venerdì 1 agosto 2025

Quando iniziamo a fare Yoga?

C’è un momento che segna l’inizio del vero cammino yogico. Non è un momento definito da una conquista o da un traguardo fisico, ma da un risveglio: la consapevolezza che lo yoga non è confinato al tappetino, alle posture o alle tecniche di respirazione. È un percorso che abbraccia tutta la vita, che offre strumenti per affrontare la sofferenza, comprendere la mente e trasformare il nostro rapporto con l’esistenza. Questo risveglio avviene quando ci permettiamo di essere esposti alla sua complessità, quando smettiamo di cercare risposte rapide e comode e iniziamo a porci domande più profonde.     

Gli Yoga Sutra di Patanjali delineano un percorso che non si limita a tecniche o esercizi fisici, ma che si concentra sulla relazione tra l’osservatore e ciò che viene osservato. Il Sutra 2.17 identifica la radice della sofferenza in una confusione percettiva: l’osservatore si identifica con ciò che è comprensibile, schiacciandosi sulle modificazioni della mente (vritti). Questo stato replica quanto espresso nel Sutra 1.4, dove l’osservatore, perso nelle fluttuazioni mentali, si allontana dalla propria natura. È questa identificazione che genera frammentazione, sofferenza e una percezione limitata della realtà.

Lo yoga, tuttavia, non individua mai gli ostacoli in fattori esterni. Ogni limite, ogni afflizione, ogni resistenza che incontriamo è sempre interno alla mente, e proprio per questo è accessibile e trasformabile attraverso il lavoro consapevole. La mente, con le sue dinamiche, crea il cono percettivo attraverso il quale osserviamo e comprendiamo il mondo. Riducendo le afflizioni che gravano su questo cono, non solo modifichiamo la nostra percezione interna, ma cambiamo anche la nostra relazione con ciò che percepiamo all’esterno. In questo senso, il superamento degli ostacoli nella mente coincide con il superamento degli ostacoli che sembrano esistere fuori di noi.

Il Sutra 2.11 ci offre una guida fondamentale in questo processo: la meditazione (dhyana) è il mezzo per ridurre l’impatto delle afflizioni e stabilizzare la mente. Questo non avviene attraverso un’eliminazione forzata dei pensieri o delle distrazioni, ma grazie a un lavoro progressivo che riorienta la mente, rendendola uno strumento al servizio dell’osservatore. Quando la mente si stabilizza, ogni ostacolo perde forza, ogni difficoltà si trasforma in un’opportunità di apprendimento.

Il Sutra 2.15 amplia ulteriormente questa visione, invitandoci a vedere la sofferenza come una parte integrante dell’esperienza umana. Non è un nemico da combattere, ma un aspetto della realtà che, se compreso, può diventare un terreno di pratica e trasformazione. Nasce dall’attaccamento, dall’impermanenza e dalla distorsione percettiva. Lo yoga non elimina la sofferenza, ma ci insegna a utilizzarla per sviluppare una sensibilità più profonda, per espandere il nostro cono percettivo e per vivere con maggiore equilibrio.

In questo contesto, il concetto di asana assume un significato che va ben oltre quello che comunemente gli viene attribuito. L’etimologia stessa della parola asana ci riporta all’idea di un posizionamento stabile e confortevole, ma questa stabilità non è confinata al corpo. Asana è, innanzitutto, un posizionamento della mente, un equilibrio mentale che permette di donare chiarezza e confortevolezza alla mente stessa. È in questo stato che la mente trova la capacità di affrontare le afflizioni e di stabilizzarsi. Il corpo, in questo senso, può diventare uno dei livelli in cui questa stabilità si manifesta, ma non è il centro né il limite del concetto. Asana non è una postura: è uno stato che permea ogni livello di pratica, dal corpo alla mente, e che non può essere ingabbiato in una mera replica fisica, come spesso accade nella tradizione moderna. Nel suo senso più profondo, asana rappresenta la capacità di stabilizzare e rendere confortevole ogni aspetto della nostra esperienza, a partire dalla mente.

Il percorso culmina nel Sutra 2.26, dove Patanjali descrive la discriminazione costante (viveka khyati) come il mezzo per liberare l’osservatore dalla sofferenza. Questa discriminazione non è il risultato di un evento isolato, ma il frutto di un lavoro consapevole che integra teoria e pratica. È solo attraverso questa integrazione che l’osservatore può distinguere tra ciò che è transitorio e ciò che è permanente, tra ciò che osserva e chi osserva.

Quindi, Quando iniziamo a fare yoga? Quando accettiamo che lo yoga non è solo tecnica, ma un cammino che abbraccia la mente, il corpo e l’esistenza intera attraverso una serie di rappresentazioni che toccano l'intera umana essenza.

Il Sutra 2.11 ci ricorda che la meditazione è il mezzo per ridurre le afflizioni; il Sutra 2.15 ci invita a vedere la sofferenza come una possibilità di apprendimento; e il Sutra 2.26 ci guida verso una discriminazione che liberi l’osservatore. L’asana, intesa come posizionamento mentale, rappresenta un equilibrio che ci permette di vivere questa complessità con apertura e presenza.     

Lo yoga, in definitiva, è un’arte e una scienza che ci invita a riconoscere che ogni momento, ogni sofferenza, ogni domanda è un portale verso una comprensione più profonda di noi stessi e dell’esistenza.

Om Namah Shivaya

Qui di seguito è riportato il significato dei due importanti mantra.

 Il mantra "Om Namah Shivaya" significa “Mi inchino con profondo rispetto; salute a te, Shiva!”
Questa formula sacra sanscrita ha diversi significati; essa si appella a Dio come Śiva, una forma di Īśvara (l'aspetto personale di Dio) e può essere tradotta come "Signore, sia fatta la Tua volontà", oppure "Mi arrendo a Te, Dio". È considerato uno dei mantra più completi e potenti. 

Il mantra  'Hari OM Tat Sat " significa " ciò che è verità". Quello che io vedo con i miei occhi e ciò che è al di là i miei occhi sono entrambi la stessa cosa, non una diversa. Il creatore e la creazione non sono due. Il creatore non ha creato la creazione, ma ha manifestato o trasformato se stesso in creazione.

OM o AUM  nei Veda, è l’inno primordiale. Questo suono trascendentale è identico alla forma del Signore. Tutti gli inni vedici sono basati su questo mantra.  Tat deriva da tad, la forma neutra di “ta”, che significa “quello”. È un modo informale per riferirsi a Dio, la Persona Suprema. Sat:  Sat significa esistenza ed eternità.  

https://www.youtube.com/watch?v=R9Yg1IPFW-E

Kumbh Mela: il più grande raduno religioso del mondo,

Ogni dodici anni, l’India ospita un evento unico al mondo per portata spirituale e dimensioni umane: il Kumbh Mela, il più grande raduno religioso esistente, che raccoglie centinaia di milioni di fedeli induisti lungo le rive sacre del Gange e dello Yamuna. L’edizione del Maha Kumbh Mela, celebrata quest’anno (2025) a Prayagraj, ha visto la partecipazione di oltre 400 milioni di pellegrini, con picchi di 76 milioni di persone in un solo giorno, il 29 gennaio.

Il Kumbh Mela è molto più di un pellegrinaggio: è un momento di purificazione spirituale in cui i fedeli si immergono nelle acque sacre per lavare i peccati e cercare la liberazione dal ciclo della rinascita. Il tempismo dell’evento è determinato da un raro allineamento astrologico tra Giove, il Sole e la Luna, che – secondo la tradizione vedica – conferisce potere spirituale all’acqua del Gange. Il luogo è considerato ancora più sacro perché, oltre ai due fiumi visibili, si crede che in forma metafisica si unisca anche il mitico Sarasvati, rendendo il sito una convergenza divina.

Per accogliere una tale moltitudine, viene costruita una megalopoli temporanea su una pianura alluvionale di 4.000 ettari. In appena due mesi, il governo indiano allestisce strade, ponti, tende, servizi igienici (oltre 30.000), acqua potabile, elettricità e copertura mobile. Le sistemazioni vanno dalle tende collettive statali alle lussuose Dome City, strutture a forma di bolla trasparente con ogni comfort moderno.

Tredici gruppi spirituali, gli Akharas, guidati da santoni ascetici, attraversano i ponti fluviali per sfilare e guidare le cerimonie. I sadhu benedicono i pellegrini, mentre le offerte di calendule e il canto incessante avvolgono l'atmosfera in una dimensione sospesa tra devozione e festa.

Il Kumbh Mela è anche una prova logistica senza pari. Le autorità hanno mobilitato 13.000 treni, 40.000 poliziotti (tra cui 1.300 donne agenti specializzate), 2.700 telecamere dotate di intelligenza artificiale per monitorare la folla, e 150.000 bagni portatili. Eppure, i rischi rimangono. Il 29 gennaio, una calca ha causato 30 morti e 90 feriti, rilanciando il dibattito sulla gestione della sicurezza, soprattutto nei confronti dei pellegrini più poveri, spesso trascurati rispetto ai visitatori VIP.

Il Kumbh Mela è anche solidarietà.  Numerose organizzazioni caritatevoli, tra cui la Società Internazionale per la Coscienza di Krishna, hanno offerto fino a 100.000 pasti vegetariani gratuiti al giorno. Iniziative sanitarie come la clinica Netra Kumbh hanno fornito screening visivi, occhiali gratuiti e interventi di cataratta a migliaia di persone. Grazie a una gestione oculata, negli ultimi anni non si sono verificati gravi focolai epidemici, un risultato straordinario per un evento di tali proporzioni.

