venerdì 12 dicembre 2025

Introduzione al Blog

  Il Blog è nato nel marzo 2021, in tempo di pandemia, per comunicare e condividere le mie letture e i miei interessi.  Nel Blog ci sono circa 950 articoli, la maggioranza dei quali verte su yoga, meditazione, buddhismo, filosofie orientali.      

Gli articoli sono essenzialmente riassunti di libri che ho letto su questi argomenti e che mi hanno particolarmente colpito.  Per ricercare un soggetto specifico si può usare la finestrina a destra, oppure si possono usare le categorie (etichette) che si trovano sulla destra. Sul Blog sono riportati anche i libri che ho scritto sullo yoga e la meditazione e la gallery di alcuni miei viaggi.                                              

       Buona lettura    

La felicità secondo Matthieu Ricard

Il gusto di essere felici. Saggezza e benessere in ogni momento della vita, di Mathieu Ricard
 (Il titolo originario è Plaidoyer pour le bonheur). Plaidoyer significa “appello” o "impegno". Il libro è del 2003 ed è stato pubblicato in italiano nel 2008.  Matthieu decide di dedicare la vita agli altri «perché l’ego non può condurre all’amore»   


"Cercare la felicità al di fuori di noi è come aspettare il sorgere del sole in una grotta rivolta a nord"
•— Matthieu Ricard —•
 

Matthieu Ricard vive da più di quarant’anni nel monastero di Sechen, sulle montagne del Nepal, ma è tutt’altro che un asceta isolato dal mondo. È coinvolto in progetti umanitari che hanno portato alla costruzione di decine di scuole, ospedali e ponti nelle zone più povere dell’Himalaya. Viaggia per il mondo e partecipa a progetti scientifici, offrendo la sua esperienza unica di filosofo e scienziato. Con questo testo ha deciso di condividere con tutti i risultati di un lunghissimo viaggio spirituale e umano.
«Coltivare allo stesso tempo saggezza e bontà — intesa anche come altruismo — è come avere le due ali che permettono agli uccelli di volare nel cielo, verso la libertà interiore e la liberazione dalla sofferenza».
Matthieu pone la felicità al primo posto nella scala dei sentimenti. Come identificarla, raggiungerla e conservarla? Attraverso un percorso individuale di presa di coscienza interiore e di equilibrio della mente. La felicità è il motore dell’esistenza e rappresenta, più di ogni altro sentimento, l’amore per noi stessi e per il prossimo.

Gli scienziati del Wisconsin, lavorando nel campo della neuroplasticità, hanno studiato la felicità in relazione all’attività cerebrale. Matthieu Ricard ha ottenuto risultati che hanno superato quella che si pensava essere la soglia della felicità: è dunque l’uomo più felice della Terra?
La felicità è associata a una rete di regioni cerebrali che collaborano tra loro, tra cui il sistema limbico (che include amigdala e ippocampo), la corteccia prefrontale e il nucleus accumbens. Un’altra area chiave, scoperta più recentemente, è il precuneo, il cui volume sembra essere collegato all’intensità della felicità e alla capacità di trovare significato nella vita. Matthieu Ricard afferma che, di fronte alla stessa situazione, possiamo reagire in modi molto diversi: la nostra felicità o le nostre sofferenze sono spesso il risultato delle costruzioni mentali che sovrapponiamo alla realtà e delle “tossine” interiori da cui ci lasciamo avvelenare.
La felicità è lo scopo dell’esistenza umana. Essa esprime quanto una persona ama la vita che sta conducendo. È un programma a lungo termine in cui la gioia è percepibile. La persona felice è in armonia con il proprio mondo interiore e con ciò che la circonda. È la serenità imperturbabile dei saggi, che vivono con intensità l’esperienza opposta del dolore e della gioia.
La sofferenza e la gioia dipendono dalle condizioni esterne e dalle emozioni, ma una mente chiara permette di ridurre la distanza tra la realtà e il pensiero che proiettiamo su di essa; così facendo diventiamo meno vulnerabili alle circostanze esterne.

Un re chiese al suo consigliere di riassumere la storia umana in una frase. Il consigliere rispose: «Gli uomini soffrono, mio re».   Esistono diversi tipi di sofferenza; quella nascosta è legata alla nostra maleducazione e al nostro egocentrismo. Molte filosofie occidentali dichiarano che è impossibile raggiungere la felicità e che la sofferenza è inevitabile, e Schopenhauer elogia lo spleen.
Sulla spiaggia ci sono centinaia di stelle marine che stanno morendo al sole. Un uomo, a ogni passo, ne raccoglie una e la rimette in acqua. Un amico lo osserva e dice: «Ci sono milioni di stelle marine su questa spiaggia: i tuoi sforzi sono lodevoli, ma vani». L’uomo, rimettendo in acqua un’altra stella marina, risponde: «Hai ragione. Ma per questa stella marina fa una grande differenza».
Il dolore ci toccherà inevitabilmente quando arriva la morte; in quel caso, il miglior dono che possiamo offrire al nostro defunto è continuare a condurre un’esistenza felice e ricca.

Dobbiamo inoltre evitare di dare la colpa agli altri. Shantideva ha detto: «Se abbiamo un rimedio, perché disperarci? E se non c’è rimedio, perché affliggerci?».
Il Dalai Lama ha affermato: «Cercare la felicità rimanendo indifferenti alla sofferenza degli altri è un tragico errore!». La compassione è fondamentale: è un sentimento che genera responsabilità e rispetto verso la comunità umana.
Il saggio non ha nulla da desiderare, nulla da temere; non gli manca nulla e, di conseguenza, può essere pienamente felice. Non possiamo nascere saggi, ma possiamo diventarlo: è una lunga trasformazione interiore, basata sul lavoro quotidiano.
La realtà è spesso una nostra proiezione mentale: costruiamo la nostra realtà e creiamo confusione sulla base del concetto di identità personale. Un saggio tibetano diceva: «Perché ci crocifiggiamo per qualcosa che non esiste più o per qualcosa che ancora non esiste?».
La libertà interiore ci permette di apprezzare la pura semplicità del presente, liberi dal passato e dal futuro. La meditazione consente di sviluppare una libertà interiore e una forza sempre maggiore: le nostre angosce e paure si attenuano, e la fiducia — basata sulla gioia di vivere — sostituisce l’insicurezza; l’altruismo appassionato prende il posto dell’individualismo cronico.
Dovremmo dedicare tempo a diventare esseri umani migliori ed equilibrati.

Gino Luigi Sansone - Scuola di Yoga Integrale

 " IO SONO l'essere e il non-essere,   ma IO SONO aldilà dell'essere e del non-essere. " Bhagavad Gita    

Gino Luigi Sansone  ( 1958 ) -Ramanuja Acharya Das - è diplomato all’Accademia di Belle Arti di Napoli in Scenografia, ed ha sviluppato una forte passione per la saggezza dell’Oriente (soprattutto dell’India che visiterà in vari viaggi) e per la pratica della meditazione yoga.
È  insegnante di yoga diplomato alla Yoga Vedanta Forest Academy dello Shivananda Ashram-Divine Life Society di Rishikesh, India. Nel 1986 fonda a Napoli lo Shri Vaishnava Ashrama, la Scuola di Yoga Integrale in Italia – Yoga Sociale ad indirizzo Spirituale, Umanitario, Sociale, Ambientalista, Animalista, con sede in Orbetello (Grosseto), di cui è Presidente e Maestro.
Dal 1986 è membro iniziato dello Shri Vaishnava Sampradaya al Saligram Mandir, Vrindavana, India; nel 2007 ha fondato lo Shri Vaishnava Ashram, di cui è il Maestro riconosciuto dalle autorità spirituali indiane. Attualmente condivide l’insegnamento spirituale della meditazione yoga in tutta Italia tramite corsi, seminari e conferenze. 

La conoscenza del Maestro Gino Sansone spazia in incommensurabili campi, dalla storia alla filosofia, alle diverse tradizioni religiose e spirituali, dall’ Arte alla Poesia, dalla pittura al Teatro, dalla cultura orientale alla cultura occidentale, dalla cucina macrobiotica a quella ayurvedica, dallo Yoga alla Vita.
Gino Sansone ha trasmesso sempre i suoi saperi con esemplare generosità e semplicità, e con quell’allegria che è la perfetta combinazione per far comprendere argomenti profondi e complessi.
In Ashram si apprende la vita persino nell’osservare il Maestro cucinare o fare il pane: ogni azione, ogni parola è ricca di insegnamenti preziosi.  Gino è anche un eccellente Bio-vegan-chef.

Tra gli innumerevoli progetti realizzati citiamo il Corso Gratuito di Formazione Giovani Insegnanti Yoga, ad indirizzo Spirituale, Umanitario, Sociale, Ambientalista, Animalista, della durata triennale; il meraviglioso progetto Lo Yoga per i Musei - I musei per lo Yoga; il progetto Giovani in Yoga. Questi sono solo alcuni dei progetti da lui realizzati con la Scuola che opera, dalla sua fondazione ad oggi, in stretta collaborazione con gli Enti pubblici, Istituzioni ed Istituti scolastici di ogni ordine e grado.

Gino Sansone è anche uno straordinario artista, che ha partecipato a mostre con installazioni e dipinti e dal 1980 è il focalizzatore del Laboratorio di Teatro Yogico-Sciamanico con cui ha realizzato diversi happenings, attività creative e performative in teatri e in luoghi non convenzionali e per la città di Napoli.

Ha avuto qualche problema fisico a partire dal 14 ottobre 2022, a seguito di un grave episodio di salute iniziato con una emorragia cerebrale, che lo ha visto in pericolo di vita. Ha affrontato con successo una grande battaglia per curare il suo corpo.  Sta ricominciando a tenere conferenze e insegnamenti in varie città  d'Italia. 

