano con un profondo umanesimo, e l'autore mescola la rabbia dei gilet gialli con i problemi di razzismo.  Questo libro parla della vita e dell'amore, ma soprattutto della fuga come mezzo di sopravvivenza o rifugio in un mondo troppo violento per chi è ai margini.

La trama è la seguente: Djamila, un'adolescente nordafricana vessata dai fratelli è innamorata di Geoffrey (che soffre di disturbi autistici)  il figlio di Pierre, che lavora all'Auchan locale ed è stato un Gilet gialli fin dall'inizio. Louise, la moglie di Pierre, è un'infermiera in un'unità di cure palliative che ama fortemente il suo figlio diverso. E poi c'è un'altra storia d'amore terribile e bellissima. E poi c'è la natura che  ha avuto un ruolo molto importante in questo romanzo.

Djamila fugge dai suoi fratelli,  Geoffrey cerca di superare l'autismo rifugiandosi in se stesso e nel rapporto con Djamila. Pierre, molto arrabbiato per la sua condizione sociale e per la disabilità del figlio, fugge dalla sua realtà facendosi coinvolgere nella lotta dei gilet gialli. Louise fugge accompagnando le persone in stato terminale alla morte. 

Nel libro scopriamo che la fuga non è sempre vigliaccheria, ma spesso, la prova di una sofferenza immensa che si fa fatica ad affrontare e soprattutto il segno di un incredibile desiderio di vita, di sopravvivenza. A volte ci vuole coraggio per riuscire a fuggire, a lottare contro se stessi per non affondare e uscire dalla situazione in cui ci si trova.

Questo testo è un bellissimo valzer di parole e le frasi sono delle vere poesie; Presenta varie storie che formano un insieme  armonioso.

Intervista a Delacourt https://www.youtube.com/watch?v=iFi3OxnY8oA

 Un jour viendra couleur d'orange è un verso di Aragon, preso dal poema "Un giorno, un giorno" in cui denuncia l'avanzata del fascismo in Spagna e l'assassinio di Lorca nel 1937. Nonostante tutto, crede ancora che uomini e donne andranno verso un domani gioiosi e albe color arancio. Credere che il meglio è davanti a noi.  La coppia formata da Geoffroy e Djamila si amano, l'amore è un'enorme speranza in un monde che non è fatto per le persone come loro, per le persone diverse. L'amore e la collera sono delel formidabili speranze. Il vero amore è amare senza aspettarsi niente in cambio. Geoffrey e Djamila incarnano un mondo possibile, incarnano dei sogni d'infanzia che come adulti dobbiamo imparare a gestire.  Saint-Exupery diceva che ogni uomo ha una parte d'infanzia che ha perduto, e questo è un peccato. Bisogna ritrovare questa parte d'infanzia perchè in essa si manifestavano i nostri sogni. Essere adulti è ritrovare i sogni dell'infanzia e realizzarli.

Link: https://www.youtube.com/watch?v=X7GB1_79Wi4

Alcune frasi del libro.

  • La colera non è sufficiente per cambiare il mondo, non è che rumore. Bisogna ritrovare quello che avevamo in comune, che abbiamo perduto per delle cattive ragioni.
  • La differenza fa paura, dà il sentimento agli altri di essere privati di qualcosa e al posto di nutrirsene, preferiscono distruggerla. Si picchiano gli omosessuali, i neri, gli arabi, i diversi, gli autistici. Si colpisce tutto quello che rischierebbe di rivelare che non siamo poi così straordinari. La paura dell'altro è la paura di essere mediocre.
  • La poesia è qualcosa che non si può spiegare, solo sentire. Soltanto supporre. E' quando non è la testa che parla, ma il cuore, la pelle, la paura, e a volte il desiderio. E' esattamente questo la poesia. La poesia è tutto quello che può cambiare il mondo in bellezza. Anche se è illogico. Ma l'illogicità è anche una forma di logica. I problemi si presentano quando gli uomini smarriscono il senso della poesia e restano sordi ai mormorii del cuore.
  • Ritrovare nell'infanzia la nostra scintilla d'innocenza, le nostre capacità perdute di meravigliarsi, le sole qualità che potevano fare di noi, degli esseri umani. Ma noi abiamo lasciato prendere sopravvento la nostra parte peggiore e il sangue non si è più arrestato di colare.
  • L'avvenire? E' una parola che non ha niente a che vedere con l'amore. Da quando siamo piccoli ci hanno convinti che la miglior rima con amore, era sempre. E' un'immensa stupidaggine. La vera rima d'amore, è ogni giorno.
  • Non bisogna sognare. Qui, le persone sono molto individualisti, Gridano, ma non vogliono problemi, Giusto conservare i loro confort, i loro piccoli vantaggi: Non siamo più nel 1789, non siamo più un popolo. Siamo 65 milioni di popoli. Ci fù allora un lungo silenzio.
  • Mi aveva interrogato sul razzismo. Gli avevo spiegato che è una dottrina insensata qui promuoveuna gerarchia di razze e che nel suo nome, delle persone si arrogavano il diritto di umiliare, colpire, uccidere anche, delle persone che stimavano inferiori a causa del colore della loro pelle, della loro religione, del loro sesso, della loro origine.

Sto bene con te e questo mi è sufficiente.

Altri romanzi di Grégoire Delacourt.   L'ultimo romanzo, scritto durante il confinamento a causa del Covid, è L'enfant réparé. Un tema che tocca particolarmente Delacourt in quanto in un'intervista ha dichiarato di essere stato anche lui un bambino abusato. La cosa terribile è che ad abusare di lui sia stato il suo stesso padre.

  • La donna che non invecchiava più  
  • Danzando sull'orlo dell'abisso
  • Le quattro stagioni dell'estate  
  • On ne voyait que le bonheur
  • La prima cosa che guardo
  • La liste de mes envies. Le cose che non ho 
  • L'Écrivain de la famille

Mahatma Gandhi: Il potere della nonviolenza

Mohandas Karamchand Gandhi (1869-1948) è stato un politico, filosofo ed avvocato indiano e leader del movimento per la libertà e l'indipendenza dell'India, nonché il fondatore della nonviolenza, un metodo di lotta politica che rifiuta ogni atto di violenza.  Gandhi è conosciuto come il Mahatma, la "grande anima", come lo definì il poeta indiano Rabindranath Tagore (premio Nobel per la letteratura nel 1913). In realtà, il suo impegno fu soprattutto religioso, di liberazione personale, nella convinzione che avesse un forte impatto politico. Lo afferma più volte e lo ribadisce nella sua Autobiografia: "La mia devozione alla Verità mi ha portato nel campo della politica". Gandhi non desiderava il potere politico per se stesso e non ha mai ricoperto una posizione ufficiale all'interno del Congresso Nazionale Indiano, eppure ha costantemente esercitato il ruolo di arbitro in questioni politiche.

Nel 1893, Mohandas Karamchand Gandhi, 24 anni, giovane avvocato laureato a Londra, accettò un incarico legale da svolgere a Pretoria, in Sudafrica. Durante il viaggio scoprì che in Sudafrica vigeva l'apartheid. Sperimentarlo di persona fu traumatico per Gandhi e l'umiliazione subita lo rese consapevole,  in modo drammatico, del razzismo.
In Sudafrica imparò ad affrontare i problemi politici dei suoi connazionali. L'essere perseguitato e imprigionato per motivi di coscienza insegnò a Gandhi ad affrontare la punizione con dignità, orgoglio e tenacia e riteneva che andare in prigione per un abuso di potere aumenta il prestigio della causa.  Gandhi rimase in Sudafrica per 21 anni e l'esperienza drammatica che vi fece costituì la sua scuola spirituale. Imparò che la lotta nonviolenta contro l'apartheid era una vera politica e alla fine ottenne notevoli risultati come il riconoscimento di uguali diritti, l'eliminazione di leggi discriminatorie, la validità dei matrimoni religiosi (prima solo quelli cristiani erano riconosciuti validi).

Quando tornò in India nel 1915, trovò un generale malcontento nei confronti del governo britannico. Nel 1919 Gandhi organizzò una vigorosa campagna di disobbedienza civile, con la chiusura di fabbriche, serrate e scioperi contro il Rowlatt Act: una serie di proposte legislative antiterrorismo, norme speciali per prevenire proteste. La partecipazione di massa fu enorme.  A seguito dei disordini che scoppiarono a Amritsar dove furono uccise 4000 persone che manifestavano pacificamente, Gandhi interruppe la campagna di disobbedienza civile.

Gandhi lanciò la sua prima campagna per l'indipendenza nel novembre 1921. La chiamò con un termine innovativo, satyagraha, la forza della verità, sinonimo di resistenza non violenta. Il satyagraha è una forma di mobilitazione sociale ideata da Gandhi basata sulla «resistenza passiva» a cui si aggiungevano elementi derivati dalle tradizioni filosofico-religiose indiane. Il satyagraha consiste infatti nell’«aderire fermamente alla verità», violando pacificamente leggi ritenute a essa contrarie. Ogni partecipante è chiamato a ricercare nell’intimo della propria coscienza la sorgente di tale verità, attingendovi le energie morali necessarie ad accogliere la repressione in modo non violento: la sua azione attualizza così la verità, nella speranza che essa possa «convertire» l’avversario. 