Terminato il festival, il terreno torna al suo uso agricolo. Ci vogliono settimane per ripulire la città temporanea, ma la piena autunnale del Gange completerà l’opera, riportando tutto alla normalità, come se niente fosse mai accaduto. Ma i pellegrini, tornati a casa, porteranno con sé molto più che semplici ricordi: un’esperienza spirituale collettiva, un momento di connessione, purificazione e rinascita.

Vedi link:   https://www.nationalgeographic.it/kumbh-mela-che-cos-e-e-come-si-celebra-in-india-il-piu-grande-raduno-religioso-del-mondo?utm_source=firefox-newtab-it-it


Il potere del respiro e la consapevolezza profonda

Respirare è il gesto più naturale e costante che compiamo: lo facciamo migliaia di volte al giorno, senza pensarci. Eppure, proprio per questa sua apparente semplicità, la respirazione è spesso trascurata, sottovalutata nel suo potenziale trasformativo. Respirare non è solo sopravvivere: è vivere pienamente, accedere a uno stato di salute più profondo, di equilibrio psicofisico, di chiarezza mentale.

Non è un caso se emozioni intense – come paura, ansia o gioia – ci tolgono il fiato. Il respiro è lo specchio del nostro stato interiore. Quando impariamo a respirare bene, possiamo iniziare a governare le nostre emozioni, ridurre lo stress, gestire la fatica, migliorare la qualità del sonno, dell’alimentazione e persino della vita sessuale.

Una respirazione completa e consapevole aumenta l’ossigenazione del corpo, migliora il funzionamento cellulare, supporta il cervello e ci rende più lucidi ed energici – senza bisogno di stimoli esterni.
In un’epoca in cui il ritmo della vita è sempre più frenetico, molti di noi respirano in modo superficiale, utilizzando solo una minima parte della nostra capacità polmonare. Questo schema limitato è spesso legato a tensioni profonde, stress cronico e sovraccarico emotivo.

Imparare a modulare il respiro ci consente di entrare in uno stato di calma, chiarezza e benessere. È una vera e propria forma di auto-guarigione naturale, accessibile a tutti, in qualsiasi momento.
Il respiro nello Yoga: ponte tra corpo, mente e spirito

Nello yoga, il respiro è molto più che un’azione fisiologica: è prana, energia vitale. È il primo nutrimento, il legame diretto tra corpo e mente. Il respiro può calmare i pensieri, modificare lo stato d’animo e condurci verso stati meditativi profondi.
La disciplina del pranayama, che significa “controllo del respiro”, è alla base della trasformazione interiore nello yoga. La mente, da sola, non può fermarsi: ma il respiro può. E quando si ferma il respiro, si placa anche la mente.

In condizioni di stress, la respirazione diventa toracica e superficiale, spesso disfunzionale. Il passaggio a una respirazione profonda e volontaria coinvolge il diaframma, il “secondo cuore” del corpo. Quando attivato correttamente, il diaframma:
  •     stimola la circolazione venosa,
  •     supporta la funzione degli organi interni,
  •     favorisce l’eliminazione delle tossine,
  •     modula il nervo vago, che regola rilassamento e digestione.
La respirazione nasale, inoltre, filtra le impurità e favorisce una maggiore efficienza respiratoria.
Esercizi pratici di respirazione consapevole

Per ristabilire un ritmo naturale e sano del respiro, è utile praticare ogni giorno:
La Respirazione diaframmatica
  •     Inspira dal naso, gonfiando l’addome.
  •     Espira lentamente, contraendo l’addome.
  •     L’espirazione dovrebbe durare il doppio dell’inspirazione.
  •     Ripeti per almeno 10 cicli respiratori.
La Respirazione completa (Siddhi Pranayama)
  •     Fase addominale: gonfia l’addome inspirando, sgonfialo espirando.
  •     Fase toracica: espandi il torace, poi rilassalo.
  •     Fase clavicolare: solleva le clavicole, poi rilassa.
  •     Fase integrata: inspira in tre fasi (addome, torace, clavicole) ed espira nello stesso ordine.
Applicare il Ritmo base:
  •     prima fase, inspira contando fino a 3  
  •     seconda fase,  trattieni contando fino a 12 
  •     terza fase, espira contando fino a 6. 
Questo schema favorisce un equilibrio interiore profondo e stimola la presenza mentale.

Il respiro è anche veicolo di energia sottile (prana). Le tecniche di respirazione modulano il flusso energetico nei chakra, in particolare nei primi tre centri legati ai bisogni primari. Una respirazione alta e superficiale (solo clavicolare) può generare squilibri; una respirazione piena e consapevole favorisce la circolazione uniforme dell’energia vitale.

Per praticare bene, è utile rafforzare la cintura addominale con esercizi mirati, poiché i muscoli respiratori devono essere educati come qualunque altro muscolo.

Quando si ha bisogno di risvegliare l’attenzione mentale, ci si può rivolgere a tecniche più attive come:
  •     Kapalabhati: respirazione forzata e veloce, con espirazioni rapide e attive.
  •     Bhastrika: respirazione energica e profonda, utile contro il torpore mentale.
Entrambe stimolano la mente e il corpo, e sono particolarmente efficaci prima della meditazione.
Conclusione: il respiro come maestro interiore

Lo Yoga è una via che ci invita a rallentare, osservare, comprendere. Tra tutte le tecniche yogiche – posizioni, meditazioni, mantra – la respirazione è la base. È lo strumento più semplice e, allo stesso tempo, il più potente per trasformare la nostra vita.

Purtroppo, anche tra chi pratica yoga da tempo, la consapevolezza respiratoria è spesso superficiale. Ma i grandi maestri lo hanno sempre insegnato: il respiro è la chiave per la salute, la chiarezza e la libertà interiore.

I Tattva

Tattva, termine sanscrito che significa "stato vero o reale", "verità", "realtà" "principio reale", o anche "verità". In accordo con varie scuole di filosofia indiane, un tattva è un elemento o aspetto della realtà concepito come una emanazione della realtà assoluta nel processo di manifestazione dal sottile al grossolano. Sebbene il numero dei tattva vari a seconda della scuola filosofica essi, nel loro insieme, sono supposti formare la base di ogni nostra esperienza.         

Nella filosofia Yoga contando anche Puruṣa e Prakṛti sono descritti 26 tattva (elementi primari); i tattva vanno dai più sottili tipo Puruṣa e Prakṛti fino ai più grossolani (bhūta).  I cinque elementi: Terra, Acqua, Fuoco, Aria, Etere, sono presenti in ogni sostanza esistente in natura. Essi non esistono di per sé stessi, ma ciascuno di essi contiene, in piccola parte, anche gli altri quattro. La filosofia Sāṃkhya usa un sistema di 25 tattva o principi (Tattva Samasa è una parola della filosofia Sankya attribuita a Kapila stesso) mentre lo Shivaismo ne riconosce 36.   
La filosofia cinese prevede cinque elementi: il Fuoco (rosso), il Metallo (bianco), l'Acqua (nero), il Legno (verde), e la Terra (giallo).
 

Nella filosofia  Yoga e Sāṃkhya i cinque elementi rappresentano il mondo materiale reso manifesto attraverso l’unione di Spirito e Natura. Inizialmente è la combinazione dei tre gunas che da vita ai cinque elementi (tattva) che sono terra, acqua, fuoco, aria e etere. tattva. Infatti, ognuno dei cinque elementi e’ sotto l’influenza dei guna, essendo soggetti a rajas (movimento), tamas (non movimento) e sattva (equilibrio). 

 I cinque elementi testimoniano che l’universo é fatto di energia ed intelligenza che assume diverse forme.
Negli esseri umani, la diversa combinazione degli elementi crea la possibilità di cambiamento, crescita, espansione e tensione. Tutto questo è necessario per l’evoluzione.

I cinque elementi hanno diverse frequenze di vibrazione e rappresentano le sostanze solide (terra), liquide (acqua), gassose (aria); energia (fuoco) e spazio (etere). Questa classificazione si avvicina a quella della fisica moderna che suddivide gli elementi in solidi, liquidi e gassosi, e riconosce l’esistenza di energia e spazio.  I cinque elementi poi danno vita ai nostri sensi e a tutti i fenomeni fisici.

Questo argomento è strettamente correlato anche con i chakra perché ogni elemento corrisponde ad uno dei primi cinque chakra:

  •     Terra = Muladhara
  •     Acqua = Svadhisthana
  •     Fuoco = Manipura
  •     Aria = Anahata
  •     Etere = Vishudda

Il pensiero irriducibile - Tiziano Terzani

"Le Teorie economiche non considerano mai il numero di persone felici"

Conosciuto in tutto il mondo per i suoi reportage di viaggio, Tiziano Terzani, nei brevi saggi che compongono il volume, riflette sul mondo che cambia, sulla deriva soprattutto spirituale che ha colpito l’Occidente e sulla sua particolare e unica esperienza di vita, spaziando dagli anni trascorsi in Olivetti al suo grande amore per la poesia, rimasto sempre costante negli anni. 

Tre scritti personali e sentiti, capaci di illuminare ancora il nostro presente.

  • La famosa risposta a Oriana Fallaci all’indomani degli attentati dell’11 settembre; 
  • Una riflessione sulla modernità e su quel che comunemente si definisce progresso a partire dall’esperienza giovanile in Olivetti; 
  • Uno scritto inedito, personale e intimo, sul ruolo della poesia nel mondo contemporaneo. 

Tre testi per avvicinarsi all’eredità di pensiero lasciata da un grande protagonista del secolo scorso, con lo sguardo rivolto al futuro di tutta l’umanità.         

Nel 2019 "Il pensiero irriducibile" di Tiziano Terzani veniva pubblicato dalla casa editrice fondata da Adriano Olivetti e presentato a Lugano con la partecipazione dell’editore Beniamino De’ Liguori Carino (nipote di Olivetti) e Àlen Loreti (biografo di Terzani), di cui riportiamo un estratto dell’intervista.