Vari link:

  • Profilo e Pagina facebook:  Gino Sansone: https://www.facebook.com/sansonegino
  • Scuola di Yoga Integrale: https://www.facebook.com/scuoladiyogaintegrale
  • Link video:   https://youtu.be/RqxuXtgglXw  https://youtu.be/pUbASXiQIDY
  • https://www.facebook.com/1051504586/posts/10222568727100849/?mibextid=o7d1FKF6OwB1pP9P 

Il filosofo, la libido e la relazione logica

Il filosofo preferisce la relazione logica al rapporto sessuale e lo si riconosce dal fatto che, di fronte a un problema sessuale, assume un atteggiamento forzato, e inappropriato. Manifesta una glaciazione quando ci si attendeva un incendio, un incendio quando ci si attendeva una glaciazione. Formula una teoria a chi gli chiede un'emozione, sprofonda in una passione qualunque invece di rispondere razionalmente a una domanda sull'amore.   

Il filosofo è in difficoltà. Di fronte alla pulsione sessuale, nella vita quotidiana il filosofo prospetta soluzioni estreme: la verginità, la castrazione, nel senso della continenza; oppure la dissolutezza, la perversione, nel senso della licenziosità.  Nessuno immagina la castrazione per se stesso; il filosofo si. Può addirittura farvi ricorso. La storia della filosofia annovera due celebri castrati. Il primo è Origene, cristiano inflessibile.  Il secondo filosofo castrato è Abelardo.  

Tra quelli che sono rimasti vergini figurano (per quanto ne sappiamo) Plotino, Ipazia, Tommaso d'Aquino, Erasmo, Paracelso, Spinoza, Pascal, Malebranche, Kant, Lagneau, Simone Weil ("la Vergine rossa"), che non sembra siano stati tormentati dalla "cosa". Il che deve spiegare, in parte, la natura astratta della loro morale.
La vita sessuale di Spinoza, anche a venticinque anni, è un grande vuoto, per passività. Al piacere sessuale Spinoza rimprovera molte cose: tiene "la mente (...) così distratta" che le impedisce di "pensare a un qualche altro bene"; e poi, com'è noto, "dopo il godimento (...) segue una grande tristezza che, se non annienta la mente, tuttavia la turba e la stordisce".

Sull'altro fronte ci sono filosofi che hanno avuto un'esistenza da dissoluti: Tertualliano, Agostino, Lullo e Vanni.  Agostino e Lullo - si presentano come eroi che hanno rinunciato al piacere sessuale. Ma si dedicano all'astinenza dopo aver goduto dell'abbondanza. Ci piacerebbe che avessero coraggiosamente rinunciato al sesso a vent'anni invece che a trentadue ( Agostino) o a trentatré (Lullo). A quel tempo, a trent'anni si era già uomini maturi. Come dice il proverbio, "quando il diavolo invecchia, si fa eremita". Secondo un'ottima raccomandazione dei moralisti, essi non uccidono la libido: sostituiscono alla passione sessuale la passione evangelica. O meglio, poiché nel convertire mettono la stessa foga che avevano messo nel copulare, trasformano la propria libido. E' la medesima energia. Agostino e Lullo sono dei convertiti. La conversione è un'inversione di vapore. Si conserva il vapore, ma lo si dirige altrove.

Ma un'eccezione, un diavolo, si riesce comunque a scovarlo. Esiste un filosofo "dissoluto" (l'aggettivo è di Diderot): La Mettrie, medico materialista del XVIII secolo che difende l'erotismo universale. Osa titoli come L'arte di godere. Innalza questo inno: "Piacere, supremo padrone di tutti gli uomini e degli dei, davanti al quale tutto scompare, persino la ragione stessa, tu sai quanto il mio cuore ti adori". Ai diavoli si può aggiungere Claude Henri de Saint-Simon, di epoca napoleonica, definito "dissoluto". 

Quindi si potrebbe concludere che in Sofia non c'è alcuna depravazione o ce n'è ben poca.  

Vedi:  https://isentieridellaragione.weebly.com/la-libido-il-filosofo-preferisce-la-relazione-logica.html

Relazioni, amicizia e amore

"L'amicizia e l'amore sono una risonanza positiva molto forte con qualcuno, senza attaccamento, nè altra cosa, sono la constatazione di essere felice di stare con questa persona e di essere in relazione con questa persona. Ed è considerata l'emozione suprema perchè è accompagnata da stati mentali positivi che accompagnano come una costellazione questa risonanza positiva con gli altri da cui scaturisce il miglior stato dell'essere umano" - Matthieu Ricard               

  «C'è più testo scritto su un volto che in un volume della Pléiade e quando guardo un volto cerco di leggere tutto , anche le note a piè di pagina. Mi addentro nei volti, come ci si addentra nella nebbia, finché il paesaggio non si illumina nei minimi dettagli. Leggere così l'altro significa favorire il suo respiro, cioè farlo esistere. Forse i pazzi sono persone che nessuno ha mai letto , rese furibonde dal contenere frasi che nessuno sguardo ha mai percorso. Sono come libri chiusi». «L'incontro è lo scopo e il senso di una vita umana. Ci permette di non attraversarla come sonnambuli. Quando i miei occhi si chiuderanno, lo faranno su un'immensa biblioteca costituita da volti che mi hanno commosso, turbato, illuminato.  Un volto è illuminante quando un essere è benevolo e rivolto verso qualcosa di diverso da sé stesso. La cura che ha dell'altro lo illumina, lo rende vivo. Cattura una luce e la riflette. È qualcosa di raro. La ricchezza di questa vita è fatta soprattutto di volti e di poche parole». -  Christian Bobin

Incontrare l'altro... «È estremamente raro incontrare qualcuno, sia che si frequentino molte persone sia che si sia dei cosiddetti solitari. La maggior parte delle persone rende molto difficile incontrarle perché non sono sincere nelle loro parole o perché sono prive di anima.   Io attribuisco sempre all'altro il merito dell'incredibile novità della sua esistenza, ma questo merito si esaurisce se l'altro ha rovinato questa meraviglia per diventare come tutti gli altri.  -  Christian Bobin

Oscar Bonelli, Mauro Tiberi, Pejman Tadayon

 In questa pagina riporto alcuni grandi musicisti che suonano a Roma e propongono percorsi spirituali.  

Danzi nel mio petto, dove nessuno può vederti.  Ma qualche volta io Ti vedo e quella Luce diviene quest’arte.”  (Jalaluddin Rumi)   

Sono convinto che l’Oriente e l’Occidente possano incontrarsi e conoscersi profondamente. E non ho altro che la musica per dimostrarlo.”    (Pejman Tadayon) 

Pejman Tadayon, nato a Esfahan (Iran) nel 1977, è un musicista, compositore e pittore persiano, considerato uno dei massimi esperti di musica persiana e sufi in Italia. Ha studiato l’antico repertorio musicale persiano e strumenti tradizionali come târ e setâr con maestri rinomati. Trasferitosi in Italia nel 2003, ha frequentato l’Accademia di Belle Arti di Firenze e studiato musica occidentale. A Roma, ha collaborato con il gruppo Sarawan e fondato il gruppo Navà, incidendo il CD “Viaggio nei colori”. Nel 2009 ha creato il gruppo YAR e pubblicato l’album “Yar Ensemble”.
Nel 2013 ha fondato il Pejman Tadayon Ensemble, componendo musiche ispirate a Rumi e al Sufismo, pubblicando l’album “Universal Sufi Music”. Dal 2014, ha integrato corde nei suoi dipinti, creando opere di pittura sonora esposte nella Galleria Sonora di Roma, dove organizza anche eventi musicali. Tadayon insegna oud, târ, setâr e teoria della musica orientale. Nel 2015 ha co-fondato il progetto Cafè Loti, che unisce musica colta e popolare.
Ha collaborato con vari artisti e partecipato a produzioni teatrali e cinematografiche, tra cui “L’ultimo Pulcinella” e “Polvere di Baghdad”. Ha anche realizzato il docufilm “Quando Rumi incontra Francesco”. Tadayon è promotore del dialogo musicale tra Oriente e Occidente.
Pejman Tadayon continua a essere una figura rispettata nel mondo della musica persiana e un ambasciatore della sua ricca tradizione musicale. La sua passione per il tar e il suo impegno per l’eccellenza musicale lo rendono un artista straordinario e ammirato in tutto il mondo.   Sito web;  https://www.pejmantadayon.com/ 

Oscar Bonelli è un cantante, poli-strumentista e voice, ispirato dal canto armonico della Mongolia e del Tibet; dal canto carmatico indiano; dai canti dei nativi d’America e  africani.   Conduce laboratori di canto energetico e meditazione sul suono.  Comincia la sua ricerca musicale 25 anni fa con l’approccio alla danza africana. 
Lungo il suo percorso incontra numerosi maestri (Francesca Cassio – canto indiano; Nela Bagawath – Mumbay, canto indiano; Tran Quan Gai – Vietnam, canto armonico; Roberto Laneri – canto armonico; Riccardo Misto – Nada Yoga; Giovanni Imparato – drum circle, ecc).  Questi incontri delineano la sua personalità artistica, che Oscar esprime i maniera eccelsa, attraverso un mix di world music, che evoca nell'ascoltatore stati di contemplazione e rapimento spirituale.  La dimensione “cosmica” di musiche ancestrali, creata da Oscar Bonelli si esprime attraverso il suono di strumenti musicali, che giungono da tutte le zone e le culture del mondo.  Strumenti rari che Oscar ci presenta fondendone i suoni, con grande maestria, in un canto che diventa preghiera e devozione verso il divino. 

 Mauro Tiberi è un musicista, polistrumentista e ricercatore vocale, studioso e praticante di canto difonico (canto armonico), vocalità sacra orientale (canto bizantino), di canto indiano negli stili dhrupad, kyal e qawwali, più altri stili antichi di canto indoeuropeo. Organizzatore di concerti e formatore di gruppi di studio su argomenti che vanno dalla musica, alla filosofia della musica e di tecniche vocali per lo sviluppo psicofisico della persona. 

Antonio Olivieri - Centro Studi Viniyogah

Antonio Olivieri, insegna lo Yoga dal 1994. Si è avvicinato allo yoga già alla fine degli anni ottanta, inizialmente per problemi fisici, successivamente per un amore sempre crescente per questa disciplina, che lo ha portato a sperimentare lo Yoga partecipando a corsi, ritiri e seminari sia  in India che nel resto del  mondo.   