La campagna fu lanciata sulla base di tre obiettivi sociali: l'unità tra indù e musulmani, l'abolizione della casta degli "intoccabili", e l'utilizzo di materie prime locali, con la promozione del khadi, cioè l'invito ad ampio raggio a indossare abiti fatti di stoffa di cotone tessuta personalmente a mano da ogni individuo, per boicottare gli abiti prodotti in Gran Bretagna. Nello stesso tempo Gandhi  ampliò la portata delle sue azioni, sfidando i postulati sacri dell'induismo. Ai suoi occhi, non c'era differenza tra un bramino e gli intoccabili, tra caste superiori e inferiori e si identificava con i maltrattati e i poveri, e si dedicò al loro servizio.
Gandhi invitò il viceré a ripristinare "le libertà di parola, di associazione e di stampa [...] e a rilasciare le persone innocenti che erano state imprigionate", altrimenti sarebbe iniziata la disobbedienza civile. Il rifiuto del Viceré diede il via alle proteste. Alcune furono particolarmente cruente con diverse decine di morti. Appena informato degli incidenti, Gandhi convocò una riunione del Partito del Congresso, e annullò la campagna di disobbedienza civile; si impose cinque giorni di digiuno per espiare la violenza del massacro. In questa occasione fu aspramente criticato in tutta l'India per aver annullato la campagna.

Nel marzo 1922, il Mahatma Gandhi fu arrestato. Era accusato di sedizione a causa di articoli pubblicati nel settimanale, Young India. Nel primo aveva scritto: "L'Impero britannico, costruito sullo sfruttamento sistematico delle razze fisicamente più deboli della terra e su un dispiegamento di forza bruta, non può durare, se esiste un Dio giusto che governa l'universo". Nell'altro articolo proclama apertamente: "Vogliamo rovesciare il governo. Vogliamo costringerlo a sottomettersi alla volontà del popolo".   Durante il processo si dichiarò  "tessitore e contadino", colpevole di aver istigato alla "non collaborazione" con il governo britannico. Asserì che "la non cooperazione violenta non fa che moltiplicare il male,  il ritiro del sostegno al male richiede l'astensione totale dalla violenza".
La condanna a sei anni di carcere avrebbe potuto segnare la fine della lotta che Gandhi aveva sostenuto fino a quel momento per la liberazione dell'India. Invece, ebbe un'altra conseguenza: rafforzò la sua determinazione e la sua reputazione agli occhi degli indiani. 

L'arresto significò il suo riconoscimento da parte del governo britannico come principale leader del movimento per l'indipendenza nazionale.  La semplicità dell'abbigliamento di Gandhi testimoniava un chiaro impegno per l'uguaglianza sociale. Gandhi stesso dedicava mezz'ora al giorno a tessere il tessuto per il proprio abbigliamento. Nel 1928, la Commissione Simon, composta da parlamentari britannici, ebbe il compito di riferire a Londra su una possibile Costituzione per l'India. 

L'obiettivo di Gandhi era quello di sensibilizzare la popolazione contadina e per questo iniziò a visitare sistematicamente alcuni dei 700.000 villaggi.
Propose al Congresso diversi punti come programma da realizzare: la proibizione totale degli alcolici, la riduzione del tasso di cambio rupia-sterlina, l'abbassamento delle tasse sulla terra, l'abolizione della tassa sul sale, la riduzione degli stipendi degli alti funzionari, il ridimensionamento delle spese militari e il rilascio dei prigionieri politici. 

Gandhi organizzò la  "marcia del sale" dal suo luogo di ritiro, Ahmedabad, fino a Dandi: una distanza di circa 380 km, fino alla costa dell'Oceano Indiano, dove tutti avrebbero raccolto il sale per il proprio consumo.  All'inizio di marzo del 1930, Gandhi avvertì il viceré della sua intenzione di iniziare una campagna di disobbedienza civile contro la tassa sul sale. La marcia, iniziata con 80 uomini fidati, fu un trionfo; la folla crebbe di villaggio in villaggio. Nella marcia non mancarono il riposo e la preghiera: fu un vero e proprio pellegrinaggio. Venivano anche citati i testi sacri indù. Arrivati a Dandi, tutti raccoglievano il sale per uso personale.
La reazione del governo fu immediata: Gandhi e altre 50.000 persone furono arrestate e i giornali di tutto il mondo riportarono la notizia.
La popolarità della marcia del sale aveva rivelato che l'India era pronta per l'indipendenza e che la nonviolenza aveva sfidato e vinto il potere dell'Impero britannico. Per il governo di Londra fu un duro colpo, accentuato dalla diplomazia internazionale, ampiamente favorevole all'autodeterminazione dei popoli. Gandhi uscìto di prigione nel gennaio 1931 incontrò il  viceré, Lord Irwin, al termine del colloquio i due firmarono il Patto di Delhi: la disobbedienza civile fu fermata e i poteri speciali in vigore per combatterla cessarono di operare. Inoltre, il governo si impegnò a liberare i prigionieri politici e legittimò la raccolta del sale per uso personale.

Gandhi rappresentò il Congresso Nazionale Indiano all'incontro di Londra per discutere i termini dell'indipendenza dell'India, anche se i risultati non furono positivi. Al ritorno, il nuovo viceré, il marchese di Willingdon. iniziò una campagna di repressione, a cui seguirono una catena di proteste in tutto il Paese. Gandhi fu di nuovo arrestato e mentre era ancora in prigione, nel 1932, iniziò lo sciopero della fame per permettere agli intoccabili, le classi più povere potessero essere riconosciute come cittadini.
 I rappresentanti del Congresso e della Lega Musulmana di tutta l'India fecero pressione su Gandhi perchè abbandonasse la nonviolenza. Nel 1934, all'età di 65 anni,  lasciò il Congresso e si ritirò dalla politica, per dedicarsi esclusivamente alla riforma spirituale dell'India e allo sviluppo della vita nei villaggi. "Servire i nostri villaggi significa costruire l'autonomia. Tutto il resto è un sogno vano. Se il villaggio muore, muore anche l'India". Nel programma di Gandhi era inclusa anche l'istruzione, che non doveva comprendere solo l'alfabetizzazione, ma anche le abilità manuali per la vita e il lavoro. 

Nel settembre 1939, la Gran Bretagna dichiarò guerra alla Germania. Il Congresso si dichiarò favorevole alla guerra solo se i britannici avessero concesso all'India la libertà che stava difendendo dal nazismo. Compilato da Nehru, il testo contraddiceva la posizione di Gandhi, che rifiutava qualsiasi coinvolgimento nelle ostilità.  La Gran Bretagna rispose che l'indipendenza dell'India sarebbe stata discussa dopo la guerra. Nel frattempo, il capo della Lega Musulmana, Muhammad Ali Jinnah, pensava alla formazione di uno Stato musulmano.
Nel settembre 1940 Gandhi lanciò una forma di satyagraha individuale contro la guerra:  "Non posso salvare l'integrità degli indiani e la loro libertà se non a condizione di provare benevolenza verso l'intera famiglia umana".

Nel 1942, il governo britannico, preoccupato per l'avanzata del Giappone verso i possedimenti britannici in Asia, chiese la collaborazione degli indiani, che non accettarono e misero in atto una campagna di disobbedienza civile chiamata Quit India.  Gandhi la accompagnò con il mantra: "Libereremo l'India o periremo nella lotta; non vivremo per vedere la perpetuazione della nostra schiavitù".  La risposta del governo di Churchill fu immediata: ci furono violenze e repressioni senza precedenti.  Gandhi e i membri del Congresso furono immediatamente imprigionati.

Dopo quasi due anni di prigionia, Gandhi fu rilasciato nel maggio 1944. Per prima cosa cercò di parlare con il capo della Lega Musulmana, per raggiungere un'intesa in vista dell'indipendenza. Ma gli incontri furono inutili. Jinnah era determinato a creare uno Stato indipendente per i musulmani. Questo aprì la strada alla spartizione dell'India e nacque la "Terra dei puri" (il nome del futuro "Pakistan").

Nel 1945, con la vittoria del Partito Laburista alle elezioni generali in Gran Bretagna, il governo Attlee annunciò un possibile ritiro dall'India e propose un unico Stato federale. A Gandhi il piano non dispiacque e Jinnah, pur essendo molto critico, in un primo momento vi aderì, ma poi ci ripensò. Il viceré affidò quindi a Nehru il compito di formare un governo provvisorio. Quest'ultimo si recò da Jinnah per offrirgli vari ruoli nel governo, ma egli li rifiutò.
Poiché nel 1946-47 l'India settentrionale era sconvolta da violenze e scontri tra indù e mussulmani, che si estendevano dal Punjab al Bihar, il governo britannico propose la divisione dell'India in tre province autonome, collegate a un governo centrale. Sebbene Gandhi fosse contrario, il Congresso e la Lega la accettarono. Lord Mountbatten fu incaricato di attuare il trasferimento dei pieni poteri all'India e fissò la data dell'indipendenza nel 1947. Il Mahatma si mise a viaggiare a piedi per i villaggi, tentando valorosamente un ultimo sforzo per pacificare indù e musulmani. Il 15 agosto 1947 l'India ottenne l'indipendenza, ma senza le due grandi province che formavano il Pakistan orientale e occidentale. Il giorno seguente cominciarono i massacri nati dalle rappresaglie trà indù e mussulmani. Fu la tragica fine del programma che il Mahatma aveva perseguito per tutta la vita. Tuttavia, continuò la sua opera di pacificazione viaggiando attraverso tutta l'India da Calcutta al Punjab. Durante il viaggio si fermò a Delhi e il 30 gennaio 1948, durante la preghiera pubblica fu assassinato con colpi di pistola da un indù estremista.
Il giorno dopo, secondo la tradizione religiosa, il corpo del Mahatma fu cremato: tutta l'India, e forse il mondo intero, si riunì intorno ad esso. Se Gandhi era deluso dal fallimento della nonviolenza, la sua morte rivelò invece che la causa della Verità e della nonviolenza non era stata vana. 
Testi di riferimento:

  • Y. Chadha, Gandhi. Il rivoluzionario disarmato, 2011.
  • J. M. Brown, Gandhi. Prigioniero della speranza, 1995.
  • The great Trial of Mahatma Gandhi & Mr. Shankarlal Banker.
  • M. K. Gandhi, Autobiografia, Milan, Treves, 1931.
  • Teoria e pratica della non-violenza, Turin, Einaudi, 1973.
  • Gandhi, il Mahatma. Il potere della nonviolenza, D. Dalton, 1998.

sabato 4 giugno 2022

Consolazioni. Quelle che riceviamo e quelle che apportiamo - Christophé André

Questo bel libro pubblicato nel 2022 è un vero regalo per le persone in difficoltà, un vero inno alla vita. Ben più che un riconforto passeggero, la consolazione è un modo di vivere in mezzo alla tempesta, ci ricollega al mondo. Christophe Andrè, in questo libro intimo, ci parla della consolazione, delle difficoltà di accettarla e di proporla e del potere delle relazioni umane.  Molto toccante è la descrizione dell'amore fatta da Christophe: "la più grande risorsa esistenziale è l'amore, ricevuto, dato, da ricevere, da dare... o, per dirlo diversamente, le vere fondamenta di tutta la forza di fronte alle prove sono quelle dell'amore e delle consolazioni che porta"..

Le grandi avversità ci rendono più fragili, o più lucidi. In questo secondo caso si approfitta fino in fondo delle occasioni di gioia che ci troviamo a vivere nella quotidianità. L'esperienza di malessere ci ricorda il valore ed il sapore della felicità. Le avversità ci portano in eredità quello che si chiama crescita post-traumatica, una possibilità di maturazione e maggior consapevolezza.  Allora si prendono tutte le gioie che la vita ci offre come occasione di riconforto prezioso e si scopre che è una fortuna di essere in vita. Ossia niente è cambiato intorno a noi, ma internamente ci sentiamo consolati. 

Secondo Barbara Fredrickson, una ricercatrice nel campo della psicologia positiva "L'amore è l'emozione suprema, indispensabile, e dai benefici innumerevoli. Un amore durabile tra due persone non è niente altro che un rinnovo regolare di momenti di risonanza affettiva. Le emozioni non durano, e così l'amore, ma la ripetizione di momenti d'amore nutre le relazioni, le arrricchisce,  le consolida e le rendre gradevoli a vivere".  In questo senso, la consolazione è un atto d'amore, tra i più belli: quello che appartiene al campo della compassione. Ci si avvicina a qualcuno che soffre al posto di allontanarsi, e ci si avvicina in modo affettuoso (sostenendo un collega, manifestando gentilezza ad un vicino, usando parole affettuose con qualcuno).

L'attaccamento a cose o persone, oltre che fonte di soddisfazione, può essere anche fonte di sofferenza. E' bello aggrapparsi a quello che si ama, ma durante la vita, ogni attaccamento è fatto per essere eliminato. E' importante quindi attaccarsi con lucidità e con moderazione. Un attaccamento dolce o lucido significa amare, apprezzare, senza aggrapparsi; occorre assaporare la vita accettando che finirà con la morte...  Per coltivare il non-attaccamento, che è uno dei cardini della filosofia buddhista, occorre un allenamento costante, accettare ogni giorno di prendere le distanze da piccole cose che amiamo, dalle nostre certezze, dalle nostre piccole abitudini. Dobbiamo praticare una vigilanza tranquilla ma esigente verso tutti gli attaccamenti e tutte le nostre certezze. Dobbiamo riuscire a metabolizzare ed accettare che le persone che amiamo possano un giorno allontanarsi e vivere delle esperienze di vita senza di noi, avere altri amici, altri affetti e altri attaccamenti. E' evidente che il non-attaccamento è la sola filosofia di vita possibile. La sofferenza dovrebbe aiutarci a rimettere al centro della nostra vita i legami di affetto e le consolazioni. La vita è una successione di prove, di dolore e di perdite. Ma anche di gioie, di benessere e di grazia. Il modo in cui affrontiamo le prime influenza il modo in cui accogliamo le seconde.

L'ultimo non attaccamento è quello alla vita. Qualcuno ha detto: "Se a 70 anni avete paura della morte vuol dire che avete sprecato la vostra vita",   Non si tratta di essere ossessionati dalla morte, ultima desolazione, ma di apprendere a esistere con l'idea della morte per vivere meglio. La vita è sofferenza e terminerà con la morte. Una volta accettata questa idea, un benessere adulto e resiliente può allora nascere e consolidarsi perchè la vita è fondamentalmente bella. La paura della morte è allontanata, ma non la voglia di approfittare del tempo che resta da vivere, quale che sia la durata. Purtroppo la nostra società vuole cancellare la morte e anche la preparazione alla morte e all'invecchiamento del corpo. La saggezza allora è prendere coscienza che noi stiamo forse per vivere un'ultima volta, fermarsi per approfittarne e assaporare la vita ancora più profondamente, piuttosto che irrigidirsi nell'angoscia del rifiuto.  Come dice Jon-Kabat Zinn: "Se continuate a respirare, vuol dire che nella vostra vita ci sono più cose che vanno bene di quelle che vanno male".

Christophé parla anche della nostalgia, che rappresenta un rifugio consolatorio nel passato. Ma la nostalgia permette anche di nutrirsi del nostro passato rivisitato.  Riporta la frase di Gustave Thibon: "ricordi lontani più presenti di quelli attuali, i più umili dettagli dell'esistenza, vissuti un tempo come insignificanti, prendono un senso misterioso e smisurato, le emozioni lontane raggiungono la sorgente dell'essere, si rivive a fondo quello che si era vissuto solo superficialmente".   

Quando si è giovani si avevano dei ricordi, all'inizio della vecchiaia si ha un passato. Da giovani si vive in un presente aperto all'avvenire; nell'età adulta si vive in un presente aperto sul passato. Più l'incertezza e l'angoscia del futuro sono forti, più la sicurezza e la certezza del passato sono necessari. Occorre prepararci a lasciare questa vita, e ciò è facilitato se si hanno dei legami gioiosi con il proprio passato. Nella vecchiaia bisogna trovare il semplice piacere di durare, di continuare a vivere. In gioventù questo pensiero è triste e restrittivo, ma quando siamo nella vecchiaia c'è della saggezza dietro quello che sembra una rinuncia, ossia dimunuire le aspettative, man mano che diminuiscono le capacità.

Di fronte ad un evento traumatico, molte persone cambiano favorevolmente la visione del mondo e dell'esistenza assaporando meglio la loro fortuna di essere in vita. Per queste persone i riflessi psicologichi portano a tre tipi di comportamenti: 

  • Riuscire a sopravvivere e a vivere nella quotidianità, ma si è ancora mentalmente nell'avversità.
  • Rimettersi a vivere, sviluppando la resilienza e considerare l'avversità come passata.
  • Vivere meglio, ossia integrare l'avversità nella nostra storia e farla diventare fonte di arricchimento personale.

Per far si che il malessere sia un'esperienza e non un trauma, occcorre disporre di notevoli risorse personali e relazionali.

Spesso nella nostra vita, è la pace concreta, materiale che ci permette di rivolgersi verso la pace spirituale. Lo spirituale passa in primo piano solo quando siamo colpiti dalle avversità, e l'aiuto viene dall'immateriale. Gide dice: "l'esperienza istruisce sicuramente più che i consigli". La persona che ha attraversato l'inferno può guardare senza paura in direzione dell'avvenire: ci vedrà la vita che resta e non la morte che arriverà.  Spesso per scoprire il vero benessere occorre attraversare una prova ed aprirsi alla meraviglia del mondo. Il benessere è fragile e spesso siamo incoscienti della fragilità della condizione umana e della sua bellezza. 

Secondo il principio dell'impermanenza, caro ai buddhisti, tutto si rompe e tutto passa. Gli umani che la vita ha ammaccato, distrutti dalle avversità hanno incollato i loro pezzi, hanno pianto, sono stati consolati. Hanno lavorato per riuscire ad amare di nuovo la vita e gli umani, e poi, poco a poco le loro cicatrici psichiche si sono ricoperte dell'oro della benevolenza, della saggezza; quella saggezza che si incontra spesso nelle persone che hanno attraversato un pezzo d'inferno, e che ne sono uscite con la voglia di amare la vita.

La consolazione, in fondo, è la stessa cosa che la gioia, ma sotto la luce nera del malessere. E' accettare di lasciarsi toccare dalla dolcezza delle cose, la tenerezza degli umani, la bellezza del mondo, allora che siamo nella difficoltà e nell'angoscia e che tutto il benessere sembra inutile, derisorio, a volte offensivo.

Ma "Niente è mai finito. Basta una piccola gioia perchè tutto ricominci".