─ 𝗖𝗼𝘀𝗮 𝗰𝗶 𝗱𝗶𝗿𝗲𝗯𝗯𝗲 𝗧𝗲𝗿𝘇𝗮𝗻𝗶 𝗼𝗴𝗴𝗶 𝘀𝘂𝗹𝗹’𝗲𝗰𝗼𝗻𝗼𝗺𝗶𝗮 𝗲 𝘀𝘂𝗹 𝗿𝗮𝗽𝗽𝗼𝗿𝘁𝗼 𝘁𝗿𝗮 𝗮𝘇𝗶𝗲𝗻𝗱𝗲, 𝘀𝗼𝗰𝗶𝗲𝘁𝗮̀ 𝗲 𝗮𝗺𝗯𝗶𝗲𝗻𝘁𝗲?
─ Nel 1987 intervistato dalla tv svizzera disse: «Il futuro del mondo si gioca in Asia». Pochi capirono quella previsione. In tutta la sua opera ritorna il rapporto tra Uomo e Modernità. Dietro ai conflitti sociali e politici c’è sempre questo aspetto. Senza essere un antropologo o un economista Terzani ha condiviso in anticipo le preoccupazioni sulla globalizzazione e sulla politica dominata dalla finanza: ne "Il pensiero irriducibile" si coglie questa profonda facoltà analitica carica di inquietudine.

─ 𝗤𝘂𝗮𝗹𝗲 𝗲𝗿𝗮 𝗹𝗮 𝘃𝗶𝘀𝗶𝗼𝗻𝗲 𝗱𝗶 𝗧𝗲𝗿𝘇𝗮𝗻𝗶 𝘀𝘂𝗹𝗹’𝗲𝗰𝗼𝗻𝗼𝗺𝗶𝗮 𝗲 𝗱𝗲𝗹 𝗿𝗮𝗽𝗽𝗼𝗿𝘁𝗼 𝘁𝗿𝗮 𝗹’𝗲𝘀𝘀𝗲𝗿𝗲 𝘂𝗺𝗮𝗻𝗼 𝗲 𝗹’𝗲𝗰𝗼𝗻𝗼𝗺𝗶𝗮?
─ «L’economia – diceva – deve cominciare a lavorare in funzione dell’uomo, non dei ricchi, non della borsa. Oggi, in Occidente, bisogna dire chiaramente che dobbiamo dividere la nostra ricchezza. Non potremo mai essere in pace, se gli altri sono in guerra. Non potremo mai essere felici, se gli altri non lo sono.» Terzani condannava la perdita di umanità resa oggi evidente dal crescere delle disuguaglianze: un’economia, e una politica, che rinuncia all’etica porta solo guai e conflitti.

─ 𝗧𝗲𝗿𝘇𝗮𝗻𝗶 𝗮 𝟮𝟯 𝗮𝗻𝗻𝗶 𝗶𝗻𝗶𝘇𝗶𝗼̀ 𝗮 𝗹𝗮𝘃𝗼𝗿𝗮𝗿𝗲 𝗽𝗿𝗼𝗽𝗿𝗶𝗼 𝗽𝗲𝗿 𝗹’𝗢𝗹𝗶𝘃𝗲𝘁𝘁𝗶, 𝗰𝗵𝗲 𝗲𝘀𝗽𝗲𝗿𝗶𝗲𝗻𝘇𝗮 𝗳𝘂?
─ Furono 5 anni intensi e decisivi. Terzani deve all’Olivetti il regalo più grande: avergli fatto scoprire il mondo. Dopo aver lavorato come manager in Europa, in Giappone, in Australia e in Sudafrica si rese conto che non voleva viaggiare il mondo per vendere macchine per scrivere, ma usare la macchina per scrivere per raccontare il mondo. Lasciò l’azienda per diventare giornalista.

─ 𝗢𝗹𝗶𝘃𝗲𝘁𝘁𝗶 𝗲 𝗧𝗲𝗿𝘇𝗮𝗻𝗶: 𝘀𝗲𝗰𝗼𝗻𝗱𝗼 𝗹𝗲𝗶, 𝗰𝗼𝘀𝗮 𝗹𝗶 𝗮𝗰𝗰𝗼𝗺𝘂𝗻𝗮𝘃𝗮 𝗲 𝗶𝗻 𝗰𝗼𝘀𝗮 𝗲𝗿𝗮𝗻𝗼 𝗶𝗻𝘃𝗲𝗰𝗲 𝗱𝗶𝘃𝗲𝗿𝘀𝗶?
─ Olivetti morì nel 1960, Terzani fu assunto nel 1962: non si conobbero. Hanno però in comune una tensione spirituale che non va sottovalutata. La definirei un bisogno e una ricerca di armonia. Non azzarderei una vicinanza politica anche se in entrambi c’è uno spirito socialista che si ispira ai valori più nobili: un fortissimo senso di giustizia, un bisogno di lotta, di riforma sociale. Olivetti praticò su scala pubblica questa visione di società, Terzani – viste le sue umili origini – pensò in primo luogo a un riscatto personale. Sono stati uomini liberi, veramente moderni, con un cuore antico.

La ricerca radicale della spiritualità

 Non siamo nell'epoca della misura,  né del giusto mezzo: tutto è estremo; si va dall'iperconnessione , alle pressioni sociali, alla corsa al profitto. In questo contesto la ricerca della spiritualità è diventata un atto di resistenza radicale.   

Articolo di Eugenia Nicolosi   Vedi: https://www.alfemminile.com/salute-e-benessere/spiritualita-estrema-tra-ritiri-comunita-e-illusioni/?utm_source=firefox-newtab-it-it

Cosa è lo spirito? E cosa è la percezione dello spirito in un'epoca ipermoderna, iperconnessa, iperconsumistica, ipermaterialista? In un tempo dominato dal culto dell'io, dalla velocità e dalla sovrabbondanza informativa, la resistenza a queste stesse dinamiche è ugualmente estrema. Ecco perché la ricerca di una dimensione spirituale più autentica, profonda, a volte completamente slegata dai tradizionali riferimenti religiosi, si fa necessariamente radicale.

Non si tratta di una moda, non solo almeno, ma di un fenomeno globale che non poteva che trovare spazio nelle pieghe di un mondo sempre più logorato da stress cronico, alienazione e perdita di senso. Tanto ci siamo allontanate, allontanati, dalla dimensione spirituale, che oggi tentare di ritrovarla significa agire una rivoluzione interiore, oltre che esteriore.

Dappertutto si moltiplicano i ritiri spirituali — da quelli immersi nei boschi alle esperienze sensoriali nel deserto del Nevada — e non è raro che il/la manager, il/la creativo digitale o il/la professionista di turno, dopo ore passate tra Zoom e notifiche, scelga di spegnere tutto e cercare "un centro", qualunque cosa esso significhi. Yoga, bagni di suono, meditazioni Vipassana, digiuni, cammini, la "ayahuasca experience": le attività sono organizzate in contesti costruiti ad hoc per sembrare fuori dal tempo e dallo spazio. E nel caso dell'ayahuasca si esce davvero, dal tempo e dallo spazio.

Queste esperienze pensate per essere trasformative, rispondono a una domanda molto precisa: provvedere alla sopravvivenza dell'io spirituale in un mondo che quell'lo lo mortifica e ignora. Così, la fuga nel digitale, ora che il digitale è il posto reale, diventa una fuga nel rituale. 

Le comunità spirituali alternative esistono anche in Italia, lo sappiamo: è il caso di Damanhur, insediamento eco-spirituale nato negli anni Settanta tra le montagne piemontesi, fondato da Oberto Airaudi, e ancora oggi attivo.  Damanhur rappresenta uno dei tanti esempi di come il bisogno di spiritualità possa trovare espressione in forme comunitarie, auto-organizzate, a volte eccentriche ma profondamente strutturate. La parola "setta", in questi contesti, tende a emergere con facilità, spesso come giudizio esterno piuttosto che analisi oggettiva.

Certo, il confine tra comunità spirituale e deriva settaria può essere sottile, e la vigilanza è doverosa. Non mancano le testimonianze di sopravvissuti, sopravvissute a sette  in Italia - che raccontano di manipolazioni, abusi sessuali, psicologici ed economici, adescamenti e praticamente riduzione in schiavitù. 

Ma è altrettanto importante domandarsi, senza pregiudizi, perché queste realtà attraggono, chi è che le cerca, e cosa promettono: senso di appartenenza, contatto con la natura e la dimensione interiore, anzi, promettono uno spazio in cui la propria interiorità è il centro dell'esperienza. Che poi lo mantengano è altra questione.           

Tutto questo non può essere liquidato come fuga dalla realtà. È piuttosto un sintomo della fatica sempre più diffusa di vivere in un mondo costantemente acceso e che pretende, da chi lo abita, altrettanta performatività. Un mondo in cui ogni momento è potenzialmente produttivo e che sacrifica le emozioni che non possono essere monetizzate. In questo contesto è ovvio che il ritiro spirituale, l’appartenenza a una comunità fondata su dei valori e non sul profitto, anche solo la ricerca di un senso più grande possono essere visti come atti radicali, per quanto di legittima resistenza. 
La vulnerabilità di chi cerca un senso, una guida o una comunità può diventare riserva di caccia grossa per chi, consapevolmente o meno, sfrutta tale bisogno a proprio vantaggio. È impossibile non ricordare Osho: spiritualista carismatico, fondatore di una delle più note comunità alternative del Novecento, capace di attirare decine di migliaia di seguaci in tutto il mondo. Il suo ashram divenne negli anni Ottanta una città autonoma nel cuore dell’Oregon, Rajneeshpuram, che culminò in uno scandalo internazionale: accuse di frode, abuso di potere e un’inchiesta federale che portò alla sua espulsione dagli Stati Uniti.