Segue la  tradizione di TKV Desikachar (figlio del grande maestro T. Krishnamacharya), con l’utilizzo del metodo di insegnamento Viniyoga nello Yoga. Incontra la sua maestra Chandra Klee  nel 1995, allieva diretta di TKV Desikachar, e si specializza con lei sullo Yoga Individuale e Terapeutico (Cikitsa).

Ha seguito da allora quasi tutti i seminari e gli stage tenuti da Desikachar in Italia ed Europa, fino al suo ultimo corso tenuto in Inghilterra (nel 2010).  

 Insegna Yoga  e dirige  il centro Studi Yoga Viniyogah di Roma che nasce nel febbraio 2002 , seguendo la tradizione e il metodo di insegnamento trasmesso da TKV Desikachar, sia a livello individuale che di gruppo, oltre ad occuparsi della Scuola di Formazione.  Al centro si insegna uno Yoga classico (basato sulla tradizione Viniyoga dello Yoga), accessibile a tutti, ed espressione del lignaggio di Sri Tirumalai Krishnamacharya e di suo figlio TKV Desikachar. 
Il centro si occupa inoltre di Educazione e Formazione dell’individuo ai vari livelli, dal Counseling relazionale  alle Costellazioni Familiari Sistemiche, dai corsi di Canto Vedico a quelli per la Gestione dello Stress, attraverso il  Movimento Psico Corporeo  finalizzato alla salute ed al benessere.

E' socio ed ex Coordinatore Regionale della Yani (Associazione Nazionale Insegnanti di Yoga)
 
Vedi  https://www.ayvi.it/ 

Citazione di Oscar Wilde sulla felicità e sullo “spreco della vita”

 La citazione di Oscar Wilde sulla felicità e sullo “spreco della vita”, può farti vedere la vita con occhi diversi. Amore trattenuto, potere non usato e prudenza evitano il dolore ma spegnono la felicità.   


La frase di Oscar Wilde — “Lo spreco della vita si trova nell’amore che non si è saputo dare... nel potere che non si è saputo utilizzare, nell'egoistica prudenza che ci ha impedito di rischiare e che, evitandoci un dispiacere, ci ha fatto mancare la felicità.” — suona come un invito a smettere di vivere “in modalità risparmio”.   Non parla di fallimenti eclatanti o di cadute spettacolari: mette a fuoco ciò che resta sospeso, le parti di noi che non escono mai allo scoperto perché le blocchiamo per paura, abitudine o eccesso di controllo.

Per Wilde il vero spreco è la rinuncia preventiva: non amare davvero, non usare le proprie risorse, non esporsi mai per evitare di soffrire. Ma una prudenza troppo rigida, se ti protegge da un dispiacere, può anche tenerti lontano dalla felicità e dalla pienezza. È qui il punto centrale: la vita non si “consuma” soltanto nelle scelte sbagliate, ma anche — e spesso di più — nelle scelte che rimandiamo all’infinito e non facciamo mai.  

Un’idea simile l’aveva espressa anche Cicerone molto prima di Wilde: “Chi vive nella gioia vive due volte”. In fondo, il messaggio è lo stesso: non limitarti a sopravvivere con il freno tirato. Coltivare la gioia, prendere iniziativa, dare spazio all’amore e al coraggio è un modo per allargare la vita, giorno dopo giorno.

Qui Wilde non sta celebrando l’amore romantico e basta. Parla dell’amore come energia vitale: affetto, presenza, cura, parole dette al momento giusto, gesti semplici che potrebbero cambiare la giornata di qualcuno (e anche la nostra). “Non si è saputo dare” è interessante: non dice “non si è voluto”, ma “non si è saputo”. Come se l’amore fosse anche una competenza emotiva: imparare a esprimersi, a mostrarsi, a non lasciarsi frenare dall’orgoglio o dalla paura di essere vulnerabili. È lo spreco del “poi glielo dico”, “un giorno mi apro”, “aspetto il momento perfetto”. Il momento perfetto spesso non arriva, e intanto la vita passa. Parole chiave emotive: rimpianto, non detto, potenziale, vulnerabilità, coraggio.

La parola “potere”
può suonare dura, ma qui può essere letta in modo ampio: potere come possibilità di incidere. È il potere di scegliere, di dire no, di cambiare strada, di proteggersi, di creare, di guidare, di usare il proprio talento. Non è necessariamente potere sugli altri: è potere su ciò che possiamo fare della nostra vita. Oscar Wilde suggerisce che sprecare la vita significa anche lasciare il proprio “spazio d’azione” inutilizzato: restare in silenzio quando servirebbe una voce, restare fermi quando servirebbe un passo, restare piccoli per non disturbare. È una critica sottile all’auto-svalutazione e alla delega continua: quando non usiamo le nostre possibilità, non perdiamo solo risultati, perdiamo identità.  Non usare il proprio potenziale per paura del giudizio o per comodità è una forma di rinuncia.

 Oscar Wilde dicendo: “Ciò che non abbiamo osato, lo abbiamo certamente perduto”ci invita ad avere più coraggio nella vita.  “L’egoistica prudenza” spesso si verifica quando la paura si traveste da saggezza. 
Wilde chiama la prudenza “egoistica”. Non perché la prudenza sia sempre sbagliata, ma perché a volte diventa una scusa elegante per non esporsi. Una maschera rispettabile della paura: “Sono fatto così”, “meglio non rischiare”, “non conviene”, “non è il momento”.

E' una prudenza egoistica perché ci mette al centro in modo difensivo, applicando la logica del minimo rischio: non vogliamo soffrire, non vogliamo essere rifiutati, non vogliamo perdere. Così facendo però proteggiamo il noi più fragile, ma affamiamo il noi più vivo. È una prudenza che evita i dispiaceri immediati, ma prepara rimpianti più lunghi.

“Per recuperare la giovinezza basta ripetere le proprie pazzie”e sentirsi così giovani dentro (a ogni età). Scegliere sempre la strada più protetta può ridurre il dolore, sì, ma spesso riduce anche la gioia. Perché molte felicità richiedono una quota di rischio: dire ciò che proviamo, cambiare lavoro, ricominciare, chiedere, provare, esporsi, sbagliare. 

La felicità, in questo senso, non è un premio per chi non sbaglia: è una conseguenza possibile per chi si muove. Wilde non idealizza l’incoscienza. Sta dicendo qualcosa di più psicologico che morale: se vivi con l’obiettivo primario di non soffrire, finisci per non vivere davvero. È una frase che smonta l’illusione del controllo totale: la vita “sicura” spesso è solo una vita rimandata.   

La spiritualità non è religione

Per noi è la spiritualità è un percorso per generare felicità, comprensione e amore, per poter vivere profondamente ogni momento della nostra vita.      

Avere una dimensione spirituale nella nostra vita non significa sfuggire alla vita o abitare in un luogo di beatitudine fuori da questo mondo, ma scoprire modi per gestire le difficoltà della vita e generare pace, gioia e felicità proprio dove siamo, su questa bellissimo pianeta. 

L'ascolto profondo è quel tipo di ascolto che può aiutare ad alleviare le sofferenze di un'altra persona. Puoi chiamarlo ascolto compassionevole. Si ascolta con un solo scopo: aiutare lui o lei a svuotargli il cuore."

ॐ ༺۩༻ Thich Nhat Hanh ॐ ༺۩༻ Maestro Zen 



Alla ricerca della gioia - Mario Thanavaro

Mario Thanavaro (1955 - ) è Maestro di meditazione Vipassana e insegna vari temi riguardanti la spiritualità.  Il suo nome è Mario Giuseppe Proscia ed è nato in Friuli.   Insieme alla Dott.ssa Enzina Luce Franzese è il fondatore dell’Associazione Amita Luce Infinita e ne è il presidente. Ha scritto oltre quindici libri riguardanti il buddhismo, la meditazione e la consapevolezza dell’esistenza umana. Conduce ritiri e incontri di meditazione online e in varie città d’Italia.      -
Il suo sito è il seguente: https://www.mariothanavaro.it/     https://percorsi.meditiamo.it/
Mario Thanavaro è uno dei pionieri della meditazione in Italia. Per 18 anni ha vissuto un’intensa esperienza  monastica nell’ambito del Buddhismo Theravada. Ha ricoperto per tre anni la carica di presidente dell’Unione Buddhista Italiana (U.B.I.) e poi Vice Presidente della Fondazione Maitreya.           

Nel suo libro Dalla sofferenza alla gioia, Come guarire dal dolore del mondo (pubblicato nel 2013 a 58 anni), Mario Thanavaro racconta come si è avvicinato alla spiritualità e cosa lo ha portato a diventare monaco nel 1979.   Il suo maestro, Achaan Sumedho, gli diede il nome Thanavaro che significa "Fondazione eccellente", per ricordargli che il Dhamma, l'insegnamento spirituale gli avrebbe assicurato la stabilità  in un mondo soggetto a terremoti e sofferenze di ogni tipo.  Su indicazione del suo maestro  ritornò in Italia (dopo 12 anni in Thailandia, Sri Lanka, USA), e fondò, nel 1990  il monastero "Santacittarama, Il giardino del cuore sereno ".  Un monastero buddista italiano Theravada nel lignaggio Thai Forest Tradition di Ajahn Chah situato a Rieti, vicino a Roma. Indirizzo: Località, Via Brulla, 02030 Poggio Nativo ( Rieti)  Telefono: 0765 872528.  

Per sei anni fu l'abate del  monastero Santacittarama, poi abbandonò la carica, privo di energia ed entusiasmo.  Thanavaro scoprì che anche il mondo religioso è pieno di pregiudizi e settarismi. Alla fine decise di ritornare alla condizione laicale e diffondere gli insegnamenti e la pratica della meditazione al di là dell'appartenenza ad una religione. 

Nel suo libro racconta con umiltà che ritornare nel mondo a quarant'anni, senza un appoggio economico e morale, non è stato un cammino facile. La strada che porta alla conoscenza di sé, spesso non è lineare e bisogna confrontarsi con le proprie paure e mettersi in discussione. Infine, assumere la responsabilità di essere liberi, capire che la vita è breve e deve essere vissuta al meglio e con coraggio per portare a termine il proprio compito.