Consolazioni. Quelle che riceviamo e quelle che apportiamo - Christophé André (2)

Questo bel libro pubblicato nel 2022 è un vero regalo per le persone in difficoltà, un vero inno alla vita. Ben più che un riconforto passeggero, la consolazione è un modo di vivere in mezzo alla tempesta, ci ricollega al mondo. Christophe Andrè, in questo libro intimo, ci parla della consolazione, delle difficoltà di accettarla e di proporla e del potere delle relazioni umane.

La consolazione è un atto di presenza amorevole, anche se a volte è  impotente. Al di là delle dimensioni concrete (parole e gesti) è ugualmente e soprattutto un atto immateriale, una presenza, un'intenzione, una condivisione di umanità. Una differenza con il riconforto è che quest'ultimo si limita ai soli aspetti materiali. Per riconfortare qualcuno, bisogna avere più forza di lui. Nel processo di consolazione occorre  della pazienza e umiltà dai due lati, dal lato del consolato e del consolante. Senza la consolazione, il dolore ci sommergerebbe, con la consolazione, il dolore è sempre là, ma non ci sommerge, si sente che forse possiamo tenere il colpo.
I tre inevitabili della vita sono: la sofferenza, l'invecchiamento e la morte. Questi tre elementi, prima o poi, incroceranno il nostro cammino. Ma nonostanzia l'inevitabile sofferenza possiamo affermare che la vita è bella.
Invecchiare, per Christophe Andrè significa avere ricordi e  rimpianti che avvenire e progetti. La più bella consolazione alla tristezza di invecchiare è il continuare ad essere in vita. Vivere, necessita di microconsolazioni permanenti e a volte preventive come la bellezza e la bontà, che sono dei semplici momenti della nostra esistenza, ma nello stesso tempo essenziali.  La consolazione non mira alla soppressione della pena e del dolore, ma a renderli sopportabili, a fare in modo che non venga soppressa la voglia di vivere. Spesso le persone che entrano in depressione hanno il sentimento di affrontare continuamente delle sequenze di problemi e complicazioni. 
E' più difficile consolare gli inespiegabili stati di spleen, di tristessa, melanconia e umore nero. Anche nello sviluppo gioioso della vita, la tristezza troverà ad un certo momento il suo posto: quando ad esempio, i nostri figli lasceranno casa, finiamo gli studi, cambiamo casa, ecc.
Ho trovato illuminanti e bellissime queste frasi di Christophe André:
"Spesso la perdita delle illusioni è la causa più frequente delle nostre tristezze, allora occorrerà del tempo e tanti sforzi per riprendersi e costruire una nuova filosofia di vita: accettare che le illusioni siano solo delle illusioni, e assaporarle lo stesso perchè in questo modo la vita sarà più bella. 
Nelle avversità, ci si ricorda di una verità ontologica: la nostra solitudine. Nessuno può vivere per noi, e nessuno può soffrire e morire al nostro posto". 

Un bell'amore può riconsolarci in un giorno di tutti gli amori noiosi e dolorosi degli anni passati, e la consolazione è proprio uno delle manifestazioni dell'amore. La consolazione risveglia questa voglia di essere felici, propria a tutti gli esseri. Rimette la persona, che si era isolata nel dolore, in legame con la comunità umana. I ricercatori hanno notato che le persone che si lasciano andare al sorriso, sono quelle che più facilmente riescono a risalire la china, dopo l'avversità.

E' importante anche il nostro sguardo sul mondo: guardare le gioie e le fortune degli altri non come un'ingiustizia, ma come delle prove che la gioia e la fortuna esistono.
Lo scopo dell'essere umano è essere felice, a volte ci si arriva lentamente, con piccoli passi quotidiani. E quando ci si arriva, resta molto da fare: ossia consolare gli altri. La consolazione si appoggia su tre pilastri: la presenza (sono là),  il sostegno affettivo ( ti voglio bene, conta su di me), il sostegno morale (proverò a semplificarti la vita). Soprattutto nel processo di consolazione occorre applicare l'arte del kairos: pronunciare le parole al buon momento.
Andrè Compte-Sponville in un libro dichiara "Non sono mai capace di consolare. Le donne con cui ho vissuto me lo hanno a volte fatto notare, e le capisco. A che serve vivere insieme, se la sofferenza non è diminuità?"
Bisogna comunque ricordare la fragilità della felicità, che come tutto è impermanente, soprattutto se abbiamo nel passato affrontato prove dolorose.  Dobbiamo ben tenere a mente che l'amore è la base della nostra esistenza. 
Ma purtroppo ci sono molte persone inconsolabili che hanno una sola certezza: dopo un traumatismo, il dolore, una perdita irrimediabile che la vita non sarà più come prima.  E le frasi che riassumono questo stato d'animo sono le seguenti: "Sono inconsolabile, ma non l'ho deciso". "Si può restare così, in segreto, inconsolabile alla violenza del mondo, presente o passata".
Lo scrittore svedese Stig Dagerman asseriva: "Non esiste altra consolazione che quella di essere un uomo libero, un individuo inviolabile, un essere sovrano all'interno dei propri limiti", ma si tratta di una libertà teorica, perfetta, assoluta e solitaria: una libertà impossibile da raggiungere. Infatti, Dagerman si suicidò a 31 anni.
La natura è spesso una fonte immensa di riconforto, andare verso la natura quando si è nel dolore e nelle avversità è più di una distrazione, è una forma di consolazione. Nella natura non si esiste più come persona, ma come parte tranquilla e invulnerabile di un grande Tutto. 
Anche l'azione è fonte di riconforto e riorienta la nostra attenzione verso un'occupazione esteriore, nei momenti di grande dolore, l'azione è come un medicinale antalgico, che non risolve niente, ma che alleggerisce il dolore. Tra le azioni le più riconfortanti c'è la marcia, che ci permette di essere attivi in mezzo alla natura creando una forma di riconnessione al movimento della vita.
L'arte è il grande riconforto alla più grande delle nostre angosce, quella di sparire un giorno. La funzione dell'arte è quella di ridarci una speranza, di rendere degna la sofferenza e allargare la nostra visione del mondo.
La lettura ci permette di conoscere senza sforzo una quantità di destini straordinari, di provare delle sensazioni potenti per la mente, di vivere avventure prodigiose e per conseguenza agire senza agire, di formare infine, dei pensieri più belli e profondi dei nostri, provare emozioni e esperienze fittizie, fino a modificare - come dice Paul Valery - favorevolmente le capacità di empatia e di legami sociali.
La lettura può aiutarci a capire ciò che ci sta a cuore, nei libri le cose ci vengono spiegate, mentre nella vita non lo sono. Per questo molte persone preferiscono i libri alla vera vita.
Più del 70% di giovani adulti (tra i 15 e 30 anni) fanno ricorso alla musica per consolarsi.

Il punto in comune tra credere al destino e pensare che certe avversità abbiano un senso, è che nei due casi, ci raccontiamo delle storie. Nell'accettazione del destino si sottolinea che certi avvenimenti non dipendono da noi, quindi è inutile colpevolizzarsi. Nella ricerca di un senso, certi avvenimenti dipendono almeno in parte da noi, dalle nostre scelte e dai nostri comportamenti. La loro manifestazione è come un messaggio che qualcosa non andava, non è un'ingiustizia ma un'informazione.
Una grande massima per stare tranquilli è la seguente: "Accetta quello che non dipende da te, e agisci su quello che dipende da te".
secondo il filosofo Paul Ricoeur: "il nostro rapporto con noi stessi è spesso fondato su una recita, un continuo raccontarsi delle storie, una storia della nostra vita che scriviamo noi stessi, almeno nella nostra testa, mettendo in continuità e in coerenza degli avvenimenti le cui casualità sono multiple o inaccessibili. Ma nella nostra narrazione diamo spazio al destino e al senso".

La meditazione, nei momenti di disperazione, ci offre come rifugio il momento presente. La coscienza resta al centro, e si osservano i pensieri senza identificarsi e senza alimentarli. Distogliendo l'attenzione dalla sofferenza, riusciamo anche a decostruirla parzialmente. La meditazione ci consola e ci apprende a frequentare le nostre sofferenze. In termine neurologico la meditazione disattiva l'area di orientazione e di associazione, una piccola zona situata nel lobo parietale sinistro. Talvolta praticando la meditazione emerge un sentimento di serenità, di completezza, tutto quello di cui abbiamo bisogno è là, alla nostra portata. Sembrerebbe che la meditazione abbia un effetto emoliente sulle nostre difese mentali e le nostre rigidità mentali. I buddhisti comparano la meditazione alla fiamma della candela che scioglie la cera delle nostre certezze.

mercoledì 1 giugno 2022

United Consciousness

 “One Consciousness, One Being”.

150 Million To 1 Billion people Died in the wars since last 3400 years. Out of which 108 million died in 20th century only. We are in the first quarter of twenty first century, setting on the highly inflammable heap of nuclear, biochemical weapons, due to 14 divides of limited identities of race, caste, status, region, gender, color, prosperity, thoughts, class, sex orientation, species, habitat, fanatic nationalism, and orthodoxy of religion. 

We may appear in different names and forms but in essence there is one stream of consciousness that flows across all beings. The time has come that this truth of United Consciousness should take over the Illusion of divides of ignorance, so that our children can breathe in the clear, happy, healthy, equal, clean and peaceful planet. As a step towards this “United Consciousness” is established.