Un caso estremo, certo, ma che restituisce con precisione chirurgica quanto la contaminazione capitalista si possa spingere oltre. La ricerca di spiritualità, come la promessa di comunità, non è immune da dinamiche di potere, dipendenza e sfruttamento. Per questo, se il bisogno di una dimensione interiore è legittimo — e forse più urgente che mai — è altrettanto necessario esercitare discernimento. Non ogni guida è illuminata, non ogni comunità è sana. Cercare il sacro, oggi, può essere un atto rivoluzionario soprattutto se fuori dalle dinamiche che ci hanno impedito, fino a oggi, di trovarlo.

Ma al domanda finale che io mi pongo è la seguente: Può esistere una comunità, non immune da dinamiche di potere, dipendenza e sfruttamento, in cui si possa mantenere la propria personalità, capacità di discernimento, possibilità di dialogo su alcuni principi base? 

Vanda Scaravelli

Vanda Scaravelli (Firenze, 1908-1999) è una donna straordinaria e una grande maestra di Yoga.  Il testo che ha scritto è Awakening the spine. 

   
Fino alla sua morte alla veneranda età di 91 anni, grazie ai suoi insegnamenti (lei ha sempre prediletto il rapporto diretto con l’allievo alle classi di yoga formate da più persone) ha trasformato corpi e vite con il suo innovativo approccio allo yoga basato sull’allineamento della colonna vertebrale, fondamentale per ascoltare il proprio corpo.

Vanda Scaravelli pone il concetto di aimsha (non violenza) al centro della propria pratica intendendo la non violenza prima di tutto nei confronti di sé stessi e del proprio corpo. Ecco infatti la sue parole: “Se saremo gentili con il nostro corpo, esso reagirà in modi incredibili”.

La sua è una storia straordinaria, Vanda nasce e cresce in una famiglia di artisti e intellettuali. Il padre, Alberto Passigli, è musicista e fondatore del Maggio Musicale Fiorentino, la madre, Clara Corsi, ottima pianista, è una delle prime donne a laurearsi in Italia.  La villa di famiglia, “Il Leccio”, è frequentata abitualmente da musicisti di fama internazionale come Pablo Casals, Andres Segovia e Arturo Toscanini, e da pensatori illustri quali Arthur Shnabel e Bronislaw Huberman. 
Vanda stessa seguendo le orme dei propri genitori, all’inizio della sua vita, si dedica alla musica diplomandosi al Conservatorio di musica di Firenze e studiando composizione a Parigi. Si afferma come pianista mantenendo costante nel tempo il proprio impegno in ambito musicale. Questo suo impegno nella musica è importante in quanto può essere considerata arte «parente» dello yoga sotto molti aspetti, basti pensare all’importanza dell’ascolto, della disciplina, della sensibilità.

Il 1929 rappresenta un anno di svolta: Vanda si reca con la famiglia a Ommen, in Olanda, al raduno indetto dai teosofi e qui fa un incontro che le cambierà la vita ossia quello con Jiddu Krishnamurti (famoso filosofo indiano che dopo un inizio all’interno della teosofia prese le distanze dalla stessa e da qualsiasi altra religione sostenendo: “la rivoluzione interiore va fatta da sé per sé, nessun maestro o guru può insegnarti come fare“).

In quell’occasione, Krishnamurti pronuncia un suo celebre discorso: “Io sostengo che la verità è una terra senza sentieri e non la si può avvicinare da nessun tipo di percorso, religione o setta” e decide di sciogliere l’Ordine della Stella che i teosofi avevano costituito in suo onore nel 1911.  
Da quel momento tra Vanda e Krishnamurti nasce una bella e duratura amicizia e il filosofo indiano visiterà regolarmente la sua famiglia, che lo ospita per lunghi soggiorni estivi presso lo Chalet Tannegg di Gstaad, in Svizzera. Proprio grazie a questo rapporto Vanda si avvicinerà allo Yoga.

Nel 1940 Vanda sposa Luigi Scaravelli, docente di filosofia presso le Università di Roma e Pisa, da cui avrà due figli. Il marito, filosofo e tra i massimi esperti del pensiero di Kant, muore suicida nel maggio del 1957.
È in questo periodo per Vanda molto difficile, vista la tragica perdita, che attraverso il musicista Yehudi Menuhin, conosce il grande maestro yoga B.K.S. Iyengar che a quei tempi non è quasi per nulla conosciuto in occidente. Infatti proprio presso la residenza svizzera degli amici toscani tutte le mattine dalle sette alle otto il maestro indiano dà lezioni di yoga a Krishnamurti e poi si ferma per insegnare anche a Vanda.

Quando inizia a praticare Yoga, quindi, quella che poi diventerà una grande maestra, aveva quasi 50 anni e lo Yoga, a cui si affida senza aspettative e senza pregiudizi, diventa per lei una vera fonte di aiuto e sostegno (ricordiamo il brutto momento che stava attraversando vista la morte del marito). 
Dice lei stessa durante un’intervista allo Yoga Journal (edizione americana): “Non sapevo che mi avrebbe aiutato perché io lo praticavo come il tennis o un qualsiasi altro gioco: per me era divertente. Ma agì molto più profondamente di quello che potevo capire in quel momento. Una nuova vita entrò nel mio corpo. In natura i fiori bocciano in primavera e nuovamente in autunno. Sentii questo”. Queste parole a parer mio sono particolarmente importanti per chi inizia a fare Yoga magari vivendolo come uno sport od un modo per rilassarsi e poi vede aprirsi un mondo e sentire dentro sé stessi un reale cambiamento (quindi non va mai scoraggiato chi si avvicina allo Yoga per motivi poco spirituali… visto che è successo anche ad uno spirito elevato come quello di Vanda).

Ma Iyengar non è il solo grande maestro che concorre alla formazione della nostra yogini, infatti, in seguito, sempre in Svizzera, affina lo studio del respiro (Iyengar aveva molto lavorato con ottimi risultati sul corpo) con Desikachar, il figlio di Krishnamacharya, invitato anch’egli da Krishnamurti. Anche con Desikachar rimane legata da una lunga e sincera amicizia e il maestro indiano quando passa da Firenze, non manca mai di andarla a trovare e cantare per lei.  

E’ però quando smette di andare a lezione e diventa maestra e allieva di se stessa che lo Yoga le si rivela in tutta la sua bellezza. Proprio aiutando Krishnamurti che fatica nelle asana che scopre che seguendo l’onda del respiro il corpo diventa molto morbido ed elastico. Il segreto dello Yoga è così semplice da diventare misterioso: è il non fare ossia meno si fa più le cose arrivano, serve lavorare “con” e non “contro”. Bisogna rimanere nell’onda del respiro, con gioia e cuore aperto, senza diventare schiavi delle idee.

Un altro elemento fondamentale consiste nel profondo radicamento alla terra tale che la forza di gravità diventi la base di appoggio per stendere la parte superiore del corpo (senza radici non si può volare). 
Respiro, gravità e colonna vertebrale sono i punti cardine della sua pratica e del suo insegnamento.
Lasciamo alle parole della maestra ora il ruolo di darci alcuni preziosi insegnamenti per la nostra pratica: “È molto importante essere riposati quando facciamo le posizioni, essere sempre rilassati. Sempre in atteggiamento di ricevere, non di spingere. Il corpo incontra il corpo. Non siamo contro, ma con il corpo, ecco la cosa bella. Il risultato si sente molto dentro: dà un senso di benessere. Perché si fanno le posizioni? Non per raggiungere uno scopo. Non devi mai avere in mente ciò che vuoi fare, ma ciò che il corpo può accettare”.

Attenzione non è concentrazione. Attenzione è interesse. Quando qualcosa ci interessa, è allora che diventiamo attenti. E quando diventiamo attenti, scopriamo tantissime nuove cose” (L’attenzione al corpo ed al respiro ci permettono di capire e scoprire molte cose di noi stessi e del mondo).

Esiste un modo per eseguire le posizioni Yoga (asana) senza il minimo sforzo. Il movimento è la canzone del corpo. Sì, il corpo ha una sua canzone da cui il movimento della danza nasce spontaneamente… Quando le parti inferiori del nostro corpo (fianchi, gambe, ginocchia e piedi) accettano la forza di gravità, permettono alle nostre parti superiori (testa, collo, braccia, spalle e tronco) di liberarsi dando origine a quella leggerezza di cui la danza è espressione ideale. La canzone del corpo, se ascoltiamo con attenzione, è bellezza, potremmo dire che è anche parte della natura. Cantiamo quando siamo felici e il corpo canta con noi come un’onda nel mare”.

Per capire l’approccio della maestra è sicuramente fondamentale leggere e fare proprio l’unico libro che la stessa ha scritto (il titolo inglese “Awakening the Spine”, tradotto poi in italiano come “Tra terra e cielo” perdendo nella traduzione la centralità della colonna vertebrale) che si caratterizza per uno stile essenziale e poetico, semplice e raffinato.     

Ma lasciamo sempre alle parole della maestra la spiegazione delle finalità del libro (che consiglio a tutti sia a chi pratica da anni sia a chi si sta avvicinando da poco allo Yoga): “proveremo in questo libro a incoraggiare un atteggiamento serio verso il nostro corpo, che abbiamo trascurato per troppo tempo. Questo atteggiamento è rivolto sia al corpo che alla mente. […] Dobbiamo imparare ad ascoltare il nostro corpo, assecondarlo piuttosto che contrastarlo, evitando gli sforzi e concentrandoci su quel delicato punto dietro la schiena (dove la colonna si muove nelle opposte direzioni). Resteremo molto sorpresi nello scoprire che, se saremo gentili con il nostro corpo, lui reagirà in modi incredibili”.  