Il filosofo cinese Zhuang sintetizza così la tipica condizione umana: “La felicità è più leggera di una piuma, nessuno sa afferrarla. L'infelicità è più pesante della terra, nessuno sa lasciarla”.  Siamo spesso affetti da un disagio esistenziale la cui origine è dentro di noi. Finché ci sposteremo da un luogo ad un altro, da una relazione ad un'altra difficilmente individueremo la causa della nostra agitazione. Talvolta attribuiamo questo disagio all’ambiente esterno e incolpiamo gli altri, ma se non ci assumiamo le nostre responsabilità non riusciremo a risolvere quelle problematiche esteriori che hanno inciso sul nostro cuore, sulla nostra mente e sul nostro corpo, diventando col tempo problematiche sempre più complesse e creando sempre più malessere.

Con la pratica meditativa seduta,  rimanendo immobili, possiamo riuscire a riconoscere le radici del nostro disagio, del male e della sofferenza, al fine di operare una pulizia profonda.   Un rapporto sano ed equilibrato con il corpo, che si esprime attraverso la piena accettazione di sé, è un passo fondamentale per vivere bene e per iniziare il nostro percorso evolutivo senza questo carico che appesantisce tanti di noi che non si riconoscono e non si piacciono forse da tantissimo tempo. La pratica meditativa richiede una conoscenza profonda di sé e una precisa cognizione della realtà attraverso l'osservazione, la concentrazione, la visualizzazione, l'introspezione.  [...]
La pratica meditativa equivale quindi a una cura personale rivolta a farci sentire puliti dentro, più belli fuori e più sani, più sereni e più felici; richiede una profonda conoscenza di sé, di come funziona la nostra mente.

L’appartenenza a  un credo religioso, induista, buddhista, ebraico, cristiano, islamico o altro, non protegge automaticamente dalla rigidità e dalla chiusura verso il prossimo, ma diventa spesso una semplice compensazione delle nostre mancanze interiori. 

Lungo il cammino della vita fate in modo di non privare gli altri della felicità. Evitate di dare dispiaceri ai vostri simili; anzi, cercate di dare loro gioia ogni volta che potete. […]  Siamo esseri sensibili e preziosi, a prescindere dal giudizio degli altri, dall'apprezzamento e dalla stima altrui. La ricchezza interiore, lo spirito di servizio e l'altruismo, sono beni inestimabili. La condivisione dei nostri talenti, del nostro lavoro e dell'energia che mettiamo nel vivere bene la nostra vita, è l'unica forza che può veramente salvare l'umanità.
Nel mondo attuale caratterizzato dal liberismo senza regole, dal consumismo insaziabile, dal depauperamento del pianeta, dalla crescita selvaggia a discapito dei diritti umani e dell'ambiente, dalla crescente disparità sociale sono incoraggiati l'avidità, l'attaccamento, la competizione e il conflitto. Bisogna riscoprire il piacere di una vita semplice, in armonia con se stessi e con gli altri esseri senzienti, con il pianeta. 

La pratica spirituale non ci allontana dai problemi del mondo, ma intende risolverli promuovendo la semplificazione dei bisogni, il consumo consapevole, l’ecosistema, l’uguaglianza sociale e una decrescita felice. Tutto ciò richiede una sempre maggiore consapevolezza, la spogliazione continua dell'avere per poter finalmente essere. 
L'obiettivo è vivere semplicemente la propria vita facendo quello che deve essere fatto senza cercare riconoscimenti e successo, superando la paura di fallire.

La cultura è disgiunta dalla vera conoscenza e spesso ostacola il cammino spirituale.  Nel film provocatorio Cento Chiodi di Ermanno Olmi, il protagonista, un affermato professore di filosofia e religione,  preso da un moto di ribellione della coscienza mette in discussione le radici stesse della sua cultura e, dice: "Quanta verità è stata scritta in questi testi … A che cosa sono serviti? A ingannarci l'un l'altro. C'è più verità in una carezza che in tutti i libri". E così lascia la biblioteca in cui lavorava e studiava, che era tutto il suo mondo, dopo aver trafitto le pagine degli antichi e preziosi libri di studi cristologici come atto finale di liberazione.

Spesso rimaniamo vittima di un approccio sbagliato ai paradigmi sociali e spirituali, ci sentiamo inferioria chi consideravo più dotto, più intelligente, più perfetto e illuminato di me. Siamo alla continua ricerca di una guida spirituale, di un leader idealizzato, di qualcuno che risolva tutti i problemi e che sia in grado di dirci cosa è il bene e cos'è il male, quale è la cosa giusta da fare, ecc. Ciò non aiuta alla nostra evoluzione interiore. Come dice Jiddu Krishnamurti "Voi credete nei salvatori, ma è proprio da loro che dovete salvarvi. Vi dovete redimere dall'idea che qualcuno possa venire a redimervi".

In altre parole, si tratta di essere umili, fiduciosi e onesti con se stessi, di vivere semplicemente la propria vita facendo quello che deve essere fatto senza cercare riconoscimenti e successo, e superando la paura di fallire. 

mercoledì 19 novembre 2025

Lo Zen: una via di meditazione e risveglio

Il Buddhismo Zen è una delle principali correnti del Buddhismo Mahāyāna. Nasce in Cina, dove viene chiamato Chan, e da lì si diffonde in Giappone, Corea e Vietnam, assumendo i nomi di Zen, Seon e Thien. La parola “Zen” è la traslitterazione giapponese del cinese Chan, che a sua volta deriva dal sanscrito Dhyāna, ovvero “meditazione”. Non a caso, l’intera tradizione Zen pone al centro proprio l’esperienza meditativa: la pratica del zazen, l’esperienza diretta dell’illuminazione (satori) e la trasmissione “da mente a mente”, un insegnamento che va oltre il linguaggio e oltre lo studio dei testi.   

Uno degli slogan più noti della tradizione Zen sintetizza bene questo approccio: si parla infatti di “una trasmissione al di fuori delle scritture, non fondata sulle parole e sulle lettere, che punta direttamente al cuore dell’uomo, per vedere la propria natura e diventare Buddha”.


Origini e sviluppo in Asia. La storia dello Zen comincia in Cina, dove la tradizione Chan viene attribuita, in modo leggendario, al monaco indiano Bodhidharma, vissuto tra il V e il VI secolo. In Cina, il Chan si integra profondamente con il taoismo, dando vita a un Buddhismo improntato alla semplicità, alla spontaneità e all’esperienza diretta. Nel tempo si formano diverse scuole, tra cui la Caodong, da cui deriverà lo Sōtō Zen giapponese, e la Linji, che darà origine alla scuola Rinzai.

Lo Zen arriva in Giappone tra il XII e il XIII secolo. Qui si sviluppano due grandi tradizioni: il Zen Sōtō , fondato da Dōgen Zenji, e lo Zen Rinzai, introdotto da Eisai e in seguito riformato in profondità dal maestro Hakuin Ekaku. Accanto a queste figure, nella storia più recente dello Zen internazionale si riconoscono anche maestri come Thich Nhat Hanh, appartenente alla scuola Rinzai della tradizione vietnamita.

Testi e insegnamenti.  
Sebbene lo Zen enfatizzi la pratica più dello studio dottrinale, possiede comunque una ricca tradizione di testi, soprattutto raccolte di discorsi, dialoghi e koan—enigmi o paradossi spirituali utili a disinnescare la logica ordinaria.  Tra le opere cinesi più importanti troviamo il Sutra della piattaforma attribuito al sesto patriarca Huineng, i Dialoghi di Linji, il Mumonkan (o “La porta senza porta”) e lo Shōyōroku, una raccolta di casi illuminanti. La tradizione giapponese ha dato a sua volta testi fondamentali come lo Shōbōgenzō di Dōgen, il Zazengi con le istruzioni per la meditazione seduta, e I discorsi di Hakuin.

Maestri e figure di riferimento. 
La genealogia Zen è popolata da figure che hanno segnato profondamente questa via spirituale. Bodhidharma è ricordato come il padre del Chan, un maestro rigoroso e silenzioso. Huineng, vissuto nel VII secolo, è il grande innovatore dell’idea che l’illuminazione sia immediata e che la natura di Buddha sia già presente in ogni persona. In Giappone, Dōgen Zenji fonda la scuola Sōtō e sviluppa la pratica dello shikantaza, il “solo sedersi”, insegnando che pratica e illuminazione coincidono. Eisai introduce il Chan in Giappone, mentre Hakuin, secoli dopo, rinnova profondamente la scuola Rinzai e rende sistematico l’uso dei koan.

Pratiche fondamentali dello Zen.  Al cuore dello Zen troviamo lo zazen, la meditazione seduta. Questa può assumere la forma dello shikantaza, tipico della scuola Sōtō, in cui ci si siede senza oggetto di meditazione, semplicemente presenti a ciò che accade; oppure la forma del lavoro sui koan, più diffusa nella tradizione Rinzai, che utilizza paradossi come “Qual è il suono di una sola mano che applaude?” per spingere la mente oltre ogni logica discorsiva. Un’altra pratica importante sono i sesshin, intensivi di meditazione di diversi giorni che includono zazen, lavoro quotidiano (samu), pasti rituali, silenzio e incontri con il maestro. L’obiettivo non è accumulare concetti, ma aprirsi a un’esperienza di chiarezza immediata.

Il cuore dell’esperienza: il Satori.  Il satori rappresenta un lampo di intuizione, un risveglio improvviso alla realtà così com’è. Non è considerato l’illuminazione definitiva, ma un primo passo decisivo. Lo Zen insiste sul fatto che non si debba cercare un traguardo lontano: la pratica stessa, qui e ora, è già la via del risveglio.

La vita e l’estetica Zen. La vita Zen tradizionale è semplice e disciplinata, fondata sul lavoro manuale vissuto come meditazione e sull'armonia dei gesti quotidiani. Da questa dimensione contemplativa nascono numerose arti: la calligrafia, la poesia haiku, i giardini Zen, la cerimonia del tè e perfino alcune arti marziali, che incorporano principi di presenza e non-dualità.