 Sito:  https://unitedconsciousness.in/

Semi di pace

Linda Maggiori - Semi di pace!
La nonviolenza per curare  un mondo minacciato da crisi ecologica, pandemia e guerra
Centro Gandhi edizioni

 
Articolo scritto da Roberto Fantini.  Linda Maggiori, con stile limpidissimo, e libero da velenosità di sorta, senza toni aggressivi o esacerbatamente iperpolemici, ci ha regalato un libro preziosissimo. Un libro che ripercorre gli ultimi orribili anni che siamo stati costretti a vivere, facendosi guidare da un sereno quanto fermo bisogno di verità, di logica e di apertura solidale verso tutte le vittime.

Il suo è un libro che può fare molto bene sia ai vax e filovax, sia ai novax, freevax e antivax:  aiutando i primi a riflettere e a osservare quanto accaduto più in profondità, oltre i veli mediatici delle apparenze e degli inganni, senza pregiudizi, e senza sentirsi obbligati a dolorose abiure o a radicali apostasie; aiutando gli altri ad affrontare il peso umiliante delle vessazioni passate, presenti e future con un animo consapevolmente fiero, con il coraggio di chi desidera non cedere alle minacce e alla prepotente sottrazione di diritti, e con la fiducia incrollabile che, accanto a noi, lontano dagli schermi e dalle ribalte, c’è tanta gente simile a noi, e che siamo in tanti, e che non siamo necessariamente condannati al naufragio.

Il libro di Linda, insomma, è certamente un libro prezioso per capire di più e per capire meglio, ma è soprattutto un libro che, parlandoci con grande ricchezza di tante reali esperienze vissute, ci dimostra, in maniera convintissima e convincente, che è sempre possibile reagire all’oppressione, che è sempre possibile ribellarsi alla rassazione, che è sempre possibile trovare in noi e negli altri la luce e la forza necessarie per dire NO alla violenza, per difendere la propria dignità e per salvare dalla rovina i valori che più ci rendono umani: comprensione, dialogo, rispetto, compassione, solidarietà e affratellante empatia.

sabato 28 maggio 2022

Un viaggio nei bardo del vivere e del morire - Yongey Mingyur Rinpoche

Il libro di Yongey Mingyur Rinpoche (1975 - ) In Love With the World, A Monk's Journey Through the Bardos of Living and Dying (Il monaco errante. Un viaggio nel bardo del vivere e del morire - Fayard Publishing) è un raro e intimo resoconto dell'esperienza di pre-morte di un monaco buddista di fama mondiale e di un'esperienza che ha cambiato la sua vita per sempre.

Una notte d'estate del 2011, all'età di trentasei anni, Yongey Mingyur Rinpoche, rinomato maestro di meditazione, autore e abate, esce di nascosto dal suo monastero di Bodh Gaya e decide, nella massima segretezza, di abbandonare le comodità della sua vita e il prestigio del suo nome. Lascia soltanto una lettera, destinata ai suoi studenti e al suo anziano assistente, Lama Soto. "Quando leggerai questa lettera, avrò già iniziato il lungo ritiro che l'anno scorso avevo annunciato di voler intraprendere. Come forse saprai, sono sempre stato affascinato dall'usanza dei ritiri, fin da quando ero un ragazzino e vivevo alle pendici dell'Himalaya. Anche se non sapevo ancora meditare, spesso scappavo da casa e mi nascondevo in una grotta nelle vicinanze, dove mi sedevo in silenzio e recitavo mentalmente il mantra om mani padme hum. Anche allora sentivo il richiamo dell'amore per le montagne e per la vita austera degli asceti erranti". 

Ha così inizio un vagabondaggio che durerà quattro anni, nei quali Mingyur indosserà i panni del sadhu e si confronterà per la prima volta con il mondo esterno senza godere degli onori riservati a un monaco della sua levatura. 

Attraverso il libro seguiamo questa avventura umana e spirituale attraverso tutti gli stati che il viaggiatore attraversa: il godimento della libertà, ma anche le difficoltà della solitudine estrema e del disagio e del corpo segnato dagli stenti. Scegliendo di sperimentare la più grande indigenza, si ammala gravemente e si avvicina alla morte, ciò gli permetterà di entrare in contatto con i sei bardo, le tappe del viaggio fra la vita e la morte, consentendogli però di riconoscere con sempre maggiore chiarezza la realtà incondizionata. Questo episodio lo mette di fronte alle sue paure, ma soprattutto gli porta una nuova saggezza che trasmette al lettore con franchezza e serenità. Le risposte alle ansie più opprimenti si trovano spesso fuori dalla nostra zona di comfort e cercare la difficoltà per accettarla meglio ci permette di trasformare la nostra paura della morte in gioia di vivere. Solo lasciando andare le false speranze che inducono a desiderare di essere a proprio agio nel corpo e nel mondo si può superare l'insoddisfazione e sostituire il desiderio con l'amore. E, come afferma Mingyur, "quando ami il mondo, anche il mondo ti ama". Per la comprensione però la pratica è fondamentale, e questo libro è un invito a coltivare i semi dell'illuminazione, a rendere fertile il campo della consapevolezza, permettendo ai livelli più profondi della saggezza di fiorire.

Yongey Mingyur Rinpoche è un insegnante di meditazione e maestro tibetano. Ha partecipato alla ricerca scientifica. Un team di scienziati1 dell’Università del Wisconsin-Madison ha seguito e studiato per 14 anni lo sviluppo del cervello di Yongey Mingyur Rinpoche. I ricercatori hanno analizzato il suo cervello per quattro volte, usando la risonanza magnetica strutturale per vedere i cambiamenti nel cervello nel tempo. Lo studio che è stato pubblicato da LiveScience nel 2020, ha rivelato che il cervello di Mingyur Rinpoche sembrava rallentare nel suo invecchiamento. “Il grande passo avanti è che il cervello di questo monaco tibetano, che ha trascorso più di 60.000 ore della sua vita in meditazione formale, invecchia più lentamente del cervello del gruppo di controllo“, ha affermato Richard Davidson. Yongey Mingyur Rinpoche ha scritto due libri di successo e supervisiona la Tergar Meditation Community ( https://tergar.org/), una rete internazionale di centri di meditazione buddista.

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Osho - Meditazione (2)

Osho Rajneesh (1931-1990), o semplicemente Osho, è stato un mistico e maestro spirituale indiano, molto conosciuto a livello internazionale e in Occidente.

La meditazione per Osho è uno stato naturale dell'essere, uno stato che è andato perduto e che può essere ritrovato guardando dentro di sé.  Senza meditazione si è destinati a vivere nella tristezza.  Per non soffrire e sentire il vuoto interiore l'occidentale tende a riempire la mente con mille occupazioni. 

Osho asserisce "La mente vuota è l'unica porta verso Dio. Buddha è una mente vuota, Lao Tzu è una mente vuota. Questo mondo appartiene a coloro che vivono momento per momento nell'estasi assoluta; la loro vita è un continuum di festa"..

Per Osho, meditare significa svuotare la mente, fare il vuoto di tutti i pensieri, ricordando che 'Io non sono questi pensieri,’  'Io sono separato,’  'Io sono solo un osservatore.’ Creare una distanza tra i pensieri e la consapevolezza costituisce il cuore del processo di meditazione.  Non li si nutre più, non ci si identifica più con loro.  Progressivamente tutti i pensieri vengono eliminati ed arriva un momento in cui la mente è completamente vuota — e quello è il momento in cui il cuore si apre alla beatitudine e ad una gioia assoluta. In Oriente, la meditazione è definita come un processo di neti-neti. “Io non sono né questo né quello,’ fino ad arrivare ad un momento in cui non c'è più nulla da negare ed il vuoto infinito ti circonda. 

Per Osho – La meditazione non è per i deboli; non è per i codardi; non è per coloro che sono pieni di paura,  È un andare verso un mondo inesplorato. Per questo percorso, non esistono mappe, né linee guida. Il maestro può solo sollecitare la voglia di conoscere, trasmettere una sete di verità. Ma non può proporre un programma. Non può dare una disciplina. Può fornire un'intuizione, un desiderio. Ma poi il praticante deve intraprendere questo viaggio interiore da solo - Nessuno può accompagnarlo. Per moltissime persone, il loro interesse verso la meditazione rimane solo una curiosità intellettuale, Non diventa mai un esperimento. O anche se a volte le persone ci provano, provano con tiepidi sforzi. Purtroppo la meditazione ha bisogno di coraggio e impegno totale.   

"Tu sparisci e rimane solo Dio. Un meditante deve essere pronto a morire nella ricerca perché è solo per attraverso la morte del vecchio Io, nasce una nuova vita".   Con la meditazione, se davvero cresci in consapevolezza, nulla può essere perso. La visione arriva perché il praticante ha acquisito un nuovo stato mentale attraverso la meditazione. Con mezzi artificiali come la droga, o con una tecnica falsa, non si cresce. Si possono solo ottenere certe visioni ma senza consapevolezza.

Osho ripeteva – "Se sei troppo impegnato con il tuo intelletto, non troverai il tempo per impegnarti in profondità con il tuo essere totale. La via si può conoscere solo se si partecipa profondamente all'esistenza. La meditazione è qualcosa che accade, è il tuo stesso essere che si rivela nel profondo. Non puoi osservarlo, non ci può essere alcuna conoscenza oggettiva al riguardo".