Il buddhismo Shingon

Il Buddhismo Shingon, noto anche come "Scuola della Vera Parola", rappresenta una delle espressioni più complesse e sofisticate del Buddhismo esoterico giapponese. Le sue radici affondano nel tantrismo indiano, di cui eredita e rielabora strumenti dottrinali e rituali. Il termine stesso “Shingon” (眞言) è la lettura sino-giapponese di mantra, evidenziando l'importanza fondamentale della parola sacra come veicolo di trasformazione spirituale. Attraverso pratiche complesse che combinano mantra (formule sacre), mudra (gesti rituali) e mandala (diagrammi cosmici), la scuola Shingon sostiene la possibilità di realizzare l’illuminazione in questa stessa vita – un obiettivo audace che riflette la sua visione ontologica e cosmologica del mondo.


La genesi dello Shingon va compresa nel più ampio sviluppo del Buddhismo Mahayana esoterico, noto in Giappone come Mikkyō (密教), che si affermò tra l’VIII e il IX secolo. In questo contesto, una figura cruciale è Kūkai (774–835), conosciuto postumamente con il nome onorifico di Kōbō Daishi. Monaco, poeta, calligrafo e pensatore, Kūkai viaggiò in Cina nel 804, durante la dinastia Tang, dove fu iniziato ai riti esoterici e ricevette i testi fondamentali del tantrismo sino-indiano. Al suo ritorno in Giappone, elaborò una visione teologica e rituale innovativa, centrata sulla venerazione del Buddha cosmico Dainichi Nyorai (Mahavairocana), interpretato come l’essenza ultima e pervasiva dell’universo.

L’intuizione di Kūkai fu quella di sintetizzare gli insegnamenti tantrici in un sistema coerente, in cui linguaggio sacro, immaginazione rituale e corporeità convergono verso la realizzazione del risveglio. Il linguaggio non è mero strumento, ma principio creativo che riflette la natura illuminata dell’universo. L’iniziazione (abhiseka) diventa quindi il momento centrale della trasmissione: un passaggio segreto e sacro che abilita il praticante all’uso consapevole dei rituali e lo collega spiritualmente alla mente del Buddha.

Nel periodo Heian (794–1185), lo Shingon si inserisce dinamicamente nel tessuto politico e culturale dell’aristocrazia giapponese. L’influenza di Kūkai e dei suoi successori contribuisce a definire una simbiosi tra religione esoterica e autorità statale, in cui i rituali Shingon sono utilizzati anche per la protezione dell’impero, la purificazione della corte e la legittimazione del potere. I grandi templi come il Daigo-ji e il Tō-ji non sono solo luoghi di culto, ma centri di formazione per l’élite monastica, veri archivi viventi di sapere iniziatico.   In questa fase, il Buddhismo esoterico agisce come potere invisibile che media tra il mondo umano e le forze cosmiche, offrendo rituali propiziatori e difensivi. La distinzione tra la sfera religiosa e quella politica si dissolve in favore di un modello integrato in cui il monaco esoterico diventa figura cardine nella manutenzione dell’ordine cosmico e sociale.

Con l’instaurarsi del regime militare nel periodo Kamakura (1185–1333), lo Shingon affronta una mutazione profonda. Il suo radicamento presso le élite aristocratiche viene progressivamente sostituito da nuove forme di patrocinio da parte della classe guerriera (samurai), interessata soprattutto agli aspetti magico-protettivi dei rituali. I templi offrono cerimonie di protezione karmica, amuleti e preghiere propiziatorie, che contribuiscono alla legittimazione spirituale del potere militare.   Una figura di rilievo in questo contesto è Eison (1201–1290), monaco riformatore che cerca di riallacciare la pratica Shingon alle esigenze delle comunità popolari e laiche, avviando un processo di democratizzazione rituale e diffusione degli insegnamenti al di fuori dei confini strettamente monastici.

Al cuore della pratica Shingon risiede il concetto di Kaji (加持), che indica l’interazione dinamica tra il potere illuminato del Buddha e l’aspirazione del praticante. Questo principio esprime una visione non duale della salvezza, in cui il divino non è esterno all’essere umano, ma può essere attivato tramite gesti rituali, visualizzazioni e mantra.   Riti come il Homa (護摩), in cui il fuoco sacro consuma le impurità e invoca le divinità, rappresentano momenti liminali in cui il mondo ordinario si apre al sacro. L’uso del mandala – in particolare i due principali, il Mandala del Womb World (Taizōkai) e quello del Vajra World (Kongōkai) – offre una mappa cosmica per il percorso spirituale: contemplandoli e interiorizzandoli, il praticante è guidato alla consapevolezza della propria natura buddica.

Uno degli assi portanti del pensiero Shingon è la dottrina della non-dualità (funi 不二), che si esprime nella consapevolezza che tutte le dicotomie – tra spirito e materia, forma e vacuità, sé e Buddha – sono illusorie. Kūkai elabora una filosofia profondamente integrativa, influenzata dalla logica Madhyamaka e Yogācāra, ma riorganizzata in funzione del rituale. Il vuoto (kū, 空) non è un'assenza, ma una potenzialità creativa che si manifesta nella forma (shiki, 色) – ed è proprio attraverso la forma rituale che si realizza il risveglio.  Questa impostazione ha favorito ibridazioni dottrinali con altre scuole come il Tendai, generando vivaci scambi e talvolta tensioni istituzionali, soprattutto nei secoli successivi alla fondazione delle rispettive tradizioni.

L’esoterismo Shingon si esprime potentemente anche attraverso l’arte, l’architettura e il paesaggio rituale. Il Monte Kōya (Kōyasan), fondato da Kūkai, è un luogo che incarna fisicamente la cosmologia Shingon: ogni edificio, sentiero e simbolo partecipa a un sistema meditativo immersivo. Le rappresentazioni mandaliche, le statue dei Buddha e i padiglioni sacri non hanno solo una funzione estetica, ma operano come strumenti di trasformazione della coscienza, spingendo il visitatore a una percezione rituale dello spazio.  L’integrazione tra paesaggio naturale e pratica spirituale è un elemento chiave: il monte non è solo uno scenario, ma un corpo vivente del Buddha, un mandala tridimensionale in cui ogni punto è sacro.

Nell’epoca moderna e contemporanea, lo Shingon ha saputo adattarsi ai cambiamenti sociali, culturali e religiosi, pur preservando la sua identità esoterica. I rituali sono oggi praticati sia in ambito monastico che laico, e alcuni aspetti della dottrina – come il potere trasformativo dei mantra o la meditazione sui mandala – sono stati reinterpretati in chiave psicospirituale o persino terapeutica. Questo rinnovato interesse, anche in Occidente, ha permesso alla scuola di proiettarsi oltre i confini del Giappone, offrendo una spiritualità simbolica e incarnata, capace di dialogare con il mondo contemporaneo. Accademici e praticanti continuano a interrogarsi su come mantenere l'equilibrio tra la trasmissione iniziatica tradizionale e le esigenze moderne di accessibilità e universalismo spirituale (Triplett, 2021; Jennings, 2018).

Il Buddhismo Shingon si configura oggi come una tradizione viva e stratificata, in cui si intrecciano metafisica, ritualità e potere simbolico. La sua storia testimonia una straordinaria capacità di adattamento, senza rinunciare alla propria struttura esoterica. Lo Shingon non è soltanto un sistema religioso, ma una via integrata di trasformazione, in cui ogni gesto, parola e immagine diventa possibilità di contatto con il divino. In  un’epoca di spiritualità frammentata e spesso disincarnata, la via Shingon offre un modello in cui corpo, mente e universo si rispecchiano in un gioco rituale senza soluzione di continuità, che ancora oggi invita alla scoperta di una saggezza silenziosa, profonda e radicalmente incarnata.

I mantra e il loro uso nella meditazione

Secondo la definizione di Swami Vishnu, "il Mantra è  un’energia spirituale racchiusa in una struttura sonora"

Il suono e la parola sono parte integrante della vita umana. Ogni lingua possiede un proprio sistema sonoro, una propria musicalità che si esprime in fonemi e vibrazioni. Ma quando parliamo di mantra, ci troviamo davanti a qualcosa di ben più profondo: non semplici parole o suoni, ma veicoli di energia e coscienza.

I mantra sono formule sonore sacre, parole di potere che agiscono a livello sottile, capaci di influenzare la mente, il corpo e la realtà. Derivano da radici sanscrite, in particolare dalle parole manas (mente) e trāiate (liberazione): "ciò che libera la mente". In questo senso, il mantra è uno strumento di liberazione interiore, un ponte tra il suono e la coscienza.

Dal punto di vista esoterico, ogni mantra possiede una forma sonora specifica, una vibrazione che corrisponde a una determinata frequenza energetica. Questa frequenza non solo agisce sull’ambiente psico-fisico dell’individuo, ma incide anche sul suo campo vibrazionale più sottile, favorendo equilibrio, guarigione e consapevolezza.

In molte tradizioni spirituali — in particolare nello yoga, nel tantra, nel buddhismo e nell’induismo — i mantra sono considerati forme di conoscenza. Non sono meri strumenti di meditazione, ma parole che contengono e trasmettono saggezza. Alcuni mantra sono associati a divinità specifiche, altri a concetti cosmici universali, come l’OM (AUM), che rappresenta il suono primordiale da cui tutto ha avuto origine.