Lo Zen nel mondo contemporaneo.  Dal XX secolo lo Zen si è diffuso in tutta Europa e Nord America. Molti praticanti occidentali lo vivono anche in versione laica, come forma di consapevolezza e meditazione. Tra i maestri che hanno portato lo Zen in Occidente ricordiamo Shunryu Suzuki, Philip Kapleau e Thich Nhat Hanh.

I simboli nello Zen.  I simboli zen più comuni includono l'Enso, un cerchio disegnato a mano che rappresenta l'illuminazione, la forza e l'universo, e la svastica (卍), che nel buddismo Zen simboleggia il "sigillo della mente-cuore del Buddha". Un altro simbolo importante è Mu (無), che significa "nulla" o "non-esistenza" e rappresenta l'opposto dell'esistenza (有).  L' Enso (円相)  viene disegnato con un unico gesto e la sua imperfezione riflette l'equilibrio tra controllo e mancanza di esso. 
È un simbolo sacro nella calligrafia giapponese (Shodo) e spesso usato dai maestri zen come firma, rivelando lo stato d'animo al momento della creazione. 

Per chi desidera avvicinarsi allo Zen, alcuni testi accessibili e profondi sono:

  •  Zen, mente di principiante di Shunryu Suzuki, 
  • I tre pilastri dello Zen di Kapleau  
  • Opere di commento come Il Libro del Nulla di Osho. 
  • Letture più filosofiche, come Lo Zen e l’arte della manutenzione della motocicletta di Pirsig, offrono spunti ispirati alla visione Zen.

 

La spiritualità in Giappone

I Giapponesi sono essenzialmente laici, ma tutti sono coinvolti in riti shintoisti come battesimi e matrimoni, e essere shintoista è considerato sinonimo di essere giapponese. I funerali, di solito, vengono celebrati con riti buddhisti. In Giappone è comunque difficile trovare un vero monaco durante le ore turistiche, poiché molti templi sono stati trasformati in luoghi da visitare.      
 

In Giappone convivono lo shintoismo, il buddhismo e il confucianesimo. La maggior parte delle persone aderisce a una combinazione di shintoismo e buddhismo, ma le statistiche sulle identità religiose sono complesse perché molti praticano entrambe le religioni. Secondo dati del 2021, lo shintoismo è praticato dal 48,1% e il buddhismo dal 46,5% dei credenti. Il confucianesimo non è considerato una religione separata in Giappone, ma piuttosto un sistema etico che ha influenzato profondamente la cultura e le credenze locali, sebbene non esistano statistiche specifiche sulla sua adesione.

Lo shintoismo, letteralmente “la via degli dei”, ha origine da una religione animista che adorava i kami, divinità che un tempo si riteneva albergassero in tutte le cose. Nelle cerimonie shintoiste il sacerdote agita dei rami nei quattro punti cardinali per scacciare i cattivi spiriti, coadiuvato dalle miko, le ragazze del santuario. Storicamente, le miko svolgevano un ruolo spirituale importante come intermediarie; anche se oggi tale ruolo è spesso visto come un lavoro part-time, esse sono ancora una parte integrante della tradizione shintoista.   

L’influenza cinese portò lo shintoismo verso il culto degli antenati. Tutti, e in particolare l’imperatore, sarebbero diventati kami, cioè divinità. I primi buddhisti sostenevano che i kami fossero reincarnazioni dei loro Buddha. Ciò portò a una forma di sincretismo. I santuari si caratterizzano per il portale d’ingresso (torii), solitamente di colore rosso e bianco (maschile e femminile), e per i due cani-leone (komainu) capaci di allontanare il maligno. Alcuni santuari contengono statue di animali e tavolette votive (ema).
Non esistono “scuole” shintoiste nel senso dottrinale del termine, ma l’organizzazione principale che raggruppa la maggior parte dei santuari e gestisce l’istruzione religiosa è il Jinja Honchō (Associazione delle Chiese Shintoiste del Giappone). Il Jinja Honchō amministra migliaia di templi in tutto il Paese e circa un centinaio di scuole.
Nello shintoismo la purificazione con l’acqua è fondamentale per rimuovere impurità, peccati e sfortuna prima di interagire con il sacro. I rituali principali sono il Misogi, l’abluzione completa del corpo per purificarsi da contaminazioni spirituali e fisiche (si ispira al mito di Izanagi, che si purificò in mare dopo essere stato nella terra dei morti), praticato sotto una cascata, in un fiume o in un lago, specialmente se considerato sacro; e il Temizu, una purificazione fisica e simbolica più breve delle mani e della bocca, eseguita prima di entrare in un santuario presso una fontana apposita (chiamata chōzuya o temizuya).

Una statua di un drago si trova spesso all’interno o accanto al temizuya, poiché i draghi sono associati alle divinità dell’acqua (Ryūjin). Il rituale prevede di prendere un mestolo d'acqua con la mano destra, sciacquare la sinistra; poi sciacquare la mano destra versando l’acqua nella mano sinistra; quindi raccogliere un po’ d’acqua per sciacquarsi la bocca (senza toccare il mestolo con le labbra) e sputarla a terra, lontano dalla fontana; infine sciacquare il mestolo e riporlo.
Le tavolette votive shintoiste, chiamate ema, sono tavolette di legno su cui i fedeli scrivono desideri o preghiere per poi appenderle in appositi spazi all’interno dei santuari. Le tavolette raffigurano spesso immagini simboliche o legate al santuario. In origine erano sostituite da cavalli veri, da cui deriva il nome (“cavallo disegnato”). Periodicamente i santuari bruciano le ema accumulate in un rito che simboleggia l’invio dei desideri ai kami.

In Giappone è presente anche il confucianesimo, un sistema di pensiero fondamentale che ha influenzato profondamente le riforme statali e l’etica sociale fin dal VI secolo, soprattutto durante il periodo Edo (1603–1867). Sebbene non sia una religione nel senso tradizionale, ha fornito principi etici e politici basati sul ruolo dell’individuo e sulla virtù. I giapponesi possono abbracciare i principi confuciani senza contraddizioni, pur professando altre religioni. Nonostante il confucianesimo abbia perso importanza, alcuni suoi valori sono ancora presenti nella società, e alcuni templi confuciani rimangono attivi. I più importanti sono lo Yushima Seidō a Tokyo e il Taku Seibyō (il più antico esistente); altri siti che conservano questo retaggio includono il Kōshibyō di Nagasaki.

Il buddhismo giapponese è una tradizione spirituale ricca e complessa, profondamente radicata nella cultura del Paese. Arrivato dalla Cina e dalla Corea nel VI secolo come religione di corte, si mescolò poi allo shintoismo e si sviluppò in molte scuole distinte. Le principali correnti comprendono la Tendai (IX secolo), la Shingon (IX secolo), la Terra Pura (XI secolo), lo Zen (XII–XIII secolo, con le scuole Sōtō e Rinzai) e la scuola di Nichiren (XIII secolo).

Durante il periodo Nara (710–784) esistevano sei scuole principali (Sanron, Jōjitsu, Hossō, Kusha, Ritsu e Kegon), introdotte dalla Cina e dalla Corea. Rappresentavano diverse correnti buddhiste Mahāyāna e Theravāda prima della diffusione del buddhismo esoterico Shingon, e costituivano il fondamento del buddhismo giapponese pre-Shingon.

Il buddhismo esoterico Shingon, fondato da Kūkai (774–835) nel 816, è un sistema che integra e supera gli insegnamenti delle scuole precedenti. Collega il buddhismo Mahāyāna a insegnamenti esoterici di origine tantrica. Da qui si sviluppò una tradizione particolarmente attenta all’esperienza diretta, ai rituali e alla dimensione mistica.   Il bodhisattva più conosciuto in Giappone è Kannon, derivato da Avalokiteśvara, venerato come divinità della misericordia. Un altro bodhisattva molto popolare è Jizō (Kshitigarbha), protettore dei bambini, dei viaggiatori e dei defunti. Molto noto è anche Miroku, ovvero Maitreya, che apparirà sulla Terra in futuro.

La scuola Tendai, fondata da Saichō (767–822), deriva dalla scuola cinese Tiāntái, una delle più importanti tradizioni Mahāyāna. Essa pone al centro il Sutra del Loto, la dottrina della Triplice Verità e il principio della presenza dei “tre mila mondi in un singolo istante di vita”. È stata una scuola molto influente, da cui sono nate tradizioni come lo Zen e il buddhismo della Terra Pura.

Il buddhismo della Terra Pura si diffuse nel periodo Heian e divenne una scuola indipendente nel periodo Kamakura grazie a Hōnen (1133–1212). Da essa nacque la Jōdo Shinshū fondata da Shinran, oggi una delle tradizioni più seguite.

Il buddhismo di Nichiren fu fondato nel 1253 da Nichiren (1222–1282) e si basa sul Sutra del Loto. La pratica centrale è la recitazione del mantra Nam(u) myōhō renge kyō davanti al Gohonzon.

Lo Zen si sviluppò come movimento centrato sulla meditazione (zazen) e sull’esperienza diretta (satori), più che sulla dottrina. Giunto dalla Cina tra XII e XIII secolo, fu introdotto soprattutto da Eisai (scuola Rinzai) e da Dōgen (scuola Sōtō). Una terza scuola, Ōbaku, ebbe anch’essa un ruolo importante. Lo Zen ha influenzato profondamente l’estetica giapponese e concetti come il wabi-sabi, che celebra la semplicità, l’imperfezione e la bellezza del tempo. Le differenze principali tra Sōtō e Rinzai riguardano l’uso dei kōan e il modo di praticare la meditazione.
Kyoto, Nara e Kamakura sono tre principali centri dello Zen giapponese, con numerosi templi di grande importanza come il Nanzen-ji, i Kyoto Gozan, il Ryōan-ji, il Kōshō-ji e lo Shisendō. A Nara si trovano il santuario Kasuga Taisha e il tempio Tōdai-ji; a Kamakura i templi Jufuku-ji ed Engaku-ji.