La mente ordinaria è piena di pensieri, desideri, ambizioni, pregiudizi, Meditare significa pulire lo specchio, e lasciare che i pensieri cadano e scompaiano, percepire i momenti in cui il pensiero cessa e Dio si rivela. E quelli sono i momenti più belli della vita. Una volta che hai assaporato un solo momento di non pensiero, hai fatto un grande salto nella verità; allora le cose diventeranno ogni giorno sempre più facili.  La meditazione è un fuoco che brucia il passato, la religione, la politica, la  nazionalità, la razza, ecc. - Contiene tutto ciò è stato imposto, che è solo un condizionamento ma non il vero essere.  Nel momento in cui il passato brucia, il vero essere per la prima volta emerge e si eleva al di sopra della quotidianità e del peso del presente.

La meditazione ha bisogno di una pazienza infinita; La pazienza, è una delle qualità di cui l'umanità moderna ha completamente perso le tracce. Gli occidentali perdono tempo nello studio, nel lavoro, nei trasporti ma non hanno mai tempo per la meditazione.  La fretta è diventata il loro stile di vita.  In Oriente, c'è la miseria, a volte  le persone vivono in condizioni tremende — ma la cosa fantastica, è che nessuno ha fretta. Non è un caso che la meditazione si sia sviluppata in Oriente, dove le persone sono disponibili ad aspettare.  L'Occidente è stato in grado di ottenere grandi risultati, il controllo attraverso la scienza sulla natura ed il mondo esterno, poi pero' si crea una certa tensione all'interno. 

Solo la meditazione e l'amore non sono viaggi mentali; tutto il resto è un viaggio mentale.  In un profondo momento d'amore o in profonda meditazione, il pensiero si ferma, si va oltre la mente. Allora tutto è beatitudine.   Non bisogna fornire energia ai pensieri. Bisogna diventarne testimoni — indifferenti, distaccati, distanti. Occorre semplicemente osservare i pensieri, e non esserne in alcun modo coinvolto.  Osho diceva _ "Sii solo un osservatore. Chiudi gli occhi e osserva dentro di te — la mente è un traffico di pensieri, pensieri che corrono qua e là. Di tanto in tanto, vedrai che la mente è vuota. In quei rari momenti, i primi scorci di samadhi entreranno in te".  Questo è ciò che lo Zen chiama satori, samadhi o primo stadio di consapevolezza.  Nel secondo stadio del samadhi si riesce a vedere la realtà più chiaramente. Nel terzo stadio si diventa uno con la realtà, perché non c'è più divisione.  Questa fase finale è descritta dalle Upanishad, con “Aham Brahamasmi" — io sono Dio, Io sono il Brahma. I sufi, la dichiarano con la frase, “Ana'l Haq" — Io sono la verità. È nella religione cristiana Gesù dichiara, “Io e il mio Dio siamo uno, Io e mio padre siamo uno.

Pratiche on line con un maestro di yoga indiano - Swami Joythimayananda

Ogni difficoltà è una grande opportunità per crescere.  

Yoga, Pooja, Mantra e Satsang on line con il maestro yoga Swami Joythimayananda in diretta dal suo ashram (Ashram Joytinat) -  di Corinaldo (Marche)  sul canale Youtube https://www.youtube.com/watch?v=238pZ7AABdc     

Se ti interessasse, puoi conoscere un vero maestro indiano e puoi partecipare on line alle pratiche proposte dal maestro Swami Joythimayananda.

Tutti i mercoledì alle ore 19,00 meditazione. Ogni mattina alle ore 7,15 Yogasana. Ogni mattina ore 8,20 pooja, mantra e satsang in diretta con il maestro Swami Joythimayananda.

All'ashram vengono proposti corsi di ayurveda e uno yoga chiamato Panchanga Yoga. Esso si suddivide in Hatha yoga, Raja yoga, Karma yoga, Jnana yoga, Bhakti yoga. Anche se diversi, questi sentieri portano all'unione.  

  • Hatha yoga, la via del controllo, la trasformazione dell'energia verso l'equilibrio attraverso varie posture, respirazione (pranayama)  e purificazione.
  • Raja yoga, lo yoga della meditazione, conosciuto come il "re" dello yoga.
  • Karma yoga, yoga dell'azione e consiste nel servire gli altri con amore e compassione; la via del servizio, la trasformazione dell'azione verso la rinuncia.
  • Jnana (o Gnana) yoga, la via della saggezza e della sapienza, dell'autorealizzazione; è la trasformazione dall'intelletto verso la luminosità.
  • Bhakti yoga, lo yoga della devozione al guru, a Dio, all'umanità; la trasformazione dei sentimenti verso la beatitudine.

All'ashram viene proposta la tecnica della meditazione NYM, che richiede il controllo della mente attraverso la creatività, la concentrazione e la contemplazione. E' un metodo che permette di ottenere a poco a poco tranquillità e creatività. Dopo aver creato un Nym mandala, che rappresenta se stessi, si porta l'attenzione al centro del mandala e si cerca di percepire la belleza del mondo che è in noi.  La vita può essere quello che la cultura vedica definisce Nym: N=nam o nome, Y=Yantra o individuo, M=Mantra e Mandala (vibrazione individuale o cosmica).

L'Ashram Joytinat, si trova in aperta campagna in via ripa 24, a Corinaldo (An)    ashram@joytinat.it   www.joytinat.it  39-3667349825

Per Julian Assange l’estradizione è sempre più vicina.

Estradizione sempre più vicina per Julian Assange. La Corte dei magistrati del Regno Unito dovrà emettere a giorni l'ordine formale di estradizione negli USA nei confronti di Assange. Gli Stati Uniti d'America devono annullare tutte le accuse contro Julian Assange, incluse quelle di spionaggio.

Amnesty International chiede di annullare tutte le accuse subito. Firma l'appello di Amnesty
 

Dopo una serie di pronunce giudiziarie sfavorevoli da parte dei tribunali di Londra, il giornalista australiano Julian Assange rischia di essere estradato negli Usa.  È imminente, infatti, la decisione della ministra dell’Interno britannica Priti Patel sulla richiesta di estradizione presentata da Washington. Se la richiesta verrà accettata, Assange subirà dure condizioni detentive equivalenti a tortura e andrà incontro a un processo per 18 diversi capi d’accusa, con una possibile condanna fino a 175 anni di carcere.

L’estradizione di Assange avrebbe conseguenze devastanti per la libertà di stampa e per l’opinione pubblica, che ha il diritto di sapere cosa fanno i governi in suo nome. Diffondere notizie di pubblico interesse è una pietra angolare della libertà di stampa. Estradare Assange ed esporlo ad accuse di spionaggio per aver pubblicato informazioni riservate rappresenterebbe un pericoloso precedente e costringerebbe i giornalisti di ogni parte del mondo a guardarsi le spalle.

venerdì 20 maggio 2022

L’extraordinaire photographe animalier Vincent Munier

Originario dei Vosgi, Vincent Munier (1976 - )  si è appassionato molto presto alla natura. Scopre la fotografia della fauna selvatica con suo padre, ambientalista della Lorena.

Dopo aver terminato gli studi secondari, ha intrapreso numerosi viaggi che lo hanno portato a viaggiare negli angoli più selvaggi del mondo, per mostrare la bellezza di questi ambienti nei quali la natura non è stata trasformata dall'uomo: come il nord estremo del Canada, la taiga russa e i deserti artici, le vette dell'Himalaya.  Vincent vuole esplorare questi luoghi immergendosi totalmente nell'ambiente, nel modo più discreto possibile, attraverso spedizioni solitarie e autonome alla ricerca di orsi, linci e lupi.  Ha sviluppato una vera e propria teoria della fotografia, ossia essere completamente integrato nella natura e sperimentare ciò che l'animale sta vivendo per creare un'immagine che riveli la sua essenza; in una prospettiva di inesauribile curiosità e profondo rispetto per la fauna selvatica. Le sue immagini provengono quindi da spedizioni spesso molto rischiose e lunghe giornate di attesa, a volte con temperature inferiori ai meno quaranta gradi.

Nel 2013, ha trascorso un mese sull'isola di Ellesmere (Canada), in condizioni di freddo estremo. Un branco di nove lupi bianchi è venuto ad incontrarlo, segnando uno dei momenti salienti della sua carriera di fotografo e regalandogli l'occasione per scattare rare immagini dei "fantasmi della tundra."  Nel 2016 è riuscito a fotografare per la prima volta il leopardo delle nevi sull'altopiano tibetano. 

Vincent ha uno stile che lo ha fatto conoscere in tutto il mondo, una  fotografia unica, ispirata alla tradizione della stampa giapponese e all'arte minimalista.  Per tutto questo, Munier è l'unico fotografo ad aver ricevuto tre volte (nel 2000, 2001 e 2002) il Wildlife Photographer of the Year Award, il più importante premio di fotografia naturalistica del mondo, offerto dal Natural History Museum di Londra e dalla BBC. Le sue fotografie sono state pubblicate in prestigiose riviste internazionali come National Geographic, Terre Sauvage, Image & Nature, Paris Match, Télérama, BBC Wildlife Magazine, ecc..   I suoi lavori sono stati esposti in gallerie d'arte in moltissimi Paesi del mondo.

Affascinato dall'universo dei bei libri, Vincent Munier ha fondato le edizioni Kobalann nel 2010 (www.kobalann.com).