L’utilizzo del mantra non è puramente intellettuale: la sua potenza si manifesta attraverso la ripetizione costante e consapevole (japa). Recitando un mantra, la mente si calma, le emozioni si armonizzano, e si apre uno spazio interiore capace di accogliere intuizioni profonde. Con il tempo, il mantra diventa un compagno di viaggio, una presenza viva che guida il praticante nel cammino spirituale.

Inoltre, ogni mantra agisce su più livelli:

  • Fisico: attraverso la vibrazione sonora che coinvolge il corpo e stimola i centri energetici (chakra);
  • Mentale: contribuendo al silenziamento del dialogo interiore e all’ancoraggio nel momento presente;
  • Energetico: ristabilendo il flusso armonico del prāṇa;
  • Spirituale: facilitando l’espansione della coscienza e la connessione con il divino.

Importante è anche la trasmissione del mantra: spesso avviene da maestro a discepolo (mantra dīkṣā), secondo una precisa linea iniziatica. Questo perché il mantra, per sprigionare tutta la sua potenza, deve essere ricevuto in uno stato di ricettività, accompagnato da un’intenzione chiara e da una pratica costante.

Infine, ogni suono possiede una forma: in molte scuole indiane si insegna che i mantra sono legati a precise figure geometriche (yantra), che rappresentano visivamente l’energia evocata dal suono. La parola, dunque, non è mai disgiunta dalla forma e dalla vibrazione: suono, forma e significato sono aspetti di un’unica realtà multidimensionale.

In un'epoca in cui le parole sono spesso svuotate di significato, i mantra ci ricordano che il suono è sacro, e che usare la voce con consapevolezza può trasformare profondamente il nostro stato interiore. In questo senso, il mantra non è solo da ascoltare o ripetere: è da vivere.

I Mantra, sotto varie forme, esistono in molte vie spirituali e religiose, si pensi all’Amen o al Kyrie, ma forse solo nelle filosofie spirituali Indiane e negli altri percorsi che provengono da questa parte del mondo, come il Buddhismo o lo Zen, ha assunto una completezza tale da diventare una vera e propria scienza, oltre che una branca del Raja Yoga, il Mantra Yoga, appunto.

Il Mantra è una formula di parole e suoni che sprigiona, quando viene recitata o pensata, la sua insita energia divina. Così come il Divino ha infiniti aspetti, così i Mantra sono, se non infiniti, numerosissimi.

Ogni singolo Mantra possiede un particolare tipo di energia, uno induce la pace, un altro elimina gli ostacoli sul percorso spirituale, un altro ancora è ricco di materna energia femminile e così via. Per questo motivo non solo si usano diversi Mantra a seconda delle situazioni, ma ognuno sceglie il proprio Mantra personale in base alle proprie caratteristiche psicologiche e devozionali.  
La loro recitazione ripetuta (japa) è un aiuto fondamentale per la concentrazione (dharana) e la meditazione (dhyana). 

Durante le lezioni di yoga normalmente si recitano alcuni Mantra. All’inizio della lezione il Dhyana Sloka o il Guru Mantra, Mantra che chiedono la protezione e la rimozione degli ostacoli nel proprio percorso spirituale.  La lezione si conclude normalmente con il Maha Mrityunjaya Mantra, che è in effetti una combinazione di alcuni Mantra, tutti tesi al raggiungimento di moksha, la liberazione.
 
Link:  ‘Mantra e Meditazione’ di Swami Vishnudevananda

sabato 14 giugno 2025

Lo yoga secondo il Governo Indiano

Lo Yoga è un dono inestimabile dell’antica tradizione indiana. Esso incarna l’unità tra mente e corpo, pensiero e azione, moderazione e soddisfazione, armonia tra l’uomo e la natura, e un approccio olistico alla salute e al benessere. Lo Yoga non è solo esercizio fisico, ma un mezzo per scoprire un senso di unione con se stessi, il mondo e la Natura. Cambiando il nostro stile di vita e creando consapevolezza, può aiutarci ad affrontare le sfide del mondo contemporaneo.
L’11 dicembre 2014, i 193 membri dell’UNGA hanno adottato all’unanimità una risoluzione per istituire il 21 giugno come "Giornata Internazionale dello Yoga". Nella risoluzione, l’Assemblea ha riconosciuto che lo Yoga offre un approccio olistico alla salute e al benessere, e ha sottolineato l’importanza di diffondere informazioni sui benefici della pratica dello Yoga per la salute della popolazione mondiale. Lo Yoga favorisce l’armonia in ogni ambito della vita ed è noto per la prevenzione delle malattie, la promozione della salute e la gestione dei disturbi legati allo stile di vita.



Lo Yoga è essenzialmente una disciplina spirituale basata su una scienza molto sottile che mira a creare armonia tra mente e corpo. È un’arte e una scienza per una vita sana.   La parola "Yoga" deriva dalla radice sanscrita yuj, che significa "unire", "congiungere". Secondo le scritture yogiche, la pratica dello Yoga conduce all’unione della coscienza individuale con quella universale. Secondo la scienza moderna, tutto nell’universo è una manifestazione dello stesso principio quantistico. Chi sperimenta questa unità dell’esistenza è detto essere "in Yoga", ed è definito yogi, colui che ha raggiunto uno stato di liberazione, noto come mukti, nirvāna, kaivalya o moksha.

Lo "Yoga" si riferisce anche a una scienza interiore che comprende numerosi metodi attraverso i quali l’essere umano può ottenere l’unione tra corpo e mente per realizzare il Sé. Lo scopo della pratica yogica (sādhana) è superare ogni forma di sofferenza per raggiungere uno stato di libertà nella vita quotidiana, con salute, felicità e armonia.

La scienza dello Yoga ha origini millenarie, ben prima della nascita delle religioni o dei sistemi di credo. Secondo la tradizione, Shiva è considerato il primo yogi (ādiyogi) e il primo maestro (ādiguru). Migliaia di anni fa, sulle rive del lago Kantisarovar nell’Himalaya, l’ādiyogi trasmise la sua profonda conoscenza ai leggendari saptarishi (i "sette saggi"), che a loro volta portarono questa scienza in Asia, Medio Oriente, Africa del Nord e Sud America. Gli studiosi moderni hanno notato sorprendenti parallelismi tra le culture antiche del mondo. Tuttavia, è in India che lo Yoga ha trovato la sua più piena espressione. Agastya, uno dei sette saggi, viaggiò attraverso il subcontinente indiano e plasmò questa cultura attorno a uno stile di vita yogico.

Lo Yoga è ampiamente considerato un "frutto culturale immortale" della Civiltà della Valle dell’Indo e del Saraswati (2700 a.C.) e ha dimostrato di poter contribuire sia all’elevazione materiale che spirituale dell’umanità. Numerosi sigilli e reperti fossili della civiltà mostrano motivi yogici e figure in posizioni yogiche (sādhana), suggerendo la presenza dello Yoga nell’antica India. I sigilli e le statue della Dea Madre suggeriscono anche pratiche tantriche. Lo Yoga è presente nelle tradizioni popolari, nel patrimonio vedico e upanishadico, nelle tradizioni buddhiste e giainiste, nei darshana, nei poemi epici come Mahabharata (inclusa la Bhagavadgītā) e Ramayana, nelle tradizioni teistiche degli Shaiva, Vaishnava e tantriche.
Sebbene lo Yoga fosse praticato già nel periodo pre-vedico, il grande saggio Maharishi Patanjali ne sistematizzò e codificò la pratica, il significato e la conoscenza correlata attraverso gli Yoga Sūtra di Patanjali.

Dopo Patanjali, molti saggi e maestri contribuirono alla preservazione e allo sviluppo dello Yoga con pratiche ben documentate e testi scritti. Lo Yoga si è diffuso in tutto il mondo grazie all’insegnamento di eminenti maestri, dall’antichità fino ai giorni nostri. Oggi, vi è una consapevolezza globale sul valore dello Yoga nella prevenzione delle malattie e nella promozione della salute. Milioni di persone in tutto il mondo traggono beneficio dalla pratica yogica, che continua a crescere e fiorire giorno dopo giorno.

Lo Yoga agisce su più livelli: corpo, mente, emozioni ed energia. Da qui derivano quattro grandi categorie:

  •     Karma Yoga (azione)
  •     Jnāna Yoga (conoscenza)
  •     Bhakti Yoga (devozione)
  •     Kriya Yoga (energia)

Ogni individuo è una combinazione unica di questi quattro aspetti. Solo un guru può indicare la combinazione più adatta per ciascun praticante. Tutti gli antichi commentari sullo Yoga sottolineano che è essenziale praticare sotto la guida di un maestro.  

Le diverse filosofie, tradizioni, lignaggi e parampara (trasmissione maestro-discepolo) hanno portato alla nascita di varie scuole di Yoga:

  •     Jnāna Yoga
  •     Bhakti Yoga
  •     Karma Yoga
  •     Pātanjali Yoga
  •     Kundalini Yoga
  •     Haṭha Yoga
  •     Dhyāna Yoga
  •     Mantra Yoga
  •     Laya Yoga
  •     Rāja Yoga
  •     Yoga gianista
  •     Yoga buddhista

Ciascuna scuola ha i propri metodi e approcci per raggiungere l’obiettivo finale dello Yoga.
Pratiche yogiche più comuni per la salute e il benessere includono: 

  •     Yama (astensioni)
  •     Niyama (osservanze)
  •     Āsana (posizioni fisiche)
  •     Prānāyāma (controllo del respiro)
  •     Pratyāhāra (ritiro dei sensi)
  •     Dhārana (concentrazione)
  •     Dhyāna (meditazione)
  •     Samādhi (integrazione)
  •     Bandha e Mudra (gesti fisici e controllo del respiro)
  •     Śaṭkarma (purificazioni)
  •     Yuktāhāra (alimentazione consapevole)
  •     Mantra-japa, Yukta-karma, ecc.