Il monastero Eihei-ji, insieme al Kōya-san, è uno dei pochi luoghi dove si può osservare da vicino la vita monastica buddhista giapponese. Il Kōya-san, centro del buddhismo esoterico Shingon, ospita il tempio principale Kongōbu-ji. Il pellegrinaggio del Kumano Kodō collega antichi siti shinto-buddhisti in un percorso simbolo del sincretismo religioso giapponese.

Giappone - Suddivisione storica per periodi: 

  • Periodo Asuka  dal 593  al 710
  • Periodo di Nara dal 710 al 794  (scuole Sanron, Jōjitsu, Hossō, Kusha, Ritsu e Kegon) e Tendai                   
  • Periodo  Heian    dal 794 al 1192                       Shingon - Terra Pura  
  • Periodo  Kamakura  dal 1192 al 1333                Nichiren,    Zen Rinzai e Soto
  • Periodo Nanbokucho  dal 1333 al 1392
  • Periodo Muromachi   dal 1392 al 1573
  • Periodo Azuchi-Momoyama dal 1573 al 1603
  • Periodo  Edo  dal 1603 al 1868
  • Periodo Meiji dal 1868 al 1912 
  • Periodo Taishò  dal 1912 al 1926
  • Periodo Showa dal 1926 al 1989 
  • Periodo Heisei  dal 1989 al 2019 
  • Periodo Reiwa dal 2019  …... 


Il mio viaggio in Giappone

Dal  3 /11/2025  al 17/11/2025   all'andata Roma - Tokyo  al ritorno Osaka - Tokyo - Roma                      Tasso di cambio   1 euro  =  160 yen.

Itinerario: arrivo a Tokyo, escursione a monte Fujiyama, in treno Tokyo-Kanazawa,  poi in bus fino a Shirakawa. Da qui in bus fino a Takayama,  in treno Takayama-Nagoya-Osaka,  Osaka-Koyasan in treno + funivia,  Poi Koyasan- Kyoto in funivia + treno,  Kyoto - Nara in treno + autobus, ritorno a Kyoto, poi da Kyoto  con l'autobus fino all'aeroporto di Osaka, partenza per Tokyo. Poi Tokyo - Roma.    Percorsi circa 1200 km. 

TOKYO. Hotel Villa Fontaine. Visita del monastero shintoista Meiji.   Questo santuario shintoista circondato da una lussureggiante foresta verde si trova proprio nel cuore di Tokyo ed è dedicato all'imperatore Meiji (1852-1912) e all"imperatrice Shoken che ha contribuito alla modernizzazione del Giappone.  Visita del quartiere Shinjyuku. 

Escursione al monte Fujiyama. Visita della pagoda Chureito, giro del lago Kawaguchi in barca. Visita del monastero shintoista Kitaguchihongu FujiSengen Jinji ***

Visita del quartiere di Asakusa e del tempio buddhista Senso-ji il più vecchio del Giappone dedicato al bodhisattva Kannon, venerato come incarnazione della compassione e della misericordia. Ha raggiunto l'illuminazione ma ha scelto di rimanere nel ciclo delle reincarnazioni per aiutare gli esseri senzienti a liberarsi dalla sofferenza. Il suo nome significa "colui che ascolta le voci del mondo" o "ascolto vigile".     

Visita del quartiere Ueno e del museo nazionale **

KANAZAWA.  Hotel Tokiu Stay.  Visita al tempio shintoista di Oyama, del castello, del giardino Gyokosen inmay garden, del museo di arte contemporaneo (di nessuno interesse).
Abbiamo visitato il  giardino Kenrokuen uno dei tre più belli del Giappone. Il Museo D.T. Suzuki. * e poi il quartiere dei samurai e in particolare la casa della famiglia Nomura.

 SHIRAGAWA.  Villaggio UNESCO costituito da case completamente in legno e dai tetti di paglia (gassho-zukuri).

TAKAYAMA.   Wat Hotel. Visita al quartiere del periodo Edo con case tradizionali che si sviluppa lungo il fiume.  Visita della casa di Yoshijima, la passeggiata di Higashiyama in mezzo a templi shintoisti e cimiteri, visita al tempio shingon di Hida Kokobunji.  

Nagoya -  OSAKA. Hotel Monterey La soeurs.  Siamo arrivati a Osaka passando per Nagoya.  Visita notturna del castello di Osaka circondato da un bellissimo parco.

KOYA-SAN. ****  Abbiamo dormito al monastero  Henjoko-in situato sul Monte Koya. Koya-san  è il luogo più sacro della nazione, uno dei più noti eremi buddhista e l'ultimo baluardo della tradizione giapponese. Tutti i giapponesi vorrebbero essere sepolti nella mitica foresta. Situato a sud-est di Osaka è una delle sedi più importanti del buddhismo Shingon (parola vera), una forma di buddhismo esoterico. Questo tipo di buddhismo è noto per le sue pratiche di meditazione come la meditazione ajikan con il suono del respiro e i rituali mattutini di canto dei sutra, che sono offerti anche ai visitatori.  Il buddhismo Shingon fu fondato da Kukai nel 816. Il tempio principale di Koya-san è il Kongobu-ji.  Al monastero ho partecipato all'antica cerimonia per prendere rifugio nel Buddha: il Jukai. Poi  il giorno successivo alla lettura dei sutra e preghiere del mattino. Qui sono riuscito a incontrare e parlare con dei monaci.  

KYOTO. *** Almont Hotel.  Kyoto ha centinaia di monasteri di cui almeno uan ventina sono stati riconosciuti pratrimonio UNESCO.  Visita al  monastero Shingon To-ji.  Il giorno successivo visita al Ginkakuji, monastero Zen Rinzai,   al Kurodani monastero della Terra Pura, al  Nanzen-ji monastero Zen Rinzai,  al Sho-ren-in monastero buddhista Tendai, al  Kodaiji monastero Zen Rinzai.

La mattina Onsen - bagno caldo.  Poi visita al santuario di Kiyomizudera.     Il complesso ospita un tempio buddhista Hosso e un tempio shintoista. Qui abbiamo visto un monaco che recitava la cerimonia del giorno.

Pomeriggio a NARA dove si trovano circa 1200 cervi in libertà (sono i messaggeri degli dei). Il complesso ospita il Kasuga Taisha un monastero Shintoista, fondato nel 768 d.C. e noto per le sue migliaia di lanterne di bronzo e pietra. Nel complesso si trova anche il Todai-ji, il monastero buddhista Shingon  con la pagoda principale in legno che è la più grande del mondo.

Visita al santuario Fushimi Inari Taisha Shrine (altare). Un tempio con un corridoio formato da colonne rosse che portano al monte sacro.   Dedicato al kami  Inari, la divinità del buon raccolto e del successo negli affari.    Pomeriggio visita al Sanjusangen-do ( o Rengeo-in ), il tempio shingon  famoso per le sue 1000 statue di Kannon, il boddhisatva della compassione.

D.T. Suzuki

I workshop di Suzuki sul Buddhismo Zen sono tra i migliori contributi alla conoscenza del Buddhismo vivente.”   — Carl Gustav Jung

Proprio qui, adesso, c’è qualcosa che dovremmo fare. Se lo perdi in questo istante, un fiore che sboccia tra mille anni non ci sarà.”   — Dialogo con Okamura Mihoko (l'assistente di D.T. Suzuki).

Il museo di D.T. Suzuki a Kanazawa in Giappone, presenta la vita e il pensiero del filosofo buddhista Daisetz Teitaro Suzuki (1870–1966), che per tutta la sua esistenza tenne conferenze e presentazioni in Giappone e all’estero con l’intento di trasmettere la cultura e il pensiero orientale — in particolare quello giapponese. La sua attività esercitò una profonda influenza su molte persone, attraverso un dialogo diretto e immediato.


Nel trasmettere il suo pensiero, D.T. Suzuki ricorreva spesso a poesie di ogni epoca e provenienza. Tradusse anche antichi poemi giapponesi, come waka e haiku, rendendoli accessibili al pubblico inglese.

Suzuki spiegava che "una persona capace di vedere un oggetto così com’è lo ha già trasceso”. Quando qualcuno soffre, o prova caldo o freddo, e osserva quella condizione esattamente per ciò che è, senza aggiungere nulla, allora ha già superato quell’esperienza. Gli esseri umani, a differenza degli animali, possiedono questa capacità di consapevolezza.

Suzuki insisteva anche sulla necessità di conservare il senso dell’infinito e dell’eternità. Per farlo, diceva, abbiamo bisogno di un’immaginazione creativa capace di cogliere ciò che non è immediatamente visibile. A questa immaginazione egli dava il nome di “poesia”.   Senza poesia, affermava, sarebbe impossibile vivere pienamente come esseri umani, in un mondo dove spesso i sentimenti e l’interesse vengono perduti. La poesia non è soltanto una combinazione di lettere: ciascuno può custodirla nel proprio cuore, anche senza conoscere la scrittura. Nel regno della poesia è semplice viaggiare intorno al globo, abbracciare l’immenso universo buddhista, o immaginare lo spazio infinito colmo delle galassie di cui parlano gli astronauti, e spingerle sempre più lontano. 

"Chi non può vedere l’essenza delle cose, non può comprendere la realtà della poesia".   — D.T. Suzuki, vedi The Realm of Poetry

Questa visione ricorda i celebri versi di William Blake: 
Vedere il mondo in un granello di sabbia e il cielo in un fiore selvatico;
tenere l’infinito nel palmo della tua mano e l’eternità in un’ora.