E' anche autore di una dozzina di libri, tra cui La panthère des neiges, Le Ballet des grúas, Tancho, Le Loup, L'Ours, Tibet: Minéral animal, Arctique, Kamchatka o La vie sauvage aux confins du monde, e promotore costante di molteplici iniziative per la difesa della fauna e dei territori vergini del pianeta.

Con Sylvain Tesson ha presentato recentemente il libro "La panthère des neiges" da cui è stato tratto un film. Vedi https://www.youtube.com/watch?v=lUJQRMeYFqM

Mente zen, mente di principiante (1) - Shunryu Suzuki

" E' la saggezza che va in cerca della saggezza".    "Nella mente di principiante ci sono molte possibilità, in quella da esperto poche".

Shunryu Suzuki (1904-1971) era un monaco e insegnante Zen Sōtō che aiutò a diffondere il buddismo Zen negli Stati Uniti, ed è conosciuto per aver fondato il primo monastero buddista Zen fuori dall'Asia.

Secondo Suzuki la nostra 'mente originaria' racchiude tutto il sè, dentro di sè è sempre ricca ed autosufficiente. Ciò non significa una mente chiusa ma una mente vuota e pronta. Quando non abbiamo alcun pensiero di un sè, allora siamo dei veri principianti e possiamo realmente imparare qualcosa. La mente di principiante è la mente della compassione..

La posizione del loto completo durante la meditazione zazen esprime l'unità nella dualità e corpo e mente diventano due aspetti della stessa medaglia. Anche le mani nella mudra cosmica (mano sinistra appoggiata sulla destra, le articolazioni combaciano, i pollici si toccano leggermente) formano un tutto unico. Durante la meditazione non si devono avere aspettative, solo allora saremo presenti con il corpo e la mente. Anche il Buddha quando trovo' se stesso, scoprì che ogni cosa esistente ha la natura di Buddha. Nella meditazione zazen l'unica cosa importante è essere consapevoli del respiro, che è l'attività fondamentale dell'essere umano.

Quando diventiamo noi stessi in modo autentico, si apre uno spazio immenso e siamo completamente indipendenti e tuttavia dipendenti. Questa è la grande mente, ovvero la mente che è in ogni cosa. Durante lo zazen si dovrebbero lasciar andare e venire le immagini mentali e concentrarsi solo sull'atto di inspirare e respirare. In cinque - dieci minuti la nostra mente sarà completamente calma e serena. "Poichè gustiamo con gioia ogni aspetto della vita come manifestazione della grande mente, non ci interessa alcuna gioia straordinaria. In questo modo abbiamo una calma imperturbabile".  E' impossibile, secondo lo zen, arrivare all'assoluta calma mentale senza alcuno sforzo.  Per lo zen occorre tenere la mente ferma sul respiro fino a perderne la consapevolezza, in quel momento corpo e mente diventano puri e si diventa aperti al mondo. Il corpo e la mente hanno l'immenso potere di accogliere le cose così come sono, sia piacevoli, sia spiacevoli. Chiunque può fare zazen, e in modo tale lavorare sui pensieri e accoglierli eliminando il dualismo, la mente pervade il corpo intero e si entra nello stadio di forma è forma, e vuoto è vuoto.   Ciò significa che sapendo di avere una vita breve, riusciamo ad assaporarla con gioia giorno per giorno, attimo per attimo.  Alla fine della pratica zazen, ci si inchina a terra, abbandonando noi stessi e le proprie idee dualistiche. Nella mente zen ogni cosa possiede lo stesso valore ed è il Buddha stesso. Inchinarsi aiuta a sbarazzarsi delle nostre idee egocentriche, e anche qui, quello che conta non è il risultato, ma lo sforzo di migliorarci come esseri umani.  Ciascun inchino esprime uno dei quattro voti buddhisti: 1- Sebbene gli esseri senzienti sono infiniti, faccio voto di salvarli. 2 - Sebbene i nostri cattivi desideri siano illimitati, faccio voto di sbarazzarmene. 3 - Sebbene l'insegnamento sia illimitato, faccio voto di imparare tutto. 4 - Sebbene il buddhismo sia irrealizzabile, faccio voto di realizzarlo.  La pratica zen è la diretta espressione della nostra vera natura di essere umani, ma senza questa pratica è difficile accorgersene.  L'illuminazione è questo; l'illuminazione è qualcosa di straordinario, ma una volta raggiunta, non è niente.

Se qualcosa esiste, ha la propria vera natura, la natura di Buddha. Dunque essere un essere umano significa essere un Buddha.

Mente zen, mente di principiante (2) - Shunryu Suzuki

 "Anche se il sole dovesse sorgere ad Ovest, una sola è la via del Bodhisattva".

Shunryu Suzuki (1904-1971) è stato un monaco e insegnante Zen Sōtō che aiutò a diffondere il buddismo Zen negli Stati Uniti, ed è conosciuto per aver fondato il primo monastero buddista Zen fuori dall'Asia..

 

Qualsiasi cosa facciate è straordinaria, perchè è la vita stessa ad essere straordinaria. Se volete esprimere voi stessi potete farlo in tutte le attività quotidiane. Dovete concedervi tempo in abbondanza in ogni cosa che fate, apprezzare quello che si sta facendo e fare diventare l'attività quotidiana parte della pratica. Non esiste un punto di partenza, nè una meta, non c'è niente da raggiungere. La pratica religiosa in India è fondata sull'ascetismo, una pratica che tende ad indebolire l'aspetto fisico al fine di liberare e rafforzare lo spirito. Ma secondo lo zen questo non porterà a nessun risultato.  Lo zen non è una forma di eccitazione o agitazione, bensì una concentrazione sulla routine di tutti i giorni. Se la mente è calma e costante, potete tenervi lontani dai rumori del mondo anche se ci state in mezzo. Quando la pratica è calma e ordinaria, anche la vita quotidiana stessa diventa una forma di illuminazione.

Nella pratica occorre applicare il retto e perfetto sforzo, per fare questo bisogna sbarazzarsi dell'orgoglio perchè è di troppo.  Di solito se si fa qualcosa,  si attendete un risultato, mentre nello zen bisogna fare qualcosa con lo spirito del non-conseguimento. Quando facciamo qualcosa con mente semplice e spontanea, la nostra attività diventa forte e spontanea. Dobbiamo lasciar andare il passato e il futuro e essere ancorati nel presente. E' importante ricordare ciò che abbiamo fatto, però non dobbiamo attaccarci a questo.

Per raggiungere l'altra sponda del fiume, il nirvana o l'illuminazione, si deve vivere autenticamente ad ogni passo della traversata senza attaccamento. "Dare" e "Fare" per lo zen è semplicemente non attaccarsi a nulla. 

Quando sediamo a gambe incrociate in zazen recuperiamo la nostra attività creativa che consiste nell'essere consapevoli di noi stessi;  il secondo tipo di creatività lo esprimiamo nell'attività quotidiana, quando ad esempio ci concentriamo nella preparazione del tè. Il terzo tipo di creatività consiste nel creare dentro di noi qualcosa come educazione, cultura o arte di un sistema sociale.

Nello zen soto si dà molta importanza allo shikan, ossia il puro e semplice stare seduti in meditazione. Se si insinua qualche idea di conseguimento, la pratica non è pura. In questo caso il praticante ha bisogno di un maestro che in maniera diretta e severa lo rimetterà sul giusto cammino. Il maestro  mostrerà la via verso l'interiorità. Non c'è bisogno di insegnare allo studente, dato che lo studente stesso è Buddha. Quando non ne è consapevole, egli possiede tutto. L'intento del buddhismo è quello di studiare noi stessi e dimenticare noi stessi.  "Quando voi diventate voi, lo zen diventa zen. Quando voi siete voi, vedete le cose così come sono e diventate tutt'uno con ciò che vi circonda.   Il vero zazen è quando voi diventate voi stessi".

Nello zen la pratica migliore e la più alta è quella di praticare e basta.  Nella pratica, aperta a tutti, non ci sono finalità particolari, ci si concentra semplicemente sull'attività che si svolge nel momento presente.

E' nostra abitudine raccogliere informazioni da varie fonti, pensando in tal modo di accrescere la conoscenza. In effetti, seguendo questa via, finiamo per non sapere proprio nulla. Invece di accumulare conoscenze occorre chiarificare la mente. La vera conoscenza dipende dalla vera spontaneità, abbandonando tutte le idee preconcette, e le idee soggettive.

Nello zen vita e morte sono la stessa cosa. Quando ci si rende conto di ciò, non si ha più paura della morte, nè delle difficoltà nella vita. Le cose importanti della pratica sono la posizione fisica e il sistema di respirazione, e lo zen non si interessa troppo dell'aspetto filosofico. 

Per lo zen l'illuminazione è già quì, indipendentemente dalla pratica, in quanto l'essere umano possiede la natura di Buddha; occorre solo effettuare il retto sforzo nel momento presente. Un altro importante punto del buddhismo, e quindi dello zen, è la transitorietà di tutte le cose, tutto è impermanente, e questo è difficile da accettare e porta di conseguenza alla sofferenza. 

Il nulla è sempre presente, e da esso appare ogni cosa. Per apprendere veramente qualcosa si deve fare il vuoto mentale e dimenticare tutte le idee apprese precedentemente. L'intendimento buddhista della vita include sia l'esistenza sia la non-esistenza.  La vera esistenza nasce dal vuoto e fa ritorno al vuoto. Non c'è nessuna via che esista permanentemente, l'individuo deve limitarsi a trovare la propria via, attimo dopo attimo. Dimenticate tutto, e fare quello che si puo' fare. Con la presa di coscienza del vuoto delle cose, tutto diventa reale - non sostanziale. Ed è più facile evitare l'attaccamento e così abbandonare la strada della sofferenza. Comprendere veramente il vuoto, significa capire che tutto è sempre qui, presente. Quando siete pronti ad accogliere tutto ciò che si vede come qualcosa che scaturisce dal vuoto, ed esiste una ragione per cui appare una determinata esistenza con forma e colore, avrete una calma perfetta.  Questo qualcosa che sta alla base dell'esistenza, che non è il vuoto totale, ed è sempre pronto ad assumere una natura particolare, è la natura di Buddha

L'esistenza è la meravigliosa espressione della grande attività di Buddha. Ciascuna esistenza è dipendente da qualcos'altro, ci sono molteplici denominazioni per un'unica esistenza. Varietà ed unità sono la stessa cosa, per cui occorre avvertire l'unità in ciascuna esistenza. Nell'esperienza effettiva, varietà ed unità sono la stessa cosa. Praticare il buddhismo significa studiare se stessi.  Perciò è nella vita quotidiana, e non quando si siede in meditazione, che si scoprirà l'effettivo valore dello zen. Non c'è bisogno di capire intellettualemnte la filosofia zen, perciò la pratica zen consiste nel sedere in meditazione e basta, senza alcuna idea di conseguimento, con l'intenzione pura di restare nello stato di quiete della nostra natura originaria.  Solo quando lasceremo tutto come è, solo allora si manifesterà la mente chiara e vuota. La cosa più importante della pratica è una salda convinzione del vuoto originario della mente, che è l'essenza stessa della vita e della mente.

Quando il Buddha conseguì l'illuminazione disse "E' meraviglioso vedere la natura di Buddha in ogni cosa e in ogni essere". Una volta capito che noi siamo Buddha, abbiamo capito quale è la via. 

sabato 14 maggio 2022

Ella Maillart

 Ella Maillart (1903-1997) nel libro Croisieres et Caravanes, pubblicato nel 1951, ci descrive la sua vita e la sua evoluzione interiore, a partire dalla sua giovinezza ribelle vissuta in Svizzera. Link del sito: http://www.ellamaillart.ch/index_fr.php

È una delle più sorprendenti viaggiatrici del XX secolo. Esploratrice alla ricerca della verità, fotografa per gusto, scrittrice e giornalista per necessità, Ella Maillart, famosa per le sue numerose imprese sportive, i suoi viaggi e i suoi libri, viaggiò nelle regioni più remote del pianeta in condizioni estreme.

Spirito avventuroso, aveva il disgusto delle occupazioni cittadine, e gli sembrava assurdo pensare alla sicurezza materiale, passare anni in un ufficio per economizzare per l’età della pensione. Anche parole come famiglia e religione, per lei risuonavano vuote, e sentiva l’esigenza di trovare una saggezza, alla quale aderire completamente. Cominciò a viaggiare, a scoprire l’Unione Sovietica per sperimentare il marxismo – leninismo, poi prima della seconda guerra mondiale, attraverso' il Caucaso, il Kirghizistan, la Cina e regioni ancora inesplorate in Asia; arrivo' ai confini del Tibet con compagni di viaggio trovati per caso.

I viaggi l'avevano convinta che doveva compiere qualcosa per dare senso ad un "io", che non voleva sparire senza aver compiuto qualcosa che avesse un valore, qualcosa che la salverebbe dal nulla, qualcosa che potesse soddisfare la sete di eternità che sentiva dentro di se.  Dal suo libro: "Che cosa era dunque che mi portava ai quattro lati del mondo? Che cosa era questo bisogno di vedere e comprendere? Mi creavo ogni volta delle prove solo per il piacere di superarle? La maggior parte dei miei successi potevano darmi quella fiducia in me stessa che ricercavo? Allora, fino a quando dovevo continuare cosi' ad affermarmi a me stessa?"  "Molte domande rimanevano irrisolte. Dovevo vivere per trovare quello che cercavo".  Queste domande sono state la prima spinta a quel viaggio interiore che farà in India negli anni successivi .

Durante la snervante atmosfera di una Europa tra le due guerre, decide di intraprendere l’analisi di se stessa e della civilizzazione insensata alla quale apparteneva, andando a vivere il tempo necessario presso una comunità “primitiva”. Questa idea si concretizzò grazie ad un viaggio in auto con la sua amica Christina. Partirono da Ginevra ed attraversarono la Turchia e l’Afghanistan nel giugno 1939 alla vigilia della seconda guerra mondiale. Durante questo viaggio in compagnia della sua amica che soffriva di una profonda depressione, prende consapevolezza dell’importanza della vita interiore. “Nella mia vita fatta di sport e viaggi tutta proiettata verso l’esterno, non avevo mai messo in dubbio la realtà assoluta del mondo concreto. Ma durante questi mesi, mentre vivevo a fianco della mia amica, le moschee e le scene di vita afghane, erano diventate una realtà secondaria, incapaci di distrarmi dal tormento che mi causava l’ossessione della mia amica. La vita interiore colora e condiziona la vita esteriore; è più vicina a noi e costituisce una realtà molto più essenziale”.

E’ per questo che la frase “Conosci te stesso” è imperiosa e fondamentale per quelli che si dedicano alla ricerca della realtà, poiché la visione del mondo esteriore dipende da quello che sono capaci di vedere. Queste riflessioni portano Ella Maillart ad intraprendere negli anni seguenti un viaggio nell’India meridionale con l’obiettivo di passare qualche tempo con i saggi indiani, per cercare di percepire quello che all'intellettuale era incomprensibile. L’intensa sete di conoscenza nasce dal profondo di noi stessi, bisogna cercare di capire il senso della vita in quanto non siamo destinati a restare nell’ignoranza. Siamo di fronte a tre grandi enigmi: il mondo, noi stessi e Dio.

Noi ci mettiamo alla conquista del mondo esteriore cercando di soddisfare i nostri desideri, ma solo scoprendo l’essere spirituale nascosto nel profondo di noi stessi, potremo soddisfare le nostre aspirazioni profonde. Per intraprendere questo viaggio interiore bisogna esplorare le terre sconosciute della mente. Questo viaggio interiore la porterà verso quella vita completa ed armoniosa, che ricercava in modo istintivo. Questa è stata la grande scoperta fatta da Ella Maillart. “Oggi, mi sento soddisfatta, anche vivendo da sola, mai più soffrirò d’isolamento”.

In India, dopo dei corti soggiorni a Pondichery (qui incontrò due volte il maestro Aurobindo, ma per pochi minuti e in mezzo a centinaia di discepoli), incontra Ramana Maharishi. Lo definisce un grande saggio, un liberato vivente, che emana bontà e una pace immutabile. Ramana aveva raggiunto la liberazione durante una intensa meditazione. Si era concentrato sulla morte del corpo e dell’attività mentale ed era entrato in uno stato indicibile – l’Essere illimitato dove la morte non esiste più; da allora cessò di identificarsi con i suoi pensieri e con il suo corpo. Visse sul monte Arunachala per molti mesi, completamente assorbito dal suo essere illimitato mentre i visitatori e i suoi discepoli lo alimentavano di forza. Poi, più tardi, il suo essere relativo sembrò riprendere una vita normale. Dopo aver appreso a vedere chiaramente in lui stesso cominciò a rispondere alle domande degli interlocutori. Qui all’ashram Ella Maillart meditava ed ascoltava le risposte di Ramana date ai vari quesiti che gli venivano posti. 

Noi non potremo mai conoscere quello che costituisce il solo elemento immutabile sul quale riposano tutte le nostre mutevoli esperienze. Quel qualcosa che ci permette di risentire in noi la pienezza di una realtà misteriosa. Armati di pazienza, dovremmo cercare di vivere normalmente, ma cercando quella che è la natura di questo “Io” che sorge ogni volta che dico: "io penso, io sento, io agisco, io sono…".

Bisogna distruggere il nostro ego, questa falsa entità che ci separa dal nostro vero essere, che è amore, luce cosciente illimitata. Una volta che riusciremo a fissarci sul nostro vero Sé, la dualità, la divisione del nostro mondo tra soggetto ed oggetto sparirà. La vita continuerà apparentemente uguale, ma sarà trasformata dalla nostra conoscenza totale. Dobbiamo cercare la pace immutabile dentro di noi e non nel mondo relativo che ci circonda, e che esiste in funzione dei due principi opposti, vita e morte, giorno e notte, caldo e freddo, evoluzione e involuzione.

Successivamente, Ella Maillart incontra un altro grande saggio, Atmananda che anche lui aveva adottato la via della conoscenza basata sul non dualismo. Insegnava un metodo di interrogazione per scoprire e liberare la vera realtà da sempre latente in noi.  L'autrice conclude questo libro con questa bella frase “Ero arrivata a comprendere che per la maggior parte degli occidentali, l’equilibrio, l’amore per il prossimo, la saggezza saranno inaccessibili fino a quando la  loro parte più importante, il loro vero Sè resterà soffocato”.  

Introduzione al Blog

Il Blog è nato nel marzo 2021, in tempo di pandemia, per comunicare e condividere le mie letture e i miei interessi.  Nel blog ci sono ci...