Gli Yama e i Niyama sono considerati prerequisiti. Le Āsana stabilizzano corpo e mente. Il Prānāyāma sviluppa la consapevolezza del respiro, che diventa regolato e controllato in tre fasi: pūraka (inspirazione), kumbhaka (ritenzione), rechaka (espirazione).  Pratyāhāra è il distacco dai sensi, Dhārana è l’attenzione concentrata, Dhyāna è la contemplazione e Samādhi è l’integrazione suprema.
Bandha e Mudra, spesso associati al Prānāyāma, facilitano il controllo mentale e l’elevazione spirituale. La pratica della dhyāna è considerata l’essenza dello pratica dello Yoga (Sādhana), poiché guida verso la realizzazione del Sé.
Le Śaṭkarma sono pratiche di disintossicazione clinica. Lo Yuktāhāra promuove un’alimentazione e abitudini sane.

mercoledì 11 giugno 2025

Giornata Internazionale dello Yoga

Giornata Internazionale dello Yoga - 21 giugno 2025
Alla Biblioteca Laurentina sarà celebrata questa giornata dalle ore 10,30 alle 12,00.  
 

La Giornata Internazionale dello yoga si celebra il 21 giugno per farla corrispondere con il solstizio d’estate, giorno in cui Shiva secondo la tradizione indù iniziò a trasmettere i propri insegnamenti sullo yoga.
La Giornata Internazionale  dello yoga è stata riconosciuta nel 2014 dall’Assemblea Generale dell’Onu, riconoscendo che lo yoga favorisce un approccio olistico alla salute e al benessere della persona, e che una più ampia divulgazione dei benefici contribuirebbe a migliorare la salute della popolazione a livello mondiale.
Lo Yoga  è unione di corpo e mente, pensiero e azione, è armonia tra uomo e natura; praticarlo porta a un maggior controllo di sé e calma la mente, è benessere dell’anima e del corpo.
Questa pratica consiste in una serie di posizioni, meditazione, respirazione controllata, parole cantate e altre tecniche pensate per aiutare le persone a raggiungere elevati stati di consapevolezza,  alleviare la sofferenza e consentire uno stato di liberazione. 
È praticato da giovani e anziani senza discriminazioni di genere, classe o religione ed è diventato popolare in molte parti del mondo.
In occasione di questa storica decisione dell'ONU, nel 2014 il Governo indiano (Ministero dell'AYUSH) ha emanato il Protocollo Comune dello Yoga, in modo da fornire delle linee guida. All'interno del protocollo, dopo un'utile parte introduttiva che spiega cos'è lo Yoga, i suoi fondamenti e le scuole tradizionali, vengono elencate molte posizioni (asana), ognuna con spiegazione della tecnica, indicazione dei benefici, e delle eventuali controindicazioni.  In tutte le piazze del  mondo, il 21 giugno, sarà proposto il Protocollo Comune dello Yoga.      

Vedi: https://www.ayurvedicpoint.it/files/common-yoga-protocol.pdf

Federico Faggin, l'uomo che vide il futuro

"La materia  è  l'inchiostro con cui la coscienza scrive l'esperienza di se."                                                   "Se la vita ti da dei limoni, fai una limonata".  -  Federico Faggin

Federico Faggin (1941 - ) è un fisico (laureato all'università di Padova), inventore e imprenditore italiano, venerato nella Silicon Valley ma poco conosciuto dal grande pubblico in Europa. E' l'inventore del microprocessore,  e sta effettuando una ricerca sul chip neurale. Ha pubblicato nel 2024 il libro Oltre l'invisibile. Dove scienza e spiritualità si uniscono.

Vedi il documentario su RaiPlay  dedicato a Faggin    https://www.raiplay.it/video/2025/03/Federico-Faggin-luomo-che-vide-il-futuro-089890ec-60ec-460b-91ef-0fb209c0c2bb.html 

Faggin inventò il transistor con circuiti integrati di silicio (nel 1968) per tutti gli appassionati di informatica e di digitale, il suo nome è legato indissolubilmente all'invenzione del microchip. Fu infatti capo progetto del microprocessore Intel 4004 e responsabile dello sviluppo dei modelli 8008, 4040 e 8080 e delle relative architetture. Con la Synapitcs la sua terza ditta fondata nel 1986 inventa il  touch screen, touch pad. Federico Faggin è stato premiato dal presidente Obama con una medaglia per le tecnologie e innovazioni.   Poi si interessa delle rete neurali, la nuova generazione di macchine pensanti;  per risolvere i problemi dell' intelligenza artificiale  comincia a studiare libri di biologia e neuroscienza. Nella descrizione dei vari neuroscienziati ci sono solo segnali biochimici, elettrici e basta. Quello che noi proviamo è dovuto a questi segnali elettrici. Ma come fanno i segnali elettrici a produrre sensazioni e sentimenti?  L'uomo ha la coscienza che fa da supervisore alle rete neurali del cervello. 

Noi siamo luce e dobbiamo aprire gli occhi. In un'epoca dove l'intelligenza artificiale ci viene proposta come qualcosa che ci può sostituire, è fondamentale capire chi siamo. Se ci consideriamo macchine, saremo prima o poi superati dalle macchine stesse, costruite da chi vuole controllarci

Il cervello impara dall'osservazione dei dati. Se il cervello è un sistema informatico ed è cosciente, anche un computer dovrebbe essere cosciente, ma come costruire un computer cosciente...   come trasferire questi principi su delle macchine? Secondo Faggin la coscienza non ha nessuna connessione con la fisica che conosciamo.  E ha cominciato a porsi la domanda di come funzioni la coscienza.

Faggin nel docuementario dice: "Non ero contento e non sapevo perchè,  avevo una bella famiglia, un bel lavoro, ma provavo sempre una tensione interna, facevo finta di essere felice. In quel periodo ho cominciato a pormi il problema dell'esistenza, che cosa è la coscienza, e come funziona".

E' stato in questo clima che Faggin ha avuto un'esperienza che mi gli ha cambiato la vita. Ha  provato un'esperienza di coscienza,  che gli ha permesso di cambiare il modo  di vedere la realtà.     Racconta: "Nel 1990 ero in vacanza sul lago, coperto di neve, una notte, mi esce dal petto un'energia potentissima, un fascio di luce bianca scintillante, che è amore, un amore così potente che non avevo mai provato. la cosa straordianria era che l'amore usciva da me, io ero amore, questa energia ero io, la mia coscienza era anche in questo fascio di luce. Questo fascio di luce scoppia,  e provavo un amore, un'energia, una pace così intensa che he non avevo mai provato."  "Questa è la sostanza di cui tutta la realtà è fatta, non solo la mia coscienza era in questa energia, io ero il mondo che osservava se stesso, e poi tutto è sparito". 

Cerca di spiegarsi questa esperienza, e dice che la coscienza va ben al di là di quello che pensava, ed era fuori del corpo.  Per elaborare il risveglio ha avuto bisogno di dieci anni  Decide di vendere tutto e dedicarsi allo studio della coscienza, per cogliere il senso della vita, cercare di capire chi siamo e che non corrisponde a quello che la scienza asserisce.   

La fisica è partita dalla studio della materia, ma con la materia non è possibile spiegare la coscienza, ad esempio come fa  coscienza ad emergere da una materia che non è cosciente? Ciò non è possibile.   La fisica partendo dalla materia ha eliminato la coscienza, che è quello che ci rende umani. 

La fisica quantistica dice che siamo dei campi quantistici,  che hanno coscienza e libero arbitrio.  Per spiegare un teoria si deve partire da un postulato, Faggin parte dal postulato dell'Essere, dell'Uno; e segue questi tre principi: la totalità di ciò che esiste è dinamico, olistico, e vuole conoscere se stesso. 

L'Uno cambia continuamente,  è fatto di parte separabili come le onde del mare;   quando uno conosce se stesso per la  priama volta porta in esistenza ciò che ha conosciuto, ha creato un campo, i  campi sono parti intere dell' Uno, sono i punti di vista con cui uno conosce se stesso,   l'Uno ha bisogno di questi enti coscienti, che interagendo tra di loro conoscono se stessi.  Quando accettiamo questi campi quantistici, che come Uno vogliono conoscere se stessi,  allora possiamo definire la Coscienza come "la capacità dell'universo di conoscere se stesso".  L'Uno crea noi come campi quantistici per conoscere se stesso attraverso di noi, quindi  conoscenza e esistenza, sono due facce della stessa medaglia, il corpo è uno strumento che noi usiamo per avere una esperienza in questa realtà fisica, io essendo una parte intera dell'Uno, per conoscere me stesso devo conoscere l'altro, e in questo processo la cooperazione è fondamentale. 

Oggi, uno vuole essere superiore all'altro, vuole competere con l'altro,  questo porta alle guerrre e alle disfunzioni della società, e ai problemi climatici. Una volta capite queste cose, troveremo una soluzione.  

Nessuno ha il coraggio di prendere una posizione e cercare di capire chi siamo, in quanto siamo abituati a pensare  come macchine e prevale lo scientismo. Dovremmo applicare la tecnologia con etica. La scienza non può ignorare la nuova teoria dell'esistenza. Una volta capita fino in fondo la fisica quantistica,  riusciremo ad andare oltre l'invisibile e a unire scienza e spiritualità, e a capire il senso della nostra esistenza.

Nel suo libro Oltre l'Invisibile, Faggin scrive:  "Dopo trentacinque anni di studio sulla coscienza, sono sicuro che esista un'unione profonda tra il mondo della scienza e quello della spiritualità, due mondi che spesso sono considerati incompatibili tra di loro. Mi auguro che questo libro possa rendere le mie idee più chiare e fruibili e che aiuti i lettori a orientarsi meglio nella realtà più vasta in cui scienza e spiritualità sono una sola disciplina che mostra la ricchezza, la bellezza e il significato dell'universo che possiamo creare insieme. Noi siamo luce, dobbiamo solo aprire gli occhi." Dopo aver contribuito notevolmente a rivoluzionare il mondo fisico che ci circonda, Federico Faggin ha deciso di andare oltre la materia, oltre il visibile e l'invisibile, e di indagare la fisica dell'ineffabile: "L'avvento dell'intelligenza artificiale, combinato con i principi materialisti e riduzionisti che considerano l'uomo una macchina classica, favorisce una forma di scientismo che sta portando la società umana su una china pericolosa. Se ci consideriamo macchine, saremo prima o poi superati dalle macchine costruite da chi potrebbe controllarci… Per questo è necessaria una nuova scienza che includa la spiritualità e una nuova spiritualità che includa la scienza. Ho chiamato Nousym la loro unione". 

Oltre l'invisibile propone un nuovo sguardo sulle cose, una nuova affascinante teoria della realtà: "Pensiamo che la realtà sia assurda, invece siamo noi che siamo assurdi quando vogliamo forzarla dentro le nostre idee preconcette. Bisogna liberarci dai presupposti errati del pensiero materialista e partire da altre ipotesi, che si concilino con le proprietà strabilianti della fisica quantistica. Occorre dunque una nuova scienza, che, anziché ignorare ciò che contraddice il materialismo e le domande a cui finora non siamo stati in grado di rispondere, parta invece da quelle. Perché è proprio indagando 'l'assurdità' dell'entanglement quantistico, del libero arbitrio e della coscienza, fenomeni che la fisica non riesce a spiegare, che si potrà trovare la risposta." 

"Una seity è un 'campo' in uno stato puro che esiste in una realtà più vasta del mondo fisico che contiene il nostro corpo. Una seity esiste anche senza il corpo fisico, e questa è un'affermazione cruciale, perché implica che la nostra esistenza non dipende dal corpo".

martedì 10 giugno 2025

Yogando con i Libri

 Il giorno 11 giugno 2025 ore 17:00 alla Biblioteca Laurentina, in vista della Giornata internazionale dello Yoga, aspettiamo i nostri piccoli utenti a Yogando con i libri. Sarà un pomeriggio dedicato alla giocosa scoperta dello yoga da parte dei più piccoli attraverso la lettura di libri che illustrao in modo chiaro e divertente alcune semplici posizioni di questa antica disciplina, utile a sviluppare la coordinazione, la concentrazione e l’equilibrio. L'attività è in collaborazione con l'insegnante di yoga Cesare Maramici. Si consiglia di portare un tappetino o un telo.     

Età: dai 4 anni agli 8 anni con prenotazione 

https://www.bibliotechediroma.it/opac/news/yogando-con-i-libri/37330

https://www.facebook.com/share/p/1XoseXa9ft/ 

L'altruismo e la nonviolenza - Lev Tolstoj

Lev Tolstoj (1828-1910), uno dei giganti della letteratura russa, celebre in tutto il mondo, a cinquant’anni, precipitò in una profonda depressione. La tristezza lo consumava giorno dopo giorno, senza una causa apparente. Era un conte, uno degli uomini più ricchi del suo paese, ammirato ovunque per i suoi romanzi. Eppure, era infelice.         

«Il denaro non era niente, il potere non era niente. Si vedevano persone che avevano entrambi ed erano infelici. Anche la salute non contava molto; c’erano persone malate piene di voglia di vivere e persone sane che appassivano, angosciate dalla paura di soffrire».

Un giorno, passeggiando, vide un orfano. Mosso dalla compassione, lo portò a casa con sé. Per la prima volta dopo tanto tempo, provò un senso di pace. Si dimenticò di sé stesso, della sua angoscia, della sua insoddisfazione.  Fu l’inizio di un cambiamento radicale. Tolstoj rinunciò ai suoi abiti eleganti, ai privilegi della sua condizione, e scelse di condurre una vita semplice, dedicandosi agli altri e donando ciò che possedeva ai bisognosi.   «Non parlarmi di religione, di carità, di amore», diceva, «mostrami la religione nelle tue azioni».

Tolstoj divenne il primo grande teorico della non violenza, predicò la fratellanza tra i popoli e le sue idee ispirarono un’altra figura straordinaria del XX secolo: Mahatma Gandhi. Fino all’ultimo giorno della sua vita continuò ad aiutare il prossimo, tanto che molti lo consideravano pazzo.  In un mondo che esalta il possesso, dove tutti vogliono prendere ma pochi sanno dare, Tolstoj sembrava un folle. Un giorno, un vecchio amico, immerso nel lusso e nella comodità, gli chiese:  «Che senso ha tutto questo? Che ti importa degli altri? Dovresti pensare a te stesso».

Tolstoj rispose con parole destinate a restare immortali: «Se senti dolore, sei vivo. Ma se senti il dolore degli altri, sei umano».

La legge della risonanza spirituale - Jung

"Non si incontra mai nessuno per caso"    https://www.youtube.com/watch?v=kQr0PLcMR3g

Carl Gustav Jung (1875-1961) è stato uno psichiatra, psicoanalista, antropologo e filosofo svizzero, una delle figure più influenti nel panorama psicologico e filosofico del Novecento. Secondo Jung, nulla accade per caso: ogni incontro, ogni evento nella nostra vita è profondamente connesso con il nostro mondo interiore. L'inconscio, invisibile ma potente, guida e plasma la nostra realtà esterna. Le coincidenze, per Jung, non sono mai casuali: esse rappresentano una sincronicità, una connessione significativa tra eventi che, pur non essendo legati da una relazione di causa-effetto, condividono un profondo significato per chi li vive. Le persone che incontriamo gli eventi che entrano nella nostra vita, sono tutti riflessi del nostro mondo interiore.       

La legge della risonanza — spesso associata alla legge dell’attrazione — afferma che ciò che emettiamo a livello energetico e vibrazionale influenza ciò che attiriamo nella nostra vita. Pensieri, emozioni, convinzioni e desideri profondi modellano le nostre esperienze e determinano le persone che incontriamo. Ogni individuo che entra nella nostra esistenza è come uno specchio: riflette parti di noi, spesso inconsapevoli, e ci invita a una maggiore consapevolezza.

Gli incontri non sono dunque casuali, ma espressioni di una risonanza spirituale, di un legame invisibile che unisce due anime secondo un ordine inscrutabile e profondo. Ogni relazione, anche la più fugace, può diventare un’occasione di apprendimento e trasformazione. Talvolta, incontriamo persone che ci mostrano ciò che ci manca; altre volte, ciò che siamo già ma non riconosciamo. Persino i conflitti, le tensioni e le relazioni difficili, hanno un valore inestimabile: fanno emergere ombre, ferite interiori e aspetti irrisolti della nostra personalità, offrendoci la possibilità di crescere.

Jung parlava di “individuazione” come il percorso verso la realizzazione del Sé autentico. In questo processo, gli altri diventano strumenti fondamentali: ci aiutano a scoprire parti di noi stessi che ignoravamo. Anche le persone più complesse o dolorose che incontriamo rappresentano una scintilla capace di risvegliare la nostra coscienza, spingendoci oltre la zona di comfort verso una nuova prospettiva. Ogni essere umano è, in fondo, un insegnante e un archetipo.

L’inconscio non è un deposito passivo di pensieri o emozioni, ma una forza dinamica, creativa, che plasma il nostro modo di vivere e relazionarci. Le vibrazioni che emettiamo — frutto di ciò che siamo, consci e inconsciamente — attraggono esperienze e relazioni in sintonia con esse. Le nostre ferite ci portano spesso a riconoscere negli altri tratti simili, e questo riconoscimento, se consapevole, può avviare un profondo processo di guarigione e integrazione.

Anche le dinamiche collettive rispondono a questa logica: il cosiddetto inconscio collettivo, con i suoi archetipi e simboli universali, influenza comportamenti, credenze e relazioni all’interno dei gruppi. La crescita personale non può prescindere dal confronto con il proprio lato oscuro, ciò che Jung chiamava l’ombra. Solo accogliendo e integrando le nostre parti negate e nascoste, possiamo accedere a un'autenticità più profonda e duratura.

Ogni incontro, allora, è una tappa del nostro cammino spirituale, un’opportunità di evoluzione. Le relazioni ci pongono di fronte ai nostri limiti ma anche alle nostre possibilità, e solo attraversando questi momenti con consapevolezza possiamo aspirare a diventare esseri umani completi. Le esperienze di vita, le difficoltà, persino i disturbi emotivi, sono campanelli d’allarme: segnali che qualcosa dentro di noi cerca di emergere, di trasformarsi.

Accogliere un incontro significa accettare che nulla è davvero casuale. Le coincidenze, in questa visione, sono messaggi del nostro inconscio, occasioni di risveglio e riconnessione con il significato più profondo dell’esistenza. Quando cambiamo interiormente, cambia anche ciò che attiriamo: l’universo non ci dà ciò che vogliamo, ma ciò che siamo, come afferma Michael Beckwith nella sua formulazione della Legge della Risonanza.

In definitiva, ogni persona che incrocia la nostra strada è un elemento fondamentale del nostro viaggio. Le relazioni che costruiamo danno senso alla nostra vita, rispecchiano il nostro mondo interiore e ci guidano, passo dopo passo, verso il compimento del nostro Sé più autentico.

Introduzione al Blog

  Il Blog è nato nel marzo 2021, in tempo di pandemia, per comunicare e condividere le mie letture e i miei interessi.  Nel Blog ci sono cir...