Opere e approfondimenti:

  • The Essence of Buddhism
  • Lo zen e la cultura giapponese
  • Essays in Zen Buddhism
  • Buddha of Infinite Light: the teaching of Shin Buddhism, the Japanese way of wisdom and compassion
  • Buddhismo Shin 

Il Buddhismo Shin si fonda sugli insegnamenti e sui testi di Shinran, maestro religioso giapponese del XIII secolo. Il suo obiettivo è guidare l’essere umano — visto nella sua fragilità e imperfezione — verso la salvezza attraverso la fede nel Buddha Amida, un aspetto del Buddha cosmico. Amida, secondo la tradizione, avrebbe rimandato la propria illuminazione fino a quando tutti gli esseri non saranno salvati grazie alla forza del suo voto e alla sua compassione.
Il Buddhismo Shin insegna che la via di Amida opera nel cuore di ogni uomo e che la liberazione non proviene dallo sforzo personale, ma dall’affidarsi profondamente alla sua presenza illuminante.

martedì 21 ottobre 2025

Le due grandi vie dello Yoga moderno: Krishnamacharya e Sivananda

Nel panorama dello yoga contemporaneo, due maestri vissuti nello stesso periodo storico — la prima metà del Novecento, emergono come pilastri fondamentali per la diffusione e la trasformazione di questa antica disciplina: Tirumalai Krishnamacharya (1888–1989) e Swami Sivananda Saraswati (1887–1963).
Entrambi hanno contribuito in modo decisivo alla rinascita dello yoga nel XX secolo, ma le loro visioni, metodologie e obiettivi riflettono approcci profondamente diversi alla pratica e all’insegnamento. Pur partendo da comuni origini indiane, hanno dato allo yoga due direzioni complementari: una più individuale e terapeutica, l’altra più universale e devozionale.
                          
Krishnamacharya
è spesso considerato il “padre dello yoga moderno”. Formatasi alla corte del Maharaja di Mysore, la sua ricerca si radica nello studio dei testi classici — come i Yoga Sutra di Patanjali, gli Yoga Yajnavalkya, e la Hatha Yoga Pradipika — ma è caratterizzata da una forte attenzione alla personalizzazione della pratica.
Per Krishnamacharya, lo yoga non era un insieme di tecniche universali, bensì un cammino individuale, adattato alle necessità fisiche, mentali e spirituali di ciascun praticante (viniyoga).
Krishnamacharya insegnava una pratica in cui ogni respiro aveva un significato e ogni asana era adattato al corpo, all’età e allo stato mentale del praticante.
Il suo principio guida era semplice e rivoluzionario:
 “Non è la persona che deve adattarsi allo yoga, ma lo yoga che deve adattarsi alla persona.
Da questa visione nacquero approcci oggi famosi in tutto il mondo — l’Ashtanga Vinyasa Yoga di Pattabhi Jois, l’Iyengar Yoga di B.K.S. Iyengar e il Viniyoga  / Yoga Therapy sviluppato da suo figlio T.K.V. Desikachar. Pur diverse tra loro, queste scuole condividono la centralità del respiro e la visione del corpo come veicolo di consapevolezza.
Ritroviamo l’attenzione al respiro come ponte tra corpo e mente, la personalizzazione della pratica, e l’idea che lo yoga sia una terapia dell’essere umano nella sua interezza. 
La pratica degli asana (posizioni) è concepita come strumento di trasformazione personale. Gli asana si adattano alla persona, non il contrario.   L’uso del respiro (pranayama) è essenziale per unire corpo e mente.
 L’insegnamento avviene spesso in forma individuale o in piccoli gruppi, per garantire l’adattamento costante alle esigenze del praticante.

Sivananda, medico e monaco dell’ordine di Saraswati, fondò la Divine Life Society a Rishikesh nel 1936. La sua visione dello yoga, più spirituale e universale, era fortemente influenzata dall’Advaita Vedanta e dal servizio disinteressato (seva).
Il suo approccio era sintetico e spirituale, mirato all’armonia tra corpo, mente e spirito, attraverso quella che definì la via dello Yoga Integrale: "Serve, Love, Give, Purify, Meditate, Realize".
Nella tradizione di Sivananda, la pratica è strutturata in un metodo standardizzato, accessibile a tutti:
12 asana fondamentali, praticati in una sequenza fissa; esercizi di pranayama, rilassamento, satsang (canto e studio spirituale). È uno yoga accessibile, armonioso, che integra corpo, mente e spirito. Adotta un approccio sistematico, volto a equilibrare tutte le dimensioni dell’essere.
 L’obiettivo non è tanto la personalizzazione quanto la diffusione universale dello yoga come strumento di salute, pace e crescita spirituale.
Sivananda vedeva nello yoga una via d’amore e di servizio, dove la disciplina personale si unisce alla compassione e alla gioia del dare. Il suo discepolo, Swami Vishnudevananda, portò questo insegnamento in Occidente fondando i Sivananda Yoga Vedanta Centers, tuttora attivi in tutto il mondo.
 
Visione pedagogica e trasmissione.
Krishnamacharya formava i suoi studenti a osservare, adattare, trasformare.
L’insegnante era chiamato a essere un terapeuta e un artigiano della pratica, capace di leggere il corpo e la mente del praticante. La trasmissione era diretta, esperienziale, e spesso rigorosa.

Sivananda, invece, puntava a formare insegnanti capaci di portare lo yoga nel mondo.
Il suo allievo Swami Vishnudevananda sistematizzò il metodo in un formato replicabile (il Sivananda Yoga Vedanta), aprendo centri in tutto il mondo.  L’accento pedagogico era sull’ispirazione spirituale e la disciplina morale, più che sulla precisione tecnica.

Finalità dello yoga.
 Per Krishnamacharya, lo yoga è un cammino di svadhyaya (auto-conoscenza) e di armonizzazione tra corpo, mente e respiro. La realizzazione spirituale passa attraverso una progressiva interiorizzazione.

In sintesi

Aspetto                         Tradizione di Krishnamacharya            Tradizione di Sivananda

Filosofia di base       Yoga di adattamento individuale        -            Yoga integrale e universale
    
Focus e approccio   Personalizzato, terapeutico, attento al respiro  -  Sistematico, spirituale, aperto a tutti. Armonia globale, devozione, servizio
    
Pratica      Insegnamento personalizzato adattato all’individuo (viniyoga)  -  Sequenza fissa di asana e pratiche spirituali
    
Finalità   Auto-conoscenza e guarigione ed equilibrio interiore  -  Realizzazione del Sé, servizio disinteressato e vita etica
    
Trasmissione        Da maestro a discepolo, individuale      -     Diffusione di massa
    
Eredità principale   Iyengar, Ashtanga, Viniyoga        -         Sivananda Yoga Vedanta Centers 
 
Per Sivananda, lo yoga è un mezzo per la realizzazione del Sé universale attraverso la purezza, la devozione e il servizio. L’obiettivo è la liberazione attraverso l’amore e la dedizione.Le tradizioni di Krishnamacharya e Sivananda rappresentano due poli complementari dello yoga moderno:
Krishnamacharya ci insegna a guardare dentro, ad ascoltare il corpo come strumento di consapevolezza.
Sivananda ci invita sia a guardare dentro, sia a vivere lo yoga come amore attivo e servizio verso gli altri.
Due vie che sembrano diverse, ma che in realtà si completano. 
Una porta all’altra, perché non può esserci consapevolezza profonda senza cuore aperto, né amore autentico senza presenza e ascolto.
Entrambe, pur con linguaggi e metodi differenti, puntano alla stessa meta: l’unione dell’essere umano con la propria essenza più profonda e ritrovare l’unità dentro di noi e con il mondo che ci circonda.

Intervista a Malala - Ottobre 2025

Malala: “Dopo l’attentato dei talebani e il Nobel, vi racconto chi sono davvero
Articolo di  Antonello Guerrera pubblicato sul Venerdì di Repubblica. Ottobre 2025 

Malala Yousafzai, è pachistana, ed è la più giovane premio Nobel per la pace, diventata un monumento mondiale a 15 anni dopo esser sopravvissuta alla brutale esecuzione dei talebani. Che, il 9 ottobre 2012, nel distretto pashtun di Swat, le spararono in testa per il suo impegno in nome dell’istruzione femminile e dei diritti delle bambine del suo Paese.  Chi è Malala?», chiese il terrorista talebano quando salì sul suo scuolabus.

Oggi Malala non è più una bambina. A 28 anni continua a battersi per le nuove generazioni di tutto il mondo. Ma ormai è una donna. Si è laureata a Oxford, si è sposata con l’amato Asser Malik, conosciuto all’università. Intanto però, dietro le quinte, ha combattuto fantasmi, dolori, problemi mentali, come rivela nel suo ultimo libro, Finding My Way. Un diario ottovolante di sogni, speranze, illusioni, dilemmi esistenziali tra party universitari e dogmi dell’Islam, interventi chirurgici e iniezioni di botox per avere un volto «più simmetrico» dopo il nervo facciale reciso dallo sparo. Ma anche un eccezionale romanzo di formazione della star di milioni di ragazze nel mondo, che finalmente ha trovato la sua strada. 

 

L'intervista all’attivista pachistana,  rivela il lato invisibile del coraggio: la paura, la guarigione, il matrimonio e la scoperta della propria umanità. Una bambina diventata donna

LONDRA – «Non ho mai parlato di me in pubblico, delle mie emozioni, della mia vita privata. Ma è venuto il momento di farlo».  Si confessa in in questa intervista. 

Perché questo libro ora?
«Perché molte persone pensano che io sia ancora una bambina. Invece, quello era solo l’inizio del mio viaggio per diventare donna. Dunque, vorrei dire al mondo chi sono davvero».

E chi è, davvero, Malala?

«Una persona in pace con se stessa, anche grazie all’università, il primo momento in cui ho iniziato a vivere senza genitori. Certo, avevo sempre la scorta con me, ma finalmente lì ho iniziato a conoscere me stessa: non mi era più negato andare a una festa con le amiche, o persino parlare di ragazzi maschi. Per la prima volta, mi sono sentita trattata dagli altri coetanei come un’amica, e non come “l’attivista mondiale Malala”. Così è arrivata anche la mia liberazione: non dovevo più essere sempre perfetta in ogni cosa che dicevo, o pensare due volte prima di esprimere un pensiero».

E ora, cosa si aspetta dal futuro? Magari, dopo essere diventata donna, diventare madre?
«Non lo so. Dieci anni fa non pensavo di sposarmi così presto. Ma una cosa è certa».

Cosa?   «Ho imparato che, nonostante le nostre grandi passioni, non bisogna rinunciare all’amore e ai nostri amici. Anni fa credevo che, per fare l’attivista mondiale, avrei dovuto essere inappuntabile, annullare tutta la mia vita privata, rinunciare agli affetti. E magari trovare un compromesso sull’amore, perché in Pakistan non puoi convivere con un uomo prima del matrimonio. Non è così. Per essere dei bravi attivisti, bisogna essere anche se stessi, ed essere in pace con se stessi. E non bisogna vergognarsi di chiedere aiuto. Io l’ho fatto, quando ho sofferto di problemi mentali – che mai mi sarei aspettata di avere».

Quando sono sorti?
«Dopo aver fumato per la prima volta della marijuana, con amici, a Oxford. Sono stata molto male: il corpo si è paralizzato, mi sentivo come se i talebani mi avessero sparato di nuovo. Il cuore continuava a battermi forte, sudavo e avevo paura di chiudere gli occhi. Temevo, dopo averla scampata una volta, di non risvegliarmi più. Sono andata in coma farmacologico. Pochi giorni dopo ho iniziato ad avere attacchi di ansia, panico, e continui flashback del mio tentato assassinio, nonostante 13 anni fa pensavo di aver rimosso tutto. Invece, quell’orrore è tornato. Per me è stata una doppia tragedia, anche perché una donna in Pakistan non può permettersi di avere problemi mentali o soffrire di depressione, altrimenti viene esclusa, diventa una paria».

Per fortuna era già in Inghilterra quando è successo.

«Sì, ma non sapevo comunque cosa fare. E quando ne parlavo con i miei genitori, mi dicevano di passare oltre e pensare positivo. Sono stati gli amici a farmi uscire da quel tunnel. Una di loro mi ha consigliato uno psichiatra con il quale sono stata molto meglio».

E soffre ancora di quei flashback?
«Purtroppo sì, e sono imprevedibili. Di recente, anche in Sudafrica, durante un evento dedicato a Nelson Mandela. Pensavo di morire, ma per fortuna stavolta c’era mio marito con me (Malala si è sposata, l'annuncio su Twitter il 09 Novembre 2021). Sono sempre stata etichettata da tutti come coraggiosa e audace. Ma, in quei momenti di panico, sentivo che non lo ero affatto. Alla fine però ho capito: il vero coraggio è ammettere le proprie debolezze, rialzarsi e continuare. Non è affatto coraggioso chi sopprime i propri sentimenti e le proprie fragilità».

La fama dopo l’attentato, e il fatto di essere un modello per tante bambine, sono stati un peso per lei?
«Sì, ed è anche per questo che voglio dire la verità alle ragazze che stanno lì fuori. Che magari pensano che io sia perfetta, coraggiosa, invincibile, e che non possa sbagliare mai. Non è così. Perciò voglio metterle in guardia e dire loro che è normale avere momenti di difficoltà, e che non sono sole».

Nel suo recente libro Coltello, Salman Rushdie ha raccontato l’incontro in tribunale con il suo aggressore. Lei, se si ritrovasse faccia a faccia con i suoi killer, cosa gli direbbe?
«Di ribellarsi contro chi li ha addestrati all’odio e all’estremismo. I miei killer sono stati arrestati e poi tenuti in prigione per dieci anni, ora sono liberi. La soluzione non è mai la vendetta. L’unica vera risposta è dare ancora più potere e istruzione alle donne e alle bambine, contro gli estremismi che vorrebbero annullarle».

Come fa lei, anche in questo suo libro, ad avere ancora speranza? Per esempio: le donne afghane sono ripiombate nel Medioevo, dopo il fallimento americano nel 2021…
«Per me è facile perdonare qualcuno che mi ha fatto del male, a livello personale. Ma è più difficile con coloro che invece opprimono sistematicamente milioni di persone. Non riesco ad accettare che i Talebani siano tornati al potere in Afghanistan, a vessare milioni di donne e ragazzine, erodendo i loro diritti e libertà, giorno dopo giorno, con cento editti in quattro anni. Non possono più andare al lavoro, studiare o nemmeno parlare. E noi non possiamo abbandonarle. Con la mia fondazione, Malala Fund, sosteniamo l’insegnamento online e le scuole clandestine in Afghanistan. Ma i Paesi occidentali devono fare molta più pressione su terroristi come i talebani e contro questo apartheid sessista. Non ci possono essere compromessi sulla vita delle donne e delle bambine afghane».

Anche in Occidente, purtroppo, i femminicidi sono una piaga immane.
«È vero, e a volte sì, mi sembra di perdere ogni speranza. Ma poi la riconquisto perché non abbiamo tempo da perdere. Perché ogni giorno vediamo negare i diritti e il progresso a donne e ragazze in tutto il mondo, mentre la misoginia impera. I leader mondiali mi sembrano paralizzati, non fanno abbastanza per proteggerle, in Afghanistan ma non solo».

Nel suo libro, suo padre Ziauddin sembra molto più “liberal” di sua madre, Toor Pekai, che invece la redarguisce. Una volta, durante un evento, si permise persino di scacciare il braccio del principe Harry dalla sua spalla. Come mai?
«Perché mio padre ha vissuto da uomo, con molte più libertà di mia madre, che invece ha subìto il patriarcato per tutta la vita, non è potuta andare a scuola ed è dunque rimasta ossessionata dai diktat dell’onore di famiglia. Papà invece sa che cos’è la libertà, ed è perciò che mi ha sempre sostenuto nelle mie battaglie. È stato anche la liberazione di mia madre – con cui ancora oggi ogni tanto litigo: è una donna molto severa...».

Lei e la sua famiglia vi siete rifugiati in Inghilterra. Cosa prova di fronte ai continui attacchi verbali (e non soltanto verbali) contro immigrati e richiedenti asilo, da parte di Farage, che potrebbe presto diventare primo ministro qui a Londra, o di Trump in America?
«Essere rifugiati non è una scelta. Ho incontrato tante bambine e ragazze nel mondo sfuggite a regimi brutali, violenza, oppressione. Come insegna la mia storia, non avrebbero mai voluto lasciare le loro case, le loro città. Vogliono solo vivere in pace e dignità. Ma non era possibile. Dobbiamo parlarci di più tra di noi, ascoltare le tragiche storie di dolore e resistenza di queste persone prima di accettare la narrativa populista sui rifugiati. Perché non stiamo andando nella giusta direzione, niente affatto».

Lei di recente è stata in Egitto, per ascoltare anche le tragiche storie dei bambini di Gaza.
«Si, sono andata ad incontrare le famiglie palestinesi in fuga. Ad ogni bambina o ragazzina che ho incontrato, era stato ucciso o ferito un membro della famiglia, spesso davanti ai loro occhi. Sono traumi che noi non riusciamo nemmeno a immaginare. Non abbiamo fatto abbastanza contro questo genocidio. Doveva essere fermato prima. E bisognerà fare sempre più pressione su Israele, che dovrà pagare per le sue azioni. I leader mondiali hanno per troppo tempo abbandonato i palestinesi. In Egitto ho incontrato una bambina che cercava di disegnare qualcosa con la mano sinistra, perché non potrà più utilizzare quella destra che è stata gravemente ferita durante i bombardamenti. Però i bambini alla fine trovano sempre un modo per continuare a vivere. Nonostante tutto».

Il cretino digitale: Difendiamo i nostri figli dai veri pericoli del web

Il libro La fabrique du crétin digital: Les dangers des écrans pour nos enfants  ( tradotto in italiano Il cretino digitale: Difendiamo i nostri figli dai veri pericoli del web ) vincitore del premio Femina, scritto da  Michel Desmurget  e pubblicato nel 2019,  mette in guardia gli adolescenti dal pericolo di una dipendenza  dal digitale.  Un bestseller di un neuro-scienziato francese che nessun genitore può ignorare.

Michel Desmurget è un neuroscienziato francese e autore di saggi che analizzano criticamente l'impatto delle nuove tecnologie sullo sviluppo cognitivo, specialmente nei giovani. È noto per libri come Il Cretino Digitale, in cui critica l'eccessivo uso degli schermi, e Faites-les lire !, che promuove l'importanza della lettura come antidoto. 


Viviamo nell'era del digitale, è un dato di fatto, e gli schermi sono ovunque: in ufficio, a scuola, a casa, nelle nostre tasche. Per dovere o per svago, gli occhi tornano sempre lì. Specie quelli dei più giovani, visto che li usano come principale - se non unico - canale d'intrattenimento. Qualche cifra? In Occidente, i bambini sotto i due anni trascorrono in media tre ore al giorno davanti a un monitor. Tra gli otto e i dodici anni le ore diventano cinque, e salgono a sette tra i tredici e i diciotto. Possibile che un'attività tanto pervasiva non impatti sul loro sviluppo? Per anni ci siamo lasciati cullare dal mito che vedeva nei nativi digitali i fortunati destinatari di un balzo evolutivo, da Homo sapiens a Homo numericus: multitasking, più attento e intuitivo, pronto a cogliere le infinite possibilità offerte dalla Rete. Una visione dorata diffusa anche da media, sedicenti «esperti» e divulgatori non meglio qualificati. 
Troppo a lungo gli interessi di pochi e l'accondiscendenza di molti ci hanno spinti a ignorare i messaggi allarmati della scienza, proprio come è successo per il tabacco, i cambiamenti climatici e gli alimenti pieni di zuccheri. Sì, perché le ricerche sono ormai concordi: tutto quel tempo passato davanti a uno schermo ha gravi conseguenze su salute, comportamento e capacità intellettuali dei nostri figli. Finalmente, in queste pagine, un neuroscienziato ci presenta i dati per come sono: preoccupanti, e tali da imporre un immediato cambio di rotta. Con competenza, rigore scientifico, piglio ironico e taglio pungente, Desmurget ci invita a prendere coscienza dei rischi che corrono le nuove generazioni. E a fare qualcosa per evitare che finiscano lentamente avvelenate. 

Introduzione al Blog

   Il Blog è nato nel marzo 2021, in tempo di pandemia, per comunicare e condividere le mie letture e i miei interessi.  Nel Blog ci sono